««« Raccolta “Poesie sparse” (1890/1933)
21. Esame
Da Roma letteraria, anno IV, n. 16, 25 agosto 1896 con l’indicazione: Labirinto, Libro I. Tarlo antico.
Forse perché lo guardo da una faccia
che piange; n’ha poi tante, e non è brutto
né bello, per se stesso: è il mondo, e tutto
dipende da qual parte ognun si faccia…
a contemplarlo. È ver che a me giammai
non rise; ma vi son pur tanti, ai quali
ride spesso e nasconde i propri mali.
Io con l’occhio malevolo il guardai
sempre, da che son nato. Or ne la vista
delle cose vorrei dimenticare
me stesso, il pensier mio; vorrei lavare
d’ogni memoria in lei l’anima trista.
Del proprio sogno uscir non è concesso.
Chi l’ombre al sogno appresta? Ognuno sotto
un vario inganno aggirasi: io vi lotto
contro i fantasmi miei, contro me stesso.
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Noto soprattutto per le numerose e caratteristiche novelle, le singolari opere teatrali e gli altrettanto peculiari romanzi, Pirandello, agli albori della sua carriera, fu anche poeta. Un poeta che, nonostante fosse solo agli inizi, lasciava già intravedere chiare tracce non solo del suo inconfondibile stile, ma soprattutto della sua particolare visione del mondo e della natura umana. Nel 1960 vennero per la prima volta pubblicate in un’unica raccolta tutte le opere poetiche dell’autore, accompagnate da testi inediti pazientemente ricercati e recuperati fra i numerosi scritti sparsi. L’amore ed i rapporti fra uomo e donna, tematiche chiave in Pirandello, spesso trasfigurate da ambientazioni irreali e mitiche, mostrano già quelle lacerazioni e contraddizioni che col tempo diventeranno segni distintivi dell’intera opera pirandelliana. Basti pensare al titolo della prima raccolta poetica dell’autore, Mal giocondo, ossimoro che, dietro l’apparente scherzo nell’accostare due termini così dissimili, quasi a volersi burlare del lettore, anticipa le antinomie e incoerenze che saranno parte integrante delle successive opere teatrali e dei romanzi.
Amore e odio, quindi, ma anche beltà e tristezza, giovinezza e vecchiaia, ricchezza e povertà: sentimenti forti e contrastanti, che sembrano prendere vita ed uscire dai versi con irruenza, per rispecchiarsi in ogni animo umano.
Ma vi traspare anche la sfiducia tipicamente pirandelliana nei confronti della società e della classe dirigente, soprattutto nel delicato momento storico che Pirandello si trova a vivere, subito dopo l’unità d’Italia (1870), e che si riflette nelle efficaci e forti immagini della folla romana, descritta con spietata ironia nei suoi aspetti più negativi, peccaminosi e lascivi.
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