Il piacere dell’onestà – Personaggi, Atto primo

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Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo.

En Español – El piacer de la honradez

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Il piacere dell’onestà - Atto I
Luigi Cimara, Il piacere dell’onestà, 1954. Immagine dal Web.

Personaggi

Angelo Baldovino
Agata Renni
La Signora Maddalena, sua madre
Il Marchese Fabio Colli
Maurizio Setti, suo cugino
Il parroco di santa Maria
Marchetto Fongi, borsista
1° Consigliere
2° Consigliere
3° Consigliere
4° Consigliere
Una cameriera, un cameriere
La comare (che non parla)

In una città dell’Italia centrale, oggi.

Note per la Rappresentazione

        Angelo Baldovino: sui quaranta; grave; capelli fulvi, non curati affatto; corta barba, un po’ ispida, rossiccia; occhi penetranti; parola piuttosto lenta, pro­fonda. Veste un greve abito color marrone; porta quasi sempre tra le dita un pajo di lenti. La persona trasandata, l’aria, il modo di parlare, di sorridere, denotano un uomo dalla vita trarotta, che serba in sé, ben nascosti, tempe­stosi e amarissimi ricordi, da cui ha tratto una strana filosofia piena insieme di ironia e d’indulgenza. Questo, specialmente nel primo atto e in parte nel terzo. Nel secondo, appare, esteriormente almeno, trasformato: sobriamente elegante; disinvolto, ma con dignità, signore; ha cura della barba e dei ca­pelli; non tiene più le lenti in mano.
        Agata Renni: ventisette anni; altera, quasi dura per lo sforzo di resistere al crollo della sua onestà. Disperata e ribelle nel primo atto; va poi fieramente diritta e ossequente alla sua sorte.
        La signora Maddalena: cinquantadue anni; elegante, ancora bella, ma rasse­gnata alla sua età; piena di passione per la figlia, non vede che per gli occhi di lei.
        Il marchese Fabio Colli: quarantatre anni, garbato, dabbene; con quel tanto di goffo che predispone certi uomini a essere disgraziati in amore. Maurizio Setti: trentotto anni; elegante e disinvolto, di parola facile, uomo di mondo, amante d’avventure.
        Marchetto Fongi: cinquant’anni, vecchia volpe, piccola figura losca, sbilenca, tutta pendente da un lato; arguto tuttavia e non privo dì spirito e d’una certa aria signorile.

1917
Il piacere dell’onestà
Atto Primo

        Elegante salotto in casa Renni. Uscio comune in fondo. Uscio laterale a de­stra. Finestre a sinistra.

        Scena prima

        Maurizio Setti, Cameriera, poi la Signora Maddalena.

        Al levarsi della tela la scena è vuota. Si aprirà l’uscio di fondo, entrerà la cameriera e darà passo a Maurizio Setti.

        CAMERIERA: S’accomodi. Vado ad annunziarla subito.

        Via per l’uscio a destra. Poco dopo entrerà per quest’uscio la signora Mad­dalena, turbata, ansiosa.

        MADDALENA: Buon giorno, Setti. Ebbene?

        MAURIZIO: È qua. Arrivato con me, stamattina.

        MADDALENA: E… stabilito tutto?

        MAURIZIO: Tutto.

        MADDALENA: Spiegato tutto, chiaramente?

        MAURIZIO: Tutto, tutto, non dubiti.

        MADDALENA (esitante): Ma… chiaramente – come?

        MAURIZIO: Oh Dio, gli ho detto… gli ho detto la cosa, com’è.

        MADDALENA (crollando il capo, amaramente): La cosa… – eh già!

        MAURIZIO: Bisognava pur dirla, signora mia!

        MADDALENA: Eh sì, certo… ma…

        MAURIZIO: La cosa poi cangia, non dubiti, ha diverso peso secondo la qualità delle persone, i momenti, le condizioni.

        MADDALENA: Ecco, sì, proprio così!

        MAURIZIO: E questo – stia sicura – l’ho spiegato bene!

        MADDALENA: Come siamo noi? chi è mia figlia? E… accettato? senza difficoltà?

        MAURIZIO: Senza difficoltà, stia tranquilla!

        MADDALENA: Ah! – Tranquilla, amico mio? Come potrei star tranquilla? – Ma com’è? Ditemi almeno com’è?

        MAURIZIO: Ma… un bell’uomo Oh Dio, non dico mica un Adone: un bell’uomo, vedrà. Bella presenza, una cert’aria di dignità non affettata. È nobile davvero, di nascita – un Baldovino!

        MADDALENA: Ma i sentimenti? io dico per i sentimenti!

        MAURIZIO: Ottimi, ottimi, creda.

        MADDALENA: Sa parlare? Sa parlare… dico…

        MAURIZIO: Oh, a Macerata, signora, in tutte le Marche, creda, si parla benis­simo.

        MADDALENA: No, dico, se sa parlare a modo! Capirete, in fondo, è tutto qui. Una parola fuor di tono, senza quella certa… (Tocca appena le parole con la voce, quasi che, a proferirle, se ne senta ferire.)… quella certa… oh Dio, non so proprio come esprimermi… (Cava un fazzoletto e si mette a piangere.)

        MAURIZIO: Bisogna farsi animo, signora!

        MADDALENA: – sarebbe una pugnalata per la mia povera Agata!

        MAURIZIO: No, stia proprio tranquilla per questo, signora. Non gli uscirà mai di bocca una parola men che corretta. Garantisco. È riservatissimo. Misurato. Le dico, un signore. E poi, capisce a volo. Non tema per questa parte. Garanti­sco.

        MADDALENA: Credetemi, caro Setti, non so più in che mondo mi sia! Mi sento perduta… sono inebetita… Trovarsi così d’un tratto, di fronte a una simile necessità! Mi pare che sia una sciagura, di quelle… sapete? che lasciano la porta aperta, così che ogni estraneo possa introdursi a curiosare.

        MAURIZIO: Eh, nella vita…

        MADDALENA: E quella figliuola, quella figliuola mia! con quel suo cuore! Se la vedeste, se la sentiste… È uno strazio!

        MAURIZIO: Me l’immagino. Creda che con tutto il cuore, signora, mi sono ado­perato…

        MADDALENA (interrompendolo, stringendogli la mano): Lo so! lo so! E vedete come parlo con voi? Perché so che siete della famiglia: più che cugino, un fratello del nostro marchese.

        MAURIZIO: Fabio è di là?

        MADDALENA: Di là, sì. Forse ancora non può lasciare. Bisogna tenerla d’occhio. Appena ha sentito annunziar voi, s’è lanciata per la finestra.

        MAURIZIO: Oh Dio! Per me?

        MADDALENA: No, non per voi! Perché sa la ragione per cui siete andato a Ma­cerata e con chi ne sarete ritornato.

        MAURIZIO: Ma questo, anzi… scusi… mi pare che…

        MADDALENA: No! Che dite! Piange, si dibatte. È in uno stato di disperazione, che fa paura.

        MAURIZIO: Ma… scusi, non s’era stabilito così? Non aveva lei stessa approvato?

        MADDALENA: Eh sì! ma appunto per questo!

        MAURIZIO (costernato): Non vuole più?

        MADDALENA: No! che volere! Potrebbe volerlo? Ma deve, deve per forza: biso­gna che voglia…

        MAURIZIO: Eh già, e che si faccia una ragione!

        MADDALENA: Oh Setti, la mia figliuola ne morrà!

        MAURIZIO: Ma no, signora, vedrà che…

        MADDALENA: Ne morrà! Se pure non commetterà prima qualche sproposito! Io ho condisceso troppo, capisco. Ma fidavo… fidavo che Fabio fosse più pru­dente… – Voi aprite le braccia? – Eh sì, non resta più, difatti, che aprire le braccia, chiudere gli occhi e lasciare che la vergogna entri.

        MAURIZIO: Ma no, non dica così, signora! Se si sta provvedendo…

        MADDALENA (coprendosi il volto con le mani): No… voi, voi non dite così, per carità! È peggio. – Ah, credetemi, Setti, è rimorso, ora, ciò che in me non fu altro, prima, che debolezza. Ve lo giuro!

        MAURIZIO: Lo credo bene, signora.

        MADDALENA: Ma non potete comprendere! Siete uomo, voi, e non siete nean­che padre! – Non potete comprendere che strazio sia per una madre vedere la propria figliuola avanzarsi negli anni, cominciare a perdere il primo fiore della giovinezza… – Non si ha più il coraggio di usare quel rigore che la pru­denza consiglia… dico di più, che l’onestà comanda! – Ah, l’onestà, che scherno, caro Setti, in certi momenti! Non possono più parlare le labbra di una madre, che – bene o male – è stata nel mondo… ha amato… – quando gli occhi della figliuola si volgono a lei quasi a implorare pietà! – Per non con­cederla apertamente, fingiamo di non accorgerci di nulla; e questa finzione e il nostro silenzio diventano complici, finché si arriva… si arriva a questo punto! Ma io speravo, ripeto, che Fabio fosse prudente.

        MAURIZIO: Eh… ma la prudenza, signora mia…

        MADDALENA: Lo so! lo so!

        MAURIZIO: Se avesse potuto, lui stesso…

        MADDALENA: Lo so… lo vedo… è come impazzito anche lui, poverino! E se non fosse stato quel galantuomo che è, credete che tutto questo sarebbe accaduto?

        MAURIZIO: Fabio è tanto buono!

        MADDALENA: E lo sapevamo infelice, separato da quella sua moglie indegna! Vedete, questa, proprio questa ragione, che avrebbe dovuto impedire che si arrivasse fino a questo punto, è stata pur quella d’arrivarci! – Non siete sicuro voi – ditemelo in coscienza – che Fabio, se fosse stato libero, avrebbe spo­sato la mia figliuola?

        MAURIZIO: Oh, senza dubbio!

        MADDALENA: Ditemelo, ditemelo in coscienza! Per carità!

        MAURIZIO: Ma non lo vede lei stessa, signora mia, come ne è innamorato? in che stato si trova adesso?

        MADDALENA: È vero? è vero? – Non potete credere quanta consolazione dia anche un piccolo attestato,.in un momento come questo!

        MAURIZIO: Ma che dice mai, signora! che pensa! Io ho per lei, per la signorina Agata il massimo rispetto, la più sincera e devota considerazione.

        MADDALENA: Grazie! grazie!

        MAURIZIO: La prego di credermi! Non mi sarei mai, altrimenti, interessato tanto.

        MADDALENA: Grazie, Setti. E credete, quando una donna, una povera giovine ha atteso per tanti anni, onestamente, un compagno per la vita, e non lo trova, e alla fine vede un uomo che meriterebbe tutto l’amore, e sa che quest’uomo è stato maltrattato, amareggiato, offeso iniquamente da un’altra donna – cre­dete, non può resistere all’impulso spontaneo di dimostrargli che non tutte le donne sono come quella: che ce n’è pure qualcuna che sa rispondere all’a­more con l’amore e apprezzare la fortuna che quell’altra ha calpestato.

        MAURIZIO: Eh, sì! Calpestato, povero Fabio! Dice bene, signora. Non se lo me­ritava.

        MADDALENA: La ragione dice: – «No, tu non puoi, tu non devi» – non solo nel cuore di lei, ma anche nel cuore di quell’uomo, se è onesto, e in quello della madre che guarda l’uno e l’altra e si strugge. Si tace un pezzo; si ascolta la ragione, si soffoca lo strazio –

        MAURIZIO: – e alla fine viene il momento –

        MADDALENA: – viene! ah, viene insidiosamente! – E una serata deliziosa di maggio. La mamma s’affaccia alla finestra. Fiori e stelle, fuori. Dentro, l’an­goscia, la tenerezza più accorata. E quella mamma grida dentro di sé: – «Ma siano anche per la mia figliuola, una volta sola almeno, tutte le stelle e tutti i fiori!» – E resta lì, nell’ombra, a guardia d’un delitto, che tutta la natura in­torno consiglia, che domani gli uomini e la nostra stessa coscienza condanne­ranno; ma che in quel punto si è felici di lasciar compiere, con una strana soddisfazione anche dei nostri sensi, e un orgoglio che sfida la condanna, anche a costo dello strazio con cui domani la sconteremo! – Così, caro Setti! – Non posso essere scusata, ma compatita sì. – Si dovrebbe morire, dopo. – Invece non si muore. Resta la vita, che ha bisogno, per sostenersi, di tutte quelle cose che in un momento abbiamo buttato via.

        MAURIZIO: Sì, signora. Ecco. E c’è bisogno, innanzi tutto, di calma. Lei ricono­sce che finora, qua, tutti e tre, lei per un verso, Fabio e la signorina Agata per un altro, avete fatto troppa parte al sentimento.

        MADDALENA: Ah, troppa, troppa, sì, troppa!

        MAURIZIO: Ebbene. Ora bisogna che il sentimento sia contenuto, si ritragga, per dar posto alla ragione, eh?

        MADDALENA: Sì, sì.

        MAURIZIO: Per far fronte a una necessità che non ammette indugio! Dunque… – Ah, ecco Fabio.

        Scena seconda

        Marchese Fabio e Detti.

        FABIO (entrando dall’uscio a destra, angosciato, disperato, smanioso, alla si­gnora Maddalena): La prego, vada, vada di là! Non la lasci sola!

        MADDALENA: Eccomi, sì… Ma pare che…

        FABIO: Vada, la prego!

        MADDALENA: Sì, sì. (A Maurizio:) Con permesso. (Via per l’uscio di destra.)

        Scena terza

        Fabio e Maurizio.

        MAURIZIO: Ma, dico, anche tu così?

        FABIO: Per carità, Maurizio, non dirmi nulla! Credi di aver trovato il rimedio, tu? Sai che hai fatto? Te lo dico io! Hai dato soltanto il belletto a un malato!

        MAURIZIO: Io?

        FABIO: Tu, sì! L’apparenza della salute!

        MAURIZIO: Ma se l’hai chiesto tu stesso! Oh, intendiamoci! Non voglio far mica la parte del salvatore io!

        FABIO: Io soffro, io soffro, Maurizio! soffro per quella povera creatura e per me una pena d’inferno! E me la dà appunto codesto tuo rimedio, che stimo giusto, e proprio perché lo stimo giusto, capisci? Ma è un rimedio esterno, che può salvare soltanto l’apparenza e nient’altro!

        MAURIZIO: Non conta più nulla, adesso? Eri disperato, quattro giorni fa, per questa apparenza da salvare! Ora che puoi salvarla –

        FABIO: – vedo il mio dolore! Non ti sembra naturale?

        MAURIZIO: No, caro. Perché così non la salvate più! – Dev’essere apparenza? Bisogna che ve la diate! – Tu non ti vedi. Ti vedo io. E debbo scuoterti, per forza, tirarti su… darti il belletto, come tu dici! – Egli è qua, venuto con me. – Se si deve far presto…

        FABIO: Sì, sì… dimmi, dimmi… Ma già, è inutile! – Lo hai prevenuto che non lo faccio padrone nemmeno d’un centesimo?

        MAURIZIO: L’ho prevenuto.

        FABIO: E ha accettato?

        MAURIZIO: Se è qua con me! – Soltanto per essere perfettamente in grado d’a­dempiere agli obblighi che si assume con te – date queste condizioni – chiede (e mi sembra giusto) la liquidazione del suo passato. Ha qualche debito.

        FABIO: Quanti? Molti? Oh, me l’immagino!

        MAURIZIO: Pochi, no, pochi! – Perdio, lo vorresti anche senza debiti? Ne ha pochi. Ma bisogna che aggiunga – e me l’ha raccomandato lui stesso, bada, d’aggiungerlo – che sono così pochi non per mancanza di volontà da parte sua, ma per mancanza di credito da parte degli altri.

        FABIO: Ah, benissimo!

        MAURIZIO: Onesta confessione! Capirai che, se godesse ancora di un certo cre­dito…

        FABIO (prendendosi la testa fra le mani): Basta! basta, per carità! – Dimmi il discorso che gli hai fatto. – È mal vestito? com’è? malandato?

        MAURIZIO: L’ho trovato un poco deperito, dall’ultima volta. – Ma a questo si rimedia. Ho già rimediato in parte. Sai, è un uomo su cui il morale può molto. Le cattive azioni che si vede costretto a commettere –

        FABIO: – gioca? bara? ruba? che fa?

        MAURIZIO: Giocava. Non lo lasciano più giocare da un pezzo. Era d’una ama­rezza che accorava. Ho passeggiato con lui tutta una notte, per il viale attorno alle mura. – Sei mai stato a Macerata?

        FABIO: Io, no.

        MAURIZIO: T’assicuro che è stata per me una nottata fantastica, tra lo sprazzare d’una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell’uomo che parlava con una sincerità spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti fa­ceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi dalle più oscure pro­fondità dell’anima. Mi pareva, non so, di non esser più sulla terra, ma in una contrada di sogno, strana, lugubre, misteriosa, ov’egli s’aggirava da padrone, ove le cose più bizzarre, più inverosimili potevano avvenire e sembrar natu­rali e consuete. Egli se n’accorse – (s’accorge di tutto) – sorrise, e mi parlò di Descartes.

        FABIO (stordito): Di chi?

        MAURIZIO: Di Cartesio. – Eh, perché è anche – vedrai – d’una cultura, special­mente filosofica, formidabile. Mi disse che Cartesio…

        FABIO: Ma in nome di Dio, che vuoi che m’importi di Cartesio, adesso?

        MAURIZIO: Lasciami dire! Vedrai che te n’importerà! – Mi disse che Cartesio, scrutando la nostra coscienza della realtà, ebbe uno dei più terribili pensieri che si siano mai affacciati alla mente umana: – che, cioè, se i sogni avessero regolarità, noi non sapremmo più distinguere il sonno dalla veglia! – Hai provato che strano turbamento, se un sogno ti si ripete più volte? – Riesce quasi impossibile dubitare che non siamo di fronte a una realtà. Perché tutta la nostra conoscenza del mondo è sospesa a questo filo sottilissimo: la re-go-la-ri-tà delle nostre esperienze. – Noi, che abbiamo questa regolarità, non possiamo immaginare quali cose possano essere reali, verosimili, per chi viva fuori d’ogni regola, come quell’uomo lì! – Ti dico che, a un certo punto, mi fu facilissimo entrare a fargli la proposta. Parlava di certi suoi disegni, che a lui parevano più che possibili, e a me così strampalati e inattuabili, che la proposta mia – capisci? – diventò subito d’una facilità, che più ovvia, più piana non si sarebbe potuta immaginare; d’una ragionevolezza, che chiunque avrebbe potuto accettarla. – E sbalordisci! Non fui mica io a dirgli in prima di quella condizione del danaro; fu lui, subito, a protestare, risentito, che – danari niente! – non voleva neppur vederne da lontano. – Ma sai perché?

        FABIO: Perché?

        MAURIZIO: Perché è molto più facile – sostiene lui – essere un eroe che un ga­lantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sem­pre. Il che non è facile.

        FABIO: Ah! (Inquieto, smanioso, fosco, si mette a passeggiare per la stanza.) E… è dunque un uomo d’ingegno, a quanto pare?

        MAURIZIO: Ah, di molto, di molto ingegno!

        FABIO: Se n’è servito male – sembra!

        MAURIZIO: Malissimo, malissimo. Fin da ragazzo. Fummo compagni di colle­gio, te l’ho detto. Col suo ingegno poteva arrivare dove voleva. Studiò sem­pre quel che gli piacque, quel che poteva servirgli meno. E dice che l’educa­zione è la nemica della saggezza, perché l’educazione rende necessarie tante cose, di cui, per esser saggi, si dovrebbe fare a meno. Ebbe un’educazione da gran signore: gusti, abitudini, ambizioni, vizii anche… Poi i casi della vita… il crollo finanziario del padre… e… – non c’è da farsene meraviglia!

        FABIO (riprendendo a passeggiare per la stanza): E … è anche un bell’uomo, hai detto?

        MAURIZIO: Sì, di bella presenza. – Che cos’è? (Ride.) Di’ un po’: niente niente, adesso cominci a temere che abbia scelto troppo bene?

        FABIO: Ma fa’ il piacere! Vedo… vedo del… superfluo, ecco! Ingegno, cultura –

        MAURIZIO: – filosofica! Non mi sembra che sia superflua al caso.

        FABIO: Maurizio, perdio, non scherzare! Io sono sulla brace! Avrei voluto di meno, ecco! Un uomo modesto, da bene –

        MAURIZIO: – che si scoprisse subito? che non avesse l’apparenza conveniente? Ma scusa! Bisognava anche tener conto della casa in cui deve entrare… Un uomo mediocre, non più giovane, avrebbe dato sospetto… Ci voleva un uomo di merito, che ispirasse rispetto e considerazione… tale, insomma, che domani la gente si possa spiegare la ragione per cui la signorina Renni ha

        potuto accettarlo… E io sono sicuro che –

        FABIO: – che? –

        MAURIZIO: – che lo accetterà – non solo – ma mi ringrazierà un po’ meglio, almeno, di come stai facendo tu!

        FABIO: Sì! Ti ringrazierà… Se la sentissi! – Gli hai detto che si deve fare al più presto?

        MAURIZIO: Ma sì! Vedrai che saprà subito entrare in confidenza –

        FABIO: – cioè, cioè? –

        MAURIZIO: – oh, Dio, in quel tanto che vorrete accordargliene!

        Scena quarta

        Cameriera, Detti, poi la Signora Maddalena.

        CAMERIERA (accorrendo dall’uscio di destra): Signor marchese, la signora la desidera di là un momento.

        FABIO: Ma ora non posso! Debbo andare con mio cugino. (A Maurizio:) Biso­gna che lo veda… gli parli. (Alla cameriera:) Dite alla signora che abbia un po’ di pazienza: ora non posso!

        CAMERIERA Sissignore. (Via.)

        MAURIZIO: È qua, a due passi: al primo albergo. Ma così?

        FABIO: Impazzisco… impazzisco… impazzisco… Fra lei, di là, che piange… e te, di qua, che mi dici…

        MAURIZIO: Bada, non c’è finora alcun impegno! E se tu non vuoi…

        FABIO: Voglio vederlo, ti dico, parlargli!

        MAURIZIO: E andiamo, allora, su! Ti dico che è qua, a due passi!

        MADDALENA (sopravvenendo agitata): Fabio! Fabio! Venite di qua, non mi la­sciate sola in questo momento, per carità!

        FABIO: Oh Dio! Oh Dio!

        MADDALENA: È una crisi terribile. Venite, ve ne scongiuro!

        FABIO: Ma se debbo…

        MAURIZIO: E no… va’! Va’, adesso!

        MADDALENA: Sì, per carità, Fabio!

        MAURIZIO: Vuoi che te lo conduca qua? Senz’impegno. Gli parlerai qua. Forse sarà meglio, per la signorina stessa.

        FABIO: Sì, vai, vai. Ma, oh! senz’impegno, bada! E dopo che avrà parlato con me! (Via per l’uscio a destra.)

        MAURIZIO (gli grida dietro): Ma sì! In due minuti: vado e ritorno. (Via per la comune.)

        MADDALENA (dietro a lui): Con lui? Qua? Fa per accorrere Verso l’uscio a destra, ma sopravvengono Agata e Fabio.

        Scena quinta

        Agata, Fabio e Maddalena.

        AGATA (scarmigliata, forsennata, divincolandosi da Fabio): Lasciami, no: la­sciami! Lasciami andare! Via… via…

        MADDALENA: Figliuola mia, dove vuoi andare?

        AGATA: Non lo so! Via!

        FABIO: Agata! Agata! per carità!

        MADDALENA: Ma sono pazzie!

        AGATA: Lasciatemi! Impazzire o morire! Non c’è più scampo per me! Non reggo più! (Casca a sedere.)

        MADDALENA: Ma aspetta prima che Fabio almeno lo veda! gli parli! che lo veda anche tu!

        AGATA: No! Io? no! Ma non capite che mi fa orrore? Non capite che è mo­struoso quello che volete fare di me?

        MADDALENA: Ma come! Ma se tu stessa, figliuola mia…

        AGATA: No! Non voglio! Non voglio!

        FABIO (disperato, risolutamente): Ebbene, no! Se tu non vuoi, no! Non lo vo­glio neanch’io! È mostruoso, sì! e fa orrore anche a me! Ma hai il coraggio, allora, d’affrontare con me la situazione?

        MADDALENA: Per carità, che dite, Fabio? Voi siete uomo e potete ridervi dello scandalo, voi! Noi siamo due povere donne sole e l’onta si rovescerebbe su noi! Qua si tratta, tra due mali, di scegliere il minore! Tra l’onta innanzi a tutti –

        AGATA (subito): – e quella innanzi a uno solo, è vero? mia soltanto! Ma dovrò starci io, con quest’uomo! vedermelo davanti, quest’uomo che dev’esser vile, vile, se si presta a questo! (Balza in piedi e s’avvia, trattenuta, verso l’uscio di fondo.) No, no, non voglio! non voglio vederlo! Lasciatemene andare, la­sciatemene andare!

        MADDALENA: Ma dove? E che vuoi fare? – Affrontare lo scandalo? Se vuoi questo, io… io…

        AGATA (abbracciandola e rompendo in singhiozzi, perdutamente): No… per te, mamma!… no… no… per te…

        MADDALENA: Per me? Ma no! Che dici, per me? Non pensare a me, figliuola mia! Non c’è da risparmiar dolori, qua, l’una all’altra! Né da scappare! Dob­biamo stare qua, e soffrire tutti e tre insieme, e cercare di dividerci la pena, perché il male lo abbiamo fatto tutti e tre!

        AGATA: Tu no… tu no, mamma!

        MADDALENA: Io più di te, figliuola mia! E ti giuro che soffro più di te!

        AGATA: No, mamma! Perché io soffro anche per te!

        MADDALENA: E io per te soltanto, e perciò di più! Non la divido io, la mia pena, perché sono tutta in te, figliuola mia! – Aspetta… aspetta… si tratta di ve­dere… v

        AGATA: È orribile! È orribile!

        MADDALENA: Lo so… Ma vediamolo, prima!

        AGATA: Non posso! non posso, mamma!

        MADDALENA: Ma se siamo qua noi, con te! – Non c’è inganno! Non nascon­diamo nulla! Rimaniamo qua, noi – io e Fabio – accanto a te!

        AGATA: Ma sarà qui, te l’immagini? qui, sempre, tra noi, Fabio, uno che sa ciò che nascondiamo agli altri!

        FABIO: Ma avrà anche lui interesse di nasconderlo – per sé, e anche a se stesso – e starà ai patti! Se non ci starà, tanto meglio per noi! – Appena accennerà di non volerci più stare, avrò io il mezzo di farlo andar via. Tanto, non c’im­porterà più di lui!

        MADDALENA: Capisci! Già! Perché, sempre? Può essere per poco.

        FABIO: Per poco! per poco! Starà anche a noi, che sia per poco!

        AGATA: No, no! Ce lo vedremo sempre davanti!

        MADDALENA: Ma aspettiamo di conoscerlo, prima. Setti ha proprio assicurato…

        FABIO: Ci sarà modo! Ci sarà modo!

        MADDALENA: È molto intelligente, e… (Si sente picchiare all’uscio in fondo. Pausa di sgomento. Poi:) Ah, eccolo… – sarà lui…

        Scena sesta

        Cameriera, Detti.

        AGATA (balzando in piedi e afferrandosi alla madre): Via, via, mamma! Oh Dio! (Trascina la madre verso l’uscio a destra.)

        MADDALENA: Ma sì, gli parlerà lui. – Andiamo, andiamo di là, noi…

        FABIO: Sta’ tranquilla! (Maddalena e Agata via per l’uscio a destra.) Avanti.

        CAMERIERA (aprendo l’uscio di fondo e annunziando): Il signor Setti, con un signore.

        FABIO: Fa’ passare. (Cameriera via.)

        Scena settima

        Maurizio, Baldovino, Fabio.

        MAURIZIO (entrando): Ah, ecco… – Fabio, ti presento il mio amico Angelo Baldovino. (Fabio s’inchina. A Baldovino:) Il marchese Fabio Colli, mio cu­gino. (Baldovino s’inchina.)

        FABIO: Prego, s’accomodi.

        MAURIZIO: Voi avete da parlare, e vi lascio. (A Baldovino stringendogli la mano:) Ci rivedremo più tardi all’albergo, noi, eh? Addio, Fabio.

        FABIO: Addio. Maurizio esce per la comune.

        Scena ottava

        Baldovino, Fabio.

        BALDOVINO (seduto, s’insella le lenti su la punta del naso e, reclinando indie­tro il capo): Le chiedo, prima di tutto, una grazia.

        FABIO: Dica, dica…

        BALDOVINO: Signor marchese, che mi parli aperto.

        FABIO: Ah, sì, sì… Anzi, non chiedo di meglio.

        BALDOVINO: Grazie. Lei forse però non intende questa espressione «aperto», come la intendo io.

        FABIO: Ma… non so… aperto… con tutta franchezza… (E poiché Baldovino, con un dito, fa cenno di no:)… E come, allora?

        BALDOVINO: Non basta. Ecco, veda, signor marchese: inevitabilmente, noi ci costruiamo. Mi spiego. Io entro qua, e divento subito, di fronte a lei, quello che devo essere, quello che posso essere – mi costruisco – cioè, me le pre­sento in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei. E lo stesso fa di sé anche lei che mi riceve. Ma, in fondo, dentro queste costru­zioni nostre messe così di fronte, dietro le gelosie e le imposte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri più segreti, i nostri più intimi sentimenti, tutto ciò che siamo per noi stessi, fuori delle relazioni che vogliamo stabilire. – Mi sono spiegato?

        FABIO: Sì, sì, benissimo… Ah, benissimo! Mio cugino mi ha detto che lei è molto intelligente.

        BALDOVINO: Ecco, lei forse crede, adesso, che io abbia voluto darle un saggio della mia intelligenza.

        FABIO: No, no… dicevo, perché… approvo, approvo ciò che lei ha saputo dire così bene.

        BALDOVINO: Comincio io, allora, se permette, a parlare aperto. – Provo da un pezzo, signor marchese – dentro – un disgusto indicibile delle abiette costruzioni di me, che debbo mandare avanti nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei… diciamo simili, se lei non s’offende.

        FABIO: No, prego… dica, dica pure…

        BALDOVINO: Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor marchese; e dico: – Ma quanto è vile, ma com’è indegno questo che tu ora stai facendo!

        FABIO (sconcertato, imbarazzato): Oh Dio… ma no… perché?

        BALDOVINO: Perché sì, scusi. Lei, tutt’al più, potrebbe domandarmi perché al­lora lo faccio? Ma perché… molto per colpa mia, molto anche per colpa d’al­tri, e ora, per necessità di cose, non posso fare altrimenti. Volerci in un modo o in un altro, signor marchese, è presto fatto: tutto sta, poi, se possiamo es­sere quali ci vogliamo. Non siamo soli! – Siamo noi e la bestia. La bestia che ci porta. – Lei ha un bel bastonarla: non si riduce mai a ragione. – Vada a persuader l’asino a non andare rasente ai precipizii: – si piglia nerbate, cin­ghiate, strattoni; ma va lì, perché non ne può far di meno. E dopo che lei l’ha bastonata, pestata ben bene, le guardi un po’ gli occhi addogliati: scusi, non ne sente pietà? – Dico pietà; non scusarla! – L’intelligenza che scusi la bestia, s’imbestialisce anch’essa. Ma averne pietà è un’altra cosa! Non le pare?

        FABIO: Ah, certo… certo… – Vogliamo dunque venire a noi?

        BALDOVINO: Ci siamo, signor marchese. Le ho detto questo, per farle intendere che, avendo il sentimento di quel che faccio, ho anche una certa dignità che mi preme di salvare. Non c’è altro mezzo di salvarla, che parlando aperto. – Fingere, sarebbe orribile, oltre che laido, volgarissimo. – La verità!

        FABIO: Ecco, sì… chiaramente… Vedremo d’intenderci…

        BALDOVINO: E, allora, se permette, domanderò.

        FABIO: Come dice?

        BALDOVINO: Le farò qualche domanda, se permette.

        FABIO: Ah, sì, domandi pure.

        BALDOVINO: Ecco. (Trae di tasca un taccuino.) Ho qua gli estremi della situa­zione. Dovendo fare una cosa seria; meglio per lei, meglio per me. (Apre il taccuino e lo sfoglia; intanto, comincia a domandare, con l’aria d’un giudice non severo:) Lei, signor marchese, è l’amante della signorina…

        FABIO (scattando per troncare subito quella domanda e quella ricerca nel tac­cuino): Ma no! scusi… così…

        BALDOVINO (calmo, sorridente): Vede? Lei recalcitra fin dalla prima domanda!

        FABIO: Ma certo! Perché…

        BALDOVINO (subito, severo): Non è vero? dice che non è vero? – E allora (si alza) mi scusi, signor marchese. Le ho detto che ho la mia dignità. – Non po­trei prestarmi a una trista e umiliante commedia.

        FABIO: Ma come! io credo che, anzi, così come vuol far lei…

        BALDOVINO: S’inganna. La mia dignità (quella che può essere) posso salvarla solamente a patto che lei parli con me come con la sua stessa coscienza. – O così, signor marchese, o non ne facciamo niente. – Non mi presto a finzioni indecorose. – La verità. – Mi vuol rispondere?

        FABIO: Ebbene… sì… Ma non cerchi in codesto taccuino, per carità. Lei vuole alludere alla signorina Agata Renni?

        BALDOVINO (non transigendo, seguita a cercare; trova: ripete): Agata Renni, precisamente. – Ventisette anni?

        FABIO: Ventisei.

        BALDOVINO (guarda nel taccuino): Compiti il nove del mese scorso: dunque, nel ventisettesimo. E… (guarda di nuovo nel taccuino) ci sarebbe una mamma?

        FABIO: Ma scusi!

        BALDOVINO: È scrupolo, creda, nient’altro che scrupolo da parte mia; affida­mento per lei. Mi troverà sempre così preciso, signor marchese.

        FABIO: Ebbene, sì, c’è la madre.

        BALDOVINO: Quanti anni, scusi?

        FABIO: Ma… non so… ne avrà cinquantuno… cinquantadue…

        BALDOVINO: Soltanto? – Ecco, perché… – dico francamente – sarebbe meglio che non ci fosse. – La madre è una costruzione irriducibile. – Ma sapevo che c’era. – Dunque, abbondiamo un poco… diciamo cinquantatre. – Lei, signor marchese, avrà su per giù l’età mia… – Io sono sciupato. Ne mostro di più. Ne ho quarantuno.

        FABIO: Oh, ne ho di più io, allora. Quarantatre.

        BALDOVINO: Ah, mi congratulo: li porta meravigliosamente. – Sa? Forse an­ch’io, rimettendomi un poco… – Quarantatre, dunque. – Ora, scusi, debbo toccare un altro tasto molto delicato.

        FABIO: Mia moglie?

        BALDOVINO: Ne è separato. – Per torti… – lo so, lei è un perfetto gentiluomo – e chi non è capace di farne, è destinato a riceverne. – Per torti, dunque, della moglie. – E ha trovato qua una consolazione. Ma la vita – trista usuraja – si fa pagare quell’uno di bene che concede, con cento di noje e di dispiaceri.

        FABIO: Purtroppo!

        BALDOVINO: Eh, l’avrei a sapere! – Bisogna che ella sconti la sua consolazione, signor marchese! Ha davanti l’ombra minacciosa d’un protesto senza dila­zione. – Vengo io a mettere una firma d’avallo, e ad assumermi di pagare la sua cambiale. – Non può credere, signor marchese, quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la società che nega ogni credito alla mia firma. Imporre questa mia firma; dire: – Ecco qua: uno ha preso alla vita quel che non doveva e ora pago io per lui, perché se io non pagassi, qua un’onestà fallirebbe, qua l’onore d’una famiglia farebbe bancarotta; signor marchese, è per me una bella soddisfazione: una rivincita! – Creda che non lo faccio per altro. Lei ne dubita? ne ha tutto il diritto; perché io sono… – mi permette un paragone?

        FABIO: Ma sì, dica, dica.

        BALDOVINO (seguitando):… come uno che venga a mettere in circolazione oro sonante in un paese che non conosca altro che moneta di carta. – Subito si diffida dell’oro; è naturale. – Lei ha certo la tentazione di rifiutarlo: no? Ma è oro, stia sicuro, signor marchese. – Non ho potuto sperperarlo, perché l’ho nell’anima e non nelle tasche. Altrimenti!

        FABIO: Ecco, bene! E allora, questo. Benissimo! Io non vado cercando altro, signor Baldovino. L’onestà! la bontà dei sentimenti!

        BALDOVINO: Ho anche i ricordi della mia famiglia… – Mi è potuto costare di sacrifizii d’amor proprio, d’amarezze senza fine, di ribrezzo, di schifo… – es­sere disonesto. Che vuole che mi costi l’onestà? – Lei m’invita… sì, dico, doppiamente a nozze. Sposerò per finta una donna; ma sul serio, io sposo l’onestà.

        FABIO: Ecco, sì – e basta! Mi basta questo!

        BALDOVINO: Basta? – Le pare che le basti? – Scusi, signor marchese; e le con­seguenze?

        FABIO: Come? Non capisco.

        BALDOVINO: Eh, vedo che lei… – certamente perché soffre davanti a me e fa a se stesso una grande violenza per resistere a questa situazione penosa, pure d’uscirne, tratta con molta leggerezza la cosa.

        FABIO: No, no: tutt’altro! Come, con leggerezza?

        BALDOVINO: Permette? – La mia onestà, signor marchese, dev’essere o non dev’essere?

        FABIO: Ma sì che dev’essere! È l’unica condizione che le pongo!

        BALDOVINO: Benissimo. Nei miei sentimenti, nella mia volontà, in tutti i miei atti. – C’è. – Me la sento. – La voglio. – La dimostrerò. – Ebbene?

        FABIO: Che ebbene? Le ho detto che mi basta questo!

        BALDOVINO: Ma le conseguenze, signor marchese, scusi! – Guardi: l’onestà, così come lei la vuole da me – che cos’è? – Ci pensi un po’. – Niente. – Un’astrazione. – Una pura forma. – Diciamo: l’assoluto. – Ora scusi, se io devo essere così onesto, bisognerà pure che io la viva – per così dire – que­st’astrazione; che dia corpo a questa pura forma; che io senta quest’onestà astratta e assoluta. – E quali saranno allora le conseguenze? Ma prima di tutte, questa, guardi: – che io dovrò essere un tiranno.

        FABIO: Un tiranno?

        BALDOVINO: Per forza! – Senza volerlo! – Per ciò che riguarda la pura forma, intendiamoci! (Il resto non m’appartiene.) – Ma per la pura forma, onesto come lei mi vuole e come io mi voglio – di necessità dovrò essere un tiranno, gliel’avverto. – Vorrò rispettate fino allo scrupolo tutte le apparenze, il che di necessità importerà gravissimi sacrifizii a lei, alla signorina, alla mamma; un’angustiosissima limitazione di libertà, il rispetto a tutte le forme astratte della vita sociale. E… parliamoci chiaro, signor marchese, anche per farle ve­dere che sono animato del più fermo proposito – sa che verrà fuori, subito, da tutto questo? ciò che s’imporrà tra noi e salterà agli occhi di tutti? Che, trat­tando con me, – non si faccia illusioni – onesto com’io sarò – la cattiva azione la commettono loro, non io! – lo, in tutta questa combinazione non bella, non vedo che una cosa sola: la possibilità che loro mi fanno – e che io accetto – d’essere onesto.

        FABIO: Ecco… caro signore… – capirà… – già lei stesso l’ha detto – non… non mi trovo in condizione di seguirla bene, in questo momento… – Lei parla me­ravigliosamente; ma tocchiamo terra, per carità!

        BALDOVINO: Io? terra? Non posso!

        FABIO: Come non può, scusi? che vuol dire?

        BALDOVINO: Non posso, per la condizione stessa in cui lei mi mette, signor marchese! – Io devo vagare per forza nell’astratto. Guai se toccassi terra! – La realtà non è per me: se la riserba lei. La tocchi lei. Parli: io starò ad ascol­tarla. – Sarò l’intelligenza che non scusa, ma compatisce –

        FABIO (subito, additando se stesso): – la bestia? –

        BALDOVINO: Scusi: conseguenza!

        FABIO: Ma sì! ma sì! Ha ragione! È proprio così! Dunque, ecco… sì, parlo io, parla la bestia: terra terra, alla buona, sa? lei ascolti e compatisca. – Proprio per intenderci…

        BALDOVINO: Dice per me?

        FABIO: Con lei, ma sì! Con chi dunque?

        BALDOVINO: No, signor marchese! Con se stesso bisogna che lei s’intenda! Io, per me, ho già beli’e inteso tutto. – Ho parlato tanto – (non soglio mica par­lare molto io, sa?) – ho parlato perché vorrei che lei si facesse capace di tutto, bene.

        FABIO: Io?

        BALDOVINO: Lei, lei. Per me, già ci sono. È facilissimo. – Che debbo fare io? – Nulla. – Rappresento la forma. – L’azione – e non bella – la commette lei: – l’ha già commessa, e io gliela riparo; seguiterà a commetterla, e io la nascon­derò. – Ma per nasconderla bene, nel suo stesso interesse e nell’interesse so­pratutto della signorina, bisogna che lei mi rispetti; e non le sarà facile nella parte che si vuol riserbare! – Rispetti, dico, non propriamente me, ma la forma – la forma che io rappresento: l’onesto marito d’una signora perbene. Non la vuol rispettare?

        FABIO: Ma sì, certo!

        BALDOVINO: E non comprende che sarà tanto più rigorosa e tiranna, questa forma, quanto più pura lei vorrà che sia la mia onestà? – Perciò le dicevo di badare alle conseguenze. – Non per me, per lei! Io, guardi: ho buone lenti per la mia filosofia. E per salvare, in queste condizioni, la mia dignità, mi basterà vedere nella donna che di nome sarà mia – una madre.

        FABIO: Ecco, già… benissimo!

        BALDOVINO: E concepire i miei rapporti con lei a traverso la creaturina che verrà – cioè, a traverso l’ufficio che mi toccherà d’adempiere: candido, nobi­lissimo ufficio, tutto compreso dell’innocenza del nascituro o della nascitura, che sarà. – Va bene così?

        FABIO: Benissimo, sì sì, benissimo!

        BALDOVINO: Per me, badi, non per lei benissimo! – Lei, signor marchese, più approva e più va incontro a un mondo di guaj !

        FABIO: Come… perché, scusi? – Io non vedo tutte codeste difficoltà che vede lei!

        BALDOVINO: Credo mio obbligo fargliele vedere, signor marchese. Lei è un gentiluomo. Necessità di cose, di condizioni, la costringono a non agire one­stamente. Ma lei non può fare a meno dell’onestà! Tanto vero che, non po­tendo trovarla in ciò che fa, la vuole in me. Devo rappresentarla io, la sua onestà: – esser cioè, l’onesto marito d’una donna, che non può essere sua moglie; l’onesto padre d’un nascituro, che non può essere suo figlio. È vero questo?

        FABIO: Sì, sì, è vero.

        BALDOVINO: Ma se la donna è sua, e non mia; se il figliuolo è suo, e non mio, non capisce che non basterà che sia onesto soltanto io? Dovrà essere onesto anche lei, signor marchese, davanti a me. Per forza! – Onesto io, onesti tutti. – Per forza!

        FABIO: Come come? Non capisco! Aspetti…

        BALDOVINO: Lei si sente mancare il terreno sotto i piedi.

        FABIO: Ma no, dico… se debbono mutare le condizioni…

        BALDOVINO: Per forza! Le muta lei! Queste apparenze da salvare, signor mar­chese, non sono soltanto per gli altri! Ce ne sarà una, qua, anche per voi! una che voi stessi avrete voluta e a cui io appunto dovrei dar corpo: – la vostra onestà. – Ci pensa lei? Badi che non è facile!

        FABIO: Ma se lei sa!

        BALDOVINO: Appunto perché so! – Parlo contro il mio interesse; ma non posso farne a meno. – La consiglio di rifletter bene, signor marchese! Pausa. Fabio si alza e si mette a passeggiare concitatamente, costernato. Si alza anche Baldovino e aspetta.

        FABIO (passeggiando): Certo che… comprenderà che… se io…

        BALDOVINO: Ma sì, creda, sarà bene che lei ci rifletta ancora un poco, su quanto le ho detto, e lo riferisca – se crede – anche alla signorina. (Guarda appena verso l’uscio a destra.) Forse non ce ne sarà bisogno, perché…

        FABIO (voltandosi di scatto, con ira): Che cosa crede?

        BALDOVINO (calmissimo, triste): Oh… sarebbe in fondo naturalissimo. – Io mi ritiro. – Mi comunicherà, o mi farà comunicare all’albergo le sue decisioni. (Fa per avviarsi: si volta.) Può contare intanto, signor marchese, insieme con la signorina, su la mia intera discrezione.

        FABIO: Ci conto.

        BALDOVINO (lento, grave): Sono carico, per conto mio, di ben altre colpe; e qui, per me, non c’è colpa, ma solo una sventura. – Qualunque sia la decisione, sappia che resterò sempre gratissimo – in segreto – al mio antico compagno di collegio, d’avermi stimato degno d’accostarmi onestamente a questa sven­tura. (Si inchina.) Signor marchese…

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1917 – Il piacere dell’onestà – Commedia in tre atti
Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – El piacer de la honradez

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