Di Giuseppe Pesce.
Nel corso del Novecento il repertorio pirandelliano ha offerto un importante punto di riferimento, sia per gli autori di cinema che televisivi: dai drammi teatrali, divenuti film e sceneggiati, alle tante novelle che si prestarono, fin da subito, a trasformarsi in un vasto e vario campionario di “soggetti” da sviluppare.
Grande cinema Pirandello
Appunti per una filmografia
Pur non essendo uno specialista di Pirandello, ed esistendo già al riguardo una bibliografia critica, ho pensato di raccogliere questo veloce ma puntuale excursus sulla filmografia del grande autore siciliano, soprattutto come piccolo strumento a disposizione di studenti e studiosi alle prese con un primo approccio con l’argomento. Si tratta di un quadro aggiornato di “appunti per una filmografia”, integrati (forse per la prima volta) da una serie di riferimenti – attinti alle Teche RAI – alle messe in onda televisive di sceneggiati e produzioni legate a Pirandello.
Nel corso del Novecento il repertorio pirandelliano ha offerto infatti un importante punto di riferimento, sia per gli autori di cinema che televisivi: dai drammi teatrali, divenuti film e sceneggiati, alle tante novelle che si prestarono, fin da subito, a trasformarsi in un vasto e vario campionario di “soggetti” da sviluppare. Ma quello di Pirandello col cinema fu un rapporto complesso, ambiguo e conflittuale. E anche i risultati degli adattamenti e dei lavori ispirati alle sue opere non sempre sono riusciti; anzi, forse raramente hanno prodotto prove veramente felici. Ma tra visioni d’autore, prove d’attore e di regia, cinema e televisione, quella della filmografia di Pirandello è un’avventura che vale tuttavia la pena di ripercorrere. Questo breve saggio riprende la relazione al convegno Il mondo fantastico di Luigi Pirandello organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, e svoltosi nella suggestiva cornice di Villa Orlandi – centro congressi dell’ateneo – a Capri, il 28 settembre 2018. Giuseppe Pesce Giuseppe Pesce (Napoli, 1977), giornalista e autore attento alla storia, ha curato numerose pubblicazioni ed è stato documentarista de “La Storia siamo noi” (RAI). |
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Il rapporto tra Pirandello e il cinema fu complesso, ambiguo e conflittuale. [1] Il suo primo giudizio fu spietato. Temeva che il pubblico abbandonasse i teatri per vedere “larve evanescenti” proiettate su uno schermo da fredde macchine. Ma in pochi anni ebbe un ripensamento: «L’avvenire dell’arte drammatica – scrisse a Marta Abba nel 1930 – e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d’arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto». [2]
[1] Per un inquadramento del rapporto di Pirandello col cinema sono fondamentali i contributi raccolti in *Pirandello e il cinema [Atti del Convegno internazionale, 1977], a cura di Enzo Lauretta, Agrigento, Centro Nazionale di studi pirandelliani, 1978; Nino Genovese, Sebastiano Gesù (a cura di), La musa inquietante di Pirandello: Il cinema, 2 voll., Acireale, Bonanno, 1990; Francesco Càllari, Pirandello e il cinema: Con una raccolta completa degli scritti teorici e creativi, Venezia, Marsilio, 1991; e il più aggiornato Enzo Lauretta (a cura di), Il Cinema e Pirandello, Agrigento, Centro nazionale di studi pirandelliani, 2003.
[2] Lettera del 27 maggio 1930 in Luigi Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura di Benito Ortolani, Milano, Mondadori, 1995, p. 194.
Nel corso del Novecento il repertorio pirandelliano ha offerto un importante punto di riferimento, sia per gli autori di cinema che televisivi: dai drammi teatrali, divenuti film e sceneggiati, alle tante novelle che si prestarono, fin da subito, a trasformarsi in un vasto e vario campionario di “soggetti” da sviluppare.
Scrittore e drammaturgo già di successo, Pirandello si avvicinò con grande curiosità alla nuova “narrazione per immagini” offerta dal cinema, col romanzo Si gira del 1916, ripubblicato poi col titolo definitivo di Quaderni di Serafino Gubbio operatore. [3]
[3] Luigi Pirandello, Si gira…, Milano, F.lli Treves, 1916; poi id. Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, R. Bemporad & Figlio; e Milano, A. Mondadori, 1925.
È la storia di un cineoperatore – Serafino Gubbio, soprannominato Si gira – che appunta in un diario gli avvenimenti del suo ambiente lavorativo, soffermandosi in particolare su un’attrice russa, Varia Nestoroff grande e fredda seduttrice di uomini, che paragona a una tigre. Ma il romanzo si concentra soprattutto sul rapporto tra l’uomo e la macchina (in questo caso, la macchina da presa) e sull’alienazione che produce il lavoro moderno. «Finii d’esser Gubbio e diventai una mano», scrive a un certo punto Serafino riferendosi al suo lavoro di operatore. Fino al punto da registrare con meccanica freddezza – divenendo muto per lo shock – la terribile scena di un attore che uccide la Nestoroff e a sua volta finisce sbranato dalla tigre a cui avrebbe dovuto sparare. A parte la polemica contro l’illusorio progresso della tecnologia (che per Pirandello non fa altro che mercificare la vita e la natura) e la velocità dei tempi moderni che non lasciano tempo alla riflessione critica, attraverso i racconti di Serafino emerge uno spaccato abbastanza degradato dell’ambiente della produzione cinematografica, tra volgari interessi di profitto e una nuova e fredda generazione attoriale che ha smarrito i supremi valori dell’Arte.
Nonostante queste fosche considerazioni, in realtà Pirandello si avvicinò molto presto e con grande curiosità al mondo cinematografico. Già nel 1913, infatti, scrisse un soggetto – destinato al famoso attore siciliano Giovanni Grasso – per la Morgana Film del suo amico e conterraneo Nino Martoglio, che non fu tuttavia realizzato per la chiusura della casa produttrice. Nel 1915 si impegnò a scrivere una sceneggiatura basata sulle Confessioni di un ottuagenario di Ippolito Nievo, finita nel dimenticatoio. Nel 1918 assistette l’amico Lucio D’Ambra, suggerendo scene ed episodi per il film Papà mio, mi piaccion tutti!; e l’anno seguente provò (ma senza grandi risultati) ad aiutare Arnaldo Frateili impegnato nel tentativo disperato di scrivere il soggetto di Pantera di neve, disastroso film della Tespi Film realizzato in Africa. [4]
[4] Cfr Giulio Cesare Castello, Filmografia ragionata di Luigi Pirandello, Allegato a «Cinema», VII (1954), n. 135 (10 giugno), che è la prima dettagliata rassegna sulla filmografia pirandelliana; mentre un più recente studio è stato curato da Sergio Micheli, Pirandello in cinema: Da «Acciaio» a «Káos», Roma, Bulzoni, 1989.
Nell’ultimo decennio del cinema muto (1920-1930) furono realizzate otto pellicole dalle opere di Pirandello. Le prime due, seppure lavorate nei mesi precedenti, uscirono ai primi del 1920. Il crollo di Mario Gargiulo, direttore artistico della Flegrea Film di Roma, interpretato dalla moglie Tina Xeo e da Alberto Francis, era un adattamento di Lumìe di Sicilia (atto unico che nel 1910 aveva già segnato l’esordio teatrale di Pirandello). [5] Per la stessa produzione Ugo Gracci realizzò invece Il lume dell’altra casa – storia di un tradimento che costa carissimo a un madre, allontanandola dalla famiglia – interpretato da Margot Pellegrinetti e tratto dall’omonima novella. [6] A novembre, dopo qualche controversia con la censura (per il tragico epilogo che vede una canzonettista tradita sparare al suo amante) ebbe il “visto” Lo scaldino, interpretato stavolta da Kally Sambucini, con la regia di Augusto Genina, lodato dalla critica per essere riuscito a ringiovanire una novella vecchia e «trita». [7]
[5] Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano: I film del dopoguerra, 1920, [Coll. «B&N Rivista del Centro sperimentale di cinematografia», Roma], Torino, Rai-Nuova Eri, 1995, pp. 84-85; e id., Il cinema muto italiano: I film degli anni venti, 1921, id., 1996, p. 270.
[6] id., Il cinema muto italiano: I film del dopoguerra, 1920, cit., pp. 190-192.
[7] Ivi, pp. 316-318.
Mentre queste prime tre pellicole erano fondamentalmente incentrate su storie abbastanza semplici di delusioni, amanti e tradimenti, l’anno seguente Stefano Pirandello riprese una novella del padre più “psicologica”: La rosa – su una bella telegrafista che sconvolge e delude gli uomini di un paesino – traendone la sceneggiatura per un film diretto da Arnaldo Frateili e interpretato da Olimpia Barroero. Maria Jacobini e Carlo Benetti, invece, furono i protagonisti de Il viaggio, amara storia dell’amore impossibile di una donna per suo cognato, diretta da Gennaro Righelli. [8] E sempre nello stesso anno Augusto Camerini trasse un film dalla commedia Ma non è una cosa seria – storia del matrimonio “di comodo” di un allegro e spensierato conquistatore di donne – che aveva conosciuto già il successo a teatro con la compagnia di Emma Gramatica. [9]
[8] Il crollo, dir. Mario Gargiulo (Italia, 1920); Il lume dell’altra casa, dir. Ugo Gracci (Italia, 1920); Lo scaldino, dir. Augusto Genina (Italia, 1920); La Rosa, dir. Arnaldo Frateili (Italia, 1921), Il viaggio, dir. Gennaro Righelli (Italia, 1921).
[9] Ma non è una cosa seria, dir. Augusto Camerini (Italia, 1921); Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano: I film degli anni venti, 1921, cit., p. 185.
Nel 1925 uscì in Francia una pellicola destinata a rimanere una pietra miliare nella filmografia pirandelliana: Le feu Mathias Pascal di Marcel L’Herbier, tratto ovviamente dall’omonimo romanzo, e interpretato da Ivan Mosjoukine, attore russo emigrato a Parigi.
Il regista lavorò con una certa libertà, tra trucchi pittoreschi, angoli di riprese “spirituali”, sequenze di sogno su fondo nero; mettendo in evidenza, con grande virtuosismo, il personaggio di Mathias Mosjoukine con stili, di volta in volta, sempre diversi. Il film – che dura quasi tre ore – alterna le estrose scenografie degli interni agli esterni girati in varie location, tra cui il caratteristico borgo di San Gimignano. La felice interpretazione del regista e del protagonista molto devono, certamente, alla storia “forte” del soggetto; ma il film costruì anche una particolare alchimia, dando per molti un “volto” al personaggio di Mattia Pascal. Leonardo Sciascia, che lo vide da ragazzino, andò a cercare il libro proprio per l’impressione suscitata dall’interpretazione di Ivan Mosjoukine, a cui dedicò poi persino un saggio. [10]
[10] Le feu Mathias Pascal, dir. Marcel L’Herbier (Francia, 1925). Nel 1979 Leonardo Sciascia rivide il film presso gli Archives du cinéma di Bercy e vi dedicò il saggio Leonardo sciascia, Il volto sulla maschera: Mosjoukine, Mattia Pascal, Milano, Mondadori, 1980. Una versione VHS uscì nella collana «Il grande cinema», Mondadori Video, Segrate, 1992. La pellicola conservata presso la Cinémathèque française è stata restaurata nel 2009 dal laboratorio “L’immagine ritrovata” della Cineteca di Bologna, con l’aggiunta delle musiche di Timothy Brock.
Scarsamente conosciuto, persino dai critici, rimase a lungo invece il film Die flucht in die nacht (Il volo nella notte), prima trasposizione dell’Enrico IV, diretta da Amleto Palermi, emigrato in Germania; realizzato nel 1926, fu un dignitoso tentativo di adattamento, tenuto conto dell’impossibilità di tradurre in immagini, senza dialoghi, il dramma pirandelliano, tutto psicologico, affidato ai primi piani del volto scavato di Conrad Veidt, nella parte del protagonista. [11]
[11] Die Flucht in die Nacht, dir. Amleto Palermi (Germania, 1926).
Nel 1929 comparve in Germania anche una sceneggiatura di Sechs personen suchen einen autor (Sei personaggi in cerca d’autore), adattamento della già famosa “commedia da fare” del 1921, scritto con Adolf Lantz, per un progetto cinematografico mai realizzato. [12]
[12] Luigi Pirandello – Adolf Lantz, Sechs personen suchen einen autor: Film-novelle, Berlino, Verlag von Reimar Hobbing, 1930; una trad. francese di E. Goldey fu pubblicata in «La Revue du Cinéma», II (1930), n. 10 (1 maggio); mentre in italiano comparve il prologo in «Cinema», VI (1941), fasc. 120 (25 giugno) e molto più recentemente la trad. di Michele Cometa, Sei personaggi in cerca d’autore: Novella cinematografica, Bellinzona, Casagrande, 2017.
Pirandello ridusse i personaggi e diede un rilievo diverso e maggiore ai protagonisti; secondo un’intervista del 1932, era anche in trattative con la Metro Goldwyn Mayer e lui stesso avrebbe partecipato al film, interpretando la parte (appositamente aggiunta) dell’autore. Aveva inoltre ceduto all’americana Universal i diritti di riduzione di Come prima, meglio di prima (che sarebbe stata realizzata ben tredici anni dopo) e quelli de La nuova colonia a una produzione tedesca, per un progetto che però non andò avanti. Così come non si seppe più nulla di un soggetto originale inedito intitolato Amor sacro, ceduto alla London International Pictures, per un film con Anna May Wong (progetti a cui lavorava certamente col figlio Stefano). [13]
[13] E. Roma, Pirandello e il cinema, «Comoedia», XIV (1932), n. 7 (lug-ago), pp. 19-22. L’ultimo soggetto, tratto dalla novella Ignare, faceva parte di un progetto a quattro mani avviato con il figlio Stefano, che prevedeva ben 8 sceneggiature diverse (quella per la May Wong si intitolava Vergine Madre): Cfr Nina Da Vinci Nichols, Pirandello and Film, University of Nebraska Press, Lincoln, 1995, p. XXI (dalla cronologia del documentato saggio emergono diversi altri accordi con produzioni americane ed europee).
A Pirandello è legato il primo film sonoro italiano: La canzone dell’amore di Gennaro Righelli – tratto dalla novella In silenzio – con Dria Paola e Isa Pola. Prima produzione della neonata Cines, fu proiettato il 7 ottobre 1930 al Supercinema di Roma, conquistando una certa popolarità per la colonna sonora, con la canzone Solo per te, Lucia. Dal melodrammatico soggetto, l’anno seguente Righelli realizzò anche una nuova versione tedesca del film – Liebeslied – interpretata da Constantin J. David. [14]
[14] La canzone dell’amore, dir. Gennaro Righelli (Italia, 1930); Liebeslied, dir. Gennaro Righelli (Germania, 1931); vedi in particolare Vincenzo Buccheri, Stile Cines: Studi sul cinema italiano 1930-1934, Collana «Quaderni dello STARS» (Univ. Cattolica), Milano, Vita e Pensiero, 2004, pp. 40-47.
Nel 1932 la Metro Goldwyn Mayer produsse poi As you desire me, interpretato da Greta Garbo, tratto dalla commedia Come tu mi vuoi. Com’era prevedibile, il film (riambientato a Budapest e diretto da George Fitzmaurice) sacrificò l’approfondimento psicologico dei personaggi – l’ambiguo rapporto tra una ballerina tedesca e un ex ufficiale italiano – all’artificiosa ambientazione hollywoodiana. [15]
[15] As you desire me, dir. George Fitzmaurice (Usa, 1932); vedi in particolare il paragrafo dedicatogli in Wendy Doniger, The woman who pretended to be who she was: Myths of self-imitation, New York, Oxford University Press, 2005.
Nel 1933, nell’ambito di un tentativo di apertura internazionale della Cines diretta da Emilio Cecchi, uscì Acciaio di Walter Ruttmann; un film che, oltre a essere l’unica pellicola di fiction del regista-documentarista tedesco, è anche l’unico tratto da un soggetto originale di Luigi Pirandello. Il soggetto – o meglio lo “scenario” come si diceva all’epoca – fu pubblicato col titolo Giuoca Pietro! e vi partecipò anche il figlio Stefano (che potrebbe esserne il vero autore), mentre alla sceneggiatura lavorarono Cecchi e Mario Soldati. Il film, interpretato da Isa Pola, Piero Pastore e Romolo Costa, non ebbe successo e fu bollato dalla critica come «fascista». Il regista fu rimproverato di aver sminuito la vicenda drammatica – un triangolo amoroso abbastanza banale – insistendo piuttosto sulle lunghe riprese “sinfoniche” della lavorazione dell’acciaio, delle macchine, delle cascate. Il film, infatti, era ambientato nelle Acciaierie di Terni, e sarà recuperato solo più tardi dalla critica per il coraggio con cui mostrava per la prima volta ariosi esterni naturali, l’impiego degli operai come interpreti occasionali; nonché certi spaccati di vita popolare – la festa di paese, la corsa ciclistica – in un racconto costruito, purtroppo, complessivamente male. [16]
[16] Acciaio, dir. Walter Ruttmann (Italia, 1933); Cfr Vincenzo Buccheri, Stile Cines: Studi sul cinema italiano 1930-1934, cit., pp. 57-63. Vedi inoltre Claudio Camerini (a cura di), Acciaio: Un film degli anni Trenta, pagine inedite di una storia italiana, Torino, Nuova Eri, 1990; e sulle musiche Gian Francesco Malipiero, Retroscena di Acciaio: indagine su un’esperienza cinematografica, Firenze, L. S. Olschki, 1993.
Nel 1936 Mario Camerini riprese Ma non è una cosa seria (a cui il fratello Augusto aveva dedicato una pellicola muta nel ’21) scegliendo come protagonista – nel ruolo del libertino Memmo Speranza – Vittorio De Sica, attore già d’un certo successo (che aveva da poco lanciato la famosa canzone Parlami d’amore Mariù); il film fu in generale bene accolto, anche se qualcuno osservò la «differenza spirituale» tra Pirandello e Camerini, che con la sua tendenza borghese comico-sentimentale riduceva i paradossi pirandelliani, spogliandoli di ogni problematicità. Due anni più tardi, lo stesso regista realizzò anche una versione tedesca del film, interpretata da Karl Ludwig Diehl. [17]
[17] Ma non è una cosa seria, dir. Mario Camerini (Italia, 1936); Cfr le recensioni di Filippo Sacchi, «Corriere della Sera», 12 aprile 1936; e D.S., «L’Italia Letteraria», VIII (1936), n. 10 (29 marzo). La versione tedesca è Der Mann, der nicht nein sagen kann [L’uomo che non sa dire di no], dir. Mario Camerini (Italia, 1936). La canzone Parlami d’amore Mariù era stata lanciata ne Gli uomini, che mascalzoni…, dir. Mario Camerini (Italia, 1932).
Gennaro Righelli, invece, sempre nel 1936 con Pensaci, Giacomino! realizzò un freddo ma pulito adattamento dell’omonimo testo teatrale (storia del singolare matrimonio “riparatore” tra un vecchio professore e la figlia del suo bidello, rimasta incinta di un giovanotto borghese), lasciando soprattutto un’eccezionale testimonianza della colorata e umana recitazione di Angelo Musco, chiamato a interpretare – insieme a Dria Paola – l’opera che lui stesso aveva portato in scena (originariamente in siciliano) nel 1916. [18]
[18] Pensaci, Giacomino!, dir. Gennaro Righelli (Italia, 1936).
Nel 1937 uscì una nuova versione cinematografica de Il fu Mattia Pascal – dopo quella muta del ’25 – diretta dal regista francese Pierre Chenal e girata tra Roma (Villa York) e altre località del Lazio. Realizzato nel corso dell’anno precedente, il film fu presentato in Francia col titolo L’homme de nulle part e in America come Feu Mathias Pascal. Nello stesso periodo Chenal realizzò anche una versione italiana, con gli stessi attori protagonisti Pierre Blanchar (Mattia Pascal) e Isa Miranda (Luisa, Adriana nel romanzo), ma con un differente cast (in cui c’era anche Irma Gramatica), alla cui lavorazione – in particolare per i dialoghi – partecipò lo stesso Luigi Pirandello, fino alla malattia polmonare che lo portò alla morte nel dicembre del 1936. [19]
[19] L’homme de nulle part [Feu Mathias Pascal], dir. Pierre Chenal (Italia-Francia, 1937); Il fu Mattia Pascal, dir. Pierre Chenal (Italia, 1937).
Aggiustando il tiro della strategia internazionale già seguita da Cecchi alla Cines (con Acciaio), la co-produzione italo-francese puntò su Chenal, che aveva già realizzato film tratti da romanzi, portando sul grande schermo nel 1935 Delitto e castigo (Crime a chatiment, tra l’altro con lo stesso attore protagonista Pierre Blanchar).
L’impostazione scelta dal regista fu molto diversa, realistica e umana, rispetto alla precedente versione, estrosa e “spiritata”, di Marcel L’Herbier. Proponendo un’onesta, quanto schematica, illustrazione del romanzo, Chenal si concesse qualche variazione (trasformò Papiano in un conte, cambiò il nome di Adriana in Luisa), ma soprattutto un criticatissimo finale “commerciale” – autorizzato tuttavia dallo stesso Pirandello – modificando la conclusione della storia col lieto fine di un matrimonio tra Adriano Meis (alter-ego di Mattia Pascal) e Luisa.
Alle vigilia della Seconda guerra mondiale, dopo una tormentata vicenda di produzione, uscì il film Terra di nessuno, [20] diretto da Mario Baffico e interpretato da Mario Ferrari e Laura Solari.
[20] Terra di nessuno, dir. Mario Baffico (Italia, 1939).
Il soggetto iniziale – tratto dalle novelle Requiem aeterna dona eis Domine! e Romolo – era stato affidato da Luigi Pirandello al figlio Stefano, e si intitolava Dove Romolo edificò. Stefano (che si firmava Landi) lavorò poi alla sceneggiatura con Corrado Alvaro, aggiungendo una serie di elementi, tra cui la rivolta contadina. La storia, infatti, è quella di una comunità di contadini che occupa un latifondo abbandonato; anche se il cuore della vicenda ruota intorno al “fondatore” della borgata (Pietro, di ritorno dall’America) e alla morte di sua figlia – proprio nel corso della rivolta – che aveva sposato il figlio dei proprietari terrieri che rivendicavano la “terra di nessuno”. Per la forte tematica di scontro sociale, ma soprattutto per le allusioni ai potenti latifondisti siciliani (contro i quali il primo fascismo aveva promesso la rivoluzione, ma coi quali poi si era accordato), la censura intralciò la produzione del film. Dopo la scomparsa di Pirandello, nel 1937 furono bloccati i finanziamenti inizialmente accordati; e lo stesso Corrado Alvaro fu costretto a smentire che si trattasse di un film a sfondo politico, e che i problemi sociali denunciati erano in realtà superati. Ovviamente non era vero, e lo sapevano anche le autorità fasciste che – considerata anche la celebrità di Pirandello, da poco scomparso – non poterono far altro, seppur senza alcuna simpatia, che portare comunque a compimento il progetto. Il film fu subito definito «coraggioso», non solo per la storia, ma anche perché mostrava ampi spazi aperti, e ambientazione e personaggi ricordavano un po’ i western americani. E in America finì anche la pellicola: ritenuta perduta nel secondo dopoguerra, fu infatti ritrovata presso la Library of Congress di Washington e tornò in Italia solo nel 1981.
L’avvento della guerra stroncò il progetto cinematografico, già in avanzata fase di elaborazione, di un film tratto dal romanzo L’esclusa, alla cui sceneggiatura lavorò Sergio Amidei su incarico di Cines e Universalcine. [21]
[21] Giulio Cesare Castello, Filmografia ragionata di Luigi Pirandello, cit., p. 14.
Tra la fine del 1943 e i primi del ’44 uscì però l’Enrico IV di Giorgio Pastina. [22]
[22] Enrico IV, dir. Giorgio Pastina (Italia, 1943).
All’adattamento dell’omonimo dramma – che ne risultò abbastanza semplificato – parteciparono anche Stefano Pirandello e Vitaliano Brancati. Interprete principale fu Osvaldo Valenti, uno degli attori più ricercati e pagati del momento, che il regista seppe valorizzare attraverso un abile gioco di primi piani, ma doppiato (a causa della voce e della dizione) da Augusto Marcacci, a sua volta doppiato poiché recitava anche lui nella pellicola. Nella riduzione cinematografica, l’antefatto assunse una lunghezza sproporzionata, fino a coprire quasi metà del racconto; con la conseguenza che fu necessario dare un nome e cognome (Carlo di Nolli) al protagonista, che invece nel dramma è conosciuto solo come Enrico IV, il personaggio che crede appunto di essere. Il film passò perlopiù inosservato, poiché fu proiettato solo nell’Italia settentrionale occupata dai tedeschi (e lo stesso attore protagonista andò incontro a un tragico destino). [23] Nell’immediato dopoguerra, pare che la London Film acquistò i diritti per un rifacimento del film, che sarebbe stato diretto e interpretato da Orson Welles, ma il progetto non ebbe seguito. [24]
[23] Osvaldo Valenti, arruolatosi poco dopo l’uscita del film nella X MAS, fu fucilato nel 1945 dai partigiani.
[24] Luigi Freddi, Il cinema, vol. II, Roma, L’Arnia, 1949, p. 413.
Alla fine della guerra uscì però in America This love of ours (Questo nostro amore) di William Dieterle, tratto dalla commedia Come prima, meglio di prima e interpretato da Merle Oberon e Claude Rains. [25]
Il film fu presentato alla Manifestazione Internazionale d’Arte Cinematografica che nel 1946 sostituì la Mostra di Venezia, e ai critici diede l’impressione di «una commedia di Pirandello che gli americani hanno ridotto alle proporzioni di Liala». [26]
[25] This love of ours, dir. William Mieterle (Usa, 1945).
[26] Glauco Viazzi, Cinema a Venezia. I film, «Sipario», I (1946), n. 6 (ottobre).
La travagliata storia del difficile rapporto di una donna (passata per dal tentativo di suicidio a quello di costruirsi una seconda vita) con sua figlia veniva infatti spogliata di ogni vigore, trattato con superficialità hollywoodiana, fino al convenzionale lieto fine di rappacificazione tra madre e figlia.
In Italia bisognò spettare il 1952, quando in un episodio del film collettivo Altri tempi diretto da Alessandro Blasetti, Amedeo Nazzari interpretò La morsa, tratto dall’«epilogo in un atto» della relazione tra due amanti, stretti nella morsa di accuse del marito di lei. [27]
[27] Altri tempi Zibaldone n. 1, dir. Alessandro Blasetti (Italia, 1952).
L’anno seguente uscì L’uomo, la bestia e la virtù di Steno, con Orson Welles e Totò. Girato a Cetara, sulla costiera amalfitana, raccontava l’ambiguo tresca di un maestro con la moglie di un rude capitano di mare; ma il film stravolse a tal punto la commedia iniziale che, a seguito delle proteste degli eredi di Pirandello, fu ritirato dalle sale (sarà ritrasmesso dalla Rai più trent’anni dopo, nel 1993). [28]
[28] L’uomo, la bestia e la virtù, dir. Steno (Italia, 1953).
Nel 1954 uscì poi Questa è la vita, un film in quattro episodi tratti da altrettante novelle di Pirandello. [29]
[29] Questa è la vita, dir. Giorgio Pàstina, Mario Soldati, Luigi Zampa e Aldo Fabrizi (Italia, 1954).
Il primo era La giara, diretto da Giorgio Pastina, che riprendeva la storia di Zì Dima che, per aggiustare la giara di Don Lolò, ci resta chiuso dentro. Ne Il ventaglino di Mario Soldati, invece, scorre la storia di una ragazza-madre ridotta all’elemosina, che coi primi soldi raccolti invece di comprare qualcosa da mangiare acquista un ventaglio per attirare l’attenzione di due bersaglieri. Il terzo episodio, La patente, con la regia e sceneggiatura di Luigi Zampa e Vitaliano Brancati, è il più famoso, con Totò nei panni di Rosario Chiarchiaro che, ritenuto da tutti un menagramo, minaccia di portare iella in cambio di denaro, arrivando a chiedere una vera e propria “patente” iettatore. L’ultimo episodio, Marsina stretta, è invece diretto e interpretato da Aldo Fabrizi che – complice il fastidio e la rabbia per il frac troppo stretto – riesce a ricucire a salvare il matrimonio tra i due giovani (Lucia Bosè e Walter Chiari) di cui è testimone. Nonostante il successo popolare, il film non piacque alla critica, che lo giudicò poco più di una collana di bozzetti abbastanza mediocri; non attecchì la vaga aspirazione anti-neorealistica, nè tanto meno l’interpretazione semplicistica – secondo cui la vita è una cosa bizzarra, ma tutto sommato confortante – chiaramente indicata nel prologo, in netto contrasto con l’amaro pessimismo pirandelliano.
Nello stesso anno, una produzione italo-francese portò nelle sale anche Vestire gli ignudi di Marcello Pagliero, adattato da Ennio Flaiano e interpretato da Gabriele Ferzetti e dalla bella Eleonora Rossi Drago. [30]
[30] Vestire gli ignudi, dir. Marcello Pagliero (Italia-Francia, 1954).
L’inizio del film era spostato nel tempo attuale, ovvero nella Roma affarista degli anni Cinquanta, per poi tornare indietro con un flashback nel racconto dello scrittore Ludovico Nota, che – ringiovanito rispetto all’opera teatrale – diveniva il cuore del dramma. La travagliata vicenda della giovane che tentava di togliersi la vita, inventandosi una propria versione (poi smentita) dei fatti, risultò scarsamente convincente. Abbandonati i dialoghi pirandelliani, inseriti flashback che sembravano parodie del vecchio cinema muto, cambiato il finale (la protagonista anziché avvelenarsi si gettava – o finiva? – sotto un camion), il film fu considerato da subito una delle più infelici trasposizioni del genere.
Se al cinema i progetti tratti dalle opere di Pirandello sembravano non funzionare più, il 1954 fu anche l’anno in cui cominciarono ad andare in onda una serie – ben più fortunata – di riduzioni televisive, realizzate in studi di posa, secondo un nuovo format a metà tra messinscena teatrale e sceneggiato televisivo. I primi a cimentarsi nel nuovo genere furono Mario Landi e Franco Enriquez. Landi portò in scena un classico pirandelliano, Così è se vi pare, con Ubaldo Lay; e Ma non è una cosa seria, con Ernesto Calindri nei panni del libertino Memmo Speranza (già portato sul grande schermo da De Sica). Enriquez, invece, diresse Luigi Cimara, Elena Zareschi e Romolo Valli nell’ambiguo matrimonio “riparatore” de Il piacere dell’onestà; e L’altro figlio, con la regia teatrale di Carlo Lari, trasmesso il 24 febbraio. [31]
[31] Così è se vi pare, dir. Mario Landi (Rai, Italia, 1954); Ma non è una cosa seria, dir. Mario Landi (Rai, Italia, 1954); Il piacere dell’onestà, dir. Franco Enriquez (Rai, Italia, 1954); L’altro figlio, dir. Franco Enriquez e Carlo Lari (Rai, Italia, 1954).
Sabato 21 gennaio 1956, dopo Lascia o raddoppia? andò in onda invece La Giara, interpretato e diretto da Lirio Arena, con le riprese televisive di Lino Procacci; la commedia, messa in scena al Teatro delle Muse di Roma, aprì la prima rassegna televisiva dei Gruppi d’arte drammatica dell’Enal (ente degli ex-Dopolavori). Nello stesso anno furono trasmessi anche La patente, con Mario Scaccia e Piero Carnabuoi; e Lumìe di Sicilia con Paola Borboni e Paolo Carlini. [32]
[32] La giara, dir. Lino Procacci e Lirio Arena (Rai, Italia, 1956); La patente, dir. Corrado Pavolini (Rai, Italia, 1956); Lumìe di Sicilia, dir. Silverio Blasi (Rai, Italia, 1956).
Sempre nel 1956 uscì invece sul grande schermo Never say goodbye, drammone strappalacrime con Rock Hudson, remake di This love of ours del ’45 (firmato dagli stessi sceneggiatori) tratto dalla commedia Come prima, meglio di prima; anche se si trattava in realtà di una totale reinvenzione della storia, trasposta nel secondo dopoguerra, con i protagonisti trasformati in un medico dell’esercito americano e in una pianista tedesca trattenuta nella zona sovietica di Berlino.[33]
[33] Never say goodbye, dir. Jerry Hopper e Douglas Sirk (Usa, 1956).
In televisione intanto continuò la fortuna degli adattamenti, con una nuova versione del già rodato Ma non è una cosa seria (1957); Salvo Randone nei panni del vedovo ingannato Martino Lori di Tutto per bene (1958); e il ritorno di un altro classico del repertorio pirandelliano come Così è se vi pare (1959) con Evi Maltagliati. Nel 1960, inoltre, Serge Reggiani e Grazia Maria Spina interpretarono anche una riduzione di Diego Fabbri (circa un’ora e mezza di trasmissione) de Il fu Mattia Pascal, per il ciclo “Il Novelliere” diretto da Daniele D’Anza. Negli anni successivi, Salvo Randone interpreta una nuova versione de Il piacere dell’onestà, mentre Renzo Ricci porta in scena il più impegnativo dramma Enrico IV. [34]
[34] Ma non è una cosa seria, dir. Daniele D’Anza (Rai, Italia, 1957); Tutto per bene, dir. Claudio Fino (Rai, Italia, 1958); Così è se vi pare, dir. Silverio Blasi (Rai, Italia, 1958); Il fu Mattia Pascal (rid. di Diego Fabbri), dir. Daniele D’Anza (Rai, Italia, 1960); Il piacere dell’onestà, dir. Mario Landi (Rai, Italia, 1961); Enrico IV, dir. Claudio Fino (Rai, Italia 1961).
Al cinema nel 1963 Alessandro Blasetti tentò di trasformare l’allegro fannullone Liolà nel gestore di un negozio di elettrodomestici. Interpretato da un vulcanico Ugo Tognazzi, il seduttore già padre di cinque figli (avuti da altrettante donne), si scontrava con Giovanna Ralli (Tuzza), l’ennesima conquista che, seppur incinta, non aveva alcuna intenzione di sposarlo. Nonostante l’indiscutibile padronanza tecnica di Blasetti, il film perse le sfumature pirandelliane, risultando poco più di una commedia «neo-siciliana». [35]
[35] Liolà, dir. Alessandro Blasetti (Italia, 1963). Cfr Luca Verdone, I film di Alessandro Blasetti, Roma, Gremese, 1989, p. 146.
Continuava intanto, tra messinscene teatrali e sceneggiati in studio, la grande fortuna degli adattamenti televisivi, con la ripresa nel 1964 di due classici come Ma non è una cosa seria, con Giulio Bosetti e Turi Ferro; e Così è (se vi pare) di Vittorio Cottafavi con Giancarlo Sbragia, Sarah Ferrati ed Enrico Maria Salerno. [36]
[36] Ma non è una cosa seria, dir. Gianfranco Bettetini, (Rai, Italia, 1964); Così è (se vi pare), dir. Vittorio Cottafavi (Rai, Italia, 1964).
Citazione a parte meritano i Sei personaggi in cerca d’autore di Giorgio De Lullo, trasmessi il 24 settembre del 1965. Si trattava di uno spettacolo ormai collaudato – con Romolo Valli, Elsa Albani e Rossella Falk – partito l’anno precedente in teatro a Roma; ma grazie alla televisione fu possibile realizzare per la prima volta la situazione immaginata da Pirandello: quella di un teatro vuoto, in cui gli attori provavano il loro dramma senz’alcuno spettatore. [37]
[37] Sei personaggi in cerca d’autore, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1965)
Sempre nel 1965 andò in onda La ragione degli altri con Nando Gazzolo e Ivo Garrani, mentre l’anno successivo Renzo Ricci e Raffaella Carrà interpretarono Tutto per bene di Anton Giulio Majano. Claudio Fino diresse invece Salvo Randone nei panni di Enrico IV; mentre per la serie del “teatro nel teatro” fu realizzato anche Questa sera si recita a soggetto di Paolo Giuranna, con la regia televisiva Walter Mastrangelo. [38]
[38] La ragione degli altri, dir. Ottavio Spadaro (Rai, Italia, 1965); Tutto per bene, dir. Anton Giulio Majano (Rai, Italia, 1966); Enrico IV, dir. Claudio Fino (Rai, Italia, 1967); Questa sera si recita a soggetto, dir. Paolo Giuranna e Walter Mastrangelo (Rai, Italia, 1968).
Dal 5 marzo al 3 aprile 1968 andò in onda Il mondo di Pirandello, una serie televisiva di Luigi Filippo D’Amico in cinque puntate, strutturate sull’adattamento complessivo di tredici novelle. Nipote del grande storico del teatro Silvio D’Amico, Filippo aveva sposato tra l’altro Lietta, nipote di Pirandello. [39]
[39] Il mondo di Pirandello, dir. Luigi Filippo D’Amico (Rai, Italia-Francia 1968); fu prodotto da Rai, Ultra film e France Intercinema. Vedi inoltre Luigi Filippo D’Amico, L’uomo delle contraddizioni: Pirandello visto da vicino, Palermo, Sellerio, 2007.
La prima puntata, intitolata Sicilia amara, era tratta dalle novelle La cattura e La lega disciolta, interpretate da Salvo Randone e Turi Ferro. Amori senza amore, tratta invece dalle novelle Nel gorgo, La fedeltà del cane e Quando si è capito il giuoco, vide in scena Gabriele Ferzetti. La terza puntata, intitolata L’altra faccia della giustizia, era basata sulle novelle La giara, La cassa riposta e La verità; mentre la seguente, Camere d’affitto, riprendeva i racconti Marsina stretta, La vita nuda e Il lume dell’altra casa, con Tino Buazzelli e un giovane Gigi Proietti. Viaggio nel continente, infine, tratta dalle novelle La balia e Lumìe di Sicilia, vedeva tra gli interpreti Paola Pitagora e Lando Buzzanca.
Complice anche il successo dello sceneggiato di D’Amico, tra il 1970 e il ’75 si moltiplicarono gli adattamenti televisivi. Nel 1970 Vittorio Gassman interpretò L’uomo dal fiore in bocca, mentre Giorgio De Lullo diresse Rossella Falk e Romolo Valli ne L’amica delle mogli; Edmo Fenoglio riprese un classico come Il berretto a sonagli, con Salvo Randone, mentre Gianfranco Bettetini diresse Lea Massari ne La morsa. Dopo il successo dei Sei personaggi, De Lullo tornò al “teatro nel teatro” con Il giuoco delle parti, in cui Carlo Giuffrè insieme con Valli e la Falk diedero vita al “triangolo” di Leone Gala, la moglie Silia e l’amante Guido. Negli anni successivi andarono in onda una serie di adattamenti, che spaziavano dal recupero dei classici pirandelliani alla ricerca di nuovi drammi da portare sul piccolo schermo: La signora Morli, una e due nel 1972, l’anno seguente Pensaci Giacomino! con Sergio Tofano e Vestire gli ignudi con Stefano Satta Flores; nel ’74 Così è se vi pare con Romolo Valli e Paolo Stoppa. Giorgio De Lullo continuò il suo personale percorso con la messa in onda nel 1975 di Trovarsi – storia della vita tra realtà e finzione di un’attrice – interpretata da Rossella Falk e Ugo Pagliai. [40]
[40] L’uomo dal fiore in bocca, dir. Maurizio Scaparro (Rai, Italia, 1970); L’amica delle mogli, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1970); Il berretto a sonagli, dir. Edmo Fenoglio (Rai, Italia, 1970); La morsa, dir. Gianfranco Bettetini (Rai, Italia, 1970); Il giuoco delle parti, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1970); La signora Morli, una e due, dir. Ottavio Spadaro (Rai, Italia, 1972); Pensaci Giacomino!, dir. Carlo Di Stefano (Rai, Italia, 1973); Vestire gli ignudi, dir. Vittorio Cottafavi (Rai, Italia, 1973); Così è se vi pare, dir. Sandro Bolchi (Rai, Italia, 1974); Trovarsi, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1975).
Intanto al cinema Vittorio De Sica aveva scelto la novella Il viaggio – già soggetto della pellicola muta del ’21 di Righelli – per quella che sarebbe stata la sua ultima regia. [41]
[41] Il viaggio, dir. Vittorio De Sica (Italia, 1974).
Il film, uscito nella primavera del 1974, nonostante il coinvolgimento di due importantissimi attori come Richard Burton e Sophia Loren (David di Donatello per l’interpretazione) non ebbe grande successo. La critica lo liquidò come un adattamento melodrammatico, che smussava l’aspra e cruda descrizione pirandelliana degli usi siciliani di inizio ’900 e in particolare della soggezione della donna. La storia della bella vedova che, malata, intraprende un ultimo viaggio in Italia col cognato, suo vero grande amore, fu girata tra Noto, Milano, Venezia, Roma, Napoli e Palermo; e proprio durante le riprese (agosto 1973) De Sica apprese della malattia che lo avrebbe poi portato alla morte, alla fine dell’anno seguente.
Nella primavera nel 1979 (aprile-maggio) andò in onda sul secondo canale Rai una serie televisiva in cinque puntate tratta dal romanzo I vecchi e i giovani. [42]
[42] I vecchi e i giovani, dir. Marco Leto (Rai-Filmapha/Italia-Francia, 1978).
La riduzione, elaborata dal regista Marco Leto insieme allo scrittore Renzo Rosso, rievocava atmosfere e conflitti generazionali della Sicilia di fine Ottocento – con le lotte di classe e le vicende dei Fasci – attraverso una solennità quasi “teatrale” dei dialoghi e delle figure dei protagonisti, che vedeva tra gli altri Bekim Fehmiu (già famoso Ulisse di uno sceneggiato del 1968) nei panni dell’ingegnere delle zolfare Aurelio Costa, Gabriele Ferzetti in quelli del banchiere Flaminio Salvo, e Stefano Satta Flores interpretare il deputato Ignazio Capolino. Co-prodotta con la francese Filmalpha, la serie segnò un punto di svolta per la Rai, con l’introduzione del colore e delle riprese in esterni, fino ad allora abbastanza rare negli sceneggiati.
Ma accanto a quest’esperienza continuarono soprattutto gli adattamenti televisivi realizzati in studio, a metà tra sceneggiato e messinscena teatrale. Nel 1978 Andrea Camilleri diresse Carlo Giuffrè nell’atto unico Cecè, tratteggiando il profilo di un imbroglione da “Italietta”, tra scandali e politica corrotta; mentre Arnaldo Ninchi affrontò la pièce Non si sa come, su un adulterio commesso in un attimo di smarrimento che sconvolge il povero protagonista. L’anno seguente Piero Schivazappa tentò un adattamento del romanzo L’esclusa, con Scilla Gabel e Arnoldo Foà, in onda nel 1980. Nel frattempo, con l’Enrico IV – interpretato da Romolo Valli, Gianna Giachetti, Mariella Fenoglio – Giorgio De Lullo concluse il suo percorso pirandelliano, scomparendo prematuramente a soli sessant’anni, nel 1981. Nello stesso anno la scrittrice americana Susan Sontag portò in scena Come tu mi vuoi, con Adriani Asti e Alessandro Haber, con la regia televisiva Sergio Ariotti. [43]
[43] Cecè, dir. Andrea Camilleri (Rai, Italia, 1978); Non si sa come, dir. Arnaldo Ninchi (Rai, Italia, 1978); L’esclusa, dir. Piero Schivazappa (Rai, Italia, 1979); Enrico IV, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1979); Come tu mi vuoi, dir. Susan Sontag e Sergio Ariotti (Rai, Italia, 1981).
Sempre nel 1981 uscì al cinema Il turno di Tonino Cervi, con Vittorio Gassman, Paolo Villaggio e Laura Antonelli. [44]
[44] Il turno, dir. Tonino Cervi (Italia, 1981).
Il film, criticato fin da subito per la trasposizione eccessivamente farsesca, riprendeva – seppure con alcune varianti – l’omonimo romanzo che ruota intorno alla bella Stellina, che sposa un vecchio e ricco vedovo, poi l’avvocato che riesce a fa annullare il matrimonio, e solo infine il povero amato Pepè, che tra le varie peripezie ha dovuto aspettare a lungo il suo “turno”. Il tono del film, assolutamente lontano dall’idea pirandelliana, nonostante la buona interpretazione di Gassman, era da commedia-sexy (con la Antonelli in abiti trasparenti) al limite del trash, con un Paolo Villaggio che non riusciva a scollarsi di dosso il personaggio di Fantozzi.
Nel 1981 Eduardo De Filippo – che aveva sviluppato nel corso degli anni un rapporto particolare con la televisione, registrando gran parte delle proprie commedie – portò sul piccolo schermo Il berretto a sonagli, adattamento in napoletano del 1936 voluto dallo stesso Pirandello. Dopo quasi cinquant’anni, Eduardo tornò così a vestire i panni del vecchio scrivano Ciampa, disposto a qualunque compromesso (corna comprese) per tenersi la giovane moglie. Negli anni successivi andarono in onda una serie di nuove riduzioni televisive: Luigi Filippo D’Amico mise in scena Vestire gli ignudi (1981) con Marie-Christine Barrault, e In silenzio (1985); Alberto Lionello interpretò Il piacere dell’onestà (1982) e Tullio Solenghi divenne il Memmo Speranza di Ma non è una cosa seria (1983); fino a una nuova versione de Il berretto a sonagli di (1985), con Paolo Stoppa diretto Luigi Squarzina. [45]
[45] Il berretto a sonagli, dir. Eduardo De Filippo (Rai, Italia, 1981); Vestire gli ignudi, dir. Luigi Filippo D’Amico (Rai, Italia, 1981); Il piacere dell’onestà, dir. Lamberto Puggelli (Rai, Italia, 1982); Ma non è una cosa seria, dir. Edmo Fenoglio (Rai, Italia, 1983); In silenzio, dir. Luigi Filippo D’Amico (Rai, Italia, 1985); Il berretto a sonagli, dir. Luigi Squarzina (Rai, Italia, 1985).
Dopo i vari tentativi cinematografici, mai del tutto soddisfacenti (se non mediocri) dei decenni precedenti, a metà degli anni ’80 tre produzioni tratte dalle opere di Pirandello – in vista anche del cinquantenario della scomparsa (1936-1986) – tornarono quanto meno a riaccendere un certo interesse, sia di pubblico che di critica, se non altro per i registi impegnati nell’impresa.
Cominciò Marco Bellocchio, portando nelle sale a maggio del 1984 il suo Enrico IV: un adattamento abbastanza fedele, nonostante le integrazioni d’autore, con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Leopoldo Trieste e Paolo Bonacelli. [46]
[46] Enrico IV, dir. Marco Bellocchio (Italia, 1984).
La vicenda è spostata al 1984: la cavalcata medievale – durante la quale il protagonista è caduto rimanendo “imprigionato” nella maschera di Enrico IV – è rievocata visivamente dal finestrino dell’auto che sta conducendo, vent’anni dopo, gli ospiti al suo castello. L’auto e la galoppata nel passato rappresentano bene l’angosciosa corsa parallela, di due tempi e di due mondi che sono vicini ma s’ignorano, in cui risiede la cifra stilistica del film e del protagonista, al quale Mastroianni toglie l’austera tragicità pirandelliana, per accentuarne la disarmata tenerezza, l’infantilismo, la dolente malinconia. La pazzia di Enrico è una finzione, ma non gl’importa. Perché ormai il tempo è andato; non può più recuperare l’amore della bella Matilde e persino la vendetta non serve a niente. A differenza dell’opera teatrale, infatti, nel film l’attacco a Belcredi (rivale in amore che aveva provocato l’incidente in cui lui era impazzito) è solo simbolico: poiché la vera rivalsa è dimostrare che tutti recitiamo, e che la vita è solo una messinscena. La stessa location (l’ottocentesca Rocchetta Mattei, sull’appennino bolognese) è un set kitsch, finto-medievale; e il film finisce con Enrico e i suoi servi-comprimari che ripuliscono la scena e spengono le luci come alla fine di una recita. Assume, inoltre, maggior spessore il personaggio di Frida (una giovane Latou Chardons scelta per la somiglianza con la Cardinale), che vede in Enrico il contrario dei ruoli e delle maschere indossate dagli altri adulti, esponenti di una borghesia meschina e bigotta tipici delle opere di Bellocchio, così come altri elementi comuni al suo cinema: «In Pirandello mi attrae la figura dell’uomo che si deve nascondere – ha detto nel 2000 il regista – che è respinto da un mondo gretto e ostile. Quest’uomo non è un eroe, è solo una persona più sensibile degli altri, che coglie la crudeltà del mondo, il suo essere una beffa». [47]
[47] Adriano Aprà (a cura di), Marco Bellocchio: il cinema e i film, Venezia, Marsilio, 2005, p. 177.
Pochi mesi dopo, a novembre del 1984, uscì Kaos di Vittorio e Paolo Taviani, [48] un film a episodi tratto dalle novelle L’altro figlio, Mal di luna, La giara ed Epilogo (la versione televisiva comprendeva anche un quinto episodio, Requiem).
[48] Kaos, dir. Vittorio e Paolo Taviani (Italia, 1984). Vedi Pier Marco De Santi, I film di Paolo e Vittorio Taviani, Roma, Gremese, 1988, p. 125; e Bruno Torri, Kaos: la svolta dei Taviani, «BN: Bianco e nero», XLV (1984), n. 4 (ott.-dic.), pp. 15-18.
Il film, in cui compare anche lo stesso Pirandello – interpretato da Omero Antonutti – prendeva il titolo dal nome della contrada agrigentina in cui nacque lo scrittore (che si diceva appunto “figlio del Caos”).
I Taviani si segnalarono immediatamente per l’eccellente e rispettosa rilettura delle tematiche e delle atmosfere più care al grande drammaturgo siciliano. Per la sceneggiatura, scritta insieme a Tonino Guerra, vinsero il David di Donatello e il Nastro d’Argento. E la pellicola, costruita con attenzione per i dettagli e girata con grande padronanza complessiva, fu collocata dalla critica tra i migliori prodotti del cinema italiano degli anni ’80. Ne L’altro figlio Margarita Lozano dà corpo all’odio di Mariagrazia nei confronti di uno dei suoi figli che sembra la rincarnazione dell’uomo che l’aveva violenta; Enrica Maria Modugno è invece la Sidora innamorata e angosciata dal violento Mal di luna che affligge il marito; Ciccio Ingrassia è il magistrale Don Lollò che vessa il povero Zi’ Dima (Franco Franchi) rinchiuso nella Giara; mentre nell’Epilogo Pirandello parla con Regina Bianca, fantasma di sua madre, di una storia che non ha potuto scrivere. Requiem, infine, (presente solo nella versione televisiva), riprendeva una delle novelle che era già stata il soggetto del poco fortunato film Terra di nessuno (1939). Kaos fu apprezzato soprattutto per aver saputo rappresentare – sfuggendo l’oleografia da cartolina e gli stessi luoghi comuni cinematografici – i costumi di una Sicilia di fine Ottocento, così in contrasto col presente; ovvero l’ignoranza antica e innocente di personaggi segnati dal “divino del Caos”, primitiva potenza che tutto precede.
Dopo il dramma e le novelle, mancava il grande romanzo. Nel 1985 Mario Monicelli realizzò per la Rai Le due vite di Mattia Pascal, con Marcello Mastroianni e un cast di tutto rispetto, in cui c’erano anche una giovane Laura Morante (nei panni di Adriana) e Alessandro Haber. [49]
[49] Le due vite di Mattia Pascal, dir. Mario Monicelli (Italia-Francia 1985). Il regista ne parla in Mario Monicelli, L’arte della commedia, a cura di Lorenzo Codelli, Bari, Dedalo, 1986, pp. 129-130. Più in gen. sulle trasposizioni dell’op. vedi il saggio di Dominique Budor, Mattia Pascal, tra parola e immagine: dal romanzo di Pirandello a Dylan Dog, Roma, Carocci, 2004.
Il film, presentato al Festival di Cannes e distribuito nella sale dalla Medusa, non convinse i critici e nemmeno il pubblico. La pellicola durava poco più di due ore, ma la versione completa era quella televisiva, di circa tre ore, divisa in tre puntate [50] (il progetto originario, d’altronde, era proprio quello di uno sceneggiato Rai per il cinquantenario della scomparsa di Pirandello, che Monicelli scrisse, tra gli altri, con Suso Cecchi D’Amico).
[50] Le Teche Rai segnalano la messa in onda in due puntate (9-10 settembre 1990) di 150 min.; ma è più conosciuta la versione “estesa” in tre puntate, della lunghezza complessiva di 178 min. (introdotte dai riassunti delle precedenti commentati f.c. da Mastroianni).
La storia di Mattia Pascal – resa immortale dal romanzo del 1904 – fu spostata nell’Italia contemporanea, dei primi anni ’80: una realtà provinciale e immobile, fotografata nella pigrizia della ventosa Liguria, passando per idealizzate mete turistiche (la scintillante Montecarlo e la decadente Venezia) fino ad approdare alla monotonia metropolitana di una Roma spogliata di ogni bellezza. Ormai sessantenne (lontanissimo dal trentenne protagonista del romanzo), Mastroianni si prestò a recitare la parte dell’uomo di mezz’età colto dall’improvviso benessere e travolto da un insolito destino; che Monicelli si divertì a mostrare come uno dei suoi grotteschi personaggi – un debole che si trasformava in dimesso avventuriero – sacrificando l’originaria malinconia e la sottile ironia pirandelliana, perdendo quasi completamente il tema del “doppio” e il problematico rapporto di Adriano Meis con una non-esistenza.
In televisione, nel decennio a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, apparvero una serie di nuove produzioni, ormai sempre più lontane delle vecchie impostazioni di sceneggiato televisivo, e basate su messinscene teatrali spesso ben curate e prodotte dalla stessa Rai (come nel caso della serie “Palcoscenico”). Nel 1985 Andrea Camilleri mise in scena la commedia La ragione degli altri, con Maddalena Crippa, Remo Girone, Lina Sastri; mentre Mariangela Melato e Renato Scarpa interpretarono Vestire gli ignudi, diretti da Giancarlo Sepe; e Giorgio Pressburger riprese invece l’atto unico All’uscita, con Paolo Bonacelli e Gabriele Ferzetti. L’anno seguente, Salvo Randone ripropose con la regia di Nello Rossati Pensaci, Giacomino!, un classico del repertorio pirandelliano. [51]
[51] La ragione degli altri, dir. Andrea Camilleri (Rai, Italia, 1985); Il berretto a sonagli, dir. Luigi Squarzina (Rai, Italia, 1985); Vestire gli ignudi, dir. Giancarlo Sepe (Rai, Italia, 1985); All’uscita, dir. Giorgio Pressburger (Rai, Italia, 1985); Pensaci, Giacomino!, dir. Nello Rossati (Rai, Italia, 1986).
Ma il 1986, cinquantenario della scomparsa del drammaturgo siciliano, segnò anche la prima (tarda) regia pirandelliana di Franco Zeffirelli, che portò in scena – ripresa in teatro a Città di Castello – Così è se vi pare, con Paola Borboni. [52]
[52] Così è se vi pare, dir. Franco Zeffirelli (Rai, Italia, 1986); nell’occasione, il regista annunciò anche il progetto di portare Sei personaggi in cerca d’autore a Londra; che realizzò poi nel 1991, con Enrico Maria Salerno.
Tre anni più tardi, prodotto da Rai Uno e registrato nello spettacolare scenario della Valle dei Templi di Agrigento, andò in onda I giganti della montagna (un testo non facile, tra l’altro incompleto) con Irene Papas e Flavio Bucci, e la regia di Mauro Bolognini. [53]
[53] I giganti della montagna, dir. Mauro Bolognini (Rai, Italia, 1989).
Nel 1991, nell’ambito della serie “Palcoscenico”, la Rai produsse poi Così è se vi pare; L’uomo, la bestia e la virtù, adattamento di Carlo Cecchi, che aveva più volte recitato l’opera, anche con riprese televisive; La vita che ti diedi di Gianfranco Mingozzi, con Piera Degli Esposti ed Elena Sofia Ricci; e La signora Morli, una e due di Gianni Serra con Marina Malfatti. [54]
[54] Così è se vi pare, dir. Massimo Castri (Rai, Italia, 1991); L’uomo, la bestia e la virtù, dir. Carlo Cecchi (Rai, Italia, 1991); La vita che ti diedi, dir. Gianfranco Mingozzi (Rai, Italia, 1991); La signora Morli, una e due, dir. Gianni Serra (Rai, Italia, 1991).
Nel 1995 andò in onda la registrazione – con la regia televisiva di Michel Muller – de I giganti della montagna di Giorgio Strehler, messo in scena l’anno prima al Piccolo Teatro di Milano, con Andrea Jonasson, Giancarlo Dettori e Giulia Lazzarini. Si trattava della terza versione di Strehler, che aveva già rappresentato l’opera (grande metafora incompiuta del teatro e della poesia al cospetto dei “Giganti” del potere) nel 1947 e nel ’66 – all’epoca dei fermenti giovanili rivoluzionari – e che ora la riproponeva «come una tragica contestazione che i Giganti hanno vinto e che ci hanno, consapevoli o inconsapevoli, travolti». [55]
[55] I giganti della montagna, dir. Giorgio Strehler/Michel Muller (Rai, Italia, 1995); le note di regia di Giorgio Strehler, Appunti di regia per “I giganti della Montagna”, sono nell’Archivio del Piccolo Teatro di Milano.
L’anno seguente furono trasmesse altre due opere, stavolta del più tradizionale repertorio pirandelliano: Come prima, meglio di prima di Luigi Squarzina, con Marina Malfatti; e Liolà di Maurizio Scaparro, con Massimo Ranieri, Regina Bianchi, Antonio Casagrande e le musiche di Nicola Piovani. [56]
[56] Come prima, meglio di prima, dir. Luigi Squarzina (Rai, Italia, 1996); Liolà, dir. Maurizio Scaparro (Rai, Italia, 1996)
Al cinema, nel 1998 Paolo e Vittorio Taviani tornarono ad attingere alla narrativa breve di Pirandello, ma stavolta con un risultato abbastanza lontano dal precedente Kaos. Non convinse, infatti, il nuovo film Tu ridi, diviso in due parti tratte rispettivamente dalle novelle Tu ridi e Due sequestri, con Sabrina Ferilli e Antonio Albanese. [57]
[57] Tu ridi, dir. Paolo e Vittorio Taviani (Italia, 1998)
Saltata l’idea originale di una “cornice” – con lo stesso Pirandello-narratore – che avrebbe dovuto raccoglierle, le storie risultavano slegate: la prima con momenti onirici che sconfinavano in vaghe atmosfere da Arancia meccanica; la seconda grottesca e crudele, con all’interno un altro episodio (quello del dottor Ballarò) interpretato tuttavia da un bravo Turi Ferro.
Migliore accoglienza, per l’impronta autoriale del regista, ha ricevuto l’anno seguente La balia di Marco Bellocchio, tratto dall’omonima novella. [58]
[58] La balia, dir. Marco Bellocchio (Italia, 1999).
Una luce malinconica avvolge la vicenda dello psichiatra romano Ennio Mori (Fabrizio Bentivoglio) e della fragile moglie Vittoria (Valeria Bruni Tedeschi). Conservando le linee essenziali del racconto – la crisi di lei che non può allattare il figlio e di una balia che turba definitivamente gli equilibri familiari – Bellocchio, anche attraverso toni spenti e luci basse, cerca di rappresentare il “lato oscuro”, i nodi irrisolti della borghesia italiana del primo Novecento, epoca di rivoluzionari fermenti socialisti.
Nel 2001 al Festival di Cannes fu presentato Va savoir (Chi lo sa?) di Jacques Rivette, storia di un’attrice francese che, dopo cinque anni passati in Italia, torna a Parigi col compagno regista e insieme vogliono mettere in scena Come tu mi vuoi. [59]
[59] Va savoir, dir. Jacques Rivette (Francia, 2001).
Ispirato invece ad alcune novelle (All’uscita e L’uomo dal fiore in bocca) era Ovunque sei di Michele Placido, accolto tra i fischi alla Mostra di Venezia. Nonostante la sceneggiatura scritta con Umberto Contarello, Francesco Piccolo e Domenico Starnone – che sfornarono una storia d’amore nel mondo ospedaliero, trasfigurata da un incidente in vicenda soprannaturale – il film, interpretato da Stefano Accorsi e Violante Placido, fu un disastro. [60]
[60] Ovunque sei, dir. Michele Placido (Italia, 2004).
Più di un decennio dopo, nel 2015, alla Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato invece L’attesa, opera prima di Piero Messina, nata dalle suggestioni delle proprie origini siciliane, ma anche dall’impronta autoriale di Paolo Sorrentino (di cui Messina era stato assistete alla regia). Il film, ispirato alla tragedia in tre atti La vita che ti diedi, porta per la prima volta sul grande schermo la storia di una madre (Juliette Binoche) devastata dal dolore per la perdita del figlio, e dell’ambiguo rapporto con la giovane fidanzata (francese come lei) alla quale tace della tragedia, per continuare ad aspettarlo, in una “attesa” che è un singolare percorso, di memoria e d’amore, di vita più che di morte. [61]
[61] L’attesa, dir. Piero Messina (Italia, 2015).
Nello stesso anno è uscito al cinema La scelta di Michele Placido, «liberamente ispirato» alla commedia L’innesto, storia forte di una gravidanza frutto di uno stupro, che mette la vittima e suo marito – che da anni non riuscivano ad avere figli – davanti a una situazione paradossale. A dieci anni dal disastro di Ovunque sei, con questo secondo tentativo (ambientato nelle campagne baresi) Placido è riuscito a fallire nuovamente la prova di regia, stroncata definitivamente dagli improbabili protagonisti: Ambra Angiolini e Raul Bova, che non avevano la forza né la credibilità per poter interpretare due personaggi così “rischiosi”. [62]
[62] La scelta, dir. Michele Placido (Italia, 2015).
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Filmografia
(cinema e *televisione)
- Il crollo, dir. Mario Gargiulo (Italia, 1920).
- Il lume dell’altra casa, dir. Ugo Gracci (Italia, 1920).
- Lo scaldino, dir. Augusto Genina (Italia, 1920).
- La Rosa, dir. Arnaldo Frateili (Italia, 1921).
- Il viaggio, dir. Gennaro Righelli (Italia, 1921).
- Ma non è una cosa seria, dir. Augusto Camerini (Italia, 1921).
- Le feu Mathias Pascal, dir. Marcel L’Herbier (Francia, 1925).
- Die Flucht in die Nacht, dir. Amleto Palermi (Germania, 1926).
- La canzone dell’amore, dir. Gennaro Righelli (Italia, 1930).
- Liebeslied, dir. G. Righelli (Germania, 1931).
- As you desire me, dir. George Fitzmaurice (Usa, 1932).
- Acciaio, dir. Walter Ruttmann (Italia, 1933).
- Ma non è una cosa seria, dir. Mario Camerini (Italia, 1936)
- Der Mann, der nicht nein sagen kann, dir. M. Camerini (Italia, 1936).
- Pensaci, Giacomino!, dir. G. Righelli (Italia, 1936).
- L’homme de nulle part, dir. Pierre Chenal (Italia-Francia, 1937).
- Il fu Mattia Pascal, dir. P. Chenal (Italia, 1937).
- Terra di nessuno, dir. Mario Baffico (Italia, 1939).
- Enrico IV, dir. Giorgio Pastina (Italia, 1943).
- This love of ours, dir. William Mieterle (Usa, 1945).
- Altri tempi Zibaldone n. 1, dir. Alessandro Blasetti (Italia, 1952).
- L’uomo, la bestia e la virtù, dir. Steno (Italia, 1953).
- Questa è la vita, dir. L. Zampa, M. Soldati, A. Fabrizi e G. Pastina (Italia, 1954).
- Vestire gli ignudi, dir. Marcello Pagliero (Italia-Francia, 1954).
- *Così è se vi pare, dir. Mario Landi (Rai, Italia, 1954).
- *Ma non è una cosa seria, dir. M. Landi (Rai, Italia, 1954).
- *Il piacere dell’onestà, dir. Franco Enriquez (Rai, Italia, 1954).
- *L’altro figlio, dir. F. Enriquez e C. Lari (Rai, Italia, 1954).
- *La giara, dir. Lino Procacci e Lirio Arena (Rai, Italia, 1956).
- *La patente, dir. Corrado Pavolini (Rai, Italia, 1956).
- *Lumìe di Sicilia, dir. Silverio Blasi (Rai, Italia, 1956).
- Never say goodbye, dir. Jerry Hopper e Douglas Sirk (Usa, 1956).
- *Ma non è una cosa seria, dir. Daniele D’Anza (Rai, Italia, 1957).
- *Tutto per bene, dir. Claudio Fino (Rai, Italia, 1958).
- *Così è se vi pare, dir. Silverio Blasi (Rai, Italia, 1958).
- *Il fu Mattia Pascal (rid. Diego Fabbri), dir. D. D’Anza (Rai, Italia, 1960).
- *Il piacere dell’onestà, dir. Mario Landi (Rai, Italia, 1961).
- *Enrico IV, dir. Claudio Fino (Rai, Italia, 1961).
- Liolà, dir. Alessandro Blasetti (Italia, 1963).
- *Ma non è una cosa seria, dir. Gianfranco Bettetini, (Rai, Italia, 1964).
- *Così è (se vi pare), dir. Vittorio Cottafavi (Rai, Italia, 1964).
- *Sei personaggi in cerca d’autore, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1965)
- *La ragione degli altri, dir. Ottavio Spadaro (Rai, Italia, 1965).
- *Tutto per bene, dir. Anton Giulio Majano (Rai, Italia, 1966).
- *Enrico IV, dir. Claudio Fino (Rai, Italia, 1967).
- *Questa sera si recita a soggetto, dir. Paolo Giuranna e Walter Mastrangelo (Rai, Italia, 1968).
- *Il mondo di Pirandello, dir. Luigi Filippo D’Amico (Rai, Italia-Francia 1968).
- *L’uomo dal fiore in bocca, dir. Maurizio Scaparro (Rai, Italia, 1970).
- *L’amica delle mogli, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1970).
- *Il berretto a sonagli, dir. Edmo Fenoglio (Rai, Italia, 1970).
- *La morsa, dir. Gianfranco Bettetini (Rai, Italia, 1970).
- *Il giuoco delle parti, dir. G. De Lullo (Rai, Italia, 1970).
- *La signora Morli, una e due, dir. Ottavio Spadaro (Rai, Italia, 1972).
- *Pensaci Giacomino!, dir. Carlo Di Stefano (Rai, Italia, 1973).
- *Vestire gli ignudi, dir. Vittorio Cottafavi (Rai, Italia, 1973).
- *Così è se vi pare, dir. Sandro Bolchi (Rai, Italia, 1974).
- Il viaggio, dir. Vittorio De Sica (Italia, 1974).
- *Trovarsi, dir. G. De Lullo (Rai, Italia, 1975).
- *I vecchi e i giovani, dir. Marco Leto (Rai-Filmapha/ Italia-Francia, 1978).
- *Cecè, dir. Andrea Camilleri (Rai, Italia, 1978).
- *Non si sa come, dir. Arnaldo Ninchi (Rai, Italia, 1978).
- *L’esclusa, dir. Piero Schivazappa (Rai, Italia, 1979).
- *Enrico IV, dir. Giorgio De Lullo (Rai, Italia, 1979).
- *Come tu mi vuoi, dir. Susan Sontag e Sergio Ariotti (Rai, Italia, 1981).
- Il turno, dir. Tonino Cervi (Italia, 1981).
- *Il berretto a sonagli, dir. Eduardo De Filippo (Rai, Italia, 1981).
- *Vestire gli ignudi, dir. Luigi Filippo D’Amico (Rai, Italia, 1981).
- *Il piacere dell’onestà, dir. Lamberto Puggelli (Rai, Italia, 1982).
- *Ma non è una cosa seria, dir. Edmo Fenoglio (Rai, Italia, 1983).
- Enrico IV, dir. Marco Bellocchio (Italia, 1984).
- Kaos, dir. Vittorio e Paolo Taviani (Italia, 1984).
- Le due vite di Mattia Pascal, dir. Mario Monicelli (Italia-Francia 1985).
- *In silenzio, dir. Luigi Filippo D’Amico (Rai, Italia, 1985).
- *Il berretto a sonagli, dir. Luigi Squarzina (Rai, Italia, 1985).
- *La ragione degli altri, dir. Andrea Camilleri (Rai, Italia, 1985).
- *Il berretto a sonagli, dir. Luigi Squarzina (Rai, Italia, 1985).
- *Vestire gli ignudi, dir. Giancarlo Sepe (Rai, Italia, 1985).
- *All’uscita, dir. Giorgio Pressburger (Rai, Italia, 1985);
- *Pensaci, Giacomino!, dir. Nello Rossati (Rai, Italia, 1986).
- *Così è se vi pare, dir. Franco Zeffirelli (Rai, Italia, 1986);
- *I giganti della montagna, dir. Mauro Bolognini (Rai, Italia, 1989).
- *Così è se vi pare, dir. Massimo Castri (Rai, Italia, 1991);
- *L’uomo, la bestia e la virtù, dir. Carlo Cecchi (Rai, Italia, 1991);
- *La vita che ti diedi, dir. Gianfranco Mingozzi (Rai, Italia, 1991);
- *La signora Morli, una e due, dir. Gianni Serra (Rai, Italia, 1991).
- *I giganti della montagna, dir. Giorgio Strehler/ M. Muller (Rai, Italia, 1995).
- *Come prima, meglio di prima, dir. Luigi Squarzina (Rai, Italia, 1996).
- *Liolà, dir. Maurizio Scaparro (Rai, Italia, 1996)
- Tu ridi, dir. Paolo e Vittorio Taviani (Italia, 1998).
- La balia, dir. Marco Bellocchio (Italia, 1999).
- Va savoir, dir. Jacques Rivette (Francia, 2001).
- Ovunque sei, dir. Michele Placido (Italia, 2004).
- L’attesa, dir. Piero Messina (Italia, 2015).
- La scelta, dir. Michele Placido (Italia, 2015)
Appunti per una filmografia
Nel corso del Novecento il repertorio pirandelliano ha offerto un importante punto di riferimento, sia per gli autori di cinema che televisivi: dai drammi teatrali, divenuti film e sceneggiati, alle tante novelle che si prestarono, fin da subito, a trasformarsi in un vasto e vario campionario di “soggetti” da sviluppare. Ma quello di Pirandello col cinema fu un rapporto complesso, ambiguo e conflittuale. E anche i risultati degli adattamenti e dei lavori ispirati alle sue opere non sempre sono riusciti; anzi, forse raramente hanno prodotto prove veramente felici. Ma tra visioni d’autore, prove d’attore e di regia, cinema e televisione, quella della filmografia di Pirandello è un’avventura che vale tuttavia la pena di ripercorrere.
Giuseppe Pesce
Maggio 2020
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