1982. RAI
ALBERTO LIONELLO – Angelo Baldovino
ERIKA BLANC – Agata Renni
GABRIELE ANTONINI – Il marchese Fabio Colli
Regia di LAMBERTO PUGGELLI
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FONTE Novella «Tirocinio» (1905)
STESURA aprile – maggio 1917
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 27 novembre 1917 – Torino, Teatro Carignano, Compagnia di Ruggero Ruggeri.
È una commedia in tre atti derivata dalla novella Tirocinio (1905). La stesura è stata effettuata nell’aprile-maggio 1917. E stata rappresentata per la prima volta il 27 novembre 1917 al Teatro Carignano di Torino, protagonisti Ruggeri e la Vergani.
Angelo Baldovino accetta la proposta di sposare Agata, messa incinta dal marchese Fabio Colli, che non può sposarla perché già ammogliato. Egli dovrà essere soltanto in apparenza un marito, per salvaguardare la rispettabilità di Agata e consentire al marchese di continuare a frequentarla. Baldovino è stato scelto per questo singolare compito perché uomo fallito, di scarsa moralità, ritenuto pronto ad accettare ogni proposta per guadagno; invece egli prende la cosa con estrema serietà, per la prima volta ha un compito serio da assolvere, pensa di poter rendersi utile alla ragazza in difficoltà, ed nascituro cui potrà dare il suo nome, allo stesso marchese Fabio, legato a una moglie che lo tradisce. La sua risposta è chiarissima: «Sposerò per finta una donna; ma sul serio io sposo l’onestà». Già nel dialogo preliminare con Fabio dichiara che diventerà «un tiranno», per ottenere che tutti stiano dignitosamente ai patti. E, in realtà, dimostrerà un rigido rigore morale che metterà in soggezione e in difficoltà tutti. Agata, che ormai pensa soltanto a essere madre e quando nascerà il figlio si dedicherà interamente a lui, dopo il matrimonio, non vuole più avere contatti con Fabio. Il marchese ne è esasperato; crea una società e chiama Baldovino a farne parte, sperando che rubi o, alla peggio, di tendergli una trappola per accusarlo di disonestà e liberarsi di lui. Baldovino si comporta nella società con competenza e rigore morale, risultando d’esempio agli altri. Il suo comportamento – egli dice – gli fa provare «il piacere dei Santi negli affreschi delle chiese». A Fabio non resta che tendergli una trappola; ma Baldovino lo smaschera di fronte ad Agata e, dopo aver fatto balenare che il maldestro tentativo tornerebbe a danno del bambino che porta il suo nome, si dice, comunque, pronto ad andarsene, a essere accusato di furto, purché a rubare per lui sia Fabio, al quale va accollato tutto il peso dello squallido intrigo.
A questo punto tutti lo pregano di rimanere. In particolare Agata che evidentemente ha capito come Fabio e gli altri siano uomini mediocri e disonesti rispetto a Baldovino, la cui onestà e la cui umanità l’ha conquistata.
Ancora una volta Pirandello si serve di un matrimonio «bianco» come ad esempio inPensaci Giacomino! e in Ma non è una cosa seria, per creare situazioni che finiscono per svelare la vera natura dei personaggi. E un modo di contravvenire alle regole sociali per mettere in evidenza virtù non convenzionali che albergano nell’animo del protagonista. Il quale, in questa commedia, da uomo squalificato cui gli altri intendono affidare un compito degradante, credendo alla bontà della sua missione in difesa di umani valori (Agata e il suo bambino), si rivela uomo di alta qualità morale e di autentica bontà, anche se, da questa sua conquistata condizione, si diverte «pirandellianamente» a mettere in ridicolo la falsa rispettabilità degli altri.
In occasione della «prima» a Torino Antonio Gramsci scriveva: «C’è nelle sue commedie uno sforzo di pensiero astratto che tende a concretarsi sempre in rappresentazione, e quando riesce, dà frutti insoliti nel teatro italiano, d’una plasticità e d’una evidenza fantastica mirabile. Così avviene nei tre atti del Piacere dell’onestà». (Avanti! ed. torinese, 2 novembre 1917.)
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