Diana e la Tuda – Personaggi, Atto primo

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Premessa e struttura
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Diana y Tuda

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Diana e la tuda - Atto I
Alida Sacoor, Diana e la Tuda, 2013. Immagine dal Web.

Personaggi

Tuda, modella
Nono Giuncano, vecchio scultore
Sirio Dossi, giovane scultore
Sara Mendel
Caravani, pittore
Jonella, modella
Le streghe: Giuditta e Rosa
La Sarta
La Modista
La Giovane, che accompagna la Sarta
La Giovane, che accompagna la Modista

A Roma. Oggi.

1927
Diana e la Tuda
Atto Primo

        Lo studio dello scultore Sirio Dossi.

        Muri bianchi, altissimi. Alle grandi vetrate luminose, tende nere. Tappeto nero, mobili neri. Lungo le pareti, collocate simmetricamente, riproduzioni in gesso di antiche statue di Diana. Porta a destra; uscio a sinistra. Una gran tela bianca pende quasi a mezzo della scena, sospesa a un bastone e scorrevole sugli anelli, a riparo della modella nuda, in piedi su uno zoccolo. La sua ombra per via d’una forte lampada accesa dietro, si proietta nera, enorme, sulla parete di fondo, atteggiata da Diana, come nel piccolo bronzo del museo di Brescia, attribuito al Cellini. Al levarsi della tela, Nono Gincano, di qua dalla tenda, fosco, irrequieto, siede su uno sgabello, aspettando che la «posa» di là abbia fine.

        Ha circa sessantanni. Corporatura poderosa. Barba e capelli bianchi, scom­posti. Viso macerato, ma occhi giovanissimi, acuti. Veste di nero.

        TUDA (dietro la tenda in posa): Basta, per carità!

        SIRIO (anche lui dietro la tenda): No: ferma lì!

        TUDA: Non reggo più!

        GIUNCANO: Ma sì, basta! basta!

        SIRIO: Ferma ti dico! Non è passata l’ora.

        TUDA: È passata, è passata!

        SIRIO: Ancora un momento!

        TUDA: Non ne posso più.

        SIRIO (con un urlo): Fermo quel braccio, perdio! (Lunga pausa. Giuncano smania feroce.)

        TUDA (prima con un sorriso quasi infantile): Ahi, non me lo sento più! La­sciamelo abbassare almeno per un minuto. Sono di carne, oh! (Si vedrà l’om­bra scomporsi dal suo atteggiamento; abbassare il braccio; prenderselo con l’altra mano come a sorreggerlo.)

        SIRIO (alto, biondo, viso pallido, energico, occhi chiari, d’acciajo, inflessibili, quasi induriti nella crudele freddezza della loro luce, viene fuori dalla tenda, buttando con fracasso la stecca. Ha indosso un lungo càmice bianco, stretto alla vita da una cintura. Investe Nono Giuncano): Ma possibile ch’io debba lavorare così, con te qua che la istighi a ribellarsi, invece di persuaderla a star ferma?

        GIUNCANO: Uccidila, uccidila: starà fermissima!

        SIRIO: T’è nata adesso che non lavori più tutta codesta considerazione perle modelle?

        GIUNCANO (lo guarda sdegnosamente, poi): Per le modelle? Sciocco!

        SIRIO: Se soffri tanto a vedere lavorare gli altri, perché te ne vieni qua da me?

        GIUNCANO: Perché vorrei che tu almeno –

        SIRIO: – ah sì? – proprio io? – non lavorassi più?

        GIUNCANO: Coi tuoi danari…

        SIRIO (con scatto d’ira): Finiscila una buona volta di sbattermeli in faccia, i miei danari!

        GIUNCANO: Io? in faccia? al contrario! – Vorrei che ne profittassi –

        SIRIO: – per non lavorare più? –

        GIUNCANO: – e li buttassi tu in faccia agli altri: a coloro che fanno le statue per vivere – perché non ne facessero più!

        SIRIO: Sei proprio impazzito!

        GIUNCANO (subito, con forza, alzandosi): Ah sì – e ne ringrazio Dio, se vuoi saperlo! – Questa mattina – ah, li ho qua ancora, come una vampa negli occhi – su ai Parioli – tutti quei papaveri – la gioja –

        SIRIO (stonato): – che dici? –

        GIUNCANO: – non la volevano dare a nessuno – (chi li vedeva lassù?) – l’ave­vano, l’avevano per sé, la gioja d’avvampare al sole, così in tanti insieme – e il silenzio, su quel loro rosso scarlatto, pareva stupore – stupore.

        SIRIO (stordito): I papaveri?

        GIUNCANO: Perché ora vedo! Da che sono impazzito come tu dici. Sapessi quante cose che prima non vedevo.

        TUDA (ancora dietro la tenda): Ah papà Giuncano, peccato che sono così (sot­tintende: nuda); verrei a darle un bacio! Ma glielo do qua, senta, sul mio braccio – (gemito) – ah Dio, freddo come se fosse morto.

        SIRIO (a Giuncano): Insomma, te ne vai? vuoi lasciarmi lavorare?

        TUDA: Non se ne vada, no, Maestro, non se ne vada!

        SIRIO: Non far la stupida e rimettiti in posa!

        TUDA: Ah, no no, basta: è quasi mezzogiorno: mi rivesto. (Si caccia subito ad­dosso un «chimono» violaceo e vien fuori coi piedi nudi in un pajo di bab­bucce e un grappolo d’uva in mano e nell’altra un panino; carezza sul volto la prima statua presso la tenda e le dice:) Tu non hai fame; io sì, e mangio! E giovanissima e di meravigliosa bellezza. Capelli fulvi, ricciuti, pettinati alla greca. La bocca ha spesso un atteggiamento doloroso, come se la vita di solito le desse una sdegnosa amarezza; ma se ride, ha subito una grazia lu­minosa, che sembra rischiari e avvivi ogni cosa.

        GIUNCANO: Mangia, sì, cara. Ti prometto e giuro che codesta Diana che ti dà il martirio sarà la prima su cui verrò a tentare l’esperimento.

        TUDA: Che esperimento? Mi dica.

        GIUNCANO: Ah, uno, cara, che se riesce, farà passare la voglia a tutti gli scultori di fare altre statue.

        TUDA: E allora io?

        GIUNCANO: Non farai più la modella, almeno agli scultori.

        TUDA: E ai pittori, sì? Meno male.

        SIRIO (a Tuda): Dobbiamo dunque rimandare? Fino a quando?

        TUDA: Ma se non dovevo venire nemmeno questa mattina, scusa! Vede, Mae­stro, come mi ringrazia?

        SIRIO: Mi lasci così, e vorresti che ti ringraziassi per giunta?

        TUDA: T’avevo pur detto, ricordati, di non cominciare. Non dovevi!

        GIUNCANO: Ecco: benissimo: mai.

        TUDA: Non dico «mai»; almeno fino al giorno che avrei potuto impegnarmi con lui per tutto il tempo che gli bisognava; dato che gli s’è proprio radicata oh, questa bella mania, di mettersi a far lo scultore.

        SIRIO: Ma che scultore! finiscila! Ho schifo solo a sentirlo dire.

        TUDA: Non è uno studio di scultore, questo? Pare quasi finto, tant’è bello! Chi sa quanto ti sarà costato!

        SIRIO: La professione…

        TUDA (a Giuncano): È vero che l’idea gli nacque – ?

        SIRIO (ghignando): – sì, la fàvola del ragazzo! –

        TUDA: – lo dicono tutti –

        SIRIO: – eh sì, circola, circola! –

        TUDA: – che eseguiva la copia d’un piede, davanti (indica Giuncano) al suo studio.

        GIUNCANO: Maledetto!

        SIRIO (a Giuncano): E invece, guarda, proprio per farti dispetto, ti dirò che sei stato tu –

        GIUNCANO: – io? vorresti darne la colpa a me? –

        SIRIO: – a te, a te: ma non colpa: la rabbia di vederti distruggere come un pazzo –

        GIUNCANO: – ma questo, anzi, doveva farti passar la voglia –

        SIRIO: – no: quando vidi nel tuo studio lo scempio che avevi fatto di tutti i tuoi gessi –

        TUDA: – già, peccato! –

        SIRIO: – tra tutti quei rottami sparsi là, di torsi, di gambe, di mani, di facce –

        GIUNCANO: – ah, fu allora? –

        SIRIO: – sì: lo sdegno dei nostri corpi ancora in piedi –

        TUDA: – sdegno? perché? –

        SIRIO (seguitando, senza badarle): – mentre là, per terra, quella rovina… Non so: le due cose: quelle statue infrante, tra i piedacci della gente accorsa – e quelle facce sguajate, quei corpi scomposti da prendere a calci e abbattere ah, quelli sì – a martellate… Sul serio, mi nacque lì, allora –

        TUDA: – l’idea? oh guarda! –

        SIRIO: – di prendere anch’io in mano la creta, per mettere in piedi, alta, una statua: una sola.

        TUDA (distornandosi dall’attenzione): Oh, io sto qua ad ascoltare. Bisogna che scappi. M’aspettano.

        SIRIO: Chi t’aspetta?

        TUDA: Non ci sei tu solo, caro! Oh, sono di moda io, sai? (Ride) Anche all’e­stero! – Che ridere, Maestro! È stato jeri per l’inaugurazione a Villa Medici? (A Sirio:) Vai, vai a vedere! Faccio parte ormai della storia del pensionato di Francia! Non c’è che Tuda. Tanti quadri, tante Tude. M’è parso d’entrare nuda in un corridojo con le pareti di specchio. Ma certi specchi impazziti! Dio, che smorfie! Io non so… – Su, caro, su: Altri dieci minuti, e poi basta.

        SIRIO: Che vuoi che me ne faccia di dieci minuti? Non ti lascio andare, no. Non posso lasciare l’abbozzo così.

        TUDA: Oh, ma neanche tenermi qua con la forza.

        SIRIO: Anche con la forza, sì, anche con la forza, se occorre!

        TUDA (a Giuncano): Ne sarebbe capace. Non ho mai visto una prepotenza si­mile.

        SIRIO: Bisogna che lo finisca a qualunque costo. Ne ho fino alla gola!

        TUDA: E tu piantalo! Ma scusa, chi te lo fa fare?

        SIRIO (con ira e nausea, gridando): Non dico del lavoro!

        TUDA (a Giuncano): Lo guardi! Ha il coraggio di dire ch’è impazzito lei! Sta impazzendo lui per quella sua statua! Lo guardi! Lo guardi! – (A Sirio:) È il quinto abbozzo: lo butterai via come gli altri!

        SIRIO: No, questo no, perché è già quello che dev’essere. Perdio, non vedi che ho la febbre addosso?

        GIUNCANO: Non è mica come quei ladruncoli di strada lui, che si contentano di portar via la borsa ai passanti: tira il gran colpo, lui. Una sola statua e lì.

        SIRIO: Almeno di questo – se ragionassi ancora un po’ – mi dovresti lodare.

        GIUNCANO: Ma ti detesto anzi proprio per questo! Perché so che la statua, tu, la farai.

        SIRIO: La farò, sì – e poi basta.

        GIUNCANO: Ah, poi cambierai mestiere?

        SIRIO: No, basta – di tutto.

        GIUNCANO (lo guarda, poi): Come tuo fratello?

        SIRIO: Mio fratello lo fece da sciocco.

        GIUNCANO: Perché ora è guarito?

        SIRIO: Guarito? È più solo di me. Dico da sciocco perché non seppe farlo. Stai sicuro che io lo saprò fare.

        TUDA: Ma che dice? Parla sul serio d’uccidersi?

        SIRIO (voltandosi di scatto, sdegnoso): Tu non t’immischiare!

        GIUNCANO: Male di famiglia.

        TUDA: Oh, puoi smetterle con me, sai, codeste arie! L’hai trovata davvero chi s’immischia nei fatti degli altri, e specie nei tuoi. Per me, puoi ucciderti qua, ora stesso: non mi volterei nemmeno a guardarti. Penso che prima, se seguito a farti da modella, avrai ucciso me! (A Giuncano:) Ma stia tranquillo che non s’uccide per ora: non la finirà mai, quella statua. E chi sa che questa non sia anzi una scusa per non finirla.

        SIRIO: No, cara: perché anzi stare a parlare con te, con lui; sopportare la vostra vista –

        TUDA: – grazie! io me ne voglio andare: mi trattieni tu! –

        SIRIO: – ma dico anche quella degli altri, di tutte le cose – ciò che lui chiama «vivere» (a Giuncano, con foga:) che cosa? viaggiare, come fa adesso mio fratello? giocare, amar donne, una bella casa, amici, vestir bene, sentire i so­liti discorsi, far le solite cose? vivere per vivere? –

        GIUNCANO: – sì, sì – e senza nemmeno saper di vivere –

        SIRIO: – già – come le bestie –

        GIUNCANO: – ma che come le bestie! le bestie non possono impazzire! –

        SIRIO: – ah tu dici da pazzo? –

        GIUNCANO: – da pazzo, come intendo io! –

        SIRIO: – grazie: l’ho fatto: me ne sono seccato: non ne ho più neanche sdegno; ma tanta uggia, tanta afa, (voltandosi a Tuda) che potrei temere piuttosto il contrario: di contentarmi di ciò che ho fatto là (indica dietro la tenda, sottintendono la statua) e dire che è finita, pur di finirla.

        GIUNCANO: Mangi per la tua statua, dormi per la tua statua…

        SIRIO: Tu che non sei volgare, potresti risparmiarti un’ironia così facile. Ecco; ti rispondo: sì. E ti sfido a riderne. (Poi, volgendosi a Tuda:) Ti sarai riposata: su, andiamo.

        TUDA: Ma verrà a prendermi Caravani a momenti!

        SIRIO: Per qualche altro lupanare?

        TUDA: Lupanare… perché una volta, a Parigi, da giovane, avendo bisogno… – e fu la sua fortuna, del resto! – Non puoi negare che il nudo lo fa bene. È di moda anche lui, adesso, come ritrattista. (Sovvenendogliene d’improvviso l’idea) Oh, lo sa anche la tua amica che vuol fatto da lui un ritratto da amaz­zone, a cavallo.

        SIRIO: Come non ti vergogni?

        TUDA: Di che? Non faccio mica la spia. Vedrai che te lo dirà lei stessa.

        SIRIO: Ma no, io dico, di prestare così il tuo corpo –

        GIUNCANO: – mentre lui qua te lo glorifica in una così pura divinità! –

        TUDA: – già! e mi sta facendo morire! – Ah, ma per vendicarmi, sa che ho suggerito a Caravani –

        GIUNCANO: – di fare anche lui una Diana? Benissimo!

        SIRIO (scattando): Ah no, perdio! Con te no, sai! Glielo proibisco!

        TUDA: O eh’è di tua spettanza esclusiva la dea Diana?

        SIRIO: Mentre sto lavorando io con te, sì; e glielo proibisco! Tanto più se gliel’hai suggerito tu!

        TUDA: Ma è un’altra cosa…

        SIRIO: Appunto per l’obbrobrio che sarà! Bada che non lo tollero sul serio!

        TUDA: Sai che diventi insopportabile? Si figuri, Maestro, una Diana messa se­duta bene, con un gomito su una coscia –

        SIRIO: – sta’ zitta! –

        TUDA: – comodissima! – la testa così (l’appoggia a una mano) – che se ne sta a guardare un bel figliolone Endimione dormente – mezzo verde e mezzo violetto: tra le pecore – un amore! (Scoppia a ridere.)

        SIRIO: Mi verrebbe di strozzarla!

        TUDA: Ne sei geloso? Ma quando un artista vuole una modella tutta per sé, sai che fa? la sposa, caro! (A uno sguardo sprezzante di Sirio) Perché? Ti par­rebbe disonore? Tanti hanno fatto così. E con certune che non valevano nean­che un’unghia del mio piede.

        SIRIO: Quanto ti dà?

        TUDA: Caravani? La posa; niente più.

        SIRIO: Ma una di quelle sue clienti là non gli servirebbe meglio?

        TUDA: «Una di quelle sue clienti là…». Ti dico che farà il ritratto anche alla tua amica. Del resto, come m’hai veduta tu da Diana, potrebbe avermi veduta anche lui.

        SIRIO: Perdio, non lo dire!

        TUDA: Un corpo come il mio…

        SIRIO: Ti darò il doppio, il triplo, quattro, cinque volte di più, purché la smetta! Ti dico che non posso tollerarlo!

        TUDA: E tu sposami!

        SIRIO: Finiscila!

        TUDA: Sarebbe da vedere, caro, se poi ti vorrei io…

        GIUNCANO: Tu, no!

        TUDA: Intanto, non mi vuole lui. E allora non c’è gusto a fare la sdegnosa. – Su, caro, andiamo. Del resto, te l’ho già fatto capire in tutti i modi: mi paghi meglio degli altri, ma non mi piace lavorare con te. (Ritorna dietro la tenda e si rimette in posa. Rispunta l’ombra, enorme, sulla parete di fondo.) Papà Giuncano, ajuto! Mi dica di quell’esperimento che vuol fare.

        SIRIO: Più alto il braccio!

        TUDA: Così?

        SIRIO: Così. (Pausa tenuta.)

        TUDA: Dorme, Maestro?

        GIUNCANO: Fumo. Ti vedo nell’ombra.

        TUDA: Sono bella?

        GIUNCANO: Sì, cara. – (Pausa.) – Morta.

        TUDA: Come, morta?

        SIRIO (con un urlo): Ferma!

        TUDA: Eh, dice morta…

        GIUNCANO: Appunto perché ti vuole ferma così. (Altra pausa.)

        TUDA: Ah, dà l’incubo quest’ombra! Anche questo supplizio doveva inventare. Il lume dietro, e l’ombra della statua davanti!

        GIUNCANO: Anche di questo ti vendicherò. Ma non trovo ancora la pasta.

        TUDA: Che pasta?

        GIUNCANO: Ardente, ardente: una pasta ardente da calare dentro a tutte le statue per scomporle dai loro atteggiamenti.

        SIRIO: Insomma, finiamola! Non fai altro che muoverti! Vestiti e vattene!

        TUDA: Abbi pazienza. Ho immaginato che faccia farebbero le statue, senten­dosi a poco a poco scomporre dai loro atteggiamenti. Guarda lì nell’ombra: così… così… così… (azione lenta) – senza finire d’essere statue, e pur senza potere esser vive…

        GIUNCANO: No, vive, vive! E allora sì. Mi metterei di nuovo a scolpire!

        SIRIO: Il miracolo di Pigmalione.

        GIUNCANO: Potere dar loro, con la forma, il movimento – e avviarle, dopo averle scolpite, per un viale infinito, sotto il sole, dov’esse soltanto potessero andare, andare, andar sempre, sognando di vivere lontano, fuori dalla vista di tutti, in un luogo di delizia che su la terra non si trova, la loro vita divina.

        TUDA (che è già balzata giù dallo zoccolo e s’è rimesso il «chimono» vien fuori dalla tenda, correndo verso Giuncano): Ah, questa, papà Giuncano, non poteva venire in mente che a lei! Glielo do davvero: toh! (Lo bacia.)

        GIUNCANO (ribellandosi fosco): No!

        TUDA (con meraviglia): Non lo voleva?

        GIUNCANO: Non mi piace.

        TUDA: Ch’io la baci?

        GIUNCANO (indicando Sirio): Bacia lui.

        TUDA: Grazie. Bacio chi voglio io.

        GIUNCANO: Ma non per me, sciocca! Dico per te. La tua bocca…

        TUDA: Che ha la mia bocca? (La mostra, protendendo il volto.) Quando non ride, è così. (E rimane ancora ferma un istante nell’atteggiamento.)

        GIUNCANO: Ma guardala! guardala! (E, come Tuda si scompone scoppiando a ridere, di nuovo la indica a Sirio:) Ecco: guardala!

        TUDA (scomponendosi ancora con finto fastidio): Oh, insomma!

        GIUNCANO: Guardala!

        TUDA (movendosi in tanti modi): Insomma! insomma! insomma!

        GIUNCANO: Fanne ora una statua! Tutta un fremito continuo di vita: ogni attimo un’altra!

        SIRIO: Già! E se non la fermi in un gesto in cui consista, che è? Nulla.

        TUDA: Come, come? Io, nulla!

        GIUNCANO: Vita! vita!

        SIRIO: – che passa –

        GIUNCANO: – appunto! –

        SIRIO: – oggi non più quella di jeri, domani non più questa d’oggi: ogni attimo un’altra: tante! Io la faccio una: quella (indica di là, la statua) per sempre!

        TUDA: Grazie! Una statua.

        GIUNCANO: Una – e per sempre – che non si muova più?

        SIRIO: È l’ufficio dell’arte –

        GIUNCANO (subito, forte): – e della morte: che farà anche di te, come di me, una statua: su un letto o per terra, quando vi giacerai, stecchito.

        TUDA (quasi cantando e ballando): Viva: occhi bocca braccia dita gambe – guarda – le muovo, le muovo – e questa è carne, senti: calda!

        SIRIO: Ma che c’entri tu, come sei, viva? Dev’esser lei, la statua: non tu. – Marmo: la sua materia: non la tua carne.

        TUDA: E perché hai bisogno di me, allora?

        SIRIO: Perché mi servi. Servi a me. Non a lei. (Indica la statua.)

        GIUNCANO: E non ne provi sgomento?

        SIRIO: Di che?

        GIUNCANO: Di quello che fai! Quando te la vedi consistere davanti a poco a poco, che comincia ad assumere corpo per sé, non come tu vorresti, ma com’essa quasi da sé si vuole – altra, altra dall’immagine che tu ne avevi concepita – tanto che, per non lasciartene vincere, devi combattere con quel­l’ammasso di creta ancora quasi informe ma per sé vivo –

        SIRIO: – sì, sì, è vero –

        GIUNCANO: – ebbene: quando riesci a imprimere in quella creta la tua immagine, la vita che moveva le tue dita e quella creta, la vita di quell’immagine ti resta lì davanti sospesa, senza più movimento: atteggiata. E non ne provi lo stesso sgomento che si prova davanti alla morte, davanti a uno che poc’anzi era vivo, e ora è lì, che non si muove più?

        TUDA: È vero, è vero!

        GIUNCANO: Ti si muta in ribrezzo, lo sgomento, pensando a ciò che tra poco ne avverrà –

        SIRIO: – già! mentre davanti a una statua –

        GIUNCANO: – ti si muta in ammirazione, perché la statua è bella? –

        SIRIO: – viva – che non muore più! –

        GIUNCANO: – ma che viva, se vivere vuol dire morire ogni momento, mutare ogni momento, e quella non muore e non si muta più! Morta per sempre là, in un atto di vita. La vita gliela dai tu, se la guardi un momento. Io non posso più guardarle; ne ho orrore. Ah, grazie, immortale così! (Afferra Tuda per le braccia e la scuote) e non più viva, non più viva così!

        SIRIO: Sai come traduco tutto questo che hai detto? In un pianto che tu fai, d’esser vecchio. Odii le statue, perché cominci a sentire di non poterti più muovere, come loro: ecco perché. (Giuncano, sorpreso dell’osservazione, sì volta a fissarlo con ira e insieme con maraviglia. Sente picchiare alla porta.)

        TUDA: Ah: sarà lui, Caravani.

        SIRIO (reciso, riconoscendo il picchio): No. – Fatemi il piacere: di là, un mo­mento.

        Indica dietro la tenda. Giuncano e Tuda vi si ritirano. Sirio si reca ad aprire. Entra Sara Mendel, in abito d’amazzone. Bruna, ardita, ambigua, elegantis­sima, presso ai trent’anni.

        SIRIO: Piano, ti prego.

        SARA: Lavori ancora?

        SIRIO: Sta per andarsene. Ma c’è altri. Non è possibile.

        SARA: Chi c’è?

        SIRIO: Giuncano.

        SARA: Ah, comodo, quello! E non potrei anch’io…

        SIRIO: Che cosa?

        SARA: Vederti lavorare?

        SIRIO: T’ho detto di no.

        SARA: Curioso! Da un uomo no, e da una donna si vergogna a farsi veder nuda?

        SIRIO: Vieni qua fuori nel giardino.

        SARA: Lasciamela vedere!

        SIRIO: Vieni, ti dico.

        SARA: No no. Rimani. Io me ne vado. Seguita, seguita a lavorare. Ma scusa: Caravani non doveva venire a prendersela a mezzogiorno?

        SIRIO: Difatti t’ho detto che sta per andarsene.

        SARA: Lo sai che sta con Caravani?

        SIRIO: Che vuoi che m’importi con chi sta?

        SARA: E che Caravani da una settimana mi fa la corte, lo sai?

        SIRIO: Lo vedo.

        SARA: Che vedi?

        SIRIO: Che sei vestita, come per il ritratto che ti vuol fare.

        SARA: Ah! Chi te l’ha detto? Te l’ha detto lei? (allude con una mossa del capo a Tuda.)

        SIRIO: Non sta con Caravani?

        SARA: Ma me l’ha chiesto lui, Caravani, di farmi il ritratto. Ah, dunque voi parlate di me, lavorando?

        SIRIO: Zitta! Andiamo fuori.

        SARA: Potrei farti sapere, a mia volta, che lei ha suggerito a Caravani –

        SIRIO: – sì, di fare anche lui una Diana. E questo te l’ha detto lui, Caravani. Segno che anche voi due parlate di me. –

        SARA: – già; mentre mi fa la corte.

        SIRIO: Bisogna che la smetta, sai!

        SARA: Di farmi la corte?

        SIRIO: No: s’accomodi; faccia il tuo ritratto; faccia quello che vuole; ma mi lasci la modella per lavorare!

        SARA: Ah, tu vorresti –

        SIRIO: – non voglio nulla! voglio lavorare! (Si sente picchiare alla porta rima­sta socchiusa.)

        LA VOCE DI CARAVANI: Permesso?

        SARA: Ah, eccolo! – Avanti, avanti, Caravani!

        CARAVANI (presso ed quaranta; bruno; veste con eleganza; entrando, non s’a­spetta di trovare la Mendel nello studio del Dossi): Oh, buon giorno, signora.

        SARA: Venite a proposito!

        CARAVANI (salutando Dossi): Caro Dossi. (A Sara:) A proposito di che?

        SARA: Della modella che vi serve.

        CARAVANI: È qua ancora?

        SARA: Eccomi! (Mostra il suo abito da amazzone): Come mi volevate!

        CARAVANI (smarrendosi al cospetto di Dossi): Ah… ma –

        SARA (subito, per rinfrancarlo): – lo sa! lo sa! – gliel’ha detto la vostra mo­della! – Ero venuta per invitarlo a una passeggiata a cavallo – dice che vuol lavorare. – Se voi volete, sono pronta!

        CARAVANI: Per me… figuratevi, felicissimo!

        SARA: A patto però che voi lasciate a lui la modella! – E un cambio. (A un gesto di maraviglia di Caravani:) Acconsente! acconsente! – E acconsento anch’io! – Andiamo! (Fa per trascinarlo via.)

        SIRIO (sdegnatissimo): No: aspetta, Caravani! (Chiamando forte, con rabbia:) Tuda!

        TUDA (da dietro la tenda, subito): Eccomi. Mi sto rivestendo.

        SARA: Ma no! – Venite, Caravani!

        CARAVANI: Ah, per me, come volete!

        SARA: Anche per fare un piacere a me. Andiamo!

        CARAVANI: Ma non vorrei…

        SARA: Se vi dico che acconsente! (Poi, rivolta verso la tenda:) Maestro, so che siete costì: trattenetegliela! – (A Caravani:) Andiamo, andiamo! (E, vedendo uscire Giuncano dalla tenda:) A rivederci, Maestro! (E si trascina via Caravani, per la porta, ridendo.)

        SIRIO (fremente d’ira): Ah, schifo! Vuol dire proprio non conoscermi, perdio! Esce di furia dietro i due.

        TUDA (venendo fuori anche lei dalla tenda, già rivestita e col cappello in capo): Che cos’è?

        GIUNCANO: S’è portato via Caravani.

        TUDA: E lui, come uno stupido, le è corso dietro?

        GIUNCANO: Non è uno stupido.

        TUDA: Ma non ha visto che, appena ha sentito bussare, ha subito riconosciuto che era lei?

        GIUNCANO: Saprà come suole bussare.

        TUDA: La prova, scusi, è che è corso a raggiungerla.

        GIUNCANO: Sì! gridando tra i denti: «Che schifo!».

        TUDA: Perché s’è accorto che ha voluto fargli un dispetto. Quando ha detto del cambio, egli m’ha subito chiamata perché andassi con Caravani.

        GIUNCANO: Sarà gelosa di te.

        TUDA: Di me? Oh bella!

        GIUNCANO: Stupida – lei sì…

        TUDA (con orgoglio): E perché stupida? (Sottintendendo: «Non potrebbe forse essere gelosa di me?».)

        GIUNCANO: Oh, non dico per te! Stupida perché non intende la ragione per cui la trascura. Lo vede così accanito al lavoro e sospetta che possa essere – non per il lavoro – ma per stare con te.

        TUDA: Viene qua a prenderlo ogni giorno a quest’ora.

        GIUNCANO (assorto): Se ha potuto dire di me –

        TUDA (supponendo che parli di Sara): Che ha detto? non ho sentito.

        GIUNCANO: Ch’io odio le statue –

        TUDA: – ah, ma questo l’ha detto lui, prima –

        GIUNCANO: – non è uno stupido, lui –

        TUDA: – perché lei è vecchio? –

        GIUNCANO: – perché tra poco, come loro, non mi moverò più. Ha ragione. – Queste mani indurite! Questa faccia! (S’afferra quasi con schifo il corpo.) Tutta questa forma qua! – Tu non puoi ancora capire.

        TUDA (seria, con una tenera pietà che le fa socchiudere gli occhi, ma pur con un sorriso appena, dì malizia, sulla labbra): Ma sì che capisco.

        GIUNCANO: No. (La guarda, tra scontroso e minaccioso.) Che cosa? –

        TUDA (gli s’accosta, amorevole): – che lei soffre – ma non di quello che dice.

        GIUNCANO: Io?

        TUDA (accentuando la malizia): Non perché non sia vero quello che dice. Ma perché il suo sentimento è un altro.

        GIUNCANO (c.s.): Che altro?

        TUDA: Un altro; e non lo vuol dire.

        GIUNCANO: Io dico –

        TUDA: – sì: una cosa che – per chi come me l’intende – non è più vera, allora.

        GIUNCANO (dopo averla guardata, stupito): Come fai tu a pensare queste cose?

        TUDA: Eh, posso anche far finta d’essere senza pensieri – per malizia. Com­batto con gli artisti! Fingo di parlare come a caso; volto il capo un pochino, senza che me ne faccia accorgere; lo piego; lo alzo; sporgo appena appena una mano; guai a far vedere che sia io, la modella, a suggerire: no: io ho detto anzi una sciocchezza; ho fatto un atto, così: il pensiero è nato in loro. E ne sono così sicuri che me lo dicono: «Oh, sai? sto pensando che… codesta mossa…» oppure: «Zitta! mi nasce l’idea di…». E io, seria: «Che mossa?» oppure: «Che ho detto?» – Bisogna pur fare così, con certuni. Ma con certi altri, no. Con questo, no, per esempio (allude a Sirio).

        GIUNCANO (cupo): Eh sì, sa bene ciò che vuole, questo.

        TUDA: E lei crede veramente che farà?

        GIUNCANO: Sì. Una statua. Lui sì. Una vera statua.

        TUDA (come se le parole le nascessero involontariamente): Non le somiglia af­fatto…

        GIUNCANO (dopo averla guardata): Perché dici così?

        TUDA (subito, e poi imbarazzata): Per niente! Non ha… non ha l’aria degli altri; non pare quasi un artista…

        GIUNCANO (con un sorriso triste): Forse hai sentito dire anche tu…? No no. Somiglia al padre, anzi. Volontà fredda e dura.

        TUDA: Dicono che il padre lo abbandonò –

        GIUNCANO: – bambino, sì: quando morì la madre. Andò ad arricchirsi lontano.

        TUDA: E lei lo conobbe bambino?

        GIUNCANO (assorto): Sua madre, sì, era una donna veramente viva! Come ne ho viste poche.

        TUDA: E quell’unico gesso che lei salvò dalla distruzione? Il suo ritratto da giovane?

        GIUNCANO: Sì.

        TUDA: Come doveva esser bella! (Pausa.)

        GIUNCANO (con altro tono): Quando io sento parlare, quando io guardo e vado per qualche luogo; nelle parole che sento, in ciò che vedo, nel silenzio delle cose, ho sempre un sospetto che ci possa essere qualcosa di ignoto a me, a cui il mio spirito, pur lì presente, rischia di rimanere estraneo; e sto con l’an­sia che, se ci potessi entrare, forse la mia vita s’aprirebbe a sensazioni nuo­ve, tanto da parermi di vivere in un altro mondo. Questo qui, invece… io non so: è così: coi paraocchi: non sente, non vede nulla: vuole una cosa sola. (Pausa. )

        TUDA (assorta): Se davvero è così ricco, come dicono… (Pausa.)

        GIUNCANO (assorto): Quando la vita si chiude… (Pausa.)

        TUDA: Crede che farà veramente ciò che dice?

        GIUNCANO: Capacissimo di farlo. (Pausa.)

        TUDA: Ma quella signora…

        GIUNCANO: Credo che conti ben poco per lui.

        TUDA: Ah no: questo non lo credo. Benché, se può dire che, finita la statua… (Pausa. )

        GIUNCANO (come ripigliandosi): Ma tu non mi volevi dir questo.

        TUDA: È vero. Io volevo dire –

        A questo punto, dalla porta rimasta aperta, entrano le due vecchie sorelle Giuditta e Rosa dette «Le Streghe», parate entrambe quasi carnevalesca­mente con fiocchi e nastri sui capelli lanosi: entrano come cieche, in cerca del caldo della stufa.

        GIUDITTA: È permesso?

        TUDA: Chi è? – Ah, voi?

        ROSA (a Giuditta): Vedi che hanno smesso da un pezzo? (A Tuda:) Il signorino dov’è?

        TUDA: Doveva essere nel giardino. Non l’avete veduto?

        GIUDITTA: Non l’abbiamo veduto.

        TUDA: E allora non so: non dovrebbe essere lontano: è uscito come si trovava, col càmice addosso…

        ROSA (A Tuda): Ci ha lasciato sempre entrare, tu lo sai –

        GIUDITTA: – per farci prendere il caldo che resta nella stufa.

        ROSA: Se è ancora accesa…

        TUDA: Non so: sarà accesa: andate a vedere.

        GIUNCANO (a Rosa che s’avvia dietro la tenda): Rosa, vieni qua!

        ROSA (cupa e scontrosa): Che vuoi tu?

        GIUNCANO: Vieni qua. (A Tuda:) Tu dici che non sono vecchio? (Prende Rosa per un braccio.) Qua, qua: così, davanti. (La costringe a sedergli sui ginoc­chi. )

        ROSA: Perché? lasciami!

        GIUNCANO: Mi voglio guardare. (A Tuda, mentre Giuditta sghignazza:) Sai? Tre anni insieme, noi due!

        TUDA (maravigliata, sorridente): Ah, con lei?

        ROSA: Con me, con me, sì! Che ci hai da ridire?

        GIUNCANO (sempre con Rosa sulle ginocchia, mentre Giuditta, tenendosi i fianchi, seguita a sghignare orribilmente): Trent’anni fa!

        ROSA: Eravamo le prime, noi, al nostro tempo!

        GIUDITTA (sempre sghignando e accennando a sollevarsi la veste): Carni da re­gine, le nostre, anche adesso!

        ROSA (volgendosi verso Tuda): E tu, all’età mia –

        GIUDITTA: – sarai una pentolaccia squarciata!

        TUDA: Ma non v’ho detto niente, io.

        GIUNCANO: Che specchio, eh? che specchio!

        ROSA: Hai il coraggio di dirlo a me, tu, specchio?

        GIUNCANO: No! Lo dico appunto per me!

        GIUDITTA (a Tuda): E n’era geloso allora, lui! E lei lo piantò – oh, sai? per met­tersi con uno meglio di lui!

        GIUNCANO (dalla porta ridendo): È vero, sì: lei, lei. – (Poi, subito rifacendosi serio, rivolto a Tuda:) Ricordati di questo, per ciò che mi volevi dire. (E se ne va. Le due vecchie s’avviano verso la tenda.)

        TUDA (dopo un momento’di riflessione): Vado via anch’io. Glielo direte voi, appena torna, che l’ho aspettato e me ne sono andata. (S’avvia verso la porta, e sta per uscire, allorché Sirio rientra, fosco.)

        SIRIO: Te n’andavi? Ho da parlarti.

        TUDA: Ma ora devo andare. È tardi.

        SIRIO: Tu resterai qua. Farò com’hai detto.

        TUDA: Farai – ?

        SIRIO: – com’hai detto: ti sposo.

        TUDA: Oh bella! Sei impazzito?

        SIRIO: No, cara. Calmissimo.

        TUDA: Mi sposi?

        SIRIO: Per obbligarti a restare mia modella soltanto.

        TUDA: Ah, no! Per dispetto no, sai: grazie – non voglio.

        SIRIO: Ma che dispetto!

        TUDA: Hai litigato con quella! No no!

        SIRIO: Chi t’ha detto che ho litigato?

        TUDA: Eh, v’ho sentito di là. Non ci voglio mica andar di mezzo, io. Se n’è andata con Caravani.

        SIRIO: Ma nient’affatto!

        TUDA: Perché gelosa di me, sì.

        SIRIO: Smettila!

        TUDA: Gelosa, gelosa: l’ha detto anche il Maestro!

        SIRIO: Smettila, ti dico! E non parlarmi di quella signora.

        TUDA: Ah no, aspetta! E come intendi allora? Dobbiamo anzi parlarne.

        SIRIO: Intendo che tu, appena ogni giorno avrai finito di servirmi per il mio la­voro, abbia intera per te la tua libertà –

        TUDA: – ah sì? – intera? –

        SIRIO: – di fare quello che ti parrà e piacerà.

        TUDA: Non te ne importerà nulla?

        SIRIO: Che vuoi che me ne debba importare?

        TUDA: Se sarò tua moglie!

        SIRIO: Ma no, cara, che moglie!

        TUDA: Eh, se mi sposi! Sapranno tutti –

        SIRIO: – che cosa? –

        TUDA: Oh bella! Porterò il tuo nome: sarò la signora Dossi, no? Vedi? ti fa un certo effetto –

        SIRIO: – ma no! nessun effetto!

        TUDA: – eh via! la moglie dello scultore Dossi! Non t’importerà di me – t’im­porterà del tuo nome.

        SIRIO: Non m’importa più di nulla. – La gente saprà perché e come sarai mia moglie. Anzi, quanto più lascerò che t’avvalga della tua libertà, e più apparrà chiaro perché l’ho fatto. – Del resto, io debbo soltanto finire la mia statua.

        TUDA: Poi t’ucciderai, abbiamo capito! Non t’importa più nulla per questo. Eh, dico, ma, se sarà vero, bisognerà intendersi anche –

        SIRIO: – ma sì, anche su questo! –

        TUDA: Capirai, per un pajo di mesi non ne varrebbe la pena.

        SIRIO: C’intenderemo su tutto, non te ne dar pensiero. Tu avrai fatto comunque un ottimo affare, stai sicura.

        TUDA: Affare! Non è affare soltanto!

        SIRIO: Ah, no: soltanto. Il tuo corpo, per quel che mi deve servire.

        TUDA (dopo una pausa di riflessione): E… abiterò qua nella tua casa?

        SIRIO: Sì, al piano di sopra: sarà tutto per te. Ti dico di non pensare a nulla. Avrai tutto quello che vorrai.

        TUDA: E – che ne dirà lei?

        SIRIO: T’ho detto di non parlarne.

        TUDA: Vorrei almeno sapere se lo sa, scusa! Siete già d’accordo?

        SIRIO: Io sono padrone di me.

        TUDA: Libero anche tu, per conto tuo –

        SIRIO: – s’intende –

        TUDA: – con lei?

        SIRIO: Basta, t’ho detto.

        TUDA: Vorrei essere sicura che non è un dispetto, tu capisci.

        SIRIO: Non mi preme di farne. Lei, sì, vorrebbe per picca ch’io non lavorassi più con te. Farà di tutto perché tu non venga qua.

        TUDA: Ah sì? E io allora ci vengo, guarda! anche se tu non mi sposi!

        SIRIO: Non la conosci. Potrebbe trovare il modo d’impedirtelo. E poi, forse, tu stessa… No no. Dato che l’atto per me ha questo senso soltanto, e nessun va­lore per sé…

        TUDA: Ti guasterai con lei…

        SIRIO: Se mai, sarà affar mio.

        TUDA: E se poi, avendolo fatto per causa mia…

        SIRIO: Ma non per causa tua: lo faccio perché lo voglio io –

        TUDA: – ora, sì: ma se poi dovessi pentirtene?

        SIRIO: Non avrò tempo di pentirmene, non temere. (Pausa.)

        TUDA: Io dovrò allora servire soltanto per la tua statua?

        SIRIO: A me, soltanto; per la mia statua. (Pausa.)

        TUDA: Mi sposi per questo?

        SIRIO: Per questo, e perché non serva più da modella ad altri. – Accetti?

        TUDA (sta a guardarlo un pezzo; poi, ambigua, con aria di sfida): Bada oh, che io sono viva!

        SIRIO: Ah – per te…

        TUDA: E non pensi che – (s’interrompe.)

        SIRIO (dopo aver atteso un po’): – che? –

        TUDA: – niente: per fare una supposizione – mi potrebbe nascere, standoti vi­cina, insieme –

        SIRIO (con tono derisorio): – l’amore? –

        TUDA: – no, ma – un desiderio di te…

        SIRIO: Finora non t’è mai nato.

        TUDA (guardandolo e poi abbassando gli occhi): Che ne sai tu?

        SIRIO: Non me ne sono mai accorto.

        TUDA: Perché ti sapevo con quella.

        SIRIO (per troncare): Bisogna che tu ti levi codeste idee dal capo. Capirai che se, prima, per un momento, sarebbe stato possibile –

        TUDA (vivissimamente): – ah sì? sarebbe stato possibile?

        SIRIO (impassibile): – non potrà più essere ora.

        TUDA: Già – perché diventerei tua moglie davvero, allora… (Sta un po’ a pen­sare a quello che ha detto, e con un sorriso appena, vano e triste, esclama:) Eh già… (Pausa.) Bene: accetto. (Altra pausa, più breve.) Voglio vedere come sarà. (Altra pausa.) L’avevo detto per ischerzo… (Altra pausa.) Ho mio padre, ad Anticoli; le mie sorelle…

        SIRIO: Non mi farai vedere nessuno!

        TUDA: No, penso che… (S’interrompe, guarda nel vuoto con occhi lieti e un sorriso di vaga soddisfazione sulle labbra.)… al paese… da signora. (Pausa.) La casa su sarà bella… Il giardino… E io… (Fa per guardare Sirio, il quale si volta subito, a schivare lo sguardo.) Non debbo nemmeno guardarti? (Si leva il cappello risolutamente.) Sta bene. Andiamo, su! Vedrai come ti farò finire presto la statua! (E cominciando a sganciarsi la veste, s’avvia con Sirio verso la tenda. – Prima di sparire, si ferma un po’.) Ah guarda, qua ci sono le stre­ghe. (Dietro la tenda:) Via! via! Andate fuori!

        SIRIO: Eh no, lasciale, purché stiano zitte.

        TUDA (rivenendo fuori con Giuditta e Rosa nell’atto di minacciarle con lo spil­lone del cappello, ridendo): No, via! via! via!

        GIUDITTA: Non pungere oh! Sei cattiva!

        ROSA: Ma guarda: ci caccia lei !

        TUDA: Io, io! Non avete sentito che mi sposa?

        GIUDITTA: Eh, abbiamo sentito sì…

        TUDA: E dunque sono la padrona! Via! via! Vi faccio vedere io, pentolaccia!

        SIRIO: E via, basta: lasciale stare.

        GIUDITTA: Ce ne staremo di qua!

        SIRIO: Zitte!

        ROSA: Sì sì, senza fiatare!

        TUDA (ride; corre verso la tenda; vi scompare dietro di nuovo, e un attimo dopo, rimontando nuda e giojosa sullo zoccolo): Eccomi pronta! Riappare, grande, l’ombra sulla parete di fondo. Le dette vecchie si voltano a mirarla con sgomento.

Tela.

1927 – Diana e la Tuda – Tragedia in tre atti
Premessa e struttura
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Diana y Tuda

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