Il berretto a sonagli – Atto Secondo

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Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo

N’ Sicilianu A birritta cu’ i ciancianeddi

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Il berretto a sonagli - Atto I
Paolo Stoppa, Il berretto a sonagli, 1984. Fotogramma RAI.

1917
Il berretto a sonagli
Atto Secondo

Scena prima

        Beatrice e Fana.

        BEATRICE (scarmigliata, sulle furie, presso l’uscio a sinistra, gridando verso l’interno a Fana): Non importa! Subito, prendete e portate qua! Come vien viene! Voglio esser fuori prima di sera! Via da questa casa maledetta! (Si ode una scampanellata alla porta.)

        FANA (venendo fuori dall’uscio a sinistra, sovraccarica di biancheria): Oh Madre di Dio, e chi sarà?

        BEATRICE: Andate ad aprire. Se è il Delegato, fatelo entrare e ditegli ch’abbia pazienza un momento. Non posso presentarmi così! Via per l’uscio a destra.

        Fana, con quel monte di biancheria sulle braccia, va ad aprire per la co­mune, sbuffando. Poco dopo si sentono grida dall’interno. Entrano in iscena la signora Assunta La Bella, seguita da Fifì La Bella, che tiene afferrata per le braccia Fana e la scrolla furiosamente. Madre e figlio sono ansanti, scon­volti.

        Scena seconda

        La Signora Assunta, Fifì La Bella, Fana, poi Beatrice.

        ASSUNTA (accorrendo in gran subbuglio prima verso l’uscio a destra poi verso l’uscio a sinistra, e gridando): Beatrice! Beatrice! Dov’è? Dov’è? Beatrice! (Entra per l’uscio a sinistra, seguitando a chiamare.)

        FANA (difendendosi da Fifì che la investe): Ma perché se la prende con me, si­gnorino?

        FIFÌ (che tiene per le braccia Fana e la scrolla furiosamente): Perché obbligo vostro era di venire da me, ad avvertirmi!

        ASSUNTA (rientrando dall’uscio a sinistra): Ma dov’è mia figlia? Ditemi dov’è! Beatrice! Beatrice!

        BEATRICE (accorrendo alle grida dall’uscio a destra e buttandosi tra le braccia della madre): Mamma! mamma! (Scoppia in singhiozzi.)

        ASSUNTA: Figlia mia, figlia mia, che hai fatto? Ti sei rovinata!

        FANA (difendendosi da Fifì che la investe): Ma se volle far tutto da sé, senza dare ascolto a nessuno! Glielo dissi tante volte, povera me! – Parli lei, si­gnora, per carità! – Le dissi: «Si rivolga a suo fratello, che è uomo! Ne chieda consiglio, prima, alla sua mamma!».

        ASSUNTA: Non dirne niente neanche a me! Buttarsi così allo sbaraglio senza dirne niente a nessuno!

        FIFÌ (afferrando per un braccio la sorella e strappandola dalla madre): Vorrei sapere perché piangi ora! Lo sai che hai messo tutto il paese sossopra?

        ASSUNTA: Lo hanno arrestato, figlia mia! lo hanno arrestato!

        FANA: Il padrone? Madre di Dio!

        ASSUNTA: E anche lei!

        FANA: Anche la moglie di Ciampa?

        BEATRICE: Tutt’e due? Ci ho gusto! Ah, sono contenta! Proprio quello che vo­levo!

        ASSUNTA: Ma che dici, figlia!

        FIFÌ: La vergogna? Lo scandalo?

        BEATRICE: Sì, sì, lo scandalo! la vergogna addosso a lui!

        FIFÌ: E addosso a te, pazza! Che ti figuri d’aver guadagnato con codesta follia che hai commessa?

        BEATRICE: Che? Ma questo! Ecco! (Tira un gran respiro di sollievo.) Ah! – che posso rifiatare… – così! E che gli ho dato la lezione che si meritava! – Sono libera! sono libera!

        FIFÌ: Libera? – Pazza! – Che libera? Libera di venirtene a casa mia, ora, senza poter più cacciare il naso fuori della porta! Libera, dice! Senza più stato…

        BEATRICE: Non me n’importa nulla! Purché non me lo veda più davanti! Stavo a prepararmi per andar via! Mi preparo da jersera.

        FIFÌ: E jeri io ero qua! Dimmi un po’: fu quella megera, con cui ti trovai qua a confabulare?

        FANA: Sì, sì, appunto! quella, quella, signorino!

        ASSUNTA: Quella, chi?

        FANA: La Saracena, signora mia!

        ASSUNTA: Oh Dio! – E come, figlia? con una donnaccia di quella specie ti sei messa? E tu Fifì, tu non hai sospettato nulla?

        FIFÌ: Potevo immaginarmi questo?

        FANA: Mi mandarono a chiamare il Delegato Spanò…

        FIFÌ: Spanò?

        ASSUNTA: Spanò? Ma come!

        FIFÌ: Il Delegato Spanò avete detto?

        ASSUNTA (a Beatrice): Spanò, creatura di tuo padre, ha potuto far questo? senza sconsigliartelo?

        FIFÌ: Quant’è buona, Lei, mammà! Non gli sarà parso vero di metter le mani addosso a uno, quando gli tocca far tanto di cappello a tutti quei… (s’inter­rompe, turandosi la bocca e mugolando:) – uhm, lo stavo per dire! – che lo ajutano a vivere in pace con sua moglie! Ha capito?

        ASSUNTA: Ah, quando mai, simili vergogne, le donne di casa nostra!

        FANA: Nominata per davvero, Vossignoria, tant’anni! La sua prudenza! Sem­pre con le labbra cucite!

        ASSUNTA: Eppure ne ho viste, Fana, voi lo sapete!

        FANA: Altri tempi, signora mia, altri tempi!

        ASSUNTA: Come non hai pensato a me, figliuola mia? Sono vecchia io! Ti pare che possa reggere a colpi così forti? Io domani ne morrò… – già mi sento, che Dio solo sa come…

        FIFÌ: Lei si stia tranquilla, mammà, e non se ne prenda; o io non so, per Cristo, che cosa faccio! Ha voluto cacciarsi in questi guaj, la pazza? E ora ci resti!

        ASSUNTA: Già! Come se non fosse più mia figlia e sua sorella! Che dici!

        FIFÌ: Ci pensa ora, che è mia sorella? Aveva me, qua, jeri! Che possiamo farci più noi, adesso? Solo ricondurcela a casa possiamo, perché certo qua, ora, con suo marito non potrà più rimanere!

        BEATRICE: E chi vuole rimanerci? Si sente il campanello alla porta. Tutti restano sospesi.

        ASSUNTA (sbigottita): Chi sarà?

        BEATRICE: Non ho paura di nessuno, io!

        FIFÌ (a Fana): Andate ad aprire. Ci sono qua io.

        FANA: Venga con me, per favore, signorino: tremo tutta…

        FIFÌ (alla madre e alla sorella): Andate di là, vojaltre. (A Fana:) E voi su, ad aprire! senza smorfie!

        ASSUNTA: Vieni, vieni, figlia mia, vieni con me… (Via per la destra con Bea­trice.)

        Scena terza

        Fifì. Fana, il Delegato Spanò, poi Assunta e Beatrice.

        FIFÌ (rimasto solo davanti la comune, mentre Fana apre la porta d’ingresso): Ah, è lei, signor Delegato?

        SPANÒ (entrando): Sempre a servirla, signor Fifì!

        FIFÌ: Ah, sì, un bel servizio davvero ha reso lei alla famiglia, se ne può vantare! E veramente abbiamo motivo di ringraziarla e di restargliene grati!

        SPANÒ: Lei mi ferisce, signor Fifì!

        FIFÌ: Ma come, scusi, è questo il modo di procedere d’un amico verso una fa­miglia, da cui lei, santo Dio, ha ricevuto tanti favori?

        SPANÒ: Perciò le dico che lei mi ferisce! Nel mio sentimento più sacro mi feri­sce! Io un pubblico funzionario sono, signor Fifì!

        FIFÌ: Grazie tante! Lo so bene. Sto dicendo all’amico! Come? Lei viene qua –

        SPANÒ: – chiamato dalla signora! –

        FIFÌ: – va bene; e si riceve una denunzia?

        SPANÒ: Mi ricevo? Che dice? Aspetti… Mi ferisce, caro signor Fifì… Io prima feci di tutto… – e la signora… – dov’è? dov’è? – lo può dire… – feci di tutto, signor Fifì, per persuadere la signora…

        FIFÌ: Poteva sentir l’obbligo di venire prima da me!

        SPANÒ: Con la denunzia già sporta?

        FIFÌ: Ma appunto per fargliela ritirare!

        SPANÒ: E allora le dico che lei non conosce sua sorella! Privo di Dio! Mi mi­nacciò che l’avrebbe portata lei direttamente al signor Commissario, la de­nunzia, dichiarandogli che io… – ah, eccola qua, eccola qua… (Rientrano Assunta e Beatrice dall’uscio a destra. Spanò accorre a baciar la mano alla si­gnora Assunta, che se ne schermisce.) Signora mia riveritissima, no… lasci, lasci che gliela baci codesta mano santa… E lei, signora Beatrice, dica qua, la prego, a suo fratello…

        ASSUNTA (interrompendolo): Mi sembra inutile, signor Delegato, inutile, caro Fifì, fare ancora codeste rimostranze.

        BEATRICE: Del resto, il signor Delegato ha ragione.

        SPANÒ (a Fifì): Ecco! La sente?

        BEATRICE: Fui io, fui io, sissignori.

        SPANÒ (a Fifì): La sente? Benedetta bocca di verità! Ma se torto ho io, caro si­gnor Fifì, signora Assunta mia… che io venero, privo di Dio, come una madre. Vede? lei ora mi fa piangere, signor Fifì… Piangere, sissignore, per­ché se torti ho io, è… è per eccesso… per eccesso d’amicizia! Perché la con­dizione nostra, qua, a tenere questo porco ufficio qua (mi scusi il termine, si­gnora Assunta!), qua nel nostro stesso paese nativo, è la cosa più infame che si possa immaginare! – Ma scusi, scusi, potevo trovarmi faccia a faccia, met­tere io le mani addosso, io, al cavalier Fiorica, io? E allora che ho fatto? Per eccesso d’amicizia, la più grossa delle bestialità! Ecco, di questo lei, signor Fifì, di questo dovrebbe rimproverarmi!

        FIFÌ: Ma se non so ancora che diavolo ha fatto lei! Che ha fatto? Me lo dica! Com’è stato? Si può sapere?

        SPANÒ: È stato che… non potendo… non volendo farlo io… un simile servizio… ho… incaricato un altro… il mio collega Logatto, forestiere, calabrese… E ha visto? ha visto che cosa ha fatto? – Ignorante! Testa di mulo!

        FIFÌ: Arrestò tutt’e due, mio cognato e la donna?

        BEATRICE: Ma fece il suo dovere, mi pare! Fece proprio quello che doveva fare!

        ASSUNTA: Zitta, figlia! Non sai quello che ti dici!

        FIFÌ: Li trovò dunque insieme? Insomma, mi dica!

        SPANÒ: Ecco… i-i-insieme e non insieme… Flagranza vera non c’è. – Non si può dire che ci sia. – E questa intanto è una gran cosa! Anzi io credo che, allo stato degli atti, si può dimostrare che non c’è niente di niente. Niente, as­soluto!

        FIFÌ: E allora? Perché li arrestarono?

        SPANÒ: Perché? Ma perché non c’ero io! Perché c’era quella testa-di-mulo di calabrese! Ecco il mio rimorso! Ma il cavaliere sarà rilasciato, signor Fifì, sarà rilasciato questa sera stessa! Lo prometto e lo giuro! Se no, non mi chiamerò più Alfio Spanò!

        FIFÌ: Sta bene, ma mi dica intanto, in nome di Dio, come fu!

        SPANÒ: Ah, ecco. Fu così. Logatto, mediante la chiave data dalla signora Bea­trice, entrò nella sede del banco del cavalier Fiorica, oh, e si nascose nel bu­gigattolo attiguo alla sala. Oh. Quando le guardie bussarono alla porta di là, dell’annesso quartierino di Ciampa, e intimarono d’aprire in nome della legge, oh, il cavaliere (appena la donna scese ad aprire) naturalmente, che fece? fece per entrare nella sala del banco…

        BEATRICE (con un grido di trionfo): Ah ecco! Vedete? Dunque era lì nelle stanze del Ciampa! Aveva aperto l’uscio di mezzo.

        SPANÒ (sconcertato): Sissignora…

        BEATRICE: E come lo aveva aperto, se Ciampa lo aveva chiuso e mi aveva por­tato qua la chiave? Ecco la prova! La prova che è vero!

        SPANÒ (ripigliandosi): Nossignora, non è prova, aspetti…

        BEATRICE: Come non è prova?

        SPANÒ: Mi lasci dire. Catenaccetti inglesi, signora: hanno tutti due chiavi.

        BEATRICE: Due chiavi, benissimo! Una in tasca al Ciampa, e l’altra in tasca di mio marito!

        SPANÒ: Nossignora. Mi lasci dire. Risulta dal verbale. Il cavalier Fiorica ha di­chiarato che: – arrivato da Catania, non potendo figurarsi di non trovare al suo posto il Ciampa; vedendosi tutto impolverato dal viaggio – povero galan­tuomo! – e avendo fretta di prender visione della corrispondenza arrivata du­rante la sua assenza – (sono parole del verbale) – bussò, dice, all’uscio, per domandare alla moglie del Ciampa, dice, il mezzo di lavarsi almeno le mani.

        BEATRICE (con stridula risata): Le mani… uh, già!… le mani! Figuriamoci!

        SPANÒ: Le mani, povero galantuomo! dovendo aprire la corrispondenza…

        FIFÌ: Non le dia retta! Séguiti.

        SPANÒ: E allora lei, la moglie del Ciampa, dice, gli fece passare, dice, l’altra chiave di sotto l’uscio!

        BEATRICE: Uh, ma guarda, di sotto l’uscio! che bella combinazione!

        SPANÒ (seguitando): Come difatti s’è constatato, signora, che veramente di sotto l’uscio la chiave passa. E il cavaliere era in maniche di camicia – decentissimo!

        BEATRICE: Sì? E lei? com’era lei? com’era?

        SPANÒ: Era… ecco… era…

        BEATRICE: Lo dica! Tanto, risulta dal verbale!

        SPANÒ: E allora le so dire che neanche era in camicia.

        BEATRICE: Nuda? era nuda?

        SPANÒ: No! Che pensa, signora? – Più che in camicia, intendo dire! In sottana e camicia – come vanno le donne per casa – le donne di basso ceto, s’intende – in questa stagione, con questo caldo, che io – privo di Dio – sono tutto in un bagno di sudore… – Più che in camicia, stia tranquilla, signora! Un po’ scollata camicia… braccia di fuori… camicia da donna, si sa…

        BEATRICE: Eh già! basta che non li abbiano trovati nudi tutt’e due!

        ASSUNTA: Ma Beatrice, ma come puoi parlar così? Non ti riconosco più, figlia mia!

        FIFÌ: Vergogna! Davanti a un uomo! (Indica il Delegato.)

        BEATRICE: Ma che uomo!

        ASSUNTA: Sono cose da dire, codeste?

        BEATRICE: Nascondiamo, nascondiamo! Già, ripariamo! vestiamole queste ver­gogne! Vergogna è dirle, certe cose. Farle, non è niente!

        FIFÌ: Non capisco, signor Delegato! Ma perché li hanno arrestati tutti e due al­lora? Se il verbale è negativo!

        SPANÒ: Ecco… ecco… Quanto alla donna, la arrestarono per… per… decolté ec­cessivo, lei mi intende! Il cavaliere, perché… S’immagini un po’… come si vide metter le mani addosso, il galantuomo diventò una furia, una furia d’in­ferno! Ci fossi stato io, avrei compatito; anche se mi schiaffeggiava, mi sarei presi gli schiaffi, per amicizia. Quella testa-di-mulo di calabrese, invece, s’è incornato a volerlo responsabile d’ingiurie e vie di fatto e l’ha tratto in arre­sto. Ma sarà rilasciato, signor Fifì – prometto e giuro. Questa sera stessa. E se Logatto non si sta quieto, lo accomodo io!

        FIFÌ: Ma già…. dico, se non risulta niente…

        SPANÒ: Niente! Perquisito tutto, anche la borsa di viaggio… anche la giacca che il cavaliere s’era levata…

        BEATRICE: Ah, anche la giacca? anche la borsa di viaggio? E mi dica un po’: non vi hanno trovato per caso una certa collana, a pendagli, che egli le aveva promesso in dono da Palermo?

        FIFÌ: Ah, è questa la collana che hai incaricato Ciampa di comperarti uguale?

        BEATRICE: Questa, precisamente! (A Spanò:) Mi risponda: l’hanno trovata?

        SPANÒ: Scusi, signora. Chi parlò a lei di codesta collana? La Saracena?

        FANA: Sissignore, lei, appunto!

        SPANÒ: Ma se lo so! Ne parlò anche a me! È una vera sciocchezza, signora mia! una pura e semplice sciocchezza nata da questo: che la moglie del Ciampa, leticando come fa sèmpre con le donne del vicinato che le danno la baja per tutti gli anelli che tiene alle dita, si vantò, dice, che uno di questi giorni, per farle crepar d’invidia, sarebbe loro apparsa, dice, parata come una Madonna, al balcone, con una gran collana, di queste a pendagli, al petto. Quest’è tutto! Sa invece, signora, sa che cosa s’è trovato invece nella borsa di viaggio del signor cavaliere? Un libriccino da messa, s’è trovato, piccolo pic­colo… così, un amore le dico! con la rilegatura d’avorio e le pagine dorate.

        ASSUNTA: Vedi, figlia? Per te!

        SPANÒ: Aspetti, e anche una scatola di mandorle candite.

        ASSUNTA: Quelle che piacciono a te!

        FANA: Me se l’ho sempre detto io, che la tratta come una regina!

        FIFÌ: Bestiaccia ingrata! Beatrice s’abbatte piangendo, pentita e commossa, sul seno della madre.

        SPANÒ (soddisfatto dell’effetto ottenuto, approva col capo, ammiccando a Fifì; poi gli dice): Ma sarebbe prudente, signor Fifì – se, come spero, riesco a far rilasciare il cavaliere questa sera stessa – sarebbe prudente che la signora non gli si facesse trovare in casa.

        ASSUNTA: Ah, certo! certo!

        FIFÌ: Ce la porteremo a casa con noi!

        SPANÒ: Almeno per qualche giorno. Bisognerà compatirlo! Ha un diavolo per capello, povero galantuomo, e minaccia di far cose dell’altro mondo.

        FIFÌ: Ha ragione! ha ragione! Io non so che farei, se fossi al suo posto!

        SPANÒ: Ma gli passerà! Stia sicuro, che gli passerà! Dopo qualche giorno, le furie svaporano e tutto ritorna tranquillo come prima. – Ah, privo di Dio, che bella cosa, signore mie, la santa pace domestica!

        Lunga pausa, come se tutto fosse finito, e non ci fosse più nient’altro da dire o da fare. Tutt’a un tratto, viene a rompere questo silenzio conclusivo una violenta scampanellata alla porta.

        FANA (balzando con spavento): Ah Signore, ajutaci! Quest’è lui! Ciampa!

        FIFÌ: Uh, già! E chi ci pensava più, a Ciampa?

        SPANÒ: Per Dio santo, già! c’è anche lui! Con la moglie arrestata…

        ASSUNTA: E come si fa ora? come si rimedia per questo poverino?

        SPANÒ: Forse sarà meglio non riceverlo!

        FIFÌ: No, meglio riceverlo, anzi! e cercare di fargli intendere la ragione, qua, tra me e lei!

        SPANÒ: Già… ma badi… badi che farà cose da pazzi!

        FIFÌ: Faccia quello che vuole! Purché poi, alla fine…

        FANA: Ah, che tremore per tutte le vene!

        BEATRICE (mansueta): Sarà bene che mi ritiri, con la mamma, è vero?

        FIFÌ (gridando e facendole gli occhiacci): Mi pare!

        ASSUNTA: Andiamo, andiamo, figliuola mia. Lasciamoli soli, tra loro uomini. Via con Beatrice per l’uscio a destra.

        FIFÌ (a Fana che s’avvia tutta tremante con le altre donne): Dove andate voi? Andate ad aprire!

        SPANÒ: Non abbiate paura, ci sono qua io! Fana esce per l’uscio infondo.

        Scena quarta

        Ciampa e Detti.

        FANA (rientra subito rinculando): Madre di Dio! Un morto è! È entrato ed è caduto a sedere!

        FIFÌ e

        SPANÒ: Come! Che è stato?

        Fanno per accorrere. Ciampa entra per la comune, cadaverico, con l’abito e la faccia imbrattati di terra; la frónte ferita; il colletto sbottonato; la cra­vatta sciolta, e gli occhiali in mano. Subito Fifì e Spanò gli si fanno attorno premurosi e costernati, e gli scuotono con le mani la polvere dal vestito.

        FIFÌ: Ma come! Che è stato, caro Ciampa?

        SPANÒ: Siete forse caduto?

        CIAMPA (piano, cupo): Niente. Sturbo. Un piccolo sturbo. Mi si sono rotti gli occhiali.

        FIFÌ (correndo per una seggiola, mentre il Delegato ne prende un’altra e un’altra Fano): Ecco, sedete… sedete qua…

        SPANÒ: Qua c’è la seggiola…

        CIAMPA: Grazie. Non seggo.

        FIFÌ: Come! Perché no?

        CIAMPA: Perché no.

        SPANÒ: Ma se non vi reggete in piedi!

        CIAMPA: Non dubiti. Sette spiriti ho, come i gatti. Ora li ripiglio. Ma, tanto… Me ne vado subito. – La signora?

        SPANÒ: La signora, Ciampa, è di là che…

        FIFÌ: Capirete che in questo momento non può parlare con voi.

        CIAMPA: Parlare? E che bisogno ha più di parlare? Dopo il fatto!

        FIFÌ: Ma il fatto, caro Ciampa, non è come voi forse v’immaginate!

        SPANÒ: Negativo! negativo! verbale assolutamente negativo!

        FIFÌ: Ecco, sentite? ve lo dice il signor Delegato. V’assicuro che non avete proprio ragione di star così!

        CIAMPA: Me l’assicura lei?

        SPANÒ: Ma no! gli atti, gli atti – il verbale, capite, caro Ciampa? Lo dice il verbale!

        CIAMPA: E quando lo dice il verbale!

        FIFÌ: Ma certo! Se un fatto risulta assolutamente infondato…

        SPANÒ: Per con-sta-ta-zi-o-ne-lè-gà-lè!

        FIFÌ: Dovete per forza ammetterlo!

        CIAMPA: Non ho difficoltà. – Dovrei consegnare certi oggetti alla signora.

        FIFÌ: Quelli che avete ritirati da Palermo? Potete consegnarli a me, se volete.

        CIAMPA: Non ho difficoltà. – Mi parrebbe più giusto però, poiché c’è qua il si­gnor Delegato, che li consegnassi a lui.

        FIFÌ: Ma sì, a lui o a me… (A Spanò:) Son certi oggetti che Ciampa ha ritirati dal monte…

        SPANÒ: Sta bene, sta bene…

        FIFÌ (a Ciampa): Ma potete anche lasciarli lì… (Indica con sprezzatura signo­rile il tavolino accanto al divano.)

        CIAMPA: E lei dà poi tanto peso alle formalità d’un verbale?

        FIFÌ: Ma no… Che c’entra? Nel verbale è la constatazione d’un fatto, come v’ha spiegato il Delegato.

        SPANÒ: Precisamente! Legale!

        CIAMPA: E sta bene! Voglio che sia, anche questa, constatazione legale di un altro fatto: che io consegno qua al signor Delegato questi oggetti, perché fui mandato dalla signora…

        SPANÒ: Ma sì, lo so, caro Ciampa!

        CIAMPA: Lo sa? – Allontanato con quest’incarico. E lei deve constatare il fatto che io, da umile servitore, sono andato e sono ritornato, disimpegnando l’in­carico e consegnando qua, come consegno a lei, questi due oggetti. (Trae di tasca i due astucci.) Uno, e due. – Non voglio altro. (Fa per andarsene.)

        FIFÌ: E che fate, ora?

        CIAMPA: Niente. Me ne vado.

        FIFÌ: Così ve n’andate?

        CIAMPA: E che vuole che faccia più qua? Volevo parlare con la signora. Non si può. Me ne vado.

        FIFÌ: Ma che vorreste dire, scusate, alla signora?

        Fano, di dietro, fa più volte segno di no, di no a Fifì, con una mano sotto il mento.

        CIAMPA (voltandosi all’improvviso, sorprendendola in quel gesto e rifacendo­glielo): Che avete, per caso, mal di gola, voi? Difficoltà di respiro? Per vostra regola, io guardo in terra e conto le stelle, anche senz’occhiali! (Appressan­dosi a Fifì:) Lei forse ha paura ch’io, parlando con sua sorella…?

        FIFÌ (interrompendolo): Ma no, che paura! È che mia sorella, in questo mo­mento, vi ho detto, non può, perché tanto io, quanto il signor Delegato, quanto mia madre che è di là con lei, le abbiamo dimostrato e fatto toccar con mano la follia che ha commesso; e credete, caro Ciampa, che n’è pentita, pentitissima! È vero?

        SPANÒ: Diavolo! Piange.

        CIAMPA: Ah, piange…

        FIFÌ: Piange, piange, anche perché – ve lo può dire qua il Delegato – glien’ho dette di tutti i colori.

        SPANÒ: Verissimo! Terribile!

        FIFÌ: V’assicuro, Ciampa, che voi non le potreste dir più di quanto le ho detto io!

        CIAMPA: E che si figura lei, che vorrei dire io a una signora? Sua sorella non ha fatto altro che prendere il mio nome – il mio pupo… – si ricorda che jeri io qua parlai di pupi? – il mio pupo: buttarlo a terra, e, sopra – una calcagnata – così! (Butta il cappello in terra e lo pesta col piede.) Perché la signora – po­vera pupa – s’è creduta anche lei calpestata… La posizione nostra – la mia e la sua – in fondo, sono uguali: io qua, lei di là. Che vuole che le dica? Una sola domanda volevo rivolgerle; e non alla signora propriamente, ma alla sua coscienza.

        FIFÌ: Che domanda?

        CIAMPA: Scusi, se dico alla sua coscienza… (Con scatto improvviso aprendo la finanziera e presentandosi al Delegato Spanò:) Signor Delegato, mi cerchi!

        FIFÌ (tirandolo indietro): Ma no, che dite!

        SPANÒ: Sappiamo bene che siete un galantuomo, Ciampa!

        CIAMPA: Del resto, c’è qua lei. E mi piace, mi piace che ci sia lei, signor Dele­gato, perché così vede il cuore… Il cuore d’un uomo che piange e che fa san­gue… sangue davvero, perché sono stato assassinato… (Scoppia in improvvisi e irrefrenabili singhiozzi.)

        FIFÌ e

        SPANÒ: Ma no… ma no… che dite!… Ma se non ce n’è ragione! State tranquillo, Ciampa!

        CIAMPA: Tranquillo, già… Questa sola domanda, insomma, alla signora, in pre­senza vostra, volete lasciarmela fare?

        FIFÌ: Ma sì, ma sì! Ecco, ve la chiamo. (Chiamando dall’uscio di destra:) Bea­trice! Mammà! Vieni, Beatrice!

        Scena quinta

        Beatrice, Assunta e Detti, infine Vicini e Vicine.

        FIFÌ (a Beatrice che entra con la madre): Senti qua Ciampa, che vuol rivolgerti non so che domanda.

        ASSUNTA (pietosamente): Oh, poverino! Siete ferito?

        CIAMPA: Non è niente, signora. Il guajo è per gli occhiali, che mi si sono rotti. Ci vedo e non ci vedo. Ma, tanto, ormai, non ho più niente da vedere. (A Beatrice:) Questa sola domanda, a lei, signora: – Crede lei… – (lasciamo il fatto, ciò che è accaduto questa mattina, lasciamo star tutto) – crede lei, in coscienza, d’aver avuto ragione di far questo, non ostante che io jeri – pre­sente suo fratello…

        ASSUNTA (cercando d’interromperlo): Ma sì, sappiamo tutto, Ciampa!

        FIFÌ: Che finanche le portaste qua vostra moglie!

        CIAMPA: Permettano… permettano… – lascino dire a lei! Perché può darsi che la signora, non ostante tutto, abbia voluto colpire anche me, credendo d’aver tutta la ragione di farlo. È così, signora? Mi risponda – in coscienza!

        BEATRICE (esitante): No… io… io, a voi…

        SPANÒ: La signora non voleva colpir voi, caro Ciampa! Tant’è vero che vi volle allontanare, mandandovi a Palermo!

        BEATRICE: Ecco… già… io… come dice il Delegato…

        CIAMPA: Ah, no, signora! Che lei non abbia pensato a me, non è possibile! Per­ché per ben due ore io qua, jeri, non feci altro che mettere le mani avanti!

        BEATRICE: Sì, sì. E appunto per questo volli mandarvi a Palermo! Per aver mano libera, qua, su vostra moglie e su mio marito!

        CIAMPA: Senza pensare a me?

        BEATRICE: Senza pensare a voi.

        CIAMPA: E che cos’ero io? Niente? Pietra d’affilare? Mi gettava a terra; mi prendeva così, con due dita, come uno strofinaccio qualunque; mi buttava in un canto, proprio come se non ci fosse da fare nessun conto di me… – Ma voglio ammettere tutto, signora! voglio entrare nella sua coscienza, fino in fondo, e ammetter pure che lei non si sia fatto scrupolo di colpire anche me, perché io – secondo lei – sapevo tutto e mi stavo zitto. È così? Mi risponda. E così?

        BEATRICE: Eh… poiché lo dite voi stesso… sì, è proprio così.

        CIAMPA: Ah! E allora, a uno che – poniamo – è guercio, lei gli appende un cartellino alle spalle: – «Popolo! È guercio!» – ?

        BEATRICE: Ma no… che c’entra!

        CIAMPA: Lasciamo il guercio di cui tutti si possono accorgere senza bisogno di cartellino. Lei deve provarmi che uno, uno solo, signora, in tutto il paese po­tesse sospettare di me quello che lei ha creduto! che uno, uno solo potesse venire a dirmi in faccia: – «Ciampa, tu sei becco, e lo sai!».

        FIFÌ (subito): Ma no! Ma chi? Ma nessuno!

        SPANÒ (contemporaneamente): Ma a chi poteva venire in mente!

        ASSUNTA (contemporaneamente): Ma che dite, Ciampa!

        FANA (contemporaneamente): Veramente a nessuno, Signore Iddio, in co­scienza!

        CIAMPA (dominando le esclamazioni simultanee): Ma la signora potrebbe dire: – Se non lo sapevano gli altri, era noto a voi e tanto basta! – È vero? è vero? Non lo neghi! Io ho bisogno della sua coscienza, signora: non del verbale! Dica: è vero?

        BEATRICE: È vero, sì.

        Movimento di sorpresa dolorosa e d’intensa costernazione negli altri. Silenzio.

        CIAMPA (ferito, tentennando il capo): Ah, signora. – Io ora parlo… non per me… parlo in generale… – E che può saper lei, signora, perché uno, tante volte, ruba; perché uno, tante volte, ammazza; perché uno, tante volte – po­niamo, brutto, vecchio, povero – per l’amore d’una donna che gli tiene il cuore stretto come in una morsa, ma che intanto non gli fa dire: – ahi! – che subito glielo spegne in bocca con un bacio, per cui questo povero vecchio si strugge e s’ubriaca – che può saper lei, signora, con qual doglia in corpo, con quale supplizio questo vecchio può sottomettersi fino al punto di spartirsi l’amore di quella donna con un altro uomo – ricco, giovane, bello – special­mente se poi questa donna gli dà la soddisfazione che il padrone è lui e che le cose son fatte in modo che nessuno se ne potrà accorgere? – Parlo in generale, badiamo! Non parlo per me! – È come una piaga, questa, signora: una piaga vergognosa, nascosta. E lei che fa? stende la mano e la scopre così… pubblicamente? – Lasciamo questo discorso, e veniamo a noi! – Io, signora, sapevo che lei aveva sospetti su mia moglie e su suo marito. – Gelosia! – Chi non ne ha, quando si vuol bene? – Compatisco anche i delitti, signora; si figuri se non avrei compatito lei per la gelosia! Ero venuto qua, jeri, apposta per farla parlare, per farla sfogare. – Aveva un sospetto? – Non glielo volevo levare! Perché so che codesti sospetti, più si vogliono levare, e più si raffermano! – Se lei avesse parlato seriamente con me, io me ne sarei tornato a casa e avrei detto a mia moglie: – «Pst! Fagotto, e via!». – Oggi mi sarei presentato al si­gnor cavaliere: – «Signor cavaliere, bacio le mani: non posso star più con lei!». – «Perché, caro Ciampa?» – «Perché non posso star più con lei: ho altri affari.» – Così si fa, signora mia! – E perché crede che io le portai qua, jeri, mia moglie? Ma per farla scattare, signora, per farle scatenare dalla bocca tutta la tempesta che lei covava dentro! Glielo gridai finanche: – «Parli! Parli!» – E lei non volle dir niente! Volle gettarmi così a terra, assassinarmi… E che vuole che faccia io ora? Mi dica lei che cosa debbo fare! Tenermi que­sto sfregio? comperarmi una testiera con due bei pennacchi, per far la mia comparsa in paese? e tutti i ragazzini dietro, in baldoria, a gridarmi: – Bèèè… Bèèè… – e io, pacifico e sorridente, a ringraziare a destra e a sinistra?

        FIFÌ: Ma perché? dove? che sfregio! che testiera! che ragazzini! Se non c’è stato niente!

        SPANÒ: Niente di niente! Niente assoluto!

        CIAMPA: Perché lo dice il verbale, è vero: Ma chi vuole che creda a codesto suo verbale dopo tanto scandalo: Guardie, Delegato, sorpresa in casa, arre­sto…

        SPANÒ: Sta bene! Ma con risultato negativo! Dunque…

        CIAMPA: Signor Delegato, son macchie d’olio, che non levano, queste! Diranno: «Si tratta d’un cavaliere! Hanno accomodato la cosa!» – E come resto io? – Lei, signora, poteva prendersi questo piacere, se credeva che suo marito si fosse messo con qualche ragazza, senza però – badiamo – né padre, né fra­telli. Dava una lezione a suo marito – non c’erano altri uomini di mezzo – e tutto si sarebbe accomodato alla meglio. Ma qua c’era un uomo di mezzo, si­gnora! Come non pensò a me, lei? O che ero niente, io? – Lei ha scherzato; s’è passato questo piacere; ha fatto ridere tutto un paese; domani rifarà pace con suo marito… – e io? per lei sarà finito tutto – ma io? resto col verbale, che non c’è stato nulla? E debbo sopportarmi che tutti, domani, vengano a dirmi in faccia, con occhi dolenti: – «Non è stato nulla, Ciampa; la signora ha scherzato!». (Con scatto improvviso:) Signor Delegato, qua, mi tasti il polso! (Gli porge il polso.)

        SPANÒ (stordito): Come? perché?

        CIAMPA: Mi tasti il polso. Dica se ci avverte un battito di più. Io dico qua, con la massima calma, testimonio lei, testimonii tutti, che questa sera stessa, o domani, appena mia moglie ritorna a casa, io con l’accetta le spacco la testa!

        (Subito:) E non ammazzo soltanto lei, perché forse farei un piacere, così, alla signora! Ammazzo anche lui, il signor cavaliere – per forza, signori miei! per forza!

        FIFÌ e SPANÒ (afferrandolo, mentre le tre donne gridano e piangono): Che è? che avete detto? Voi siete pazzo! Chi ammazzate?

        CIAMPA (pallido, stravolto, quasi sorridente): Tutti e due! Per forza! Non posso farne a meno! Non l’ho voluto io!

        FIFÌ: Voi non ammazzate nessuno, perché non ne avete né diritto né ragione! Ma se pure l’aveste, ci saremo qua noi a impedirvelo!

        SPANÒ: Ci sono io!

        CIAMPA: Signor Delegato, me l’impedisce oggi… –

        SPANÒ: – anche domani! –

        CIAMPA: – ma doman l’altro l’ammazzo! Lei sa come si dice da noi: – «Guaj a chi è morto nel cuore d’un altro!». – Io sono calmo, signor Delegato. Lei m’è testimonio che io non volevo questo. Mi ci hanno buttato in questo fosso! Con questo sfregio in faccia, davanti al paese – se lo scrivano bene in mente – io non resto!

        BEATRICE (insorgendo): Ma se ve lo dico io ora, se ve lo dico io, Ciampa, che non ne avete nessuna ragione?

        CIAMPA: Me lo dice ora, lei, signora? Lo riconosce ora, che non doveva met­tere a questo cimento un uomo? Troppo tardi, signora mia!

        FIFÌ: Ma, scusate, se lo riconosce lei stessa, che non c’è stato niente…

        CIAMPA: Codesto «niente», signor Fifì, lei, a me, non me lo deve dire!

        FIFÌ: Ma se lo scandalo è stato per una pazzia!

        ASSUNTA (incalzando): Per una pazzia, per una pazzia, Ciampa!

        SPANÒ (incalzando): Per una pazzia, ve lo confessa la stessa signora!

        FIFÌ (incalzando): Se ve lo dice lei! Ve lo confermiamo tutti! Una pazzia.

        TUTTI: Una pazzia! sì, una pazzia!

        CIAMPA (in mezzo a tutti che gridano: «una pazzia! una pazzia!», all’improv­viso, assorto in una idea che gli balena lì per lì, raggiante): Oh Dio! Oh che bellezza! Oh che bellezza! Signori, pacificamente! Oh che bellezza! Sissi­gnore., sissignori… Si può aggiustar tutto… pacificamente… Ah, che respiro! Mi metterei a ballare… a saltare… per il gran peso che mi son levato dal petto! Le mie mani… le mie mani possono restar pulite… pulite, e me le bacio! me le bacio! – Lei, signora, vada a prepararsi… Subito, subito!

        BEATRICE (trasecolata, come tutti gli altri): Io? Perché?

        CIAMPA: Dia ascolto a me, vada a prepararsi! Non perdiamo tempo! (Guarda l’orologio.) Ci arriva! ci arriva!

        BEATRICE: Ma perché? a che cosa arrivo?

        FIFÌ: Che dice?

        SPANÒ: Dove volete che arrivi la signora?

        CIAMPA: Ma sì! ma sì! Voi, Fana, e lei, signora Assunta, vadano, vadano ad ajutarla a mettere un po’ di biancheria, abiti, nella valigia! Facciamo presto, per carità! Non c’è tempo da perdere!

        BEATRICE: Ma insomma, perché? Debbo partire? Dove debbo andare? Vi ha dato di volta il cervello?

        CIAMPA: A me? Nossignora! Ha dato di volta a lei il cervello, signora mia! Scusi, l’ha riconosciuto • suo fratello Fifì, lo riconosce il Delegato; la sua mamma; lo riconosciamo tutti: e dunque lei è pazza! Pazza, e se ne va al ma­nicomio! È semplicissimo!

        FIFÌ: Come? Chi?

        ASSUNTA: Mia figlia? Che dite?

        BEATRICE: Al manicomio? io? io, al manicomio?

        CIAMPA: Lasciamo il manicomio! In una casa di salute, signora! Tre mesi. Vil­leggiatura.

        BEATRICE (indignata): Ma ci andrete voi, al manicomio! voi! Uscite fuori! fuori di casa mia! subito fuori!

        CIAMPA: Signora, dove mi manda? Badi che nel suo interesse io parlo!

        SPANÒ: Ma vi sembra che siano proposte da fare, codeste?

        FIFÌ: Dove siamo?

        CIAMPA: Anche lei, signor Fifì? Non comprende che questo è l’unico rimedio? Per lei stessa! Per il signor cavaliere! Per tutti! Non capisce che sua sorella ha svergognato anche il signor cavaliere, e che deve dare anche a lui una ri­parazione di fronte al paese? Si dice: – È pazza! – e non se ne parla più! – Si spiega tutto! – Pazza, pazza da chiudere e da legare! – E solo così io non ho più niente da vendicare! Mi disarma. Dico: – «È pazza! Posso più farmene d’una pazza?». E basta così! Il cavaliere non avrà più da mortificarsi, domani, comparendo tra i suoi amici; e la signora va a farsi tre mesi di villeggiatura! – Via, via, sbrighiamoci, che meglio di così non si potrebbe fare! Ma deve partire assolutamente questa sera stessa!

        FIFÌ: Sì, sì, è giusto! è giusto! (A Beatrice:) Capisci? È per finta!

        BEATRICE: Ma chi io? Tu sei pazzo! Io, al manicomio? Ma lo sente lei, mammà? al manicomio!

        ASSUNTA: Figlia mia, è per rimedio, non senti?

        SPANÒ: Per rimedio, signora! Sembra anche a me la risoluzione migliore! Pensi anche al signor cavaliere, signora…

        BEATRICE: Ma che dite? Volete davvero che passi per pazza davanti a tutto il paese?

        CIAMPA: Ma davanti a tutto il paese, lei, signora, non ha bollato con un mar­chio d’infamia tre persone? Uno, d’adulterio; un’altra, di sgualdrina; e me,di becco? Ah, lei vorrebbe dirlo soltanto d’aver commesso una pazzia? Non basta, signora! Deve dimostrare d’esser pazza – pazza davvero – da chiudere!

        BEATRICE: Pazzo da chiudere sarete voi !

        CIAMPA: Nossignora… Lei. Per il suo bene! E lo sappiamo tutti qua, che lei è pazza. E ora deve saperlo anche tutto il paese. Non ci vuole niente, sa, si­gnora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!

        BEATRICE (furente, convulsa): Ah, dunque voi lo sapete che io ho ragione, e che avevo ragione di far questo?

        CIAMPA: No. Ah, no! Volti la pagina, signora! Se lei volta la pagina, vi legge che non c’è più pazzo al mondo di chi crede d’aver ragione! – Via, vada! vada! si prenda questo piacere, di fare per tre mesi la pazza per davvero! Le par cosa da nulla? Fare il pazzo! Potessi farlo io, come piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua (indica la tempia sinistra col solito gesto) per davvero tutta la corda pazza, cacciarmi fino agli orecchi il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità. La cassa dell’uomo, signora, comporterebbe di vivere, non cento, ma duecent’anni! Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d’ingozzare, che c’infracidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora! il non potere aprire la valvola della pazzia! Lei, può aprirla: ringrazii Dio, si­gnora! Sarà la sua salute, per altri cent’anni! – Cominci, cominci a gridare!

        BEATRICE: Comincio a gridare?

        CIAMPA: Sì, ecco! Qua! in faccia a suo fratello! (Glielo spinge davanti.) Forza! in faccia al Delegato! (Glielo spinge davanti.) Forza! In faccia a me! E si persuada, signora, che solamente da pazza lei poteva pigliarsi il piacere di gridarmi in faccia: «Bèèè!».

        BEATRICE: E allora, sì: Bèèè!… ve lo grido in faccia, sì: bèèè! bèèè!

        FIFÌ (cercando di trattenerla): Beatrice!

        SPANÒ (cercando di trattenerla): Signora!

        ASSUNTA (cercando di trattenerla): Figlia mia!

        BEATRICE (con grida furibonde): No! Sono pazza? E debbo gridarglielo: Bèèè! bèèè! bèèè!

        CIAMPA (mentre tutti fanno per portar via Beatrice, che seguita a gridare come se fosse impazzita davvero): È pazza! – Ecco la prova: è pazza! Oh che bel­lezza! – Bisogna chiuderla! bisogna chiuderla!

        Balla dalla contentezza, battendo le mani. Momento dì gran confusione, anche perché alle grida sopravvengono i vicini e le vicine di casa Fiorica, con facce sbalordite, e chiedono a coro, più coi gestì che con le parole, che cosa sia accaduto. Ciampa, seguitando a batter le mani, festante, al colmo della gioja, e rispondendo ora all’una, ora all’altro: È pazza! È pazza!… Se la portano al manicomio! È pazza! E mentre tutti quei curiosi, spinti dolcemente ora dal Delegato, ora dal fra­tello, si ritirano commentando sotto sotto la disgrazia, si butta a sedere su una seggiola in mezzo alla scena, scoppiando in un’orribile risata, di rabbia, di selvaggio piacere e di disperazione a un tempo.

Tela

1917 – Il berretto a sonagli – Commedia in due atti
Premessa e articolo di Antonio Gramsci
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo

N’ Sicilianu A birritta cu’ i ciancianeddi

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