Il giuoco delle parti – Atto secondo

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Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

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Il giuoco delle parti - Atto II
Umberto Orsini, Il giuoco delle parti, 2017. Immagine dal Web.

1918
Il giuoco delle parti
Atto Secondo

        In casa di Leone Gala. Una strana sala da pranzo e da studio. Tavola appa­recchiata e scrivania con libri e carte. Scaffali di libri e vetrine con ricche suppellettili da tavola. Uscio in fondo per cui si va nella camera da letto di Leone. Uscio laterale a sinistra, per cui si va nella cucina. La comune a destra.

        Scena prima

        Leone Gala, Guido Venanzi, Filippo detto Socrate.

        Al levarsi della tela, Leone Gala, con berretto da cuoco e grembiule, è intento a sbattere con un mestolino di legno un uovo in una ciotola. Filippo ne sbatte un altro, parato anche lui da cuoco. Guido Venanzi ascolta, seduto.

        LEONE (a Guido alludendo a Filippo): Ecco, sì: potrebbe anche essere il mio diavolo…

        FILIPPO (burbero, seccato): Il diavolo che vi porti!

        LEONE: Impreca. E ora non posso più dire…

        FILIPPO: Ma che volete dire? Statevi zitto!

        GUIDO: Che siete Socrate, invece.

        FILIPPO (a Leone): Con codesto Socrate voi dovete finirla! Perché io non lo co­nosco!

        LEONE: Come! Non lo conosci?

        FILIPPO: Nossignore. E non voglio averci da fare. Badate all’uovo!

        LEONE: Ci bado, ci bado…

        FILIPPO: E come lo girate?

        LEONE: Che cosa?

        FILIPPO: Il mestolo! il mestolo!

        LEONE: Eh, per il suo verso, non dubitare!

        FILIPPO: Avvelenerete codesto signore, a colazione, ve lo dico io, se seguitate a chiacchierare.

        GUIDO: No, che! Mi diverto tanto!

        LEONE: Gli faccio un po’ di vuoto per aprirgli l’appetito.

        FILIPPO: Insomma, mi disturbate!

        LEONE: Ah, così dovevi dire!

        FILIPPO: Sissignore, sissignore… E che fate adesso?

        LEONE: Che faccio?

        FILIPPO: Ma seguitate a sbattere, perdio! Non bisogna allentare un momento!

        LEONE: Ecco, ecco.

        FILIPPO: È possibile che io debba avere gli occhi a quel che fa, gli orecchi a quel che dice, e la testa che mi vola via dietro a tutte le sciocchezze che gli scappano di bocca? Me ne vado in cucina!

        LEONE: Ma no, via! Sta’ qua. Starò zitto. (Piano a Venanzi, ma in modo che Filippo lo senta:) Lo ha rovinato Bergson.

        FILIPPO: Ecco che tira fuori adesso questo Bergson!

        LEONE: Ma sì, perbacco! (A Venanzi:) Dacché gli ho esposto la teoria dell’in­tuizione, è diventato un altro. Era un formidabile ragionatore…

        FILIPPO: Io non ho ragionato mai, per vostra regola! E ve ne faccio subito la prova, se seguitate! Vi lascio qua tutto, e vi pianto, una volta e per sempre!

        LEONE: Capisci? E poi non debbo dire che Bergson me l’ha rovinato! Ma Ber­gson, va bene, posso esser d’accordo con te nella critica che fa della ra­gione…

        FILIPPO: E dunque, basta! Sbattete!

        LEONE: Sbatto, sbatto… Ma stanimi a sentire! Quel che di fluido, di vivente, di mobile, di oscuro è nella realtà, sissignori, sfugge alla ragione… (A Venanzi, come tra parentesi:) Come le sfugge poi, non lo so, per il solo fatto che il si­gnor Bergson può dirlo! Come fa a dirlo? Chi glielo fa dire, se non la ragione? E dunque non le sfugge, mi pare, è vero?

        FILIPPO (gridando esasperato): Sbattete!

        LEONE: E sto sbattendo, non vedi? Sta’ a sentire, Venanzi: è un bellissimo giuoco, questo che la ragione fa al signor Bergson, dandogli a credere di esser detronizzata e avvilita da lui, con infinita delizia di tutte le irragionevoli dame di Parigi! Sta’ a sentire. Secondo lui, la ragione può considerare sol­tanto i lati e i caratteri identici e costanti della materia; ha abitudini geometri­che, meccaniche; la realtà è un flusso ininterrotto di perpetua novità, e lei la spezzetta in tante particelle stabili e omogenee…

        FILIPPO (che non lo perde un momento di vista, sbattendo sempre nella sua cio­tola, pian piano, curvo, gli s’appressa; coglie il punto in cui Leone, infervo­randosi, smette un tratto di sbattere, e gli grida): E che fate adesso?

        LEONE (con un soprassalto, rimettendosi subito a sbattere): Hai ragione… sì… ecco, sbatto.

        FILIPPO: Ma non vedete che codesto parlare della ragione non vi serve ad altro che a farvi perdere la testa?

        LEONE: Oh, senti, se la testa che perdo non deve servirmi ad altro che a sbat­tere un uovo, caro mio! Abbi pazienza! È necessario, sì, lo riconosco, sbat­tere le uova; e sono obbediente (ecco qua) a questa necessità che tu m’inse­gni…

        GUIDO (interrompendo): Siete veramente divini tutti e due!

        LEONE: Nient’affatto! Sono divino io solo! Lui, da un pezzo in qua, corrotto da Bergson…

        FILIPPO: Vi prego di credere, che a me non mi ha corrotto nessuno!

        LEONE: Ma sì, caro mio: sei diventato così deplorevolmente umano, che non ti riconosco più! Lasciami un po’ discorrere, perdio! Un po’ di vuoto, mentre a furia di sbattere ho fatto il pieno in questa ciotola! (Si sente una forte scampanellata alla porta. Filippo, posando la ciotola, si reca verso l’uscio a de­stra per andare ad aprire.)

        LEONE (posando la ciotola): Aspetta… aspetta… vieni qua: slacciami prima questo grembiule… (Filippo eseguisce.) E porta in cucina anche questo. (Si leva il berretto e glielo dà.)

        FILIPPO: Gli avete fatto onore, ve lo dico io!

        Via per l’uscio a sinistra; lascerà in cucina il berretto e il grembiule di Leone e rientrerà poco dopo (mentre si svolgerà la scena seguente, rapidis­sima, tra Leone e Guido) per prendere e portare in cucina anche le due cio­tole con le uova sbattute, dimenticandosi di andare ad aprire.

        Scena seconda

        Leone Gala, Guido Venanzi, poi, di nuovo, Filippo.

        GUIDO (che s’è levato in piedi, fortemente turbato, impacciato, perplesso, alla scampanellata): Hanno… hanno sonato?

        LEONE (guardandolo e notandone il turbamento): Sì. Che cos’è?

        GUIDO: Oh Dio… Leone… sarà lei!

        LEONE: Silia? qua?

        GUIDO: Sì, senti, per carità… Ero venuto così per tempo… per prevenirti…

        LEONE: Di che cosa?

        GUIDO: D’una cosa che è accaduta jersera –

        LEONE: – a Silia?

        GUIDO: Ma niente, sai? una sciocchezza… una vera sciocchezza… Tanto che non te n’ho detto nulla, sperando che… dormendoci sopra, le fosse passata… (Nuova scampanellata, più forte, alla porta.)

        GUIDO: Eccola qua, invece… è lei di sicuro!

        LEONE (placido, volgendosi verso l’uscio a sinistra): Socrate, perbacco! e va’ ad aprire!

        GUIDO: Aspetta… aspetta… (A Filippo che entra:) Aspettate!

        FILIPPO: Me n’ero dimenticato.

        GUIDO: Aspettate! (A Leone:) Ti prevengo, Leone, che tua moglie vuol com­mettere una pazzia.

        LEONE: Non è una novità!

        GUIDO: E fartela commettere!

        LEONE: A me? Oh! (A Filippo:) Va’ ad aprire, va’ ad aprire! Le visite di mia moglie, caro Guido, mi sono sempre per questo graditissime. (Filippo, più che mai irritato, va ad aprire.)

        GUIDO: Ma tu non sai di che si tratta!

        LEONE: Di qualunque cosa si tratti. Lascia fare. Vedrai. (Rifacendosi all’imma­gine dell’uovo fresco del primo atto:) Lo acchiappo, lo foro, e me lo bevo.

        Scena terza

        Detti e Silia.

        SILIA (entrando come una bufera e scorgendo Guido Venanzi): Ah, siete qua? Siete venuto a prevenirlo?

        GUIDO: No, vi giuro, signora: non ho parlato!

        SILIA (squadrando il marito): Vedo che lui sa!

        LEONE: No, cara: nulla! (Poi, con un tono quasi nuovo, gajo, alieno:) Buon giorno.

        SILIA (scrollandosi): Ma che buon giorno! (A Venanzi, fremente:) Se avete fatto questo!

        LEONE: No, no. Parla, sicura di tutto l’effetto di sorpresa che ti ripromettevi. Non m’ha detto nulla. Anzi, se vuoi uscire, e rifar l’entrata, per investirmi al­l’improvviso…

        SILIA: Bada, Leone, che non sono venuta per scherzare! (A Venanzi:) Perché vi trovo qua, allora?

        GUIDO: Ma… ero venuto…

        LEONE: Dille la verità. Per prevenirmi, è vero, di non so quale tua follia…

        SILIA (saltando): Ah! una mia follia?

        GUIDO: Sì, signora: per me, io non posso giudicarla altrimenti.

        LEONE: Ma non me l’ha detta! Non la so!

        GUIDO: Sperando che voi non veniste –

        LEONE: – non me ne aveva detto nulla, capisci?

        SILIA: E come sai allora che è «una mia follia»?

        LEONE: Ah, questo, potevo supporlo da me! Ma veramente –

        GUIDO: – sì, questo gliel’ho detto io, che è una follia, e lo confermo!

        SILIA (con gran voce, al colmo dell’esasperazione): Statevi zitto, perché nes­suno vi dà il diritto di giudicare della mia suscettibilità! (Pausa: poi, volgen­dosi al marito come se gli sparasse in petto:) Tu sei sfidato!

        LEONE: Come? Io, sfidato?

        GUIDO: Ma che sfidato! No!

        SILIA: Sfidato! Sfidato!

        LEONE: E chi mi ha sfidato?

        GUIDO: Ma no…

        SILIA: Ma sì, sfidato! Non so bene, se lui ha sfidato te, o se tu devi sfidare lui; non m’intendo di queste cose; so che ho qua il biglietto di quel miserabile… (Lo cava dalla borsetta) eccolo qua! (Lo dà a Leone.) Vai subito a vestirti e corri in cerca delle due persone che debbono rappresentarti.

        LEONE: Piano… piano…

        SILIA: No: subito! devi far subito! senza dare ascolto a questo signore, che ti vuol far credere a una mia follia, perché così gli conviene!

        LEONE: Ah, gli conviene?

        GUIDO (indignato, fremente): Ma che mi conviene! Scusate, che cosa volete che mi convenga?

        SILIA: Vi conviene! vi conviene! Per miracolo non lo scusate, là… quel ma­scalzone…

        LEONE (guardando il biglietto): Ma chi è?

        GUIDO: Il marchese Aldo Miglioriti.

        LEONE: Tu lo conosci?

        GUIDO: Lo conosco benissimo! Una delle migliori lame della nostra città, capi­sci?

        SILIA: Ah, per questo dunque?

        GUIDO (pallido, vibrante): Che, per questo? Che intendete dire?

        SILIA (come tra sé, con scherno e sdegno): Per questo… per questo…

        LEONE: Ma insomma posso sapere che cosa è accaduto? perché sarei sfidato? perché dovrei sfidare?

        SILIA (scattando): Perché sono stata insultata, oltraggiata, vigliaccamente, san­guinosamente, capisci? in casa mia, per causa tua… perché sola, senza di­fesa… insultata, oltraggiata… con le mani addosso, qua… a frugarmi… qua, in petto… capisci?… perché hanno sospettato ch’io fossi… ah! (Si copre il volto con le mani, e rompe in un pianto stridulo, convulso, d’onta, di rabbia.)

        LEONE: Ma come?… da questo marchese?

        SILIA: Erano in quattro… tu li hai visti!

        LEONE: Ah! quei quattro signori ch’erano accanto al portone?

        SILIA: Quelli, quelli, sì; sono saliti, hanno forzato la porta…

        GUIDO: Ma se erano brilli! se non erano in sensi!

        LEONE: Ah… come? Tu c’eri?

        A questa domanda, grave di finto stupore, succede una pausa di smarrimento in Silia e in Guido.

        GUIDO: Sì… ma… non…

        SILIA (rinfrancandosi subito, aggressiva): E che volevi, che mi difendesse lui? Doveva difendermi lui? Quando mio marito aveva allora allora voltato le spalle, lasciandomi esposta all’aggressione di quattro giovinastri, che, se lui si fosse fatto avanti –

        GUIDO (interrompendo): – io ero di là, capisci? –

        SILIA (precisando): – nel salotto da pranzo –

        LEONE (placidissimo): – bevevi qualche altro bicchierino?

        SILIA (scattando con furia): Ma se me lo dissero, se me lo dissero: «Se ci hai di là qualche signore, fai pure con comodo, sai?». Non ci mancava altro, per finire di compromettermi, che lui si mostrasse! Guai, guai, se lo avesse fatto! Per fortuna, lo comprese!

        LEONE: Ho capito… ho capito… Ma io sono meravigliato, Silia… no, che dico meravigliato? stupefatto addirittura, che nella tua testolina sia potuto entrare anche questo discernimento, cara!

        SILIA (stonata, non comprendendo): Che discernimento?

        LEONE: Ma che toccava a me di difenderti, perché il marito sono io, e tu la moglie, e lui… uno che, ma sì, Dio liberi, se fosse entrato in quel momento, tra quei quattro avvinazzati – (tanto più che un po’ brillo doveva essere anche lui)…

        GUIDO: Ma che brillo! T’assicuro che io non sono entrato per prudenza.

        LEONE: E hai fatto benone, caro! Il miracolo è qua, è qua: in questa testolina che ha potuto capire codesta tua prudenza… che tu l’avresti compromessa, se ti fossi mostrato… e non t’ha chiamato in difesa, mentr’era aggredita da quei quattro –

        SILIA (subito, quasi infantilmente): – che mi stavano addosso, sai? tutti, con le mani addosso… per strapparmi la veste –

        LEONE (a Guido): – capisci? e pensò a me! che toccava a me! È tal miracolo questo, che subito, eccomi qua, subito, subito, sì, sono dispostissimo a fare tutto quel che mi tocca!

        SILIA (stupita, pallidissima, quasi non credendo ai suoi orecchi): Ah, benis­simo!

        GUIDO (subito): Come! Tu accetti?

        LEONE (piano, sorridendo): Ma sicuro che accetto! Scusa. Per forza. Non sei coerente!

        GUIDO (con stupore): Io?

        LEONE: Ma sì, tu! tu! Perché la mia accettazione è una conseguenza diretta e precisa della tua prudenza.

        SILIA (trionfante): È vero? Mi pare! (Batte le mani.)

        GUIDO (stordito): Come… scusate… come, della mia prudenza?

        LEONE (grave): Rifletti un poco. Se lei è stata così oltraggiata, e tu hai fatto bene a essere così prudente, viene perfettamente di conseguenza che a sfidare debbo essere io!

        GUIDO: Ma nient’affatto! No! Nient’affatto! Perché la mia prudenza è stata… perché… perché capii che mi sarei trovato di fronte a quattro incoscienti –

        SILIA (di nuovo scattando): – non è vero!

        GUIDO (a Leone:) Tu capisci: nel vino, avevano sbagliato porta; hanno chiesto scusa!

        SILIA: Non l’ho accettata! Comoda, la scusa, dopo l’oltraggio! Non dovevo ac­cettarla! Ma guarda! come se l’avessero chiesta a lui! come se avessero insul­tato e oltraggiato lui, mentre per prudenza si teneva discosto!

        LEONE (a Guido): Vedi? Tu ora guasti tutto, mio caro!

        SILIA: L’oltraggio è stato fatto a me!

        LEONE (a Guido): È stato fatto a lei! (A Silia:) E subito tu, è vero: pensasti a tuo marito! (A Guido:) Scusami, caro: vedo che, proprio, tu non riesci a ri­fletter bene.

        GUIDO (esasperato, notando la perfidia di Silia): Ma lasciami stare! Che vuoi che rifletta!

        LEONE (concedendo, sempre con aria grave): Hai ragione, sì, hai ragione di dire che tu l’avresti compromessa, ma non perché erano ubriachi, intendi? Questa, se mai, potrebbe essere una scusa per me, perché io non li sfidi,^per­ché io non li chiami a rispondere dell’oltraggio fatto a lei…

        SILIA (disillusa): Come?

        LEONE (subito): Dico se mai, sta’ tranquilla! (A Guido:) Ma non può essere una

        scusa per la tua prudenza, che anzi, via… se erano ubriachi, potevi benissimo esser meno prudente.

        SILIA: E già! Verissimo… Con degli ubriachi… un signore che si trovi a visita… Non era ancora mezzanotte!

        GUIDO (insorgendo): No! Come? Se voi…

        LEONE (precipitosamente, rivolto a Silia): No, no, no, no, scusa! Ha fatto bene, l’hai detto tu stessa! Come anche tu hai fatto bene a pensare a me. Avete fatto benissimo tutt’e due!

        GUIDO (tra due fuochi): Ma no… ma io…

        LEONE: Lascia fare! Son così contento io ch’ella abbia visto per la prima volta un pernio: quello che mi tiene infisso nella mia parte assegnata, di marito! Figurati se voglio romperglielo! Cara, sì, sì, tuo marito, e tu sei la moglie, e lui… e lui naturalmente sarà il padrino!

        GUIDO (scattando): Ah no, sai! Te lo puoi scordare!

        LEONE: Perché no, scusa?

        GUIDO: Perché io non accetto!

        LEONE: Non accetti?

        GUIDO: No!

        LEONE: Ma tu devi per forza accettare.

        GUIDO: Ti dico di scordartelo! Io non accetto.

        SILIA (mordace): Sarà per la stessa prudenza…

        GUIDO (esasperato): Ma, signora!

        LEONE (conciliante): Scusate… scusate, amici miei… Ragioniamo. (A Guido:) Guarda: puoi negare che tu presti a tutti in città i tuoi uffici cavallereschi? Ricorrono a te, tutti! Non passa un mese, perdio, che non hai per le mani un duello, padrino di professione! Sarebbe da ridere, via! Che direbbe la gente che ti sa tanto amico mio e così pratico di queste cose, se io, proprio io, mi rivolgessi ad altri?

        GUIDO: Puoi pure rivolgerti ad altri, perché io non accetto!

        LEONE (guardandolo fermamente negli occhi): In questo caso me ne dovresti dire la ragione. E non puoi! (Cambiando tono:) Dico… non puoi averne, via, né davanti a me, né davanti agli altri.

        GUIDO: Ma come non ne ho, scusa? se per me qui non c’è luogo a duello?

        LEONE: Questo non devi dirlo tu!

        SILIA: Io ho costretto quel signore a lasciarmi il suo biglietto da visita; ho gri­dato avanti a tutti…

        LEONE: Ah, è accorsa gente?

        SILIA: Sì, alle mie grida! E hanno detto tutti ch’era bene dar loro una solenne lezione!

        LEONE: E dunque, vedi? Scandalo pubblico! (A Silia:) Tu hai ragione! (Di nuovo a Guido:) Via, via, inutile discutere, caro!

        GUIDO (cambiando, per ingrazzonirsi Silia di nuovo): Oh, per me, alla fine, se credi, ti porto pure al macello!

        SILIA (con scatto, cominciando a pentirsi, vedendosi lasciata sola): Oh via! Non esageriamo adesso!

        GUIDO: Al macello, al macello, signora! Lui lo vuole: lo porterò al macello!

        LEONE: No… veramente, ecco, io non c’entro, lo state volendo voi…

        SILIA: Ma non ci sarà mica bisogno di fare un duello all’ultimo sangue!

        GUIDO: Ah no, scusate, signora: qui sta tra due: farlo o non farlo. Se si fa, dev’essere per forza gravissimo!

        LEONE: Senza dubbio, senza dubbio!

        SILIA: Perché?

        GUIDO: Ma perché se vado a portar la sfida, per questo solo fatto, vuol dire che non li considero come ubriachi –

        LEONE: – giustissimo –

        GUIDO: – e l’insulto fatto a voi assume un’estrema gravità! –

        LEONE: – perfettamente!

        SILIA: Ma sta a voi mitigare…

        GUIDO: Non posso! Come potrei?

        LEONE: Hai ragione! (A Silia:) Non può!

        GUIDO: Anche perché se il Miglioriti si vede negata ogni considerazione dello stato in cui si trovava, delle scuse che ha chiesto per lo sbaglio –

        LEONE: – ma sicuro, sì! –

        GUIDO: – per ripicco, tu capisci? –

        LEONE: – naturalissimo! –

        GUIDO: – vorrà le condizioni più gravi!

        LEONE: Gli parrà una provocazione… Spadaccino!

        GUIDO: Pensaci bene, oh! Una delle nostre migliori lame, te l’ho detto. E tu, una spada, non sai neppure com’è fatta!

        LEONE: Ah no, davvero! Ma ci penserai tu! Che vuoi che m’impicci io di code­ste cose?

        GUIDO: Come ci penserò io?

        LEONE: Io non ci penso di certo!

        GUIDO: Ma tu intendi la mia responsabilità?

        LEONE: Tutta… gravissima… lo so! Ti compiango! Ma tu devi far la tua parte, com’io la mia. Il giuoco è questo. L’ha capito finanche lei! Ciascuno la sua, fino all’ultimo; e stai pur sicuro che dal mio pernio io non mi muovo, av­venga che può. Mi vedo e vi vedo giocare, e mi diverto. Basta. Il campanello suona di nuovo alla porta. Filippo attraversa la scena, torbido, quasi furente, per andare ad aprire.

        LEONE (seguitando): Quel che mi preme soltanto è di far presto. Vai, vai. Pensa tu a tutto… Oh, c’è bisogno di denari?

        GUIDO: No, che denari, adesso!

        LEONE: Perché m’hanno detto che ce ne vogliono molti.

        GUIDO: Va bene; poi… poi…

        LEONE: Faremo i conti poi.

        GUIDO: Ti va Barelli per testimonio?

        LEONE: Ma sì, Barelli, o un altro…

        Scena quarta

        Detti, dottor Spiga.

        LEONE (vedendo entrare il dottor Spiga): Vieni, vieni avanti, Spiga. (A Guido che s’è avvicinato, pallido, convulso, a Silia): Oh, a proposito… guarda, Guido, abbiamo qua anche il dottore.

        GUIDO: Ah, buon giorno, dottore.

        LEONE: Se tu gli hai fiducia…

        GUIDO: Ma veramente…

        LEONE: È bravo, sai? Chirurgo esimio. Per non scomodarlo troppo però, sto pensando, (voltandosi verso Guido che parla con Silia:) oh, stammi a sentire! Noi siamo qua come due romiti nel deserto. Qua sotto ci sono gli orti. Si po­trebbe far qua, presto presto, domattina.

        GUIDO: Sì, va bene, lasciami fare, lasciami fare adesso; non mi frastornare! (Saluta Silia.) Caro dottore… (A Leone:) A presto. O piuttosto, aspetta. Avrò tanto da fare: ti manderò Barelli. Io verrò stasera. A rivederci. (Via per la comune.)

        Scena quinta

        Detti, meno Venanzi.

        SPIGA: Di grazia, di che si tratta?

        LEONE: Vieni, vieni… Ti presento prima alla mia signora…

        SPIGA: Oh… ma come?

        LEONE (a Silia): Il dottor Spiga, mio amico, coinquilino e imperterrito contra-dittore!

        SPIGA: Fortunatissimo, signora… Si tratta, dunque… (Sottintende: «d’una riconciliazione?») Ah, ma mi congratulo lo stesso, benché forse per me ne di­penderà la perdita d’una cara compagnia, a cui mi ero assuefatto.

        LEONE: Ma no, che hai capito?

        SPIGA: Che ti riconcilii con tua moglie.

        LEONE: Ma no, caro! Noi non siamo mica separati. Viviamo in perfetto ac­cordo, divisi. Non c’è bisogno di riconciliazione.

        SPIGA: Ah… ma… allora, scusa… Già! per questo dicevo, che c’entrava con la riconciliazione la mia chirurgia? 04 questo punto si fa avanti Filippo, detto Socrate, che non riesce più a contenere la furiosa indignazione contro il pa­drone.)

        FILIPPO: C’entra benissimo, signor dottore! E la sua chirurgia è niente! Tutte le cose più assurde, tutte le cose più pazze possono entrare qua! Ah, ma io me ne vado! me ne vado! io vi pianto! (S’avvia con gesti furiosi verso la cucina.)

        LEONE (a Spiga): Vai, vai; cerca di placarmelo! Bergson, Bergson, caro mio! Effetto disastroso!

        SPIGA (ride, poi spinto da Leone verso l’uscio a sinistra, si volta): Con per­messo, signora. (Impuntandosi:) Ma scusa, non vedo ancora come c’entri la mia chirurgia.

        LEONE: Vai, vai: te lo spiegherà lui.

        SPIGA: Uhm! (Esce.)

        Scena sesta

        Leone, Silia.

        LEONE (va dietro la Seggiola su cui Silia sta seduta, assorta; si china a guar­darla e le dice con dolcezza): Ebbene? Sei rimasta lì… Non dici più nulla?

        SILIA (stenta a parlare): Non… non m’immaginavo che… che tu… –

        LEONE: – che io – ?

        SILIA: – dovessi dire di sì.

        LEONE: Tu sai bene che io ti ho detto sempre di sì.

        SILIA (scattando in piedi, convulsa, in preda ai più scomposti sentimenti, d’ir­ritazione per questa placida, esasperante arrendevolezza del marito, di ri­morso per ciò che ha fatto, di dispetto per l’amante che ha prima voluto sot­trarsi a ogni responsabilità, e poi, credendo d’assecondar lei, per non per­derla, ha passato ogni misura): Non posso soffrirlo! non posso soffrirlo! (È quasi per piangere.)

        LEONE (fingendo di non comprendere): Come? ch’io ti abbia detto di sì?

        SILIA: Anche! Ma tutto… tutto questo… e che lui (allude a Venanzi), per colpa tua, se ne debba profittare!

        LEONE: Per colpa mia?

        SILIA: Ma sì! ma sì! per colpa tua, di codesta tua imperdonabile, inqualificabile indifferenza!

        LEONE (la guarda): Parli di… questa d’ora… o in generale… verso te?

        SILIA: Di tutta! sì, sempre! Ma di questa d’ora, specialmente!

        LEONE: Ti pare che se ne sia approfittato?

        SILIA: E non hai visto all’ultimo? Pareva che non volesse affatto saperne; e poi, vedendoti così remissivo, chi sa che condizioni sarà andato a fare!

        LEONE: Forse sei un po’ ingiusta verso di lui.

        SILIA: Ma se gli ho detto che cercasse di mitigare, di non esagerare adesso…

        LEONE: Già, ma prima lo avevi spinto.

        SILIA: Perché negava!

        LEONE: È vero. Già. Gli pareva che non ne avessi ragione.

        SILIA: E tu?

        LEONE: Io, che cosa?

        SILIA: Che credi tu?

        LEONE: E come, non hai visto? Ho detto di sì.

        SILIA: Ma forse tu credi che io abbia a mia volta esagerato.

        LEONE: Tu hai detto a lui, e mi pare che abbia detto bene, che è questione di suscettibilità.

        SILIA: Forse avrò un po’ esagerato, ma per causa sua!

        LEONE: Eh già; perché negava.

        SILIA: E appunto per questo nella mia esagerazione non doveva poi trovare il pretesto, mi pare, per esagerare anche lui!

        LEONE: Ma! L’hai un po’ punto… Anche per lui, questione di suscettibilità. Avete esagerato un poco tutti e due, ecco.

        SILIA (dopo una pausa lo guarda, stupita): E tu, indifferente?

        LEONE: Permetterai ch’io mi difenda come so e posso.

        SILIA: Credi che codesta indifferenza ti possa giovare?

        LEONE: Eh! altro!

        SILIA: Se è un così bravo spadaccino!

        LEONE: Per lui, per il signor Guido Venanzi! Per me che vuoi che sia?

        SILIA: Se non sai neppure tenere in mano una spada…

        LEONE: Non mi serve. Mi basterà, stai sicura, questa indifferenza, per aver co­raggio, non già davanti a un uomo, che è nulla; ma davanti a tutti e sempre. Vivo in tal clima, cara, che posso non curarmi di niente; della morte come della vita. Figurati poi del ridicolo degli uomini e dei loro meschini giudizii. Non temere. Ho capito il giuoco.

        Scena settima

        Detti, il dottor Spiga e la voce di Socrate.

        Dall’interno della cucina, a questo punto prorompe

        LA VOCE DI SOCRATE: Ma andateci nudo!

        SPIGA (venendo fuori dall’uscio a sinistra): Ma che nudo! Costui è un energu­meno! Scusate… scusi tanto, signora…

        LEONE (ridendo): Che cos’è?

        SPIGA: Ma come? Un duello, davvero? Tu?

        LEONE: Non ti sembra verosimile?

        SPIGA (guarda, impacciato, Silia): Ma… no, dico… scusi, signora… E che io… non so che diavolo m’ha detto quello lì… Tu hai mandato a sfidare?

        LEONE: Sì, sì.

        SPIGA: Perché hai riconosciuto –

        LEONE: – che toccava a me, senza dubbio. Hanno insultato mia moglie.

        SPIGA: Ah, scusi, signora… Non voglio intromettermi… (A Leone:) Ma è che io, capisci? io… io non ho mai assistito a un duello…

        LEONE: Oh, neanche io. Siamo pari. Vuol dire che assisterai a una cosa nuova.

        SPIGA: Già, ma… dico per… per le formalità, capisci? Come… come dovrei ve­stirmi, per esempio?

        LEONE (ridendo): Ah, ora capisco! Lo domandavi a Socrate?

        SPIGA: M’ha detto nudo. Non vorrei far cattiva figura…

        LEONE: Povero amico mio! Ma non lo so neanche io come si vestano i medici che assistono ai duelli. Lo domanderemo a Venanzi, non temere.

        SPIGA: E… debbo portare i ferri, è vero? Rientra in iscena Filippo.

        LEONE: Certo.

        SPIGA: È a… a condizioni gravi, mi ha detto.

        LEONE: Pare.

        SPIGA: Spada?

        LEONE: Pare.

        SPIGA: Basterà portar la borsetta?

        LEONE: Senti: si farà qua sotto, dove sono gli orti. Ti sarà facile portare tutto ciò che ti occorrerà.

        SPIGA: Ah! bene! Ah, benone! Se si fa qua sotto… Si sente sonare il campanello alla porta. Filippo va ad aprire.

        SILIA: Sarà lui? Possibile, così presto?

        SPIGA: Lui, Venanzi? Ah bravo… Così domanderò… Filippo riattraversa in senso inverso la scena per rientrare in cucina.

        LEONE (a Filippo): Chi era?

        FILIPPO (forte, asciutto, sgarbato): Non lo so! Un signore con le sciabole. Ec­colo! (Rientra in cucina.)

        Scena ottava

        Detti, Barelli.

        Barelli entra per l’uscio a destra con due spade involte nella custodia di panno verde sotto il braccio e una scatola ove sono custodite due pistole.

        BARELLI: Permesso?

        LEONE (facendosi all’uscio a destra): Avanti, avanti, Barelli! Oh! con tutto questo armamentario?

        BARELLI (sbuffante): Ah, senti, caro mio: sono cose da pazzi… da idioti… (A un segno di Leone allusivo alla moglie:) Che cos’è?

        LEONE: Ti presento alla mia signora. (A Silia:) Barelli, tiratore formidabile.

        BARELLI (s’inchina).

        LEONE: Il dottor Spiga.

        SPIGA: Felicissimo! (Gli stringe la mano; poi senza lasciargliela, volgendosi a Leone:) Posso…?

        LEONE (interrompendo): Aspetta! Poi, poi…

        BARELLI: Io non ho mai visto una cosa simile! Mi perdoni, signora; ma se non lo dico, io… io ci faccio una malattia, ecco. Ma come? Si dà un mandato tas­sativo?

        LEONE: Che vuol dire? Spiegati.

        BARELLI: Come! L’hai dato, e non lo sai?

        LEONE: Ma che vuoi che sappia di codeste cose io!

        SILIA: Un mandato… come?

        SPIGA: Tassativo! Uhm!

        BARELLI: Ma vuol dire senza discutere. Senza prima tentare se c’è modo d’ac­comodar la vertenza… È fuori d’ogni legge, d’ogni regola, proibito severis­simamente! Là per là, signori miei, quasi in piedi, si trovano pronti quegli altri due, e in quattro e quattr’otto, per miracolo, non s’arriva al cannone!

        SPIGA: Al cannone?

        SILIA: Come sarebbe a dire?

        BARELLI: Ma sì! Cose da pazzi! Prima alla pistola…

        SILIA: Alla pistola?

        LEONE (a Silia): Ma forse per schivar la spada, capisci? Perché il Miglioriti, certo, con la pistola…

        BARELLI: Che dici? Quello? Ma quello t’imbrocca un soldo incastrato in un al­bero, a venti passi!

        SILIA: E ha proposto lui, il Venanzi, la pistola?

        BARELLI: Lui! Lui! Ma com’è? impazzito?

        SILIA: L’ho detto io!

        SPIGA: Ma… ma come c’entra, scusi, il soldo?

        BARELLI: Che soldo’?’

        LEONE (a Spiga): Taci, taci, amico mio: non sono cose per noi…

        BARELLI: Prima scambio di due palle alla pistola, e poi alla spada, e a che con­dizioni!

        SILIA: Ah, senti? senti? Poi anche alla spada! Non gli è bastata la pistola! Anche alla spada?

        BARELLI: Ma no, signora! La spada è stata scelta d’accordo. La pistola è stato un di più; così, come per una gara… per scherzare anche materialmente col fuoco!

        SILIA: Ma questo è un assassinio!

        BARELLI: Sì, signora. Pare anche a me! Ma mi perdoni: stava proprio a lei d’impedirlo!

        SILIA: Come? Io? Ma qua c’è lui che può dirlo! (Indica Leone.)

        LEONE: Sì, sì.

        SILIA: Non ho mica voluto io che s’arrivasse a una cosa così grave.

        LEONE (forte, imperioso a Barelli): Oh, basta! Mi sembra inutile, scusa, che tu ti metta adesso a discutere con lei.

        BARELLI: No… ma perché, tu non sai… c’è tutta la città piena… non si parla d’altro…

        SILIA: E si dice che io – ?

        BARELLI: – non lei! Lui, il Venanzi, signora! (A Leone:) Tu capisci… non è contro te… tu non c’entri! L’odio, la rabbia di Miglioriti sono contro di lui, di Venanzi. Perché s’è saputo (e qui la signora può dirlo; ma me l’ha confessato lui stesso del resto) s’è saputo, capisci? che lui era là… là… a visita… E non ha impedito! trattenuto forse da… non so… non credo screzii, no, ma gelosie, ecco, di sala d’armi, col Miglioriti. Signori miei, si nasconde; non impedisce; non soffoca lo sconcio scandalo… (perché erano proprio ubriachi) e per giunta, ora va lì a sfidare… Cose… cose incredibili! Io… io per me… non so più dove sono!

        SPIGA (a Leone): Senti, caro… potrei…

        LEONE (con uno scatto): Abbi pazienza, amico mio!

        SPIGA: No… dico… poiché si deve far qui vicino…

        BARELLI: Qua sotto, sì: domattina alle sette. Guarda: ho portato qui due spade…

        LEONE (subito, fingendo di non comprendere): Te le devo pagare?

        BARELLI: Ma no, che pagare! Sono le mie… Voglio insegnarti un po’… farti provare…

        LEONE (calmo): A me?

        BARELLI: E a chi? a me?

        LEONE (ridendo): No, no, no, no, grazie. Non ce n’è bisogno!

        BARELLI: Come non ce n’è bisogno, scusa? (Prende una delle spade.) Scom­metto che tu non l’hai mai neppur veduta, una spada… come s’impugna…

        SILIA (tremando alla vista dell’arma impugnata): Per carità… per carità…

        LEONE (forte): Basta, Barelli. Mi pare che voglia scherzare anche tu, ora.

        BARELLI: Ma io non scherzo nient’affatto! Bisogna che almeno tu impari a te­nerla…

        LEONE: E io ti dico basta! (Reciso:) Basta! Lo dico a te e a tutti. Lasciatemi tranquillo.

        BARELLI: Ma sì, è bene… è bene sopratutto che tu stia tranquillo.

        LEONE: Non dubitare che ci starò; però tutto questo ormai dura da troppo; ho bisogno di respirare un po’, ecco. Se tu vuoi scherzare con quei gingilli là, stasera, quando verrà Venanzi, ci scherzerete un po’ tra voi due che siete così bravi, e io starò a vedere. Va bene? Intanto, lasciale lì, e tu… non te n’avere a male, vattene, ti prego.

        BARELLI: Ah, per me… come vuoi…

        LEONE: E anche tu, dottore… scusa…

        SPIGA: Ma figurati!

        LEONE: Potrai domandare a lui tutte le informazioni che ti bisognano.

        BARELLI (inchinandosi a Silia): Signora… (Silia china appena il capo.)

        SPIGA: Signora gentilissima… (Le stringe la mano. A Leone:) A rivederci allora, eh? Tranquillo… tranquillo…

        LEONE: Ma sì! Addio.

        BARELLI: A questa sera, dunque.

        LEONE: A rivederci. (Barelli e Spiga escono.)

        Scena nona

        Leone, Silia, poi Filippo.

        LEONE: Ah, Dio mio, basta, basta.-Non ne posso più veramente!

        SILIA: Me ne vado anch’io…

        LEONE: No, tu rimani, se vuoi, purché però non mi parli più di questa faccenda.

        SILIA: Non sarebbe possibile. E poi… non sarei sicura di me, se egli capitasse qui, come può, da un momento all’altro.

        LEONE (ride forte, a lungo).

        SILIA (irritata fieramente del riso di lui): Non ridere! non ridere!

        LEONE: Ma rido sinceramente, sai? Perché godo, tu non puoi saper quanto, a vederti così cambiare.

        SILIA (quasi per piangere): Ma non ti sembra naturale?

        LEONE: Sì, e proprio per questo godo: perché sei così naturale!

        SILIA (pronta, rabbiosa): Tu no, invece!

        LEONE: Ah, questo è positivo. Ma guai se fossi!

        SILIA: Non ti capisco… non ti capisco… non ti capisco… (Dice questo, prima con angoscia quasi rabbiosa, poi con ammirazione, poi con un tono quasi supplice. )

        LEONE (carezzevole, accostandosi): Non puoi, cara. Ma è meglio così, credi.

        (Pausa. Poi a bassa voce:) Capisco io.

        SILIA (alzando appena lo sguardo su lui, con terrore): Che capisci?

        LEONE (calmo): Quello che tu vuoi.

        SILIA (c.s.): Che voglio?

        LEONE: Lo sai… e non lo sai tu stessa, quello che vorresti.

        SILIA (c.s. quasi mendicando una scusa): Oh Dio, Leone, io temo d’esser pazza.

        LEONE: Ma no! che pazza!

        SILIA: Sì, sì… d’aver commesso davvero una pazzia.

        LEONE: Non temere. Ci sono qua io.

        SILIA: Ma come farai?

        LEONE: Come ho sempre fatto, dacché tu me ne facesti vedere la necessità.

        SILIA: Io?

        LEONE: Tu.

        SILIA: Che necessità?

        LEONE (pausa, poi, piano): D’ucciderti. (Pausa.) Non credi che più d’una volta tu me ne abbia dato la ragione? Sì, via! Ma era una ragione che partiva ar­mata da un sentimento, prima d’amore, poi di rancore. Bisognava disarmare questi due sentimenti: vuotarsene. E io me ne sono vuotato, per far cadere quella ragione, e lasciarti vivere, non come vuoi, perché non lo sai tu stessa: come puoi, come devi, dato che non t’è possibile fare come me.

        SILIA (supplice): Ma come fai tu?

        LEONE (dopo una pausa, con gesto vago e triste): M’astraggo. (Pausa.) Credi che non sórgano impeti di sentimenti anche in me? Ma io non li lascio scate­nare; io li afferro, li domo; li inchiodo. Hai visto le belve e il domatore nei serragli? Ma non credere: io, che pure sono il domatore, poi rido di me per­ché mi vedo come tale in questa parte che mi sono imposta verso i miei sen­timenti; e ti giuro che qualche volta mi verrebbe voglia di farmi sbranare da una di queste belve… anche da te, che ora mi guardi così mansueta e pentita… Ma no! perché, crèdi: è tutto un giuoco. E questo sarebbe l’ultimo e toglie­rebbe per sempre il gusto di tutti gli altri. No, no… Vai, vai…

        SILIA (esitante, quasi offrendosi): Vuoi che… rimanga? (Trema.)

        LEONE: Tu?

        SILIA: O vuoi che torni stasera, quando tutti se ne saranno andati?

        LEONE: Ah… no, cara. Tutta la mia forza, allora…

        SILIA: Ma no, per starti vicina… per assisterti…

        LEONE: Dormirò, cara. Stai pur sicura ch’io dormirò. E al mio solito, sai? senza sogni.

        SILIA (con profondo rammarico): Per questo, vedi, non è possibile! Tu non lo crederai; ma a letto, il mio vero amore è il sonno, che mi fa subito sognare!

        LEONE: Ah, lo credo, lo credo…

        SILIA: Ma non m’avviene mai! Non dormo! E figurati questa notte! (Stac­cando:) Basta, sarò qui domattina.

        LEONE: Ah no! no! Non voglio, sai: non voglio!

        SILIA: Vorresti impedirmelo? Tu scherzi!

        LEONE: Te l’impedisco! Non voglio, ti dico!

        SILIA: È inutile, sai? Verrò.

        LEONE: Fa’ come vuoi… A questo punto entra Filippo dall’uscio a sinistra col vassojo della colazione.

        FILIPPO (con voce cupa, sgarbata, imperiosa): Oh! è ora.

        SILIA (salutando con passione): A domattina.

        LEONE (remissivo): A domattina…

        Silia via. Leone resta un po’ assorto a pensare, poi si volta e s’incammina per sedere a tavola.

Tela

1918 – Il giuoco delle parti – Commedia in tre atti
Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
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