Il giuoco delle parti – Atto terzo

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Il giuoco delle parti - Atto III
Laura Marinoni e Umberto Orsini, Il giuoco delle parti, 1986. Immagine dal Web.

1918
Il giuoco delle parti
Atto Terzo

       La stessa scena dell’atto precedente. È l’alba del giorno dopo.

        Scena prima

        Filippo, il dottor Spiga.

        Al levarsi della tela, la scena è vuota e quasi buja. Si sente sonare il campa­nello.

        FILIPPO (venendo fuori dall’uscio a sinistra e traversando la scena): Chi dia­volo sarà a quest’ora? Si comincia bene! Esce per l’uscio a destra e rientra poco dopo in iscena col dottor Spiga in stiffelius e cappello a stajo, sovraccarico di due grosse, pesanti borse da viaggio, piene d’un intero armamentario chirurgico.

        SPIGA: Ah, dorme ancora?

        FILIPPO: Dorme. Parlate piano.

        SPIGA: Piano piano, sì. Perdio, dorme! E io non ho chiuso occhio tutta la notte!

        FILIPPO: Per lui? (Indica l’uscio infondo.)

        SPIGA: Per lui… cioè, per pensare a tutto…

        FILIPPO: E che avete costì? (Indica le due borse.)

        SPIGA: Tutto, tutto ti dico. (S’avvicina alla tavola su cui è stesa la tovaglia.) Su, su, porta via questa tovaglia…

        FILIPPO: Che dite?

        SPIGA: Ci ho qua la mia… (La cava fuori da una delle borse. È una tovaglia chirurgica, di tela cerata bianca.)

        FILIPPO: E che vorreste farne?

        SPIGA: Preparo tutto qua…

        FILIPPO: Questa tavola voi non la toccate! L’apparecchio io per la colazione!

        SPIGA: Ma che colazione! Levati! Altro che colazione!

        FILIPPO: Vi dico di non toccarla!

        SPIGA (volgendosi verso la scrivania): Sgombrami quest’altra, allora!

        FILIPPO: Voi scherzate! Non capite che queste due tavole qua – parlano?

        SPIGA: Ma sì, lo so! Non ripetermi quel che dice lui! Due simboli: scrivania e tavola da pranzo; libri e stoviglie; il vuoto e il pieno. Non capisci tu, piuttosto, che tutte codeste diavolerie, da un momento all’altro, possono andare a gambe all’aria?

        FILIPPO: Oh, insomma, gli avete anche ordinato la cassa da morto? Mi parete un direttore di pompe funebri!

        SPIGA: Bestia! Dio, che bestia… M’hanno detto che si va vestiti così… Ma guarda un po’ ! Dio solo sa che notte ho passato…

        FILIPPO: Parlate piano!

        SPIGA (piano): E debbo anche combattere con lui. Sbrigati! Sparecchiami al­meno qua quest’altro tavolino. Non ho tempo da perdere…

        FILIPPO: Ah, per questo non ho difficoltà. Ci vuol poco! (Ne toglie via un por­tasigari e un vaso di fiori.) Eccolo sgombrato.

        SPIGA (vi stende la tovaglia che ha ancora sospesa in mano): Oh, finalmente! E ora, mentre il dottor Spiga trarrà dalle due borse e disporrà qua sul tavo­lino, su cui avrà steso la tovaglia, i suoi lucidi, orribili strumenti chirurgici, Filippo, uscendo e rientrando per l’uscio della cucina, apparecchierà la ta­vola da pranzo. Bisturi per la disarticolazione… coltelli interassi, pinze… sega ad arco… tena­glie… compressori…

        FILIPPO: Ma che volete farne, di codesta macelleria?

        SPIGA: Come che voglio farne? Alla pistola! Non capisci che se, Dio liberi, prende una palla in corpo, possiamo anche trovarci a un caso d’amputazione? Una gamba… un braccio…

        FILIPPO: Ah, bravo… E perché non avete portato con voi anche la gamba di legno?

        SPIGA: Caro mio, armi, non si sa mai! Ho portato questi altri strumentini qua… per l’estrazione… Esploratore… specillo di Nélaton… tirapalle a forbice. Oh, guarda, modello inglese, bellissimo! Oh, e gli aghi? (Cerca nella borsa:) Ah, eccoli qua… Mi pare che ci sia tutto. (Guarda l’orologio.) Sono le sei e ven­ticinque, sai? A momenti i padrini saranno qua.

        FILIPPO: E che me n’importa?

        SPIGA: Ma non dico per te. Lo so che a te non te ne importa. Dico per lui. Se non s’è ancora svegliato.

        FILIPPO: Questa non è l’ora sua.

        SPIGA: E che vorresti tenerlo in orario anche oggi? Se è puntato per le sette!

        FILIPPO: Vuol dire che ci penserà lui a svegliarsi, ad alzarsi, a vestirsi… Forse si sarà già alzato.

        SPIGA: Potresti andare a vedere!

        FILIPPO: Non vado a vedere un corno! Io sono il suo orologio delle giornate so­lite, e non mi metto né in anticipazione né in ritardo d’un minuto. Sveglia: alle sette e mezzo!

        SPIGA: Ma non sai che alle sette e mezzo, oggi, Dio liberi, potrebbe esser morto?

        FILIPPO: E alle otto gli porto la colazione! (Si sente sonare alla porta.)

        SPIGA: Ecco, vedi? Saranno i padrini. Filippo va ad aprire e rientra poco dopo con Guido Venanzi e Barelli.

        Scena seconda

        Spiga, Filippo, Guido, Barelli.

        GUIDO (entrando): Oh, caro dottore…

        BARELLI (c.s.): Buon giorno, dottore.

        SPIGA: Buon giorno, buon giorno.

        GUIDO: Ci siamo?

        SPIGA: Io per me, prontissimo.

        BARELLI (ridendo alla vista di tutto quell’armamentario chirurgico disposto dal dottore sul tavolino): Oh oh oh oh, guarda guarda, Venanzi, l’ha apparec­chiato davvero!

        GUIDO (irritato): Perdio, no! Non c’è niente da ridere! (A Spiga:) L’ha visto?

        SPIGA: Chi? Scusi… Quod abundat non vitiat…

        GUIDO: Le domando se Leone ha visto questo bello spettacolo qua. (A Barelli:) Tu capisci che ha bisogno della massima calma, e…

        SPIGA: Ah, nossignore! Non ha visto ancora niente.

        GUIDO: E dov’è?

        SPIGA: Mah… pare che non si sia ancora alzato.

        BARELLI: Come?

        GUIDO: Non è ancora alzato?

        SPIGA: Pare, dico, non so… Qua non s’è fatto vedere.

        GUIDO: Ma perdio, subito! Sarà alzato, di sicuro. Ci manca appena un quarto d’ora! (A Filippo:) Vai subito a dirgli che noi siamo qua!

        BARELLI: È magnifico!

        GUIDO (a Filippo, rimasto immobile, aggrondato): Non ti muovi?

        FILIPPO: Alle sette e mezzo.

        GUIDO: Va’ al diavolo! (Si precipita verso l’uscio infondo.)

        SPIGA: Ma sarà alzato…

        BARELLI: È magnifico, parola d’onore!

        GUIDO (picchia forte all’uscio infondo e tende Vorecchio): Ma che fa?dorme? (Ripicchia più forte, e chiama:) Leone! Leone! (Ascolta:) Dorme ancora! Si­gnori miei, dorme ancora! (Ripicchia, fa per aprire la porta.) Leone? Leone?

        BARELLI: Magnifico! Magnifico!

        GUIDO: Ma che si chiude di dentro?

        FILIPPO: Col paletto.

        BARELLI: E ha il sonno così duro?

        FILIPPO: Durissimo. Due minuti, ogni mattina.

        GUIDO: Ma perdio, io butto la porta a terra! Leone! Leone! Ah, ecco… s’è sve­gliato… Signori miei, si sveglia adesso! (Parlando attraverso l’uscio:) Vestiti! subito! Non perdere un minuto! Noi siamo qua! Subito, perdio! Sono già quasi le sette!

        BARELLI: Ah, sentite, è veramente superiore a ogni immaginazione!

        SPIGA: E che sonno!

        FILIPPO: Si tira su, ogni volta, come da un pozzo.

        GUIDO: Oh, c’è pericolo che ci si rituffi? (Riva verso l’uscio, infondo.)

        BARELLI (sentendo un rumore alla porta): No, ecco: apre.

        SPIGA (ponendosi davanti al tavolino con gli strumenti): Io paro qua.

        Scena terza

        Detti, Leone, poi Siila.

        Leone si presenta, placidissimo, ancora un po’ insonnolito, in pijama e panto­fole.

        LEONE: Buon giorno.

        GUIDO: Come! Ancora così? Ma vai subito a vestirti, perdio! Non c’è un mi­nuto da perdere, ti dico!

        LEONE: Scusa, perché?

        GUIDO: Come perché?

        BARELLI: Non ricordi più che hai da fare il duello?

        LEONE: Io?

        SPIGA: Dorme ancora!

        GUIDO: Il duello! Il duello! alle sette!

        BARELLI: Ci mancano appena dieci minuti!

        LEONE: Ho capito. Ho inteso. E vi prego di credere che sono sveglissimo.

        GUIDO (al colmo dello stupore, quasi atterrito): Come!

        BARELLI (c.s.): Che vuoi dire?

        LEONE (placidissimo): Ma io lo domando a voi.

        SPIGA (quasi tra sé): Che sia impazzito?

        LEONE: No, caro dottore, compos mei, perfettamente.

        GUIDO: Tu devi batterti!

        LEONE: Anche?

        BARELLI: Come, anche?

        LEONE: Ma no, amici miei! Voi siete in errore!

        GUIDO: Vorresti tirarti indietro?

        BARELLI: Non vuoi più batterti?

        LEONE: Io? tirarmi indietro? Ma tu sai bene ch’io sto sempre fermissimo al mio posto.

        GUIDO: Ti trovo così…

        BARELLI: E se dici…

        LEONE: Come mi trovi? Che dico? Dico che tu e mia moglie mi avete scom­bussolato jeri tutta la giornata, per farmi fare ciò che realmente ho ricono­sciuto che toccava a me di fare.

        GUIDO: E dunque –

        BARELLI: – ti batti!

        LEONE: Questo non tocca a me.

        BARELLI: E a chi tocca?

        LEONE: A lui. (Indica Guido.)

        BARELLI: Come, a lui?

        LEONE: A lui, a lui. (S’appressa a Guido, rimasto allibito, con le mani sul volto, e gliene stacca una per guardarlo negli occhi.) E tu lo sai! (A Barelli:) Egli lo sa! Io, marito, ho sfidato, perché non poteva lui per mia moglie. Ma quanto a battermi, no. Quanto a battermi, scusa, (a Guido, piano, scrollando­gli un’ala del bavero e pigiando su ogni parola:) tu lo sai bene, è vero? che io non c’entro, perché via, non mi batto io, ti batti tu!

        GUIDO (trema, suda freddo, si passa le mani convulse sulle tempie).

        BALDELLI: Questo è enorme!

        LEONE: No, normalissimo, caro; perfettamente secondo il giuoco delle parti. Io, la mia: lui, la sua. Dal mio pernio io non mi muovo. E come me ragiona anche il suo avversario: lo hai detto tu stesso, Barelli, che ce l’ha con lui di­fatti, il suo avversario, non ce l’ha mica con me. Perché tutti lo sanno, e tu meglio di tutti, che cosa si voleva fare di me. Ah, volevate davvero portarmi al macello?

        GUIDO (protestando con forza): Io, no! io, no!

        LEONE: Ma va’ là, che tra te e mia moglie qua, jeri, pareva che faceste all’alta­lena, e su, e giù, e io nel mezzo ad aggiustarmi e ad aggiustarvi a punto. Ah! avete creduto di giocarvi me, la mia vita? Avete fallito il colpo, cari miei! Io ho giocato voi.

        GUIDO: No! Tu mi sei testimonio che io, jeri… e fin da principio…

        LEONE: Ah, sì, tu hai cercato di essere prudente. Molto prudente.

        GUIDO: Come lo dici? Che intendi dire?

        LEONE: Eh, caro; ma prudente fino all’ultimo, no, non sei stato, devi ricono­scerlo! A un certo punto, per ragioni che io intendo benissimo, bada (e ti compiango!), la prudenza è venuta a mancarti, e ora, mi dispiace, ne piange­rai le conseguenze.

        GUIDO: Perché tu non ti batti?

        LEONE: Non tocca a me.

        GUIDO: Sta bene! Tocca a me?

        BARELLI (insorgendo): Ma come, sta bene?

        GUIDO (a Barelli): Sta bene! Aspetta! (A Leone:) E tu?

        LEONE: Io farò colazione.

        GUIDO: No, dico… non capisci che se io ora vado a prendere il tuo posto…

        LEONE: Ma no, caro: non il mio: il tuo!

        GUIDO: Il mio, sta bene. Ma tu sarai squalificato!

        BARELLI: Squalificato! Dovremo per forza squalificarti!

        LEONE (ride forte): Ah! ah! ah! ah!

        BARELLI: Ridi? Squalificato! Squalificato!

        LEONE: Ma ho inteso, cari miei! Rido. E non vedete come vivo? dove vivo? E che volete che m’importi di tutte le vostre… qualità?

        GUIDO: Non perdiamo più tempo, via! Andiamo! andiamo!

        BARELLI: Ma vai a batterti tu, davvero?

        GUIDO: Io, sì! Non hai inteso?

        BARELLI: Ma no!

        LEONE: Sì, credi, tocca a lui, Barelli.

        BARELLI: Questo è cinismo!

        LEONE: No, caro: è la ragione, quando uno s’è votato d’ogni passione, e…

        GUIDO (interrompendo e afferrando Barelli per un braccio): Vieni, Barelli! Inutile discutere, ormai! Lei, dottore, venga giù con me!

        SPIGA: Eccomi, eccomi!

        Entra a questo punto dall’uscio a destra Siila Gala. Si fa un breve silenzio, nel quale ella resta come sospesa e smarrita.

        GUIDO (facendosi avanti pallidissimo e stringendole la mano:) Addio, signora! (Poi, volgendosi a Leone:) Addio! Esce precipitosamente seguito da Barelli e da Spiga.

        Scena quarta

        Leone, Silia, poi il dottor Spiga, Filippo.

        SILIA: Che significa?

        LEONE: Ti avevo detto, cara, ch’era proprio inutile che tu venissi qua. Sei vo­luta venire…

        SILIA: Ma tu… come sei qua tu?

        LEONE: Sono a casa mia.

        SILIA: E lui? Ma come?… Non si farà il duello?

        LEONE: Ah, si farà, suppongo. Forse si sta facendo.

        SILIA: Ma come? Se tu sei qua?…

        LEONE: Ah, io sì, sono qua. Ma lui, hai visto? è andato.

        SILIA: Oh Dio! Ma allora? È andato lui? È andato lui a battersi per te?

        LEONE: Non per me, cara, per te!

        SILIA: Per me? Oh Dio! Per me, dici? Ah! Tu hai fatto questo? Tu hai fatto questo?

        LEONE (venendole sopra con l’aria e l’impero e lo sdegno di fierissimo giu­dice): Io, ho fatto questo? Tu hai l’impudenza di dirmi che l’ho fatto io?

        SILIA: Ma tu te ne sei approfittato!

        LEONE (a gran voce): Io vi ho puniti!

        SILIA (quasi mordendolo): Svergognandoti però!

        LEONE (che l’ha presa per un braccio, respingendola lontano): Ma se la mia vergogna sei tu!

        SILIA (farneticando, andando di qua e di là per la stanza): Oh Dio! intanto… Ah Dio, che cosa… È orribile… Si batte qua sotto? A quelle condizioni… E le ha volute lui!… Ah, è perfetto!… E lui, (indica il marito) gli dava ragione… Sfido! Non ci si doveva battere lui… Tu sei il demonio! Tu sei il demonio! Dov’è andato a battersi? dov’è andato a battersi? Qua sotto? (Cerca una finestra.)

        LEONE: Sai, è inutile: non ci sono finestre che danno sugli orti. O scendi giù, o te ne sali sui tetti… da questa parte…

        Indica di su l’uscio comune. A questo punto sopravviene pallido come un morto e tutto stravolto il dottor Spiga, entra a precipizio con grottesca scom­postezza; si avventa su i suoi strumenti chirurgici preparati sul tavolino; li arrotola in gran furia dentro la tovaglia stesa, e scappa via a gambe levate, senza dir nulla.

        SILIA: Ah, dottore… lei?… Dica… dica… che è stato? (Con un gran grido:) Ah! (Non credendo a se stessa:) Morto? (Gli corre appresso:) Morto?… Morto?…

        LEONE (resta assorto in una cupa gravità, e non si muove. Lunga pausa).

        FILIPPO (entra dall’uscio a sinistra col vassojo della colazione e va a deporlo su la tavola apparecchiata. Poi, nel silenzio tragico, lo chiama con voce cupa): Oh! (Come Leone si volta appena, gl’indica con un gesto incerto la colazione:) È ora. Leone, come se non udisse, non si muove.

Tela

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