Di Mario Minarda.
Nel saggio Arte e coscienza d’oggi, pubblicato nel settembre 1893 sulla rivista «La Nazione letteraria», Pirandello ha modo di manifestare tutta la propria perplessità in merito alle teorie culturali e alle metodiche di rappresentazione letteraria che circolavano alla fine del secolo XIX.
Dai saggi-racconto alle novelle.
Demistificazioni scientifiche e comicità in Pirandello.
da Adi – Associazione degli Italianisti
In Letteratura e Scienze
Atti delle sessioni parallele del XXIII Congresso dell’ADI (Associazione degli Italianisti)
Pisa, 12-14 settembre 2019
Pirandello in brevi articoli pubblicati sulla «Gazzetta del Popolo» di Torino tra il 1905-1906 riflette su alcune urgenti ed eccentriche questioni culturali dal forte impatto sociale, innestandovi non pochi paradossi e suscitando patenti perplessità. Argomenti come lo spiritismo di matrice para-scientifica, la pedagogia infantile, la vivisezione animale entrano così di sbieco in generali disquisizioni letterarie e sono trattati dall’autore siciliano con piglio ironico, prospettive stranianti e attraverso modulazioni di stile ora inclini a un fitto dialogismo con il lettore, ora agglutinate a fabulazioni narrative sui generis, consistenti in figure favolistiche o procedimenti comico-satirici, che contaminano la facies discorsiva dei testi. Tali elementi si rilevano parimenti in alcune novelle coeve, nelle quali l’autore usa accenti grotteschi e strategie pre-umoristiche per demistificare molti idola contemporanei: tra essi spicca proprio la scienza intesa come falsa fonte di progresso sociale o baluardo dell’oggettività empirica.
Nel saggio Arte e coscienza d’oggi, pubblicato nel settembre 1893 sulla rivista «La Nazione letteraria» – definito giustamente da Nino Borsellino un prezioso «incunabolo» [1] di quella che sarà negli anni una poetica più matura – Pirandello ha modo di manifestare tutta la propria perplessità in merito alle teorie culturali e alle metodiche di rappresentazione letteraria che circolavano alla fine del secolo XIX. Esse evidentemente, oltre a proporre forme oramai desuete rispetto a un comune sentire sempre più caotico dal punto di vista conoscitivo, dove entra in crisi ogni certezza scientifica e non è più possibile figurare in modo oggettivo la realtà, comunicano al mondo esterno un vivo disagio esistenziale e intellettuale. [2]
[1] Nino Borsellino, Ritratto e immagini di Pirandello, Bari, Laterza, 2000, 20.
[2] «La percezione di un disagio, che è prima di tutto culturale e diviene poi esistenziale, la consapevolezza di una condizione di precarietà, di smarrimento, di perdita degli equilibri raggiunti e consolidati, pervadono numerosi scritti di Luigi Pirandello, e in particolare uno dei primi tra quelli saggistici, Arte e coscienza d’oggi» (Assunta De Crescenzo, Come nembi sopra una rovina»: Pirandello e la coscienza critica della modernità, in Atti del XII Congresso dell’Associazione degli Italianisti, Roma, 17-20 settembre 2008).
Continuando sulla scorta di uno scetticismo incline a tirate ironiche sia contro i vecchi sistemi che contro le nuove ideologie, l’autore scrive così, sulle orme del maestro e amico Capuana, a proposito dell’inanismo contemporaneo, vedendo in esso la causa di certe derive artistiche e letterarie. Singolare è però il fatto che la riflessione di Pirandello su tali questioni estetico-culturali, ma anche di stringente attualità politica, sia più penetrante; oltre che affidata a una testualità dallo stile ibrido: ossia a metà strada tra saggismo e narrativa.
Esistono a tal proposito brevi testi dello scrittore agrigentino, pubblicati sulla «Gazzetta del Popolo» di Torino, tra il 1905 e il 1906, non più raccolti in recenti volumi, che recano il segno di un’interessante corrispondenza tra mondo della realtà e sfera della finzione. Tra scrittura d’opinione su fatti di cronaca ed elaborazione inventiva si crea pertanto una sorta di strambo continuum stilistico-retorico, intervallato ora dalla cifra conversativa assunta dall’io scrivente nei confronti del lettore, ora dal monologare argomentativo e incalzante degli stessi personaggi di fantasia. Ciò provoca inevitabilmente voluti slittamenti tra letteratura e giornalismo, nonché patenti reimpieghi di figure e forme della satira antica nel moderno: tutti elementi che anticipano, di fatto, la scrittura comica e umoristica di alcune novelle successive.
Questi testi critico-teorici o, per l’appunto, d’occasione, che per la loro natura potremmo definire come veri e propri saggi-racconto, sono noti, nell’ultima edizione critica mondadoriana col titolo «Cronache stravaganti» e recano il segno di una demistificazione corrosiva e ironica. Essi a uno scetticismo certamente aperto alla contemporaneità tout court aggiungono riflessioni di tipo meta- letterario in forma di finzioni narrative: approdando così a una moralità sub specie fabulae, del tutto alternativa e varia. [3] Tali scritti, attaccando in modo ironico e pungente certi assunti dell’ideologia positivista ottocentesca (sia riguardo le discipline filosofiche, che quelle scientifiche) finiscono per fornire spunti catalizzanti la precoce fantasia narrativa pirandelliana.
[3] Ha scritto Sarah Zappulla Muscarà che gli scritti in questione documentano in sostanza «la varietà e ricchezza degli interessi culturali pirandelliani e un’attività giornalistica più ricca e significativa di quanto si è soliti comunemente ritenere, che va dalla recensione dell’ultima novità libraria allo scritto d’occasione, da curiosità e da riflessioni frammentarie ad appunti fuori di chiave» ( Sarah Zappulla Muscarà, Archetipi e rari del Pirandello saggista, in ID., Pirandello in guanti gialli, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1983, 178).
Nell’articolo Un fantasma (24 dicembre 1905) l’argomento è lo spiritismo. Attraverso esso Pirandello ha modo di imbastire una sottile polemica contro il facile fideismo degli studi psicologici e scientifici. La disputa, oggetto di un acceso confronto alla Camera, riguarda da un lato «i fanatici cultori dei così detti studi psichici»; dall’altro gli «sdegnosi sacerdoti della pura scienza» [4] (si noti la mordace aggettivazione usata).
[4] Ivi, 203. Per le successive citazioni si continuerà a fare riferimento a questa edizione.
Ciascuna delle due fazioni in campo è però caratterizzata da incomprensibili dogmi, oltre che da una propensione compiaciuta verso i fenomeni dell’occulto. [5] Questi, che tanta risonanza avranno nelle novelle pirandelliane, [6] sono trattati con evidente leggerezza. Così come sminuito appare il ruolo positivo assunto dalla scienza, [7] nonostante vengano citati nomi ed esperienze di autorevoli studiosi dell’epoca (dal Richet, al Crookes, al Lombroso).
[5] Fenomeni come case infestate, improvvise apparizioni o sparizioni costituiranno di fatto il fulcro tematico di numerose vicende novellistiche.
[6] Si veda in tal senso lo studio monografico di Davide Savio, Il Carnevale dei morti. Sconciature e danze macabre nella narrativa di Luigi Pirandello, Novara, Interlinea, 2013, incentrato soprattutto sull’ultima produzione novellistica dello scrittore (1922-1937).
[7] Il tema della scienza, della ricerca tecnologica e, in generale del presunto progresso dell’umanità, ridotti a puro gioco o farsa intellettuale è presente nella coeva novella dai suggestivi echi schopenhaueriani Le sorprese della scienza (1905).
Il testo, dalla connotazione antiprogressista, è dunque caratterizzato da livelli doppi di scrittura, da situazioni antifrastiche. Tuttavia, la prospettiva dell’autore, pur ambendo a demolire le false costruzioni gnoseologiche partorite dall’intera società, risulta farsi portavoce di una coralità umana più mite invocante segni di civiltà. Ne risultano toni ludici, dati anche da un colloquialismo fitto tra voce narrante e spiriti, che ricorda, senza pretese di tipo speculativo o filosofico, il leopardiano Dialogo di Federico Ruych e delle sue mummie. Gli spiriti in Pirandello sono una presenza muta, essendo simbolo di fantasia creatrice e libero movimento. Incarnano piuttosto figure molto irriverenti, le quali non fanno altro che scardinare tutte le illusorie finzioni pseudo-scientifiche elaborate dalle ristrette menti umane. In ciò sono così ribaditi toni ironico-sarcastici della prosa pirandelliana:
Come dite signori spiriti? Dite che oltre i problemi economici e sociali che riguardano la vita, c’è un altro problema, il problema morale che riguarda la morte? Dite che l’uomo ha bisogno di spiegarsi in qualche modo il mistero della morte, per trovare una norma direttrice della propria vita? Baje! Noi abbiamo la scienza, cari miei, la scienza che ci sostiene, la scienza che ci dimostra la necessità di uniformarci alle condizioni dell’esistenza e che la norma direttrice della vita si deve cercare nell’adattamento, e l’ideale di essa nello sviluppo perfettivo. Non vi capacita? Voi dite che difficilmente, senza il sostegno d’una fede, un pover’uomo sfornito d’ogni bene di fortuna, un pover’uomo che si muore di fame, potrà adattarsi alle condizioni d’esistenza? [8]
[8] Sarah Zappulla Muscarà, Archetipi e rari del Pirandello saggista…, 204.
In un’altra “cronaca stravagante”, intitolata La fiera della sapienza (10 gennaio 1906), si dibatte in merito all’efficacia delle nuove teorie di pedagogia infantile. La vera intenzione è in realtà quella di denunciare le false acquisizioni civili e morali del mondo adulto. Il brano si avvale di evidenti tasselli allusivo-metaforici, di un linguaggio iperbolico e di paradossi comici. Scienza e logica sono trattate quindi, con voluta deminutio, come fossero mere etichette esteriori che servono solamente a spiegare il funzionamento di balocchi meccanici per bambini. Inoltre, i fatti socio-culturali di cui si parla nel testo sono visti come generiche mistificazioni. L’autore scrive poi in prima persona, ponendosi nell’ottica di chi racconta una storia attraverso il filtro della propria esperienza. Si tratta di un finto e appena accennato autobiografismo, [9] di una narrazione di ambienti, scene e oggetti cui si aggiungono altri espedienti.
[9] Un autobiografismo che sarà accentuato nella successiva ripubblicazione dell’elzeviro in questione, avvenuta nel 1926. Di tali movimenti testuali ci informa Paola Casella, la quale scrive che «le modifiche di diverso tipo apportate al testo del 1906 riguardano principalmente l’adattamento cronologico dei vari rinvii autobiografici e l’ampliamento dell’iniziale aneddoto autobiografico (lo scrittore alla ricerca di regali per i suoi nipotini) che diventa ora una vera e propria cornice narrativa in quanto collega la prima parte, sulla macchinetta della logica, alla seconda, rispuntando poi nel finale della polemica contro i suoi critici» (Paola Casella, Strumenti di filologia pirandelliana. Complemento all’edizione critica delle “Novelle per un anno”. Saggi e bibliografia della critica, Ravenna, Longo editore, 1997, 156-157).
Tra essi si rilevano i vistosi cambi di prospettiva (ci si rivolge infatti ora agli adulti, ora, in maniera più eccentrica, agli stessi fanciulli) e l’inserzione di una ulteriore storia fantastica, accompagnata da opportuni elementi linguistico-strutturali di stampo favolistico o fiabesco (come suggeriscono gli intercalari «figliuoli» e «bambini miei», o formule introduttive del tipo «dovete sapere che…»). [10]
[10] Sarah Zappulla Muscarà, Archetipi e rari del Pirandello saggista…, 207.
Si è inoltre in presenza di frequenti ellissi temporali e cronologie sfumate (espresse da locuzioni del tipo «or è poco tempo», «in pochi giorni»; «un bel giorno») che sfilacciano di continuo il tessuto testuale. Il risultato è un mondo alla rovescia: il consorzio umano, lungi dal progredire in senso civile, si rivela nei fatti animalesco e brutale.
E proprio le bestie sono protagoniste di un altro interessante testo pirandelliano che sminuisce l’inconsistente moralità degli uomini attraverso stridori e ribaltamenti. Ancora una volta la narrazione predilige la logica del contrario e punta sulla patente eccentricità dei contenuti. Pirandello individua infatti nella dimensione animale il punto di vista privilegiato per guardare con gusto paradossale all’intera umanità. Si tratta de I topi bianchi della signora Judic, pubblicato il 10 febbraio 1906. In questo testo emerge un giudizio severo e alternativo, a tratti addirittura dissacrante e provocatorio. Non senza avvalersi, anche qui, del supporto della favolistica antica e moderna. L’autore immagina infatti di leggere (e narrare), a un pubblico di singolari uditori formato da «il corvo del portinaio, che ha le ali mozze e un campanello al collo, un cane randagio, un gatto e due piccioni», [11] alcune favole degli autori considerati classici del genere, come Esopo, Fedro e La Fontaine.
[11] Sarah Zappulla Muscarà, Archetipi e rari del Pirandello saggista…, , 215.
Secondo il parere degli uditori però le favole sono solamente «graziose corbellerie» dalle quali è impossibile trarre insegnamenti positivi. Piuttosto sono gli assurdi fatti di cronaca a provocare exempla non proprio felici e a stimolare gli stessi animali a comporre storie sugli umani. In questo caso sull’attrice Judich:
L’insigne attrice dall’impareggiabile voce, nei mesi di riposo, ama di non pensare ai suoi trionfi e agli splendori della sua arte sulla scena e si dedica tutta alla vita dei campi, e con particolare amore alla cultura e all’educazione dei topi bianchi. E questo – dicono i giornali – non è fatuo, sterile capriccio di donna eccentrica e annoiata, ma conseguenza di un lodevole sentimento di umanità. Sicuro! Perché quegli innocenti animaletti, allevati ed educati con tanta cura amorosa, sono destinati dalla signora Anna Judic all’Istituto Pasteur.
Migliaia e migliaia di topi bianchi, col musino e le zampine ben levati, pettinati, profumati e fors’anche infiocchettati, sono andati a schiera, composti, a due a due, dalla villa della signora Judic alla sede dell’Istituto Pasteur. E qui, animati dal nobile sentimento della loro cara allevatrice, seguendo appuntino i precetti di lei, da topini bianchi bene educati, si sono offerti con entusiasmo alle iniezioni velenose e alla vivisezione degli scienziati per qualche nuova scoperta che renda immune l’umanità dalle fatali malattie che l’affliggono. La croce del Merito agricolo è stata assegnata alla signora Anna Judic. Ai topi bianchi niente. V’immaginate come debbono esser contenti questi cari animaletti della decorazione toccata alla loro benemerita cultrice. [12]
[12] Sarah Zappulla Muscarà, Archetipi e rari del Pirandello saggista…, 216-217.
Denunciando la falsa bonarietà dei mezzi di comunicazione di massa, Pirandello in realtà espone la sua netta contrarietà alla vivisezione, palesandone l’esplicita barbarie. L’ottica adottata resta quella degli animali, i quali diventano così consapevoli del loro triste destino, poiché riflettono direttamente circa le torture che sono costretti inermi a subire. Il paradosso comico sta tutto nella frase di chiusura, nella quale, oltre alla complicità con la fantasia del lettore (dato da quel «V’immaginate»), è volutamente usato un diminuitivo che tradisce irriverente empatia per la condizione dei piccoli roditori («cari animaletti»).
Riguardo la demistificazione della scienza ufficiale, utilizzata in realtà per polemizzare contro le metodologie deterministiche proposte dai Naturalisti e dai Positivisti, Pirandello scrive negli stessi anni, o poco dopo, novelle che presentano temi e procedimenti simili a quelli dei testi già visti; aggiungendovi in più l’ingrediente della comicità.
Una di esse è certamente la celebre novella La casa del Granella (1905). Il testo, echeggiando il palinsesto plautino della commedia Mostellaria, [13] tratta di una abitazione infestata dai fantasmi: evento che diventa presto un singolare caso giudiziario. Così come inconsueto è il comportamento assunto dal personaggio protagonista, ovvero l’avvocato Zummo.
[13] Sulla presenza in generale di spunti e processi comici desunti dagli intrecci plautini nelle novelle del Nostro si veda il capitolo introduttivo Pirandello, Plauto e Boccaccio dello studio più ampio di Franco Zangrilli, Pirandello e i classici. Da Euripide a Verga., Firenze, Cadmo, 1995 (cfr. in particolare le pp. 9-20). Nel caso specifico della novella La casa del Granella ne fa menzione esplicita Emma Grimaldi, nel suo Il labirinto e il caleidoscopio. Percorsi di lettura tra le “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, 186.
Egli, da semplice e ordinario uomo di legge, stanco di svolgere in modo meccanico il suo mestiere, si trasforma in un rigoroso studioso del mondo medianico, e trasforma di fatto il processo in una conferenza specialistica. In aula dunque Zummo sembra credere più alle sue letture d’argomento scientifico che alla salda legge; e proprio a esse si affida per difendere la causa dei suoi assistiti, venuti a reclamare l’abbandono in anticipo della dimora a causa dell’usurpazione subita da quelle strambe presenze spiritiche. Dopo essersi procurato una robusta bibliografia sull’argomento teosofico, [14] Zummo la declama di fronte all’uditorio:
[14] Angelo Raffaele Pupino, commentando lo stesso passo della novella in questione, in merito alle letture utilizzate dal personaggio Zummo, scrive che «se le personalità nominate sono di sicura competenza, è plausibile che il loro prestigio possa avere, se non promosso, almeno non ostacolato l’uso di concetti teosofici e spiritici da parte di quanti, Pirandello incluso, detenessero un bagaglio di conoscenze filosofiche né ingenuo né grossolano» (Angelo Raffaele Pupino, Pirandello, Maschere e fantasmi, Roma, Salerno, 2000, 19). Come dire: un altro modo per rimarcare l’influenza capuaniana sullo scrittore di Agrigento per ciò che concerne i contenuti di alcuni testi narrativi. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento dello spiritismo e, nello specifico, sulle connessioni che esso ha con la lettura della novella, si rinvia al capitolo Genesi del personaggio, in particolare alle pp.17-21 del volume appena citato.
Lesse dapprima una storia sommaria dello Spiritismo, dalle origini delle mitologie fino ai dì nostri, e il libro del Iaccolliot su i prodigi del fachirismo; poi tutto quanto avevano pubblicato i più illustri e sicuri sperimentatori, dal Crookes al Wagner, all’Aksakof; dal Gibier allo Zoellner al Janet, al de Rochas, al Richet, al Morselli; e con suo sommo stupore venne a conoscere che ormai i fenomeni così detti spiritici, per esplicita dichiarazione degli scienziati più scettici e più positivi, erano innegabili. [15]
[15] Luigi Pirandello, Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, premessa di Giovanni Macchia, I, Milano, Mondadori, 1985, t. 1, 321
La sua è dunque una battaglia per un’idea, più che per un fatto in sé. Dipinta in questo modo la scienza appare come esibizione di un sapere parolaio e libresco, fatto di retorica persuasiva più che di empirìa concreta. Nel pronunciare la sua arringa difensiva, Zummo parla in effetti come se fosse un relatore a un convegno, intento a presentare la sua comunicazione nel modo più ottimale possibile, nel tentativo di convincere i giudici circa la validità delle teorie dello spiritismo. [16]
[16] Lo spiritismo si configura più come una nuova fede professate contro gli sterili dettami della scienza. Scrive Emma Grimaldi che «purtroppo però, quanto l’avvocato vola alto nella sua perorazione, tanto i giudici preferiscono tenersi “terra terra”, sentenziando il non essere la teoria dei fenomeni occulti legittimata dalla scienza moderna, ed ancora, più da vicino, la non applicabilità dei due articoli del codice invocati, essendo per altro gli spiriti “ombre vaganti e incorporee”, tali da non mettere in discussione la buona fede del locatore» (Emma Grimaldi, Il labirinto e il caleidoscopio…, 192).
Una teoria che però si basa su interpretazioni soggettive desunte dai libri consultati. Nel condurre il suo discorso in favore della paranormalità, la stessa scienza, un tempo rigida e affidabile nei suoi incrollabili principi empirici, ora ammette anche ciò che appare inspiegabile: la bizzarria e l’estro casuale della natura, manifestato in forme molteplici che contemplano anche l’incorporeo.
Nella novella dal titolo Le sorprese della scienza (1905), Pirandello si serve invece del tema scientifico-tecnologico per attaccare la politica e, in un certo senso, la scarsa apertura mentale delle piccole comunità paesane, chiuse nella loro miseria culturale, colme di tanti pregiudizi e davvero restie ai cambiamenti. Vi è inoltre spazio per una critica al sapere scientifico in quanto tale: la tesi è che nessuna oggettività si rivela infallibile e insuperabile. Ogni sistema teorico è sempre pronto a mettere in discussione e a scardinarne un altro, poco prima ritenuto saldo e inconfutabile. Il testo si presenta come il resoconto – a seguito di uno scambio epistolare tra l’io narrante e un amico di nome Merigo Tucci – di una visita del protagonista presso il paesino di Milocca. Qui ha luogo una stramba seduta del Consiglio comunale nella quale l’unico punto all’ordine del giorno, ossia, la Discussione del Progetto presentato dalla Giunta per un impianto idro-termo-elettrico, utile per l’illuminazione pubblica di un paese totalmente al buio e che faceva ancora uso di candele e piccoli lumini, si trasforma in una accesa battaglia oratoria fra tre consiglieri comunali. I signori Maganza, Ansatti e Zagardi sono infatti pronti a sfoggiare lo stato dell’arte finora conosciuto sulle mirabili scoperte scientifico-tecnologiche in termini di produzione di luce artificiale. La loro sfida, al netto di supporti libreschi e citazioni dei maggiori scienziati del tempo, ha però un punto in comune: la malizia e la miscredenza popolare. Sempre più perplessi si chiedono infatti come farebbe realmente il Comune a sostenere le ingenti spese per un impianto davvero moderno e all’avanguardia. Chi ne guadagnerebbe realmente? La Scienza porterebbe sul serio i giovamenti promessi? Non sarebbe meglio aspettare? Magari rinviare? In attesa di soluzioni meno drastiche? Ecco quindi che, come era solito fare alla fine di ogni seduta del Consiglio, un quarto consigliere, il Colacci, risolve tutto con un rinvio della decisione, assecondando in questo modo tutta la comunità dei presenti e interpretando lo spirito colmo di torpore del paese in questione.
La scena finale è così descritta dall’autore:
Dopo le scoperte mirabili di cui avevano parlato l’Ansatti e lo Zagardi, era piú possibile sostenere l’impianto idro-termo-elettrico proposto dalla Giunta? Che figura avrebbe fatto il paese di Milocca illuminato soltanto a luce elettrica? Questo era il tempo delle grandi scoperte, e ogni Amministrazione che avesse veramente a cuore il decoro del paese e il bene dei cittadini, doveva stare in guardia dalle sorprese continue della Scienza. Il consigliere Colacci, pertanto, sicuro d’interpretare i voti del buon popolo milocchese e di tutti i colleghi consiglieri, proponeva la sospensiva sul progetto della Giunta, in vista dei nuovi studii e delle nuove scoperte che avrebbero finalmente dato la luce al paese di Milocca.
– Hai capito? – mi domandò Tucci, uscendo poco dopo nelle tenebre dello spiazzo sterposo innanzi al Municipio. – E cosí per l’acqua, e cosí per le strade, e cosí per tutto. Da una ventina d’anni il Colacci si alza a ogni fine di seduta per inneggiare alla Scienza, per inneggiare alla luce, mentre i lumi si spengono, e propone la sospensiva su ogni progetto, in vista di nuovi studii e di nuove scoperte. Cosí noi siamo salvi, amico mio! Tu puoi star sicuro che la Scienza, a Milocca, non entrerà mai. Hai una scatola di fiammiferi? Cavala fuori e fatti lume da te. [17]
[17] Luigi Pirandello, Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, premessa di Giovanni Macchia, Milano, Mondadori, 1985, t. 2, 864.
Le frasi sono attraversate da una evidente patina ironico-grottesca. Così come comico si rivela del resto il finale della novella, con i due amici rimasti quasi al buio dopo tante discussioni sulla luce. Come dire: all’atto pratico le grandi teorie scientifiche, unite alle furbizie della politica, si rivelano false e fallibili e non portano a niente di concreto o di veramente efficace.
Nella novella Pallottoline! (1902) viene invece metaforizzato il relativismo umano e attaccata la figura dello scienziato. Un personaggio legato ciecamente ai propri studi che somiglia più che altro a un filosofo idealista: grandi concetti mentali, elaborate teorie, ma davvero poca saggezza pratica. Il lemma ‘scientia’ è quindi qui inteso come conoscenza erudita, trascendente, ideale, fuori dalla realtà. È il caso della novella in questione, dove il protagonista Jacopo Maraventano è un esperto in astronomia che si arrovella attorno alla questione della finitezza o infinitezza dell’universo. Tale assetto contenutistico implica a sua volta il direzionarsi sulla lente semantica con la quale va letto il testo: un avvitarsi inconsistente attorno alla sola figura del protagonista, senza reale progressione lineare di fatti. [18]
[18] «La dinamica del racconto […] invece di esplicarsi in uno sviluppo narrativo vero e proprio si esaurisce nella rappresentazione di una situazione statica» (Marina Polacco, Gli amori, le beffe e la tragedia: storia di Pirandello novelliere 1894-1908, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1999, 157).
Non più dunque una struttura a intreccio, sebbene all’insegna della brevitas; ma un sentimento di riflessione che scaturisce dalla natura degli stessi personaggi. La novella assume così lievi connotazioni umoristiche, allorquando poi il tema velato del relativismo conoscitivo viene a interconnettersi con quello sociale. Jacopo guarda attraverso il suo telescopio con occhio rigoroso e oggettivo: gli astri, visti dalla Terra, gli appaiono quali essi sono, ovvero con tutti i limiti propri della vista umana: corpi piccoli e di una luminescenza quasi impercettibile. Il rigore scientifico, unito a una illimitata capacità di immaginazione, lo porta però, per contrappasso, a perdere il contatto con la vera realtà di ogni giorno, fatta di azioni materiali, di gesti comuni, ma anche di sentimenti e imprevisti, ai quali l’astronomo non sembra (o non vuole) dare il giusto peso: perso come è dietro le sue funamboliche astrazioni mentali.
Il suo diventa allora un modo per fuggire dal mondo, dalle vere responsabilità affettive e civili, dai ruoli di padre e di marito in primis. La novella metaforizza queste situazioni nella descrizione dei paesaggi isolati e nebbiosi, che fanno da sfondo alla solitudine cerebrale del protagonista:
Su la vetta ormai si udiva solo il vento parlare con gli alberi antichi. Jacopo Maraventano restava assoluto padrone della solitudine, libero in mezzo alla nebbia, signore dei venti, piccolo su quell’alta punta nevosa al cospetto del cielo che da ogni parte lo abbracciava e dal quale d’ora in poi poteva tornare ad immergersi, a naufragare, non più infastidito o distratto. Assistendo, come gli pareva d’assistere con la fantasia, nel fondo dello spazio, alla prodigiosa attività, al lavoro incessante della materia eterna, alla preparazione e formazione di nuovi soli nel grembo delle nebulose, al germogliare dei mondi dall’etere infinito: che cosa diventava per lui questa molecola solare, chiamata Terra, addirittura invisibile fuori dal sistema planetario, cioè di questo punto microscopico dello spazio cosmico? Che cosa diventavano questi pulviscoli infinitesimali chiamati uomini; che cosa, le vicende della vita, i casi giornalieri, le afflizioni e le miserie particolari, le generali calamità? [19]
[19] Luigi Pirandello, Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, premessa di Giovanni Macchia, III, Milano, Mondadori, 1985, t. 1, 190.
Tutto l’ambiente è di fatto specchio sintomatico dell’attività meditativa svolta dal personaggio. Le raffigurazioni esaltano la stramberia e la solitudine intellettuale di Jacopo. Da notare con quali aggettivi o appellativi viene definito il protagonista: «assoluto padrone della solitudine», «libero in mezzo alla nebbia», «signore dei venti», «piccolo su quell’alta punta nevosa». Come dire: un piccolo Padre eterno che fonda però il suo impero sul nulla. Inoltre i termini «antichi», «naufragare»,
«infinito», «spazio» e la lunga serie di domande retoriche poste a conclusione dei ragionamenti, oltre a rivelare, in modo non troppo velato, palinsesti leopardiani, [20] sono indice di una filosofia magniloquente e in sé elevata per la densità concettuale.
[20] Per ulteriori riferimenti tra la novellistica pirandelliana e l’opera di Giacomo Leopardi, si rimanda all’ancora imprescindibile studio di Roberto Salsano, Pirandello novelliere e Leopardi, Lucarini, Roma, 1980.
Essa però, se messa a confronto con i fatti della vita quotidiana, appare fuori luogo o addirittura ridicola. Come quando in un’altra scena vediamo il Maraventano che rimane «con la ventola da cucina in mano» per far bollire una pentola. Il conflitto che si pone è dunque quello fra teoria e pratica; tra ossessione per la scienza, intesa come conoscenza infallibile, e impellente necessità di vita, fatta di emozioni spontanee, di pragmatismo. Tra oggetti sofisticati o luoghi alti (il telescopio, le nuvole) e oggetti o luoghi comuni (la ventola in cucina per osservare la pentola che bolle), cosa scegliere dunque? Si pongono diadi oppositive: i libri o la famiglia? La cultura o i sentimenti? Dicotomie la cui risoluzione, con toni grotteschi e divertiti, è lasciata volutamente al lettore.
Tutto ciò è indice metaforico della sottile, ma arguta polemica che Pirandello attua nei confronti di una scienza divenuta negli anni troppo astratta e impenetrabile e che aveva finito per prendere il sopravvento sulle cose comuni e più intime della vita: le relazioni affettive e sociali. Il volere a tutti i costi paragonare fenomeni celesti ed esperienze umane, sminuendo sarcasticamente queste ultime, è segno del fatto che il relativismo gnoseologico ha prodotto solamente fumisterie e inutili incomprensioni.
Si è visto come alcuni passaggi di queste novelle, in linea con i saggi-racconto coevi o di poco precedenti, sono attraversate da una evidente patina ironico-grottesca. Così come comici e allusivi si rivelano del resto i finali degli stessi testi. Ancor prima quindi dei passi narrativi della sua novellistica maggiore, Pirandello pone già in questi testi temi, forme e figure che evidenziano (e anticipano) parte significativa della sua poetica umoristica: ibrida appunto, a livello formale, tra saggismo e narrativa.
Mario Minarda
Settembre 2019
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