Legge Valter Zanardi.
«“Me l’ha fatta! Me l’ha fatta!”, si diceva intanto la donna tra i denti, stringendo i pugni e rodendosi dentro dalla rabbia. “Oh, ma l’hai da far con me, adesso! Vedrai.” – Come sta, come sta, signor curato? Quanto onore… quanto piacere…»
Prima pubblicazione: Cenerentola, giornale per fanciulli diretto da Luigi Capuana, 23 settembre 1894.
I galletti del bottajo
Legge Valter Zanardi
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Struggevasi la moglie del bottajo Màrchica dal desiderio di desinare una volta sola almeno, nelle feste, in compagnia del marito, il quale ogni anno, il primo dì e a Carnevale, a Pasqua, a Natale, era solito di raccogliere intorno alla sua tavola parenti e amici con vivo rincrescimento della moglie, anzi a suo marcio dispetto.
Aveva la buona donna quest’anno, per Natale, allevati due bei galletti; e mostrandoli al marito, la vigilia, disse:
– Guarda che bei galletti! Se mi dai parola, che dimani non inviterai nessuno a desinar con noi, io stirerò loro il collo, e vedrai come son brava in arte magirica! Avrai un manicaretto da re.
Il bottajo promise; e la moglie tutta contenta.
Venne la dimane, e il bottajo, vestito da festa, salutò la moglie prima d’andare a messa.
– No, marito mio; abbi pazienza; tu oggi non uscirai di casa. Son sicura, che se affacci il naso alla porta, mi tiri in casa qualcuno. Di messa, te ne basta una, quella di questa notte.
– Ma io ti prometto…
– Non sento promesse! Qua, a me, il berretto; oggi starà sotto chiave.
Il bottajo sospirò, e diede alla moglie il berretto. Seduto nella cucinetta, e rimirando la moglie più vispa del solito, accesa in volto dal calore del fuoco sotto la pentola, stretta la vitina da una veste nuova a fiorami, protetta dal mantile, egli pensava: «Ha ben ragione, la poverina! È così dolce star soli insieme, nell’intimità, senza visi estranei a tavola, che ti tengan sospeso, non abbia tu bene soddisfatti i loro gusti… È tanto carina mia moglie! Par ch’io me n’accorga soltanto oggi per la prima volta! E in fin dei conti, che chiede ella? Ha piacere di restar sola meco, di godersi la festa soltanto in mia compagnia… Oh, cara, cara!».
E internamente si riprometteva di mai più per l’avvenire fare scontenta la moglie con l’invitar nelle feste parenti o amici.
Ma il diavolo, anche quella volta, volle metterci la coda. La donna, nel comprar tutto l’occorrente pel manicaretto, la vigilia, s’era dimenticato il prezzemolo: due centesimi di prezzemolo.
– Ah, marito mio! e come si fa?
– Da’ a me; vo a comprartelo io.
– No, tu no! Tu oggi non esci di casa, ti ripeto.
– Eh via, sciocchina! Credi che… L’erbaiola è qui, a due passi…
– Inutile! Non sento ragioni…
– E allora, vacci tu.
– Io non posso, capisci? Come lasciare? Dio mio! Senti; io sto qui sulla porta a guardarti; andrai senza berretto, lì di faccia: due centesimi di prezzemolo.
– Un lampo, lascia fare! Vo e torno.
– Bada!
– Non dubitare…
Ma appena a cinque passi dalla soglia, paffete! il vecchio curato del villaggio vicino, dove il bottajo Màrchica aveva dimorato tre anni.
– Oh, signor curato! Beati gli occhi che la vedono! E come va? Da queste parti?
– Affarucci, affarucci, – rispose il vecchio curato sorridendo, con gli occhi che gli scomparivano tra le rughe.
– Evviva veramente! Come va? Come va? Che si dice a Montedoro?
– Eh! Che s’ha da dire? Tanto bene, figlio mio. Il mondo è vecchio…
E il buon curato si fregava le mani secche, tremanti, fatte davvero per regger l’Ostia soltanto.
– Lei, lo vedo, – rispose il bottajo; – sempre in salute, Dio la benedica! Oh, anch’io, sì; ringraziamo Iddio! E lavoro, non me ne manca… Sissignore… Vo a comprar due centesimi di prezzemolo per mia moglie… Anche lei, benone! E si ricorda sempre del suo vecchio curato, sa? «Quel buon curato!» mi dice sempre. Mia moglie, chiesa e casa – già lei lo sa. Oggi mi prepara un pranzettino proprio coi fiocchi e, a tavola, noi due soli – io, qua, lei, là!… Ma… e dove desina lei oggi, signor curato? Certo mia moglie avrà tanto piacere di rivederla… Mi vuol fare un favore? Non mi dica di no.
– Pronto, figlio mio, se posso…
– Deve desinar con noi oggi, pel Santo Natale…
– Non posso, figlio mio…
– Come, non può? Sdegna la casa dei poveri! Lo so, cose da poverelli… due galletti, e lì…
– Non è per questo, figlio mio; tu mi conosci. Devo ripartire a momenti.
– Ripartirà più tardi !
– L’asinelio m’aspetta al fondaco…
– Lo lasci aspettare; si riposerà meglio… Non lo lascio partire, ecco! Mi deve fare questo favore. Sì?
– Giacché lo vuoi per forza… Tante grazie, figlio mio…
– Grazie a lei, signor curato, dell’onore… Entri, entri in casa… Guardi: quella porta lì di faccia… C’è mia moglie, guardi, sulla soglia… Io vo e torno: due centesimi di prezzemolo…
Il vecchio curato sorrise, guardando la moglie del bottajo, e la salutò con la mano, avvicinandosi alla porta.
«Me l’ha fatta! Me l’ha fatta!», si diceva intanto la donna tra i denti, stringendo i pugni e rodendosi dentro dalla rabbia. «Oh, ma l’hai da far con me, adesso! Vedrai.» – Come sta, come sta, signor curato? Quanto onore… quanto piacere…
– Vostro marito ha voluto per forza così… Non mi son potuto rifiutare…
– Ah, padre mio! – sospirò la moglie del bottajo, atteggiando di grave mestizia il volto.
– Che avete, figliuola mia? – domandò il curato sorpreso.
– Le dirò, le dirò, signor curato… Aspetti un momento. Entrò il bottajo, sorridente, col prezzemolo.
– Ecco il prezzemolo! Vedi, moglie mia? Il tuo buon curato! Chi poteva aspettarselo? Ed ha avuto tanta degnazione d’accettare il nostro umile invito… Già gliel’ho detto: cose da poverelli… Ma che fa, è vero? supplisce il buon cuore…
– Certo, certo…
– Sa, signor curato? Mia moglie mi aveva detto: Oggi, nessun invitato… E io, difatti… Ma poi ho visto lei, e per lei son sicuro che… È vero, moglie mia?
– Senza dubbio, senza dubbio, – rispose la moglie con le labbra strette. – Piuttosto, ora che ci penso… e il vino? Mi son dimenticata anche del vino… Guarda, che testa. Farai un’altra corsa tu, è vero, marito mio? Abbi pazienza…
– Ma certo, subito! Dammi il berretto, dammi.
– Ecco il berretto. Una corsa, mi raccomando!
– Non dubitare.
Appena uscito il marito, disse la donna al curato:
– Ah, padre mio! Fortuna che s’è lasciato indurre ad andar pel vino!
– Perché, perché, figliuola mia?
– Ah, se sapesse, signor curato! Vino in casa ce n’avevo d’avanzo; ho detto di non averne per carità cristiana…
– Come!
– Per salvar lei, padre mio! – Me?
– Sissignore! Non sa dunque nulla? Non sa che mio marito… E fece un gesto espressivo con la mano.
Il povero curato fece, alla sua volta, una faccia lunga due palmi:
– Matto, dite? Matto? Come mai! Povero ragazzo! – e batté una mano con l’altra. – E come mai!
– Sissignore! Sissignore! – incalzò la donna. – Io non ho più lacrime da piangere in segreto, padre mio! (e intanto piangeva). Quante lacrime, quest’occhi! E se sapesse che sorta di pazzia gli è venuta! Non può veder gli occhi della gente, che subito gli vien voglia di strapparli… sissignore!
– Gesù, che guaio! Gesù, che guaio! – nicchiava con la lingua inaridita il povero curato.
– Ah, padre mio! Io parlo per suo bene… S’immagini che onore per me, che piacere averla a tavola, oggi… Guardi: prenda i due galletti, uno almeno, non me lo rifiuti! Glieli avvolgo in un giornale, va bene? E se li porterà con sé. Ma non rimanga, per carità, se ha cara la vista, a desinar con noi! Sa, il povero pazzo? Invita la gente in casa, poi mette le spranghe alla porta e, a fin di tavola, vuole strappar gli occhi agl’invitati… Se vedesse, ogni volta, che lotta disperata! Adesso in paese si sa di questa pazzia e nessuno più accetta inviti da lui. Il buon curato non pigliava quasi più fiato dalla paura e balbettava:
– E.,, e non m’era parso! Non m’era parso!
Quando la donna terminò di parlare, egli, non ostante la grave età, balzò da sedere e, ravvoltosi nel tabarro, calcatosi sulla fronte il cappello:
– Grazie, figliuola mia, grazie! – disse. – Lasciatemene andar via subito… Grazie, veramente… Vi devo la vita…
– Prenda i galletti, mi faccia il favore!
– No, niente! Che galletti, cara figliuola! Oh, povero ragazzo! Il Signore v’assista, povera figliuola! Addio, addio… e grazie di nuovo…
La donna lo lasciò partire.
– Oh, e questo è fatto! – esclamò.
Si recò in cucina, trasse dalla pentola i due galletti, e li nascose.
– Adesso a noi, signor marito!
Il bottajo rincasò con un buon fiasco di vino, tutto ansante, trafelato. Trovò la moglie, in cucina, in pianto dirotto, coi capelli disfatti.
– Che t’è avvenuto?
– Ah se sapessi! Ah prete cane! – piangeva la moglie.
– Il curato? Dov’è? Che t’è avvenuto?
– Metterai senno, ora? Mi porterai ancora gente in casa? Vedi che m’ha fatto il tuo signor curato? Vedi che m’ha fatto?
– Che t’ha fatto?
– Ah mamma mia! Madruccia mia, tu non hai certo sospettato che l’uomo al quale m’affidavi m’avrebbe un giorno lasciata così esposta alla discrezione della mala gente! – continuava a piangere inconsolabilmente la donna.
– Insomma, posso sapere che t’è avvenuto? – Che?
La moglie, calcolando che il buon curato a quell’ora, spinto dalla paura, su asinello, doveva esser già a bastanza lontano dal paese, si levò da sedere in gran furore:
– Che m’è avvenuto? il tuo buon curato, capisci? Il tuo buon curato mi s’è cacciato in cucina e… guarda, guarda lì, la pentola! Vedi? Non c’è più nulla…
– Rubato? – fece con tanto d’occhi il bottajo.
– Tutti e due i galletti!
– Ah birbante! Dici davvero? Possibile? Ah birbante! E dov’è? Dov’è? Per dove è andato via?
– Io non lo so! Non l’ho veduto…
– Ah, prete ladro! Ah, vecchia volpe! Lasciami! Vo’ corrergli dietro! E se lo raggiungo… se lo raggiungo… Lasciami!
– Sì, brutto smargiasso! Mettiti con un vecchio, adesso…
– M’ha rubato!
– Per colpa tua! Pigliatela con te stesso invece! E ti serva per esempio, ti serva!
– No, così non m’accontento… Lasciami, lasciami… ti dico, lasciami…
E scioltosi a forza dalle braccia della moglie, si mise a correre furiosamente per lo stradone che conduce a Montedoro.
Tutto impolverato, stanco da non poterne più, dopo aver percorso buon tratto dello stradone fuori del paese, vide in fondo, lontano lontano, il vecchio curato che trotterellava sull’asinello, tra un nuvolo di polvere. Raccolse allora tutte le forze che gli restavano, e si mise a gridare:
– Signor curato! O signor curato!
Il vecchio curato si voltò dal fondo dello stradone a guardare di su l’asinello che trottava, trottava…
E il bottajo dal fondo dello stradone, a gran voce:
– Almeno uno, signor curato! Me ne dia almeno uno!
– Caro, to’ ! Almeno un occhio, dice! Addio, caro! Addio, caro! E botte da orbo all’asinello.
– Almeno uno! Almeno uno! – continuava a gridare il povero bottajo rifinito dalla corsa.
Nel frattempo la moglie, in cucina, si spolpava comodamente i due saporitissimi galletti.
I galletti del bottajo – Audio lettura 1 – Legge Gaetano Marino
I galletti del bottajo – Audio lettura 2 – Legge Valter Zanardi
I galletti del bottajo – Audio lettura 3 – Legge Giuseppe Tizza
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