Così è (se vi pare) – Audio lettura – RAI 1954

image_pdfvedi in PDF

Compagnia di prosa di Firenze, 1954
«Un usignuolo ve­niva a cantare ogni notte nel mio giardino, tutto ridente e squillante a maggio di rose gialle, di rose rosse, di rose bianche e di garofani e di geranii.»

Prima rappresentazione: 18 giugno 1917 – Milano, Teatro Olimpia Compagnia di Virgilio Talli con la Melato e Betrone.
Dalla novella La signora Frola e il signor Ponza suo genero (1917)

Da Rai Teche

RAI, Programma Nazionale, 1954.
Compagnia di prosa di Firenze

ATTO PRIMO
ATTO SECONDO
ATTO TERZO

Personaggi e interpreti
Lamberto Laudisi – Fernando Farese
La signora Frola – Teresa Franchini
Il signor Ponza, suo genero – Corrado Gaipa
La signora Ponza – Nella Bonora
Il consigliere Agazzi – Franco Luzzi
Dina, loro figlia – Mila Vannucci
Regia di Umberto Benedetto

******

Così è (se vi pare)
Atto Prim
o

Salotto in casa del Consigliere Agazzi – Uscio comune in fondo; usci laterali a destra e a sinistra.

SCENA PRIMA 

         La Signora Amalia, Dina, Laudisi. Al levarsi della tela Lamberto Laudisi passeggerà irritato per il salotto. Sui quarant’anni, svelto, elegante senza ricercatezza, indosserà una giacca viola con risvolti e alamari neri.

       LAUDISI. Ah, dunque è andato a ricorrere al Prefetto?

       AMALIA (sui quarantacinque, capelli grigi; contegno d’importanza ostentata, per il posto che il marito occupa in società. Lascerà tuttavia intendere che, se stesse in lei, rappresenterebbe la stessa parte e si comporterebbe in tante occasioni ben altrimenti). Oh Dio, Lamberto, per un suo subalterno!

       LAUDISI. Subalterno, alla Prefettura; non a casa!

       DINA (diciannove anni; una cert’aria di capir tutto meglio della mamma e anche del babbo; ma attenuata, questa aria, da una vivace grazia giovanile). Ma è venuto a allogarci la suocera qua accanto, sullo stesso pianerottolo!

       LAUDISI. E non era padrone? C’era un quartierino sfitto, e l’ha affittato per la suocera. O ha forse l’obbligo una suocera di venire a ossequiare in casa (caricato, facendola lunga, apposta) la moglie e la figliuola d’un superiore di suo genero?

       AMALIA. Chi dice obbligo? Siamo andate noi, mi pare, io e Dina, per le prime da questa signora, e non siamo state ricevute.

       LAUDISI. E che è andato a fare adesso tuo marito dal Prefetto? A imporre d’autorità un atto di cortesia?

       AMALIA. Un atto di giusta riparazione, se mai! Perché non si lasciano due signore, lì come due pioli, davanti alla porta.

       LAUDISI. Soperchierie, soperchierie! Non sarà dunque permesso alla gente di starsene per casa sua?

       AMALIA. Eh, se tu non vuoi tener conto che cortesi volevamo esser noi, per le prime, verso una forestiera!

       DINA. Via, zietto, calmati, via! Saremo, se vuoi, sincere: ecco, ammettiamo d’essere state così cortesi per curiosità. Ma scusa, non ti sembra naturale?

       LAUDISI. Ah, naturale, sì: perché non avete nulla da fare.

       DINA. Ma no, guarda, zietto. Tu te ne stai costì, senza badare a ciò che fanno gli altri attorno a te. – Bene. – Vengo io. E qua, proprio su questo tavolinetto che ti sta davanti, ti colloco, im-per-tur-ba-bi-le – anzi no, con la faccia di quel signore lì, patibolare – che so, poniamo, un paio di scarpe della cuoca.

       LAUDISI (scattando). Come c’entrano le scarpe della cuoca?

       DINA (subito). Ecco, vedi? Te ne meravigli! Ti sembra una stramberia, e me ne domandi subito il perché.

       LAUDISI (restando, con un sorriso freddo, ma presto ripigliandosi). Carina! – Hai ingegno tu; ma parli con me, sai? – Tu vieni a posarmi qui sul tavolino le scarpe della cuoca appunto per stuzzicar la mia curiosità; e certo – poiché l’hai fatto apposta – non puoi rimproverarmi se ti domando: – «Ma perché, cara, le scarpe della cuoca qui sopra?». – Dovresti ora dimostrarmi che questo signor Ponza – villano e mascalzone, come lo chiama tuo padre – sia venuto ad allogarci, ugualmente apposta, qua accanto, la suocera!

       DINA. E sia! Non l’avrà fatto apposta. Ma non puoi negare che questo signore vive in un modo talmente strambo da suscitar la curiosità naturalissima di tutto il paese. – Scusami. – Arriva. – Prende a pigione un quartierino all’ultimo piano di quel casone tetro, là, all’uscita del paese, su gli orti… – L’hai veduto? Dico, di dentro?

       LAUDISI. Sei forse andata a vederlo, tu?

       DINA. Sì, zietto! Con la mamma. E mica noi sole, sai? Tutti sono andati a vederlo. – C’è un cortile – così buio! – (pare un pozzo) – con una ringhierina di ferro in alto, in alto, lungo il ballatoio dell’ultimo piano; da cui pendono coi cordini tanti panieri.

       LAUDISI. E con questo?

       DINA (con meraviglia e indignazione). Ha relegato la moglie lassù!

       AMALIA. E la suocera qua, accanto a noi!

       LAUDISI. In un bel quartierino, la suocera, in mezzo alla città!

       AMALIA. Grazie! E la costringe ad abitar divisa dalla figlia?

       LAUDISI. Chi ve l’ha detto? O non può esser lei, invece, la madre, per avere maggior libertà?

       DINA. No, no! che, zietto! Si sa che è lui!

       AMALIA. Ma scusa, si capisce che una figliuola, sposando, lasci la casa della madre e vada a convivere col marito; anche in un’altra città. Ma che una povera madre, non sapendo resistere a viver lontana dalla figliuola, la segua, e nella città dove anche lei è forestiera sia costretta a viverne divisa, via, ammetterai che questo no, non si capisce facilmente!

       LAUDISI. Già! Che fantasie da tartarughe! Ci vuol tanto a immaginare che, o per colpa di lei, o per colpa di lui – o pur senza colpa di nessuno – ci sia tale incompatibilità di carattere, per cui, anche in queste condizioni…

       DINA (interrompendo, meravigliata). Come, zietto? Tra madre e figlia?

       LAUDISI. Perché tra madre e figlia?

       AMALIA. Ma perché tra loro due, no! Sono sempre insieme, lui e lei!

       DINA. Suocera e genero! È ben questo lo stupore di tutti!

       AMALIA. Viene qua ogni sera, lui, a tener compagnia alla suocera.

       DINA. Anche di giorno, viene: una o due volte.

       LAUDISI. Sospettate forse che facciano all’amore, suocera e genero?

       DINA. No, che dici! Una povera vecchietta.

       AMALIA. Ma non le porta mai la figlia! non porta mai con sé, mai, mai, la moglie a vedere la madre!

       LAUDISI. Sarà malata quella poverina… non potrà uscire di casa…

       DINA. Ma che! Ci va lei, la madre…

       AMALIA. Ci va… Sì! Per vederla da.lontano! Si sa di causa e scienza che a questa povera madre è proibito salire in casa della figliuola!

       DINA. Può parlarle solo dal cortile!

       AMALIA. Dal cortile, capisci!

       DINA. Alla figliuola che s’affaccia dal ballatoio lassù, come dal cielo! Questa poveretta entra nel cortile; tira il cordino del paniere; suona il campanello lassù; la figliuola s’affaccia, e lei le parla di giù, da quel pozzo, storcendosi il collo così! figurati! E neanche la vede, abbagliata dalla luce che cola dall’alto.

       (Si sentirà picchiare all’uscio e si presenterà il cameriere.)

       CAMERIERE. Permesso?

       AMALIA. Chi è?

       CAMERIERE. I signori Sirelli con un’altra signora.

       AMALIA. Ah, fa’ passare.

       (Il cameriere s’inchinerà e via.)

SCENA SECONDA  

       I Coniugi Sirelli, la Signora Cini, Detti.

       AMALIA (alla signora Sirelli). Cara signora!

       SIGNORA SIRELLI (grassoccia, rubizza, ancora giovine, parata con sovraccarica eleganza provinciale; ardente di irrequieta curiosità; aspra contro il marito). Mi sono permessa di portarle la mia buona amica, signora Cini, che aveva tanto desiderio di conoscerla.

       AMALIA. Piacere, signora. – S’accomodino. (Farà le presentazioni): Questa è la mia figliuola Dina. – Mio fratello Lamberto Laudisi.

       SIRELLI (calvo, sui quaranta, grasso, impomatato, con pretese d’eleganza, scarpe lucide sgrigiolanti; salutando). Signora, signorina. (Stringerà la mano a Laudisi.)

       SIGNORA SIRELLI. Ah, signora mia, noi veniamo qua come alla fonte. Siamo due povere assetate di notizie.

       AMALIA. E notizie di che, signore mie?

       SIGNORA SIRELLI. Ma di questo benedetto nuovo segretario della Prefettura. Non si parla d’altro in paese!

       SIGNORA CINI (vecchia goffa, piena di cupida malizia dissimulata con arie d’ingenuità). Una curiosità ne abbiamo tutte, una curiosità che… che mai più!

       AMALIA. Ma ne sappiamo quanto gli altri, noi, creda, signora!

       SIRELLI (alla moglie, come se avesse riportato una vittoria). Te l’ho detto? Quanto me, e forse meno di me! (Poi, volgendosi alle altre🙂 La ragione per cui questa povera madre non può andare a vedere in casa la figliuola, per esempio, la sanno loro, qual è veramente?

       AMALIA. Ne stavo parlando con mio fratello.

       LAUDISI. Mi sembrate impazziti tutti quanti!

       DINA (subito, perché non si dia retta allo zio). Perché il genero, dicono, glielo proibisce.

       SIGNORA CINI (con voce a lamento). Non basta, signorina!

       SIGNORA SIRELLI (incalzando). Non basta! Fa di più!

       SIRELLI (premettendo un gesto delle mani, per raccogliere l’attenzione). Notizia fresca appurata or ora: (quasi sillabando🙂 la tiene chiusa a chiave!

       AMALIA. La suocera?

       SIRELLI. No, signora: la moglie!

       SIGNORA SIRELLI. La moglie! la moglie!

       SIGNORA CINI (voce a lamento). A chiave!

       DINA. Capisci, zietto? Tu che vuoi scusare…

       SIRELLI (stupito). Come? Tu vorresti scusare quel mostro?

       LAUDISI. Ma non lo voglio scusare nient’affatto! Dico che la vostra curiosità (chiedo perdono alle signore) è insoffribile, non foss’altro, perché è inutile.

       SIRELLI. Inutile?

       LAUDISI. Inutile! – Inutile, signore mie!

       SIGNORA CINI. Che si voglia venire a sapere?

       LAUDISI. Che cosa, scusi? Che possiamo noi realmente sapere degli altri? chi sono… come sono… ciò che fanno… perché lo fanno…

       SIGNORA SIRELLI. Chiedendo notizie, informazioni…

       LAUDISI. Ma se c’è una che, per questa via, dovrebbe stare a giorno d’ogni cosa, quest’una dovrebbe proprio esser lei, signora, con un marito come il suo, così informato sempre di tutto!

       SIRELLI (cercando d’interrompere). Scusa, scusa…

       SIGNORA SIRELLI. Ah no, caro, senti: questa è la verità! (Rivolgendosi alla signora Amalia:) La verità, signora mia: con mio marito che dice sempre di saper tutto, io non riesco a sapere mai niente.

       SIRELLI. Sfido! Non si contenta mai di quello che le dico! Dubita sempre che una cosa non sia come gliel’ho detta. Sostiene anzi che, come gliel’ho detta io, non può essere. Arriva finanche a supporre di proposito il contrario!

       SIGNORA SIRELLI. Ma abbi pazienza, se vieni a riferirmi certe cose…

       LAUDISI (riderà forte). Ah ah ah… Permette, signora? Rispondo io a suo marito. Come vuoi, caro, che tua moglie si contenti delle cose che tu le dici, se tu – naturalmente – gliele dici come sono per te?

       SIGNORA SIRELLI. Come assolutamente non possono essere!

       LAUDISI. Ah, no, signora, sopporti che le dica che qui ha torto lei! Per suo marito, stia sicura, le cose sono come lui gliele dice.

       SIRELLI. Ma come sono in realtà! come sono in realtà!

       SIGNORA SIRELLI. Nient’affatto! Tu t’inganni continuamente!

       SIRELLI. T’inganni, tu, ti prego di credere! Non mi inganno io!

       LAUDISI. Ma no, signori miei! Non v’ingannate nessuno dei due. Per-

       mettete? Ve ne faccio la prova. (S’alzerà e si presenterà in mezzo al salotto.) Tutt’e due, qua, vedete me. – Mi vedete, è vero?

       SIRELLI. Eh sfido!

       LAUDISI. No no; non lo dire così presto, caro. Vieni qua, vieni qua.

       SIRELLI (lo guarderà sorridendo, perplesso, un pò sconcertato, come se non volesse prestarsi a uno scherzo che non capisce). Perché?

       SIGNORA SIRELLI (spingendolo con la voce irritata). E vai là.

       LAUDISI (a Sirelli che gli si sarà appressato titubante). Tu mi vedi? Guardami meglio. Toccami.

       SIGNORA SIRELLI (al marito che esita e. s. a toccarlo). E toccalo!

       LAUDISI (a Sirelli che avrà alzato una mano a toccarlo appena sulla spalla). Così, bravo. Tu sei sicuro di toccarmi come mi vedi, e vero?

       SIRELLI. Direi.

       LAUDISI. Non puoi dubitare di te, sfido! – Torna al tuo posto.

       SIGNORA SIRELLI (al marito rimasto lì balordo davanti al Laudisi.) E inutile che stia lì a sbattere gli occhi; torna a sedere adesso!

       LAUDISI (alla signora Sirelli, poiché il marito sarà tornato stonato al suo posto). Ora, scusi, venga qua lei, signora. (Subito, prevenendo🙂 No no, ecco, vengo io da lei. (Le si farà davanti, si piegherà su un ginocchio.) Mi vede, è vero? Alzi una manina; mi tocchi. (E come la signora Sirelli, seduta, gli poserà una mano sulla spalla, egli, chinandosi, per baciargliela🙂 Cara manina!

       SIRELLI. Ohe ohe.

       LAUDISI. Non gli dia retta! – È sicura anche lei di toccarmi come mi vede? Non può dubitare di lei. – Ma per carità, non dica a suo marito, né a mia sorella, né a mia nipote, né alla signora qua –

       SIGNORA CINI (suggerendo). – Cini –

       LAUDISI. (Cini) – come mi vede, perché tutt’e quattro altrimenti le diranno che lei s’inganna, mentre lei non s’inganna affatto! Perché io sono realmente come mi vede lei. – Ma ciò non toglie, cara signora mia, che io non sia anche realmente come mi vede suo marito, mia sorella, mia nipote e la signora qua –

       SIGNORA CINI (suggerendo). – Cini –

       LAUDISI. (Cini) – che anche loro non s’ingannano affatto.

       SIGNORA SIRELLI. E come, dunque, lei cambia dall’uno all’altro?

       LAUDISI. Ma sicuro che cambio, signora mia! E lei no, forse? Non cambia?

       SIGNORA SIRELLI (precipitosamente). Ah no no no no. Le assicuro che per me io non cambio affatto!

       LAUDISI. E neanch’io per me, creda! E dico che voi tutti v’ingannate se non mi vedete come mi vedo io! Ma ciò non toglie che non sia una bella presunzione tanto la mia, quanto la sua, cara signora.

       SIRELLI. Ma tutto codesto arzigogolo, scusa, per concludere che cosa?

       LAUDISI. Ti pare che non concluda? Oh bella! Vi vedo così affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così.

       SIGNORA SIRELLI. Ma secondo lei allora non si potrà mai sapere la verità?

       SIGNORA CINI. Se non dobbiamo più credere neppure a ciò che si vede e si tocca!

       LAUDISI. Ma sì, ci creda, signora! Però le dico: rispetti ciò che vedono e toccano gli altri, anche se sia il contrario di ciò che vede e tocca lei.

       SIGNORA SIRELLI. Oh, senta! io le volto le spalle e non parlo più con lei! Non voglio impazzire!

       LAUDISI. No, no: basta! Seguitate a parlare della signora Frola e del signor Ponza suo genero: non v’interrompo più.

       AMALIA. Ah, Dio sia ringraziato! E faresti meglio, caro Lamberto, se te n’andassi di là!

       DINA. Di là; di là, zietto; sì, vai, vai!

       LAUDISI. No, perché? Mi diverto a sentirvi parlare. Me ne starò zitto, non dubitare. Tutt’al più, farò tra me e me qualche risata; e se me ne scapperà qualcuna forte, mi scuserete.

       SIGNORA SIRELLI E dire che noi eravamo venute per sapere… – Ma scusi: suo marito, signora, non è un superiore di questo signor Ponza?

       AMALIA. Altro è l’ufficio, altro la casa, signora.

       SIGNORA SIRELLI. Capisco, già! – Ma loro non han neppure tentato di vedere la suocera qua accanto?

       DINA. Altro che! Due volte, signora!

       SIGNORA CINI (con un balzo; e poi, tutta cupida e intenta). Ah dunque! Dunque loro le hanno parlato?

       AMALIA. Non siamo state ricevute, signora mia!

       SIRELLI, SIGNORA SIRELLI, SIGNORA CINI. Oh! oh! – Come mai!

       DINA. Anche questa mattina…

       AMALIA. La prima volta restammo più d’un quarto d’ora dietro la porta. Nessuno venne ad aprirci, e non si potè neppure lasciare un biglietto da visita. – Abbiamo ritentato oggi…

       DINA (con un gesto delle mani che esprime spavento). Venne ad aprirci lui!

       SIGNORA SIRELLI. Che faccia! Già. Ce l’ha proprio di cattivo! Ha sconcertato tutto il paese con quella faccia! E poi, così, sempre vestito di nero… Sono tutti e tre vestiti di nero, anche la signora, è vero? la figlia?

       SIRELLI (con fastidio). Ma se la figlia non l’ha mai veduta nessuno! Te l’ho detto mille volte! Sarà vestita di nero anche lei… – Sono d’un paesello della Marsica –

       AMALIA. – sì; distrutto, pare, totalmente –

       SIRELLI. – di pianta, raso al suolo, dall’ultimo terremoto.

       DINA. Hanno perduto tutti i parenti, si dice.

       SIGNORA CINI (con ansia di riattaccare il discorso interrotto). Bene, dunque dunque… – ha aperto lui?

       AMALIA. Appena me lo sono veduto davanti, con quella faccia, non mi son più trovata in gola la voce per dirgli che venivamo per una visita alla suocera. Niente, sa? neanche un ringraziamento.

       DINA. No, per questo, fece un inchino.

       AMALIA. Ma appena… così, col capo.

       DINA. Gli occhi, piuttosto, devi dire! Quelli sono gli occhi d’una belva, non d’un uomo.

       SIGNORA CINI (c. s.). E allora? Che ha detto allora?

       DINA. Tutto imbarazzato –

       AMALIA. – tutto arruffato, ci ha detto che la suocera era indisposta… che ci ringraziava dell’attenzione… e rimase lì, su la soglia, in attesa che ci ritirassimo.

       DINA. Che mortificazione!

       SIRELLI. Sgarbo da villano! Ah, ma può esser sicura che è lui, sa? Forse terrà sotto chiave anche la suocera!

       SIGNORA SIRELLI. Ci vuol coraggio! Con una signora, moglie d’un suo superiore!

       AMALIA. Ah, ma mio marito questa volta se n’è proprio indignato: l’ha presa come una grave mancanza di riguardo ed è andato a rinzelarsene fortemente col Prefetto, pretendendo una riparazione.

       DINA. Oh, giusto, eccolo qua, il babbo!

SCENA TERZA     

       Il Consigliere Agazzi, Detti.

       AGAZZI (cinquant’anni, rosso di pelo, arruffato, con barba, occhiali d’oro, autoritario e dispettoso). Oh, caro Sirelli. (S’appresserà al canapè, s’inchinerà e stringerà la mano alla signora Sirelli.) Signora.

       AMALIA (presentandolo alla signora Cini). Mio marito – la signora Cini.

       AGAZZI (s’inchinerà, stringerà la mano). Lietissimo. (Poi, rivolgendosi quasi con solennità alla moglie e alla figlia🙂 Vi avverto che sarà qui a momenti la signora Frola.

       SIGNORA SIRELLI (battendo le mani, esultante). Ah, verrà? verrà qui?

       AGAZZI. Ma per forza! Potevo tollerare che fosse fatto uno sgarbo così patente alla mia casa, alle mie donne?

       SIRELLI. Ma sì. Dicevamo appunto questo!

       SIGNORA SIRELLI. E sarebbe stato bene cogliere quest’occasione –

       AGAZZI (prevenendo). – per far notare al Prefetto tutto ciò che si dice in paese sul riguardo di questo signore? Eh, non dubiti: l’ho fatto!

       SIRELLI. Ah, bene! bene!

       SIGNORA CINI. Cose inesplicabili! veramente inconcepibili!

       AMALIA. Selvagge addirittura! Ma sai che le tiene chiuse a chiave tutt’e due!

       DINA. No, mamma: per la suocera ancora non si sa!

       SIGNORA SIRELLI. Ma la moglie, è certo!

       SIRELLI. E il Prefetto?

       AGAZZI. Sì… Eh… ne è rimasto molto… molto impressionato…

       SIRELLI. Ah, meno male!

       AGAZZI. Era arrivata anche a lui qualche voce, e… e vede anche lui adesso l’opportunità di chiarire questo mistero, di venire a sapere la verità.

       LAUDISI (riderà forte). Ah! ah! ah! ah!

       AMALIA. Non ci manca proprio, adesso, che la tua risata.

       AGAZZI. E perché ride?

       SIGNORA SIRELLI. Ma perché dice che non è possibile scoprire la verità!

SCENA QUARTA   

       Cameriere, Detti, poi la Signora Frola.

       CAMERIERE (presentandosi sulla soglia dell’uscio e annunziando). Permesso? La signora Frola.

       SIRELLI. Oh! Eccola qua.

       AGAZZI. Vedremo adesso se non sarà possibile, caro Lamberto!

       SIGNORA SIRELLI. Benissimo! Ah, sono proprio contenta!

       AMALIA (alzandosi). La facciamo passare?

       AGAZZI. No, ti prego, siedi. Aspetta che entri. Seduti, seduti. Bisogna star seduti. (Al cameriere:) Fa’ passare.

       (Il cameriere, via. Entrerà poco dopo la signora Frola e tutti si alzeranno. La signora Frola è una vecchina linda, modesta, affabilissima, con una grande tristezza negli occhi, ma attenuata da un costante dolce sorriso sulle labbra. La signora Amalia si farà avanti e le porgerà la mano.)

       AMALIA. Favorisca, signora. (Tenendola per mano, farà le presentazioni): La signora Sirelli, mia buona amica. – La signora Cini. – Mio marito. – Il signor Sirelli. – La mia figliuola Dina. – Mio fratello Lamberto Laudisi. – S’accomodi, signora.

       SIGNORA FROLA. Sono dolente e chiedo scusa d’aver mancato fino ad oggi al mio dovere. – Lei, signora, con tanta degnazione mi ha onorata d’una visita, quando toccava a me di venire per la prima.

       AMALIA. Tra vicine, signora, non si bada a chi tocchi prima. Tanto più che lei, stando qui, sola, forestiera, chi sa, poteva aver bisogno…

       signora frola. Grazie, grazie… troppo buona…

       SIGNORA SIRELLI. La signora è sola in paese?

       SIGNORA FROLA. No, ho una figlia maritata: venuta anche lei, che è poco, qui.

       SIRELLI. Il genero della signora è il segretario della Prefettura: il signor Ponza, è vero?

       SIGNORA FROLA. Appunto, sì. E il signor Consigliere vorrà scusarmi, spero, e scusare anche mio genero.

       AGAZZI. Per dire la verità, signora, io mi sono avuto un po’ a male –

       SIGNORA FROLA (interrompendolo). – ha ragione, ha ragione! Ma lei deve scusarlo! Siamo rimasti, creda, così scombussolati dalla nostra disgrazia.

       AMALIA. Ah, già! loro ebbero quel gran disastro!

       SIGNORA SIRELLI. Perdettero parenti?

       SIGNORA FROLA. Oh, tutti… – Tutti, signora mia. Del nostro paesello non c’è quasi più traccia: è rimasto lì tra le campagne, come un mucchio di rovine; abbandonate.

       SIRELLI. Già! s’è saputo!

       SIGNORA FROLA. Io non avevo più che una sorella, con una figliuola anche lei, ma nubile. Per il mio povero genero la sciagura fu assai più grave. La madre, due fratelli, una sorella, e poi cognato, cognate, due nipotini.

       SIRELLI. Un’ecatombe!

       SIGNORA FROLA. E sono sciagure per tutta la vita! Si resta come storditi!

       AMALIA. Oh certo!

       SIGNORA SIRELLI. Da un momento all’altro! C’è da impazzire!

       SIGNORA FROLA. Non si pensa più a nulla. Si manca senza volerlo, signor Consigliere.

       AGAZZI. Oh basta, prego, signora.

       AMALIA. Anche in considerazione di questa sciagura, io e la mia figliuola eravamo venute per le prime.

       SIGNORA SIRELLI (friggendo). Già! sapendo così sola la signora! – Benché mi perdoni, signora, se oso domandarle come va, che avendo qua la figliuola, dopo una sciagura come questa, che… (peritosa, dopo aver filato così bene:) mi sembra… dovrebbe far nascere nei superstiti il bisogno di star tutti uniti –

       SIGNORA FROLA (seguitando lei, per toglierla d’imbarazzo). – io me ne stia così sola, è vero?

       SIRELLI. Già, ecco, pare strano, per essere sinceri.

       SIGNORA FROLA (dolente). Eh, lo capisco. (Poi, come per tentare una via di scampo:)Ma… sa, son di parere che, quando un figliuolo o una figliuola sposano, si debbano lasciare a se stessi, a farsi la loro vita, ecco.

       LAUDISI. Benissimo! Giustissimo! Che dev’essere per forza un’altra, nelle nuove relazioni con la moglie o col marito.

       SIGNORA SIRELLI. Ma non fino al punto, scusi Laudisi, da escludere dalla propria vita quella della madre!

       LAUDISI. Chi ha detto escludere? Si parla adesso – se ho inteso bene – d’una madre che comprende che la figliuola non può e non deve rimanere legata a lei come prima, avendo ora un’altra vita per sé.

       SIGNORA FROLA (con viva riconoscenza). Ecco, è proprio così, signore! Grazie! Ho voluto proprio dir questo!

       SIGNORA CINI. Ma la sua figliuola, m’immagino, verrà, verrà qui spesso a tenerle compagnia.

       SIGNORA FROLA (tra le spine). Già… sì… ci vediamo, certo…

       SIRELLI (subito). Non esce mai di casa, però, la sua figliuola! Almeno, nessuno l’ha mai veduta!

       SIGNORA CINI. Avrà forse da badare ai figliuoli!

       SIGNORA FROLA (subito). No, nessun figliuolo, ancora. E forse, ormai, non ne avrà più. È sposata già da sette anni. Ha da fare, in casa, certo. – Ma non è per questo. (Sorriderà, dolente; e soggiungerà per tentare un’altra via di scampo:) Noi sa – noi donne – siamo abituate, nei piccoli paesi, a star sempre in casa.

       AGAZZI. Anche quando ci sia la mamma da andare a vedere? la mamma che non sta più con noi?

       AMALIA. Ma la signora andrà lei a vedere la figliuola!

       SIGNORA FROLA (subito). Ah, certo! Come no? Una o due volte al giorno ci vado!

       SIRELLI. E sale, una, due volte al giorno, tutte quelle scale, fino all’ultimo piano di quel casone?

       SIGNORA FROLA (smorendo, tentando ancora di volgere in riso il supplizio di quest’interrogatorio). Eh, no; non salgo, veramente. Ha ragione, signore; sarebbero troppe per me. Non salgo. La mia figliuola s’affaccia dalla parte del cortile e… e ci vediamo, ci parliamo.

       SIGNORA SIRELLI. Così soltanto? Oh! Non la vede mai da vicino?

       DINA (cingendo col braccio il collo della madre). Io, figlia, non pretenderei che mia madre salisse per me novanta, cento scalini; ma non potrei contentarmi di vederla, di parlarle da lontano, senza abbracciarla, senza sentirmela vicina.

       SIGNORA FROLA (vivamente turbata, imbarazzata). Ha ragione! Eh sì, ecco, bisogna che io dica. – Non vorrei che loro pensassero della mia figliuola quello che non è; che abbia per me poco affetto, poca considerazione. E anche di me che sono la mamma… Novanta, cento scalini non possono essere impedimento a una madre, sia pur vecchia e stanca, quando poi abbia lassù il premio di potersi stringere al cuore la propria figliuola.

       SIGNORA SIRELLI (trionfante). Ah, ecco! Lo dicevamo noi, signora! Ci dev’essere una ragione!

       AMALIA (con intenzione). C’è, vedi, Lamberto? c’è una ragione!

       SIRELLI (pronto). Suo genero, eh?

       SIGNORA FROLA. Oh, ma per carità, non pensino male di lui! È un così bravo giovine! Lor signori non possono immaginare quanto sia buono! Che affetto tenero e delicato, pieno di premure, abbia per me! E non dico l’amore e le cure che ha per la mia figliuola. Ah, credano, che non avrei potuto desiderare per lei un marito migliore!

       SIGNORA SIRELLI. Ma… allora?

       SIGNORA CINI. Non sarà lui, allora, la ragione!

       AGAZZI. Ma certo! Non mi sembra almeno possibile ch’egli proibisca alla moglie di andare a trovar la madre, o alla madre di salire in casa per stare un po’ insieme con la figliuola!

       SIGNORA FROLA. Proibire, no! Io non ho detto che sia lui a proibircelo! Siamo noi, signor Consigliere, io e mia figlia: ce ne asteniamo noi, spontaneamente, creda, per un riguardo a lui.

       AGAZZI. E come, scusi, di che potrebbe offendersi lui? Non vedo!

       SIGNORA FROLA. Non offendersi, signor Consigliere. – È un sentimento… – un sentimento, signore mie, difficile forse a intendere. Quando si sia inteso, però, non più difficile – credano – a compatire; quantunque importi senza dubbio un sacrifizio non lieve, tanto a me, quanto alla mia figliuola.

       AGAZZI. Riconoscerà che almeno è strano, tutto questo che lei ci dice, signora.

       SIRELLI. Già, e tale da suscitare e legittimare la curiosità.

       AGAZZI. Anche, diciamo, qualche sospetto.

       SIGNORA FROLA. Contro di lui? No, per carità, non dica! Che sospetto, signor Consigliere?

       AGAZZI. Nessuno! Non si turbi. Dico che si potrebbe sospettare.

       SIGNORA FROLA. No, no! E di che? Se il nostro accordo è perfetto! Siamo contente, contentissime, tanto io, quanto la mia figliuola.

       SIGNORA SIRELLI. Ma è gelosia forse?

       SIGNORA FROLA. Per la madre? Gelosia? Non credo che si possa chiamare così. Benché, non saprei veramente. – Ecco: egli vuole il cuore della moglie tutto per sé, fino al punto che anche l’amore che la mia figliuola deve avere per la sua mamma (e l’ammette, come no? altro!) Ma vuole che mi arrivi attraverso lui, per mezzo di lui, ecco!

       AGAZZI. Oh! Ma scusi! Mi sembra una crudeltà bella e buona, codesta!

       SIGNORA FROLA. No, no, non crudeltà! non dica crudeltà, signor Consigliere! È un’altra cosa, creda! Non riesco a esprimermi… – Natura, ecco. Ma no… Forse, oh Dio mio, sarà magari una specie di malattia, se vogliono. È come una pienezza di amore – chiusa – ecco, sì, esclusiva; nella quale la moglie deve vivere, senza mai uscirne, e nella quale nessun altro deve entrare.

       DINA. Neppure la madre?

       SIRELLI. Un bell’egoismo, direi!

       SIGNORA FROLA. Forse. Ma un egoismo che si dà tutto, come un mondo, alla propria donna! Egoismo, in fondo, sarebbe forse il mio, se volessi forzare questo mondo chiuso d’amore, quando so che la mia figliuola ci vive felice; così adorata! – Questo, a una madre, signore mie, deve bastare, non è vero? – Del resto, se io la vedo la mia figliuola e le parlo…(Con graziosa mossa confidenziale:) Il panierino che vado a tirare là nel cortile, porta su e giù, sempre, due paroline di lettera, con le notizie della giornata. – Mi basta questo. – E ormai, già mi sono abituata; rassegnata, là, se vogliono! Non ne soffro più.

       AMALIA. Eh, dopo tutto, se son contente loro!

       SIGNORA FROLA (alzandosi). Oh, sì! gliel’ho detto. Perché è tanto buono – credano! Come non potrebbe essere di più! – Abbiamo ognuno le nostre debolezze, e bisogna che ce le compatiamo a vicenda. (Saluterà la signora Amalia.) Signora. (Saluterà le signore Sirelli e Cini, poi Dina; poi volgendosi al Consigliere Agazzi:) Mi avrà scusato…

       AGAZZI. Oh, signora, che dice! Le siamo gratissimi della visita.

       SIGNORA FROLA (saluterà col capo Sirelli e Laudisi, poi volgendosi alla signora Amalia). No, prego… stia, stia, signora… non s’incomodi…

       AMALIA. Ma no, è mio dovere, signora. (La signora Frola uscirà accompagnata dalla signora Amalia, che rientrerà poco dopo.)

       SIRELLI. Ma che! ma che! Vi siete contentati della spiegazione?

       AGAZZI. Ma che spiegazione? Qua ci deve esser sotto chi sa che mistero!

       SIGNORA SIRELLI. E chi sa quanto deve soffrire quel povero cuore di madre!

       DINA. Ma anche la figliuola, Dio mio!

       (Pausa.)

       SIGNORA CINI (dall’angolo della stanza, dove si sarà rincantucciata per nascondere il pianto, con stridula esplosione). Le lagrime le tremavano nella voce!

       AMALIA. Già! quando ha detto che altro che cento scalini salirebbe, pur di stringersi al cuore la figliuola!

       LAUDISI.. Io per me ho notato sopratutto uno studio, dico di più, un impegno di guardare da ogni sospetto il genero!

       SIGNORA SIRELLI. Ma che! Dio mio, se non sapeva come scusarlo!

       SIRELLI. Ma che scusare! la violenza? la barbarie?

SCENA QUINTA     

       Cameriere, Detti, poi il Signor Ponza.

       CAMERIERE (presentandosi sulla soglia). Signor Commendatore, c’è il signor Ponza che chiede d’esser ricevuto.

       SIGNORA SIRELLI. Oh! lui!

       (Sorpresa generale e movimento di curiosità ansiosa, anzi quasi sbigottimento.)

       AGAZZI. Ricevuto da me?

       CAMERIERE. Sissignore. Ha detto così.

       SIGNORA SIRELLI. Per carità, lo riceva qua, Commendatore! – Ho quasi paura; ma una grande curiosità di vederlo da vicino, questo mostro!

       AMALIA.. Ma che vorrà?

       AGAZZI. Sentiremo. Sedete, sedete. Bisogna star seduti. (Al cameriere:) Fallo passare.

       (Il cameriere s’inchinerà e andrà via. Entrerà poco dopo il signor Ponza. Tozzo, bruno, dall’aspetto quasi truce, tutto vestito di nero, capelli neri, fitti, fronte bassa, grossi baffi neri. Stringerà continuamente le pugna e parlerà con sforzo, anzi con violenza a stento contenuta. Di tratto in tratto si asciugherà il sudore con un fazzoletto listato di nero. Gli occhi, parlando, gli resteranno costantemente duri, fissi, tetri.)

       AGAZZI. Venga, venga avanti, signor Ponza! (Presentandolo:) Il nuovo segretario signor Ponza: la mia signora – la signora Sirelli – la signora Cini – la mia figliuola – il signor Sirelli – Laudisi mio cognato. – S’accomodi.

       PONZA. Grazie. Un momento solo e tolgo l’incomodo.

       AGAZZI. Vuol parlare a parte con me?

       PONZA. No, posso… posso anche davanti a tutti. Anzi… È… è una dichiarazione doverosa, da parte mia.

       AGAZZI. Dice per la visita della sua signora suocera? Può farne a meno; perché –

       PONZA. – non per questo, signor Commendatore. Tengo anzi a far sapere che la signora Frola, mia suocera, sarebbe venuta senza dubbio prima che la sua signora e la signorina avessero la bontà di degnarla d’una loro visita, se io non avessi fatto di tutto per impedirglielo, non potendo permettere che ella faccia visite o ne riceva.

       AGAZZI (con fiero risentimento). Ma perché, scusi?

       PONZA (alterandosi sempre più, nonostante gli sforzi per contenersi). Mia suocera avrà parlato a lor signori della sua figliuola; avrà detto che io le proibisco di vederla, di salire in casa mia?

       AMALIA. Ma no! La signora è stata piena di riguardo e di bontà per lei!

       DINA. Non ha detto di lei altro che bene!

       AGAZZI. E che s’astiene lei, di salire in casa della figliuola, per un riguardo a un suo sentimento, che noi francamente le diciamo di non comprendere.

       SIGNORA SIRELLI. Anzi, se dovessimo dire proprio ciò che ne pensiamo…

       AGAZZI. Ma sì, ci è parsa una crudeltà, ecco! una vera crudeltà!

       PONZA. Sono qua appunto per chiarir questo, signor Commendatore. La condizione di questa donna è pietosissima. Ma non meno pietosa è la mia, anche per il fatto che mi obbliga a scusarmi, a dar loro conto e ragione d’una sventura, che soltanto… soltanto una violenza come questa poteva costringermi a svelare. (Si fermerà un momento a guardare tutti, poi dirà lento e staccato:) La signora Frola è pazza.

       TUTTI. (con un sussulto). Pazza?

       PONZA. Da quattro anni.

       SIGNORA SIRELLI (con un grido). Oh Dio, ma non pare affatto!

       AGAZZI (stordito). Come, pazza?

       PONZA. Non pare, ma è pazza. E la sua pazzia consiste appunto nel credere che io non voglia farle vedere la figliuola. (Con orgasmo d’atroce e quasi feroce commozione:) Quale figliuola, in nome di Dio, se è morta da quattro anni la sua figliuola?

       TUTTI (trasecolati). Morta? – Oh!… – Come? – Morta?

       PONZA. Da quattro anni. È impazzita proprio per questo.

       SIRELLI. Ma dunque, quella che lei ha con sé? –

       PONZA. – l’ho sposata da due anni: è la mia seconda moglie.

       AMALIA. E la signora crede che sia ancora la sua figliuola?

       PONZA. È stata la sua fortuna, se così può dirsi. Mi vide passare per via con questa mia seconda moglie, dalla finestra della stanza dove la tenevano custodita; credette di rivedere in lei, viva, la sua figliuola; e si mise a ridere, a tremar tutta; si sollevò d’un tratto dalla tetra disperazione in cui era caduta, per ritrovarsi in quest’altra follia, dapprima esultante, beata, poi a mano a mano più calma, ma angustiata così, in una rassegnazione a cui s’è piegata da sé; e tuttavia contenta, come han potuto vedere. S’ostina a credere che non è vero che sua figlia sia morta, ma che io voglia tenermela tutta per me, senza fargliela più vedere. È come guarita. Tanto che, a sentirla parlare, non sembra più pazza affatto.

       AMALIA. Affatto! Affatto!

       SIGNORA SIRELLI. Eh sì, dice proprio che è contenta così.

       PONZA. Lo dice a tutti. E ha per me veramente affetto e gratitudine. Perché io cerco d’assecondarla quanto più posso, anche a costo di gravi sacrifizii. Mi tocca tener due case. Obbligo mia moglie, che per fortuna si presta caritatevolmente, a raffermarla di continuo in quella illusione: che sia sua figlia. S’affaccia alla finestra, le parla, le scrive. Ma, carità, ecco, dovere, fino a un certo punto, signori! Non posso costringere mia moglie a convivere con lei. E intanto è come in carcere, quella disgraziata, chiusa a chiave, per paura che ella non le entri in casa. Sì, è tranquilla, e poi così mite d’indole; ma, capiranno, si sentirebbe raccapricciare da capo a piedi, mia moglie, alle carezze che ella le farebbe.

       AMALIA (scattando, con orrore e pietà insieme). Ah, certo, povera signora, immaginiamoci!

       SIGNORA SIRELLI (al marito e alla signora Cini). Ah, vuole dunque lei – sentite? – star chiusa a chiave!

       PONZA (per troncare). Signor Commendatore, intenderà che io non potevo lasciar fare, se non forzato, questa visita.

       AGAZZI. Ah, intendo, intendo, ora; sì sì, e mi spiego tutto.

       PONZA. Chi ha una sventura come questa deve starsene appartato. Costretto a far venire qua mia suocera, era mio obbligo fare davanti a loro questa dichiarazione: dico, per rispetto al posto che occupo; perché a carico d’un pubblico ufficiale non si creda in paese una tale enormità: che per gelosia o per altro io impedisca a una povera madre di veder la figliuola. (Si alzerà.) Signor Commendatore! (S’inchinerà; poi, davanti a Laudisi e Sirelli, chinando il capo:)Signori. (E andrà via per l’uscio comune.)

       AMALIA (sbalordita). Uh… è pazza, dunque!

       SIGNORA SIRELLI. Povera signora! Pazza.

       DINA. Ecco perché! Si crede la madre, e quella non è la sua figliuola! (Si nasconde la faccia con le mani per orrore.) Oh Dio!

       SIGNORA CINI.. Ma chi l’avrebbe mai supposto!

       AGAZZI. Eppure… eh! dal modo come parlava –

       LAUDISI. – tu avevi già capito?

       AGAZZI. No… ma, certo che… non sapeva lei stessa come dire!

       SIGNORA SIRELLI. Sfido, poverina: non ragiona!

       SIRELLI. Però, scusate: è strano, per una pazza! Non ragionava, certo. Ma quel cercare di spiegarsi perché il genero non voglia farle vedere la figliuola; e scusarlo, e adattarsi alle scuse trovate da lei stessa…

       AGAZZI. Oh bella! Appunto questa è la prova che è pazza! In questo cercar le scuse per il genero, senza poi riuscire a trovarne una ammissibile

       AMALIA. Eh sì! diceva; si disdiceva.

       AGAZZI (a Sirelli). E ti pare che, se non fosse pazza, potrebbe accettare queste condizioni di non veder la figliuola se non da una finestra, con la scusa che adduce, di quel morboso amore del marito che vuol la moglie tutta per sé?

       SIRELLI. Già! E da pazza le accetta? E vi si rassegna? Mi sembra strano, mi sembra strano. (A Laudisi:) Tu che ne dici?

       LAUDISI. Io? Niente!

SCENA SESTA 

       Cameriere, Detti, poi la Signora Frola.

       CAMERIERE (picchiando all’uscio e presentandosi sulla soglia, turbato). Permesso? C’è di nuovo la signora Frola.

       AMALIA (con sgomento). Oh Dio, e adesso? Se non possiamo più levarcela d’addosso?

       SIGNORA SIRELLI. Eh, capisco: a saperla pazza!

       SIGNORA CINI. Dio, Dio! Chi sa che altro verrà a dire adesso? Come vorrei sentirla!

       SIRELLI. Ne avrei anch’io curiosità. Non ne sono mica persuaso, io, che sia pazza.

       DINA. Ma sì, mamma! Non c’è da aver paura: è così tranquilla!

       AGAZZI. Bisognerà riceverla, certo. Sentiamo che cosa vuole. Nel caso, si provvederà. Ma seduti, seduti. Bisogna star seduti. (Al cameriere:) Fa’ passare.

       (Il cameriere si ritirerà.)

       AMALIA. Ajutatemi, per carità! Io non so più come parlarle adesso! (Rientrerà la signora Frola. La signora Amalia si alzerà e le verrà impaurita incontro; gli altri la guarderanno sgomenti.)

       SIGNORA FROLA. Permesso?

       AMALIA. Venga, venga avanti, signora. Sono qua ancora le mie amiche, come vede –

       SIGNORA FROLA (con mestissima affabilità, sorridendo). – che mi guardano… e anche lei, mia buona signora, come una povera pazza, è vero?

       AMALIA. No, signora, che dice?

       SIGNORA FROLA (con profondo rammarico). Ah, meglio lo sgarbo, signora, di lasciarla dietro la porta, come feci la prima volta! Non avrei mai supposto che lei dovesse ritornare e costringermi a questa visita, di cui purtroppo avevo previsto le conseguenze!

       AMALIA. Ma no, creda: noi siamo liete di rivederla.

       SIRELLI. La signora s’affligge… non sappiamo di che; lasciamola dire.

       SIGNORA FROLA. Non è uscito di qua or ora mio genero?

       AGAZZI. Ah, sì! Ma è venuto… è venuto, signora, per parlare con me di… di certe cose d’ufficio, ecco.

       SIGNORA FROLA (ferita, costernata). Eh! codesta pietosa bugia che ella mi dice per tranquillarmi…

       AGAZZI. No, no, signora, stia sicura; le dico la verità.

       SIGNORA FROLA (c. s.). Era calmo, almeno? Ha parlato calmo?

       AGAZZI. Ma sì, calmo, calmissimo, è vero? (Tutti annuiscono, confermano.)

       SIGNORA FROLA. Oh Dio, signori, loro credono di rassicurare me, mentre vorrei io, al contrario, rassicurar loro sul conto di lui!

       SIGNORA SIRELLI. E su che cosa, signora? Se le ripetiamo che –

       AGAZZI. – ha parlato con me di cose d’ufficio…

       SIGNORA FROLA. Ma io vedo come mi guardano! Abbiano pazienza. Non è per me! Dal modo come mi guardano, m’accorgo ch’egli è venuto qua a dar prova di ciò che io per tutto l’oro del mondo non avrei mai rivelato! Mi sono tutti testimoni che poc’anzi io qua, alle loro domande che – credano – sono state per me molto crudeli, non ho saputo come rispondere; e ho dato loro, di questo nostro modo di vivere, una spiegazione che non può soddisfare nessuno, lo riconosco! Ma potevo dirne loro la vera ragione? O potevo dir loro, come va dicendo lui, che la mia figliuola è morta da quattro anni e che io sono una povera pazza che la crede ancora viva e che lui non me la vuol far vedere?

       AGAZZI (stordito dal profondo accento di sincerità con cui la signora Frola avrà parlato). Ah… ma come? La sua figliuola?

       SIGNORA FROLA (subito, con ansia). Vedono che è vero? Perché vogliono nascondermelo? Ha detto loro così..

       SIRELLI (esitando, ma studiandola). Sì… difatti… ha detto…

       SIGNORA FROLA. Ma se lo so! E so purtroppo che turbamento gli cagiona il vedersi costretto a dir questo di me! È una disgrazia, signor Consigliere, che con tanti stenti, attraverso tanti dolori, s’è potuta superare; ma così, a patto di vivere come viviamo. Capisco, sì, che deve dar nell’occhio alla gente, provocare scandalo, sospetti. Ma d’altra parte, se lui è un ottimo impiegato, zelante, scrupoloso. Lei lo avrà già sperimentato, certo.

       AGAZZI. No, per dir la verità, ancora non ne ho avuto occasione.

       SIGNORA FROLA. Per carità non giudichi dall’apparenza! È ottimo; lo hanno dichiarato tutti i suoi superiori. E perché si deve allora tormentarlo con questa indagine della sua vita familiare, della sua disgrazia, ripeto, già superata e che, a rivelarla, potrebbe comprometterlo nella carriera?

       AGAZZI Ma no, signora, non s’affligga così! Nessuno vuol tormentarlo.

       SIGNORA FROLA. Dio mio, come vuole che non mi affligga nel vederlo costretto a dare a tutti una spiegazione assurda, via! e anche orribile! Possono loro credere sul serio che la mia figliuola sia morta? che io sia pazza? che questa che ha con sé sia una seconda moglie? – Ma è un bisogno, credano, un bisogno per lui dire così! Gli s’è potuto ridar la calma, la fiducia, solo a questo patto. Avverte lui stesso però l’enormità di quello che dice e, costretto a dire, si eccita, si sconvolge: lo avranno veduto!

       AGAZZI. Sì, difatti, era… era un po’ eccitato.

       SIGNORA SIRELLI. O Dio, ma come? ma allora, è lui?

       SIRELLI. Ma sì, che dev’esser lui! (Trionfante:) Signori, io l’ho detto!

       AGAZZI. Ma via! Possibile?

       (Viva agitazione in tutti gli altri.)

       SIGNORA FROLA (subito, giungendo le mani). No, per carità, signori! Che credono? È solo questo tasto che non gli dev’esser toccato! Ma scusino, lascerei la mia figliuola sola con lui, se veramente fosse pazzo? No! E poi la prova lei può averla all’ufficio, signor Consigliere, dove adempie a tutti i suoi doveri come meglio non si potrebbe.

       AGAZZI. Ah, ma bisogna che lei ci spieghi, signora, e chiaramente, come stanno le cose! Possibile che suo genero sia venuto qua a inventarci tutta una storia?

       SIGNORA FROLA. Sissignore, sì, ecco, spiegherò loro tutto! Ma bisogna compatirlo, signor Consigliere!

       AGAZZI. Ma come? Non è vero niente che la sua figliuola è morta?

       SIGNORA FROLA (con orrore). Oh no! Dio liberi!

       AGAZZI (irritatissimo, gridando). Ma allora il pazzo è lui!

       SIGNORA FROLA (supplichevole). No, no… guardi…

       SIRELLI (trionfante). Ma sì, perdio, dev’esser lui!

       SIGNORA FROLA. No, guardino! guardino! Non è, non è pazzo! Mi lascino dire! – Lo hanno veduto: è così forte di complessione; violento… Sposando, fu preso da una vera frenesia d’amore. Rischiò di distruggere, quasi, la mia figliuola, ch’era delicatina. Per consiglio dei medici e di tutti i parenti, anche dei suoi (che ora, poverini, non sono più!) gli si dovette sottrarre la moglie di nascosto, per chiuderla in una casa di salute. E allora lui, già un po’ alterato, naturalmente, a causa di quel suo… soverchio amore, non trovandosela più in casa… – ah, signore mie, cadde in una disperazione furiosa; credette davvero che la moglie fosse morta; non volle sentir più niente; si volle vestir di nero; fece tante pazzie; e non ci fu verso di smuoverlo più da quest’idea. Tanto che, quando (dopo appena un anno) la mia figliuola già rimessa, rifiorita, gli fu ripresentata, disse di no, che non era più lei: no, no; la guardava – non era più lei. Ah, signore mie, che strazio! Le si accostava, pareva che la riconoscesse, e poi di nuovo no, no… E per fargliela riprendere, con l’ajuto degli amici, si dovette simulare un secondo matrimonio.

       SIGNORA SIRELLI. Ah, dice dunque per questo che…

       SIGNORA FROLA. Sì, ma non ci crede più, certo, da un pezzo, neanche lui! Ha bisogno di darlo a intendere agli altri; non può farne a meno! Per star sicuro, capiscono? Perché forse, di tanto in tanto, gli balena ancora la paura che la mogliettina gli possa essere di nuovo sottratta.(A bassa voce, sorridendo confidenzialmente:) Se la tiene chiusa a chiave per questo – tutta per sé. Ma l’adora! Sono sicura. E la mia figliuola è contenta. (Si alzerà:) Me ne scappo, perché non vorrei che tornasse subito da me, se è così eccitato. (Sospirerà dolcemente, scotendo le mani giunte:) Ci vuol pazienza! Quella poverina deve figurare di non esser lei, ma un’altra; e io… eh! io, d’esser pazza, signore mie! Ma come si fa? Purché stia tranquillo lui! Non s’incomodino, prego, so la via. Riverisco, signori, riverisco. (Salutando e inchinandosi si ritirerà in fretta, per l’uscio comune.) (Resteranno tutti in piedi, sbalorditi, come basiti, a guardarsi negli occhi. Silenzio.)

       LAUDISI (facendosi in mezzo a loro). Vi guardate tutti negli occhi? Eh! La verità?(Scoppierà a ridere forte:) Ah! Ah! Ah! Ah!

Tela

*******

Così è (se vi pare)
Atto Secondo

Studio in casa del Consigliere Agazzi. – Mobili antichi; vecchi quadri alle pareti; uscio in fondo, con tenda; uscio laterale a sinistra, che dà nel salotto, anch’esso con tenda; a destra, un ampio camino, sulla cui mensola poggerà un grande specchio; su la scrivania, apparecchio telefonico; poi un divanetto, poltrone, seggiole, ecc.

SCENA PRIMA

       Agazzi, Laudisi, Sirelli. Agazzi sarà in piedi presso la scrivania, col ricevitore dell’apparecchio telefonico all’orecchio. Laudisi e Sirelli, seduti, guarderanno verso di lui, in attesa.

       AGAZZI. Pronto! – Sì. – Parlo con Centuri? – Ebbene? – Sì, bravo. (Ascolterà a lungo, poi:)Ma come, scusi! possibile? (Ascolterà di nuovo a lungo, poi:) Capisco, ma mettendocisi con un po’ d’impegno… (Altra pausa lunga, poh) È proprio strano, scusi, che non si possa… (Pausa.)Capisco, sì… capisco. (Pausa.) Basta, veda un po’… A rivederla. (Poserà il ricevitore, e verrà avanti.)

       SIRELLI (ansioso). Ebbene?

       AGAZZI. Niente.

       SIRELLI. Non si trova niente?

       AGAZZI. Tutto disperso o distrutto: Municipio, archivio, stato civile.

       SIRELLI. Ma la testimonianza di qualche superstite?

       AGAZZI. Non si ha notizia di superstiti; e se pure ce ne sono, ricerche difficilissime, ormai!

       SIRELLI. Cosicché non ci resta che da credere all’uno o da credere all’altra, così, senza prove?

       AGAZZI. Purtroppo!

       LAUDISI (alzandosi). Volete seguire il mio consiglio? Credete a tutti e due.

       AGAZZI. Sì, e come –

       SIRELLI. – se l’una ti dice bianco e l’altro nero?

       LAUDISI. E allora non credete a nessuno dei due!

       SIRELLI. Tu vuoi scherzare. Mancano le prove, i dati di fatto, ma la verità, perdio, sarà da una parte o dall’altra!

       LAUDISI. I dati di fatto, già! Che vorresti desumerne?

       AGAZZI. Ma scusa! L’atto di morte della figliuola, per esempio, se la signora Frola è lei la pazza (purtroppo non si trova più, perché non si trova più nulla), ma doveva esserci; si potrebbe trovare domani; e allora – trovato quest’atto – è chiaro che avrebbe ragione lui, il genero.

       SIRELLI. Potresti negar l’evidenza, se domani quest’atto ti venisse presentato?

       LAUDISI. Io? Ma non nego nulla io! Me ne guardo bene! Voi, non io, avete bisogno dei dati di fatto, dei documenti, per affermare o negare! Io non so che farmene, perché per me la realtà non consiste in essi, ma nell’animo di quei due, in cui non posso figurarmi d’entrare, se non per quel tanto ch’essi me ne dicono.

       SIRELLI. Benissimo! E non dicono appunto che uno dei due è pazzo? O pazza lei, o pazzo lui: di qui non si scappa! Quale dei due?

       AGAZZI. È qui la questione!

       LAUDISI. Prima di tutto, non è vero che lo dicano entrambi. Lo dice lui, il signor Ponza, di sua suocera. La signora Frola lo nega, non soltanto per sé, ma anche per lui. Se mai, lui – dice – fu un po’ alterato di mente per soverchio amore. Ma ora, sano, sanissimo.

       SIRELLI. Ah dunque tu propendi, come me, verso ciò che dice lei, la suocera?

       AGAZZI. Certo che, stando a ciò che dice lei, si può spiegar tutto benissimo.

       LAUDISI. Ma si può spiegar tutto ugualmente, stando a ciò che dice lui, il genero!

       SIRELLI. E allora – pazzo – nessuno dei due? Ma uno dev’essere, perdio!

       LAUDISI. E chi dei due? Non potete dirlo voi, come non può dirlo nessuno. E non già perché codesti dati di fatto, che andate cercando, siano stati annullati – dispersi o distrutti – da un accidente qualsiasi – un incendio, un terremoto – no; ma perché li hanno annullati essi in sé, nell’animo loro, volete capirlo? creando lei a lui, o lui a lei, un fantasma che ha la stessa consistenza della realtà, dove essi vivono ormai in perfetto accordo, pacificati. E non potrà essere distrutta, questa loro realtà, da nessun documento, poiché essi ci respirano dentro, la vedono, la sentono, la toccano! – Al più, per voi potrebbe servire il documento, per levarvi voi una sciocca curiosità. Vi manca, ed eccovi dannati al meraviglioso supplizio d’aver davanti, accanto, qua il fantasma e qua la realtà, e di non poter distinguere l’uno dall’altra!

       AGAZZI. Filosofia, caro, filosofia! Lo vedremo, lo vedremo adesso se non sarà possibile!

       SIRELLI. Abbiamo inteso prima l’uno, poi l’altra; mettendoli insieme, ora, di fronte, vuoi che non si scopra dove sia il fantasma, dove la realtà?

       LAUDISI. Io vi chiedo licenza di seguitare a ridere alla fine.

       AGAZZI. Va bene, va bene; vedremo chi riderà meglio alla fine. Non perdiamo tempo! (Si farà all’uscio a sinistra e chiamerà:) Amalia, signora, venite, venite qua!

SCENA SECONDA

       Signora Amalia, Signora Sirelli, Dina, Detti.

       SIGNORA SIRELLI (a Laudisi, minacciandolo con un dito). Ancora? ancora, lei?

       SIRELLI. È incorreggibile!

       SIGNORA SIRELLI. Ma come non si lascia prendere dalla smania che è in tutti ormai, di penetrar questo mistero, che rischia di farci impazzire tutti quanti? Io non ci ho dormito stanotte!

       AGAZZI. Per carità, signora, lo lasci perdere!

       LAUDISI. Dia retta a mio cognato piuttosto, che le prepara il sonno per questa notte.

       AGAZZI. Dunque. Stabiliamo. Ecco. Voi andrete dalla signora Frola…

       AMALIA. E saremo ricevute?

       AGAZZI. Oh Dio, direi!

       DINA. È nostro dovere restituir la visita.

       AMALIA. Ma se lui non vuol permettere che la signora ne faccia e ne riceva?

       SIRELLI. Prima sì! – perché ancora nessuno sapeva niente. Ma ormai che la signora, costretta, ha parlato, spiegando a modo suo la ragione del suo ritegno –

       SIGNORA SIRELLI (seguitando). – forse avrà piacere, anzi, di parlarci della figliuola.

       DINA. È così affabile! – Ah, per me non c’è dubbio, sapete: il pazzo è lui!

       AGAZZI. Non precipitiamo, non precipitiamo il giudizio. – Dunque, statemi a sentire.(Guarderà l’orologio:) Vi tratterrete poco; un quarto d’ora, non più.

       SIRELLI (alla moglie). Per carità, sta’ attenta!

       SIGNORA SIRELLI (montando infuria). E perché dici a me?

       SIRELLI. Eh, perché se tu ti metti a parlare…

       DINA (per prevenire una lite fra i due). Un quarto d’ora, un quarto d’ora; starò attenta io.

       AGAZZI. Io arrivo alla Prefettura, e sarò qui di ritorno alle undici. Fra una ventina di minuti.

       SIRELLI (smanioso). E io?

       AGAZZI. Aspetta. (Alle donne:) Con una scusa, un poco prima, voi indurrete la signora Frola a venire qua.

       AMALIA. E che… che scusa?

       AGAZZI. Una scusa qualunque! La troverete conversando… Manca a voi? Non siete donne per nulla! C’è Dina, c’è la signora… – Entrerete, s’intende, nel salotto. (Si recherà all’uscio a sinistra e lo aprirà bene, scostando la tenda.) Quest’uscio deve restare così – bene aperto – così! per modo che di qua vi si senta parlare. – Io lascio sulla scrivania queste carte, che dovrei portare con me. È una pratica d’ufficio preparata apposta per il signor Ponza. Fingo di scordarmela, e con questo pretesto me lo conduco qua. Allora…

       SIRELLI (c. s.). Scusa, ma io, io quando devo venire?

       AGAZZI. Qualche minuto dopo le undici, tu, – quando già le signore saranno nel salotto, e io qua con lui. Vieni per prendere la tua signora. Ti fai introdurre da me. Io allora le inviterò tutte a favorire qua da noi –

       LAUDISI (subito). – e la verità sarà scoperta!

       DINA. Ma scusa, zietto, quando saranno tutt’e due di fronte…

       AGAZZI. Non gli date retta, santo Dio! Andate, andate. Non c’è tempo da perdere!

       SIGNORA SIRELLI. Andiamo, sì, andiamo. Io neanche la saluto!

       LAUDISI. Ecco, mi saluto per lei, signora! (Si stringerà una mano con l’altra.) Buona fortuna!

       (Via Amalia, Dina e la signora Sirelli.)

       AGAZZI (a Sirelli). Andiamo anche noi, eh? Subito.

       SIRELLI. Sì, andiamo. Addio, Lamberto.

       LAUDISI. Addio, addio.

       (Agazzi e Sirelli, via.)

SCENA TERZA

       Laudisi solo, poi il Cameriere.

       LAUDISI (Andrà un po’ in giro per lo studio, sogghignando tra sé e tentennando il capo; poi si fermerà davanti al grande specchio su la mensola del camino, guarderà la propria immagine e parlerà con essa). Oh, eccoti qua! (La saluterà con due dita, strizzando furbescamente un occhio, e sghignerà.) Eh caro! – Chi è il pazzo di noi due? (Alzerà una mano con l’indice appuntato contro la sua immagine che, a sua volta, appunterà l’indice contro di lui. Sghignerà ancora, poi:) Eh, lo so: io dico: «tu», e tu col dito indichi me. – Va’ là, che così a tu per tu, ci conosciamo bene noi due! – Il guajo è che, come ti vedo io, non ti vedono gli altri! E allora, caro mio, che diventi tu? Dico per me che, qua di fronte a te, mi vedo e mi tocco – tu, – per come ti vedono gli altri – che diventi? – Un fantasma, caro, un fantasma! – Eppure, vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! E credono che sia una cosa diversa.

       (Il cameriere, entrato, resterà sbalordito a sentir le ultime parole del Laudisi allo specchio. Poi chiamerà🙂

       CAMERIERE. Signor Lamberto.

       LAUDISI. Eh?

       CAMERIERE. Ci sono due signore. La signora Cini e un’altra.

       LAUDISI. Vogliono me?

       CAMERIERE. Hanno chiesto della signora. Ho detto che si trovava a visita dalla signora Frola qua accanto, e allora…

       LAUDISI. Allora?

       CAMERIERE. Si sono guardate negli occhi; poi, hanno battuto le manine coi guanti: – «Ah sì? ah sì?» e m’hanno domandato, friggendo, se non c’era proprio nessuno in casa.

       LAUDISI. Tu avrai risposto che non c’era nessuno.

       CAMERIERE. Ho risposto che c’era lei.

       LAUDISI. Io? No. – Quello che conoscono loro, se mai!

       CAMERIERE (più che mai sbalordito). Come dice?

       LAUDISI. Ma scusa, ti pare lo stesso?

       CAMERIERE (c. s. tentando squallidamente un sorriso a bocca aperta). Non capisco.

       LAUDISI. Con chi stai parlando tu?

       CAMERIERE (basito). Come… con chi sto parlando?… Con lei…

       LAUDISI. E sei proprio sicuro che io sia lo stesso di quello che chiedono codeste signore?

       CAMERIERE. Ma… non saprei… Hanno detto il fratello della signora…

       LAUDISI. Caro! Ah… – Eh sì, allora sono io; sono io… Falle entrare, falle entrare…

       (Il cameriere si ritirerà voltandosi parecchie volte a riguardarlo come se non credesse più ai suoi occhi.)

SCENA QUARTA

       Detto, la Signora Cini, la Signora Nenni.

       SIGNORA CINI. Permesso?

       LAUDISI. Avanti, avanti, signora.

       SIGNORA CINI. M’hanno detto che la signora non c’è. Io avevo portato con me la mia amica signora Nenni, (la presenterà: è una vecchia più goffa e smorfiosa di lei, piena anch’essa di cupida curiosità, una guardinga, sgomenta🙂 che aveva tanto desiderio di conoscere la signora –

       LAUDISI (subito). – Frola? –

       SIGNORA CINI. – no, no: sua sorella!

       LAUDISI. Oh, verrà, sarà qui tra poco. Anche la signora Frola. S’accomodino, prego (Le inviterà a sedere sul divanetto: poi introducendosi graziosamente a sedere tra loro due🙂 Permettono? Ci si può mettere seduti bene tutti e tre. C’è anche di là la signora Sirelli.

       SIGNORA CINI. Già, ce l’ha detto il cameriere.

       LAUDISI. Tutto concertato, sa? Ah, sarà una scena di quelle, ma di quelle! Tra poco, alle undici. Qua.

       SIGNORA CINI (stordita). Concertato, scusi, che cosa?

       LAUDISI (misterioso, prima col gesto, infrontando gl’indici delle mani; poi, con la voce). L’incontro. (Gesto d’ammirazione, poi🙂 Un’idea grande!

       SIGNORA CINI. Che… che incontro?

       LAUDISI Dei due. Prima, lui entrerà qua.

       SIGNORA CINI. II signor Ponza?

       LAUDISI. Sì; e lei sarà condotta là. (Indicherà il salotto.)

       SIGNORA CINI. La signora Frola?

       LAUDISI. Sissignora. (Daccapo, prima con un gesto espressivo della mano, poi con la voce:) Ma poi, tutti e due qua, uno di fronte all’altro; e nojaltri, attorno, a vedere e sentire. Un’idea grande!

       SIGNORA CINI. Per venire a sapere? –

       LAUDISI – la verità! Ma già s’è saputa! Ora non resta più che di smascherarla.

       SIGNORA CINI (con sorpresa e vivissima ansia). Ah! s’è saputo? E chi è? Chi è dei due? chi è?

       LAUDISI. Vediamo un po’. Indovini. Lei chi dice?

       signora cini (gongolante, esitante). Ma… io… ecco…

       LAUDISI. Lei o lui? Vediamo… Indovini… Coraggio!

       SIGNORA CINI. Io… io lui dico!

       LAUDISI (la guarda un po’. Poi): È lui.

       SIGNORA CINI (gongolante). Sì? Ah! Ecco! ecco! Ma sì! Doveva, doveva esser lui!

       SIGNORA NENNI (gongolante). Lui! – Eh, tutte lo dicevamo, noi donne!

       SIGNORA CINI. E come, come s’è venuto a sapere? Son venute fuori prove, è vero? atti.

       SIGNORA NENNI. Per mezzo della questura, eh? Lo dicevamo! Non era possibile che non si venisse a scoprire per mezzo dell’autorità prefettizia!

       LAUDISI (farà segno con le mani d’accostarsi di più a lui; poi dirà loro piano, con tono di mistero, quasi pesando le sillabe): L’atto del secondo matrimonio.

       SIGNORA CINI (come ricevendo un pugno sul naso). Del secondo?

       SIGNORA NENNI (scompigliata). Come, come? Del secondo matrimonio?

       SIGNORA CINI (rinvenendo, contrariata). Ma allora… allora avrebbe ragione lui?

       LAUDISI Eh! i dati di fatto, signore mie! L’atto del secondo matrimonio – a quanto pare – parla chiaro.

       SIGNORA NENNI (quasi piangendo). Ma allora la pazza è lei!

       LAUDISI. E già! Parrebbe lei.

       SIGNORA CINI. Ma come? Prima ha detto lui e ora dice lei?

       LAUDISI. Sì. Ma perché l’atto, signora mia, questo atto del secondo matrimonio, può essere benissimo come ha assicurato la signora Frola – un atto simulato, mi spiego? – fatto per finta, con l’ajuto degli amici, per secondare la sua fissazione, che la moglie non fosse più quella, ma un’altra.

       SIGNORA CINI. Ah, ma allora un atto… così, senza valore?

       LAUDISI Cioè, cioè.. Con quel valore, signore mie, con quel valore che ognuno gli vuol dare! Non ci sono, scusino, anche le letterine che la signora Frola dice di ricevere ogni giorno dalla figliuola per mezzo del panierino, là nel cortile? Ci sono queste lettere, è vero?

       SIGNORA CINI. Sì; ebbene?

       LAUDISI. Ebbene: documenti, signora! Documenti, anche queste letterine! Ma secondo il valore che lei vuol dar loro! Viene il signor Ponza e dice che sono finte, fatte per secondare la fissazione della signora Frola.

       SIGNORA CINI. Ma allora, oh Dio, di certo non si sa niente!

       LAUDISI. Come niente! come niente! Non esageriamo! Scusi, i giorni della settimana, quanti sono?

       SIGNORA CINI. Eh, sette.

       LAUDISI. Lunedì, martedì, mercoledì…

       SIGNORA CINI (invitata a seguitare) – giovedì, venerdì, sabato…

       LAUDISI. – e domenica! (Rivolgendosi all’altra:) E i mesi dell’anno?

       SIGNORA NENNI. Dodici!

       LAUDISI. Gennajo, febbrajo, marzo…

       SIGNORA CINI. Abbiamo capito! Lei vuole burlarsi di noi!

SCENA QUINTA

       Detti e Dina.

       DINA (sopravvenendo di corsa dall’uscio in fondo). Zietto, per favore… (Si arresterà, vedendo la signora Cini🙂 Oh, signora, lei qui?

       SIGNORA CINI. Sì, ero venuta con la signora Nenni –

       LAUDISI. – che ha tanto desiderio di conoscere la signora Frola.

       SIGNORA NENNI. Ma no, scusi…

       SIGNORA CINI. Seguita a prenderci in giro! Ah, cara signorina! Ci ha tutte abburattate, sa? come quando si entra in una stazione: tàn-tàn, tàn-tàn, che non si finisce mai d’infilare scambi! Siamo stordite!

       DINA. Oh! È tanto cattivo in questo momento, anche con tutti noi! Abbiano pazienza Non ho più bisogno di niente. Vado a dire alla mamma che ci sono qua loro: basterà. – Ah zio, se la sentissi, che tesorino di vecchietta! come parla! che bontà! – E che casetta tutta in ordine, linda; ogni cosa a garbo; le tovagline bianche sui mobili… Ci ha mostrato tutte le letterine della figliuola.

       SIGNORA CINI. Già… ma… se, come ci stava dicendo il signor Laudisi…

       DINA. E che ne sa lui? Non le ha mica lette!

       SIGNORA NENNI. Non possono esser finte?

       DINA Ma che finte! Non gli diano retta! Potrebbe mai ingannarsi una madre su le espressioni della propria figliuola? L’ultima letterina, di jeri… (S’interromperà, udendo nel salotto accanto, attraverso l’uscio rimasto aperto, rumore di voci.) Ah, eccole: sono già qua, senz’altro! (Andrà all’uscio del salotto a guardare.)

       SIGNORA CINI (correndole dietro). Con lei? con la signora Frola?

       DINA. Sì, vengano, vengano. Bisogna che stiamo tutti nel salotto. Sono già le undici, zio?

SCENA SESTA

       Detti, la Signora Amalia

       AMALIA (sopravvenendo anche lei agitata, ma dall’uscio del salotto). Se ne potrebbe ormai fare a meno! Non c’è più bisogno di prove!

       DINA Ma già! Lo penso anch’io! Ormai è inutile!

       AMALIA (salutando in fretta, dolente e in ansia, la signora Cini). Cara signora.

       SIGNORA CINI (presentando la signora Nenni). La signora Nenni, venuta con me per…

       AMALIA (salutando in fretta anche la signora Nenni). Piacere, signora. (Poi🙂 Non c’è più dubbio! È lui!

       SIGNORA CINI. È lui, è vero? è lui?

       DINA. Se si potesse impedire, prevenendo il babbo, quest’inganno alla povera signora!

       AMALIA Già! L’abbiamo condotta di là! Mi par proprio di farle un tradimento!

       LAUDISI. Ma sì! Indegno, indegno. Avete ragione! Tanto più che comincia a parermi evidente che dev’esser lei! lei di sicuro!

       AMALIA. Lei? Come! Che dici?

       LAUDISI. Lei, lei, lei.

       AMALIA. Ma va’ là!

       DINA. Siamo ormai così certe del contrario, noi!

       SIGNORA CINI e SIGNORA NENNI (gongolanti). Sì? sì, eh?

       LAUDISI. Ma appunto perché ne siete così certe vojaltre!

       DINA. Andiamo, via, andiamo di là; non vedete che lo fa apposta?

       AMALIA. Andiamo, sì, andiamo, signore mie. (Davanti all’uscio a sinistra:) Favoriscano, prego.

       (Via la signora Cini, la signora Nenni, Amalia. Dina farà per uscire anche lei.)

       LAUDISI (chiamandola a sé). Dina!

       DINA. Non ti voglio dare ascolto! No! no!

       LAUDISI Richiudi codesto uscio, se per te ormai la prova è inutile.

       DINA. E il babbo? L’ha lasciato lui così aperto. Starà per venire con quell’altro. Se lo trovasse chiuso… Sai bene com’è, il babbo!

       LAUDISI. Ma lo persuaderete voi (tu, specialmente) che non c’era più bisogno di tenerlo aperto. Non sei convinta tu?

       DINA. Convintissima!

       LAUDISI (con un sorriso di sfida). E chiudilo allora!

       DINA. Tu vorresti pigliarti il piacere di vedermi dubitare ancora. Non chiudo. Ma solo per il babbo.

       LAUDISI (c. s.). Vuoi che lo chiuda io?

       DINA. Su la tua responsabilità!

       LAUDISI. Ma io non ho come te la certezza che il pazzo sia lui.

       DINA. E tu vieni in salotto, senti parlare la signora, come l’abbiamo sentita noi, e vedrai che non avrai più nessun dubbio neanche tu. Vieni?

       LAUDISI. Sì, vengo. E posso chiudere, sai? Su la mia responsabilità.

       DINA. Ah, vedi? Anche prima di sentirla parlare!

       LAUDISI. No, cara. Perché son sicuro che tuo padre, a quest’ora, pensa anche lui, come vojaltre, che questa prova sia inutile.

       DINA. Ne sei sicuro?

       LAUDISI. Ma sì! Sta parlando con lui! Avrà acquistato senza dubbio la certezza che la pazza è lei. (S’appresserà all’uscio risolutamente:) Chiudo.

       DINA (subito trattenendolo). No. (Poi, riprendendosi:) Scusa… se pensi così… lasciamolo aperto…

       LAUDISI (riderà al suo solito). Ah ah ah…

       DINA. Io dico per il babbo!

       LAUDISI. E il babbo dirà per voi! – Lasciamolo aperto.

       (Si sentirà sonare, nel salotto accanto, sul pianoforte, un’antica aria piena di dolce e mesta grazia, della Nina pazza per amore del Paisiello.)

       DINA. Ah, è lei… senti? suona! suona lei!

       LAUDISI La vecchietta?

       DINA. Sì, ci ha detto che la figliuola, prima, la sonava sempre, questa vecchia aria. Senti con quanta dolcezza la suona? Andiamo, andiamo. (Esciranno tutti e due per l’uscio a sinistra.)

SCENA SETTIMA

       Agazzi, il Signor Ponza, poi Sirelli. La scena, appena usciti Laudisi e Dina, resterà vuota per un pezzo. Seguiterà dall’interno il suono del pianoforte. Il signor Ponza, entrando per l’uscio infondo col Consigliere Agazzi e udendo quella musica, si turberà profondamente; e il suo turbamento andrà man mano crescendo durante la scena.

       AGAZZI (davanti all’uscio infondo). Passi, passi, prego. (Farà entrare il signor Ponza, poi entrerà lui e si dirigerà alla scrivania per prendere le carte che avrà finto di dimenticare lassù.) Ecco, devo averle lasciate qua. S’accomodi, prego. (Il signor Ponza resterà in piedi, guardando con agitazione verso il salotto, donde verrà il suono del pianoforte.) Eccole qua, difatti (Prenderà le carte e s’appresserà al signor Ponza, sfogliandole.) È una contesa, come le dicevo, aggrovigliata, che si trascina da anni. (Si volterà anche lui a guardare verso il salotto, urtato dal suono del pianoforte.) Ma questa musica! Giusto ora! (Farà un gesto di dispetto, nel voltarsi, come per dire tra se: «Che stupide!») Chi suona? (Si farà a guardare, attraverso l’uscio, nel salotto; scorgerà al pianoforte la signora Frola, farà un atto di meraviglia.) Ah! Oh guarda!

       PONZA (appressandogli, convulso). In nome di Dio, è lei? suona lei?

       AGAZZI. Sì, sua suocera! E come suona bene!

       PONZA. Ma come? Se la sono portata qua, di nuovo? E la fanno sonare?

       AGAZZI Non vedo che male possa esserci!

       PONZA. Ma no, per carità! Questa musica, no! È quella che sonava la sua figliuola!

       AGAZZI. Ah, forse le fa male sentirla sonare?

       PONZA. Ma non a me! Fa male a lei! Un male incalcolabile! Ho pur detto a lei, signor Consigliere, e alle signore le condizioni di quella povera disgraziata –

       AGAZZI (procurando di calmarlo nell’agitazione sempre crescente). – sì, sì… ma veda –

       PONZA (seguitando). – che dev’essere lasciata in pace! che non può ricever visite, né farne! So io solo, so io solo come si deve trattare con lei! La rovinano! la rovinano!

       AGAZZI. Ma no, perché? Le mie donne sapranno bene anche loro… (S’interromperà improvvisamente al cessare della musica nel salotto, da cui verrà ora un coro d’approvazioni.) Ecco, guardi… può ascoltare…

       (Dall’interno giungeranno, spiccatamente, queste battute di dialogo:)

       DINA. Ma lei suona ancora benissimo, signora!

       SIGNORA FROLA. Io? Eh, la mia Lina! dovrebbero sentire la mia Lina, come la suona!

       PONZA (fremendo, strizzandosi le mani). La sua Lina! Sente? Dice la sua Lina!

       AGAZZI Eh già, la sua figliuola.

       PONZA. Ma dice suonai dice suonai

       (Di nuovo, dall’interno, spiccatamente🙂

       SIGNORA FROLA. Eh no, non può più sonare, da allora! E forse è questo il suo maggior dolore, poverina!

       AGAZZI. Mi sembra naturale… La crede ancora viva…

       PONZA. Ma non le si deve far dire così! Non deve… non deve dirlo… Ha sentito? Da allora… Ha detto, da allora!. Per quel pianoforte, certo! Lei non sa! Per il pianoforte della povera morta!

       (Sopravverrà a questo punto Sirelli, il quale, udendo le ultime parole del Ponza e notandone l’estrema esasperazione, resterà come basito. Agazzi, anche lui sbigottito, gli farà cenno d’appressarsi.)

       AGAZZI. Ti prego, fai venire qua le signore!

       (Sirelli, tenendosi al largo, si farà all’uscio a sinistra e chiamerà le signore.)

       PONZA. Le signore? Qua? No, no! Piuttosto…

SCENA OTTAVA

       La Signora Frola, la Signora Amalia, la Signora Sirelli, Dina, la signora Cini, la Signora Nenni, Laudisi, Detti. Le signore, al cenno di Sirelli pieno di sbigottimento, entreranno sgomente. La signora Frola, scorgendo il genero in quello stato d’orgasmo, tutt’un fremito quasi animalesco, ne avrà terrore. Investita da lui con estrema violenza durante la scena seguente, farà alle signore, di tratto in tratto, con gli occhi, cenni espressivi di intelligenza. La scena si svolgerà rapida e concitatissima.           

       PONZA. Lei, qua? Qua di nuovo? Che è venuta a fare?

       SIGNORA FROLA. Ero venuta, abbi pazienza…

       PONZA. È venuta qua a dire ancora… Che ha detto? che ha detto a codeste signore?

       SIGNORA FROLA. Niente, ti giuro! Niente!

       PONZA. Niente? Come niente? Ho sentito io! Ha sentito con me questo signore! (Indicherà Agazzi.) Lei ha detto suona! Chi suona? Lina suona? Lei lo sa bene che è morta da quattro anni la sua figliuola!

       SIGNORA FROLA. Ma sì, caro! Calmati! sì! sì!

       PONZA. «E non può più sonare da allora!» Sfido che non può più sonare da allora! Come vuole che suoni, se è morta?

       SIGNORA FROLA. Ecco! certo! E non l’ho detto io, signore mie? L’ho detto, che non può più, da allora. Se è morta!

       PONZA. E perché pensa ancora a quel pianoforte, dunque?

       SIGNORA FROLA. Io? no; non ci penso più! non ci penso più!

       PONZA. L’ho sfasciato io! E lei lo sa! Quando la sua figliuola è morta! Per non farlo toccare a quest’altra, che del resto non sa sonare! Lei lo sa che non suona quest’altra.

       SIGNORA FROLA. Ma se non sa sonare! certo!

       PONZA. E come si chiamava, si chiamava Lina, è vero? la sua figliuola. Ora dica qua come si chiama la mia seconda moglie! Lo dica qua a tutti, perché lei lo sa bene! – Come si chiama?

       SIGNORA FROLA. Giulia! Giulia si chiama! Sì, sì, è proprio vero, signori; si chiama Giulia!

       PONZA. Giulia, dunque, non Lina! E non cerchi di ammiccare intanto, dicendo che si chiama Giulia!

       SIGNORA FROLA. Io? no! Non ho ammiccato!

       PONZA. Me ne sono accorto! Ha ammiccato! Me ne sono accorto bene! Lei vuol rovinarmi! Vuol dare a intendere a questi signori che io voglia tenermi ancora tutta per me la sua figliuola, come se non fosse morta. (Romperà in spaventosi singhiozzi.) Come se non fosse morta!

       SIGNORA FROLA (subito con infinita tenerezza e umiltà, accorrendo a lui). Io? Ma no, no, figliuolo mio caro! Calmati, per carità! Io non ho detto mai questo… È vero? è vero, signore?

       AMALIA, SIGNORA SIRELLI, DINA. Ma sì! sì! – Non l’ha mai detto! – Ha detto sempre che è morta!

       SIGNORA FROLA. È vero? Che è morta, ho detto! Come no? E che tu sei tanto buono con me! (Alle signore:) È vero? è vero? Io, rovinarti? Io, comprometterti?

       PONZA (rizzandosi, terribile). Ma va cercando intanto nelle case degli altri il pianoforte, per farci le sonatine della sua figliuola, e va dicendo che Lina le suona così, e meglio di così!

       SIGNORA FROLA. No, è stato… l’ho fatto… tanto… tanto per provare…

       PONZA. Lei non può! Lei non deve! Come le può venire in mente di sonare ancora ciò che sonava la sua figliuola morta?

       SIGNORA FROLA. Hai ragione, sì, ah poverino… poverino! (intenerita, si metterà a piangere.) Non lo farò più! non lo farò più!

       PONZA (investendola terribilmente da vicino). Vada! vada via! vada via!

       SIGNORA FROLA. Sì… sì., vado, vado… Oh Dio! (Farà cenni supplichevoli a tutti, arretrando, d’aver riguardo al genero, e si ritirerà piangendo.)

SCENA NONA

       Detti, meno la Signora Frola.

       Resteranno tutti compresi di pietà e di terrore, a mirare il signor Ponza. Ma subito, questi, appena uscita la suocera, cangiato, calmo, riprendendo la sua aria normale, dirà semplicemente:

       PONZA. Chiedo scusa a lor signori di questo triste spettacolo che ho dovuto dar loro per rimediare al male che, senza volerlo, senza saperlo, con la loro pietà, fanno a questa infelice.

       AGAZZI (sbalordito come tutti gli altri). Ma come? Lei ha finto?

       PONZA. Per forza, signori! E non intendono che l’unico mezzo è questo, per tenerla nella sua illusione? che io le gridi così la verità, come se fosse una mia pazzia? Mi perdonino, e mi permettano: bisogna che io corra ora da lei. (Via di fretta per l’uscio comune. Resteranno tutti, di nuovo, sbalorditi, in silenzio, a guardarsi tra loro.)

       LAUDISI (facendosi in mezzo). Ed ecco, signori, scoperta la verità! (Scoppierà a ridere):Ah! ah! ah! ah!

Tela

*******

Così è (se vi pare)
Atto Terz
o

       La stessa scena del secondo atto.

SCENA PRIMA

       Laudisi, Cameriere, il Commissario Centuri. Laudisi sarà sdraiato su una poltrona e leggerà. Attraverso l’uscio di sinistra che dà nel salotto, giungerà il rumore confuso di molte voci. Il cameriere, dall’uscio infondo, darà il passo al commissario Centuri.

       CAMERIERE. Favorisca qua. Vado ad avvertire il signor Commendatore.

       LAUDISI (voltandosi e scorgendo il Centuri). Oh, il signor Commissario! (Si alzerà in fretta e richiamerà il cameriere che sta per uscire.) Ps! Aspetta. (A Centuri): Notizie?

       CENTURI (alto, rigido, aggrondato, sui quarantanni). Sì, qualcuna.

       LAUDISI. Ah bene! (Al cameriere:) Lascia. Lo chiamerò poi io di qua, mio cognato.(Indicherà, con una mossa del capo, l’uscio di sinistra. Il cameriere s’inchinerà, e via.) Lei ha fatto il miracolo! Salva una città! Sente? sente come gridano? Ebbene: notizie certe?

       CENTURI. Di qualcuno che s’è potuto finalmente rintracciare –

       LAUDISI. – del paese del signor Ponza? Compaesani che sanno?

       CENTURI. Sissignore. Alcuni dati; non molti, ma sicuri.

       LAUDISI. Ah, bene! bene! Per esempio?

       CENTURI. Ecco, ho qua le comunicazioni che mi sono state trasmesse. (Trarrà dalla tasca interna della giacca una busta gialla aperta con un foglio dentro e la porgerà a Laudisi.)

       LAUDISI. Vediamo! Vediamo! (Caverà il foglio dalla busta e si metterà a leggerlo con gli occhi, intercalando di tratto in tratto con diversi toni, ora un ah! ora un eh!prima di compiacimento, poi di dubbio, poi quasi di commiserazione; infine di piena disillusione.) Ma no! Non c’è niente! niente di certo in queste notizie, signor Commissario!

       CENTURI. Tutto quello che si è potuto sapere.

       LAUDISI. Ma tutti i dubbi sussistono come prima! (Lo guarderà; poi con una risoluzione improvvisa): Vuol fare un bene davvero, signor Commissario? rendere un segnalato servizio alla cittadinanza, di cui il buon Dio certamente le darà merito?

       CENTURI (guardandolo perplesso). Che servizio? non saprei!

       LAUDISI. Ecco, guardi. Segga lì. (Indicherà la scrivania.) Strappi questo mezzo foglio d’informazioni che non dicono nulla; e qua, sull’altro mezzo, scriva qualche informazione precisa e sicura.

       CENTURI (stupito). Io? Come? Che informazione?

       LAUDISI. Una qualunque, a suo piacere! A nome di questi due compaesani che si son potuti rintracciare. – Per il bene di tutti! Per ridare la tranquillità a tutto il paese! Vogliono una verità, non importa quale; pur che sia di fatto, categorica? E lei la dia!

       CENTURI (con forza; riscaldandosi; quasi offeso). Ma come la do, se non l’ho! Vuole che faccia un falso? Mi fa meraviglia che osi propormelo! E dico meraviglia per non dire altro! Via, mi faccia il piacere d’annunziarmi subito al signor Consigliere.

       LAUDISI (aprirà le braccia, sconfitto). La servo subito. (S’avvierà all’uscio a sinistra; lo aprirà. Subito si faranno sentire più alte le grida della gente che popola il salotto. Ma appena Laudisi varcherà la soglia, le grida cesseranno d’un tratto. E dall’interno si udrà la voce di Laudisi che annunzia: «Signori, c’è il Commissario Centuri; reca notizie certe, di gente che sa!». Applausi, grida d’evviva accoglieranno la notizia. Il Commissario Centuri si turberà, sapendo bene che le informazioni che reca non basteranno a soddisfare tanta aspettativa.)

SCENA SECONDA

       Detto, Agazzi, Sirelli, Laudisi, la Signora Amalia, Dina, la Signora Sirelli, la Signora Cini, la Signora Nenni, molti altri signori e signore. Si precipiteranno tutti per l’uscio a sinistra, con Agazzi alla testa, accesi, esultanti, battendo le mani e gridando: «Bravo! bravo, Centuri!».

       AGAZZI (con le mani protese). Caro Centuri! Lo volevo dire io! Non era possibile che lei non ne venisse a capo!

       TUTTI. Bravo! Bravo! Vediamo! vediamo! Le prove, subito! Chi è? chi è?

       CENTURI (stupito, frastornato, smarrito). Ma no, ecco… io, signor Consigliere…

       AGAZZI. Signori, per carità! Piano!

       CENTURI. Ho fatto di tutto, sì; ma se di là il signor Laudisi ha detto loro –

       AGAZZI. – che lei ci reca notizie certe! –

       SIRELLI. – dati precisi! –

       LAUDISI (forte, risoluto, prevenendo). – non molti, sì, ma precisi! Di gente che s’è potuta rintracciare! Del paese del signor Ponza! Qualcuno che sa!

       TUTTI. Finalmente! Ah, finalmente! finalmente!

       CENTURI (stringendosi nelle spalle e porgendo il foglio ad Agazzi). Ecco qua a lei, signor Consigliere.

       AGAZZI (aprendo il foglio tra la ressa di tutti che gli si precipiteranno attorno). Ah, vediamo! vediamo!

       CENTURI (risentito, appressandosi a Laudisi): Ma lei, signor Laudisi…

       LAUDISI (subito, forte). Lasci leggere, per carità! Lasci leggere!

       AGAZZI. Un momento di pazienza, signori! Fate largo! Ecco, leggo,

       leggo! (Si fa un momento di silenzio. E nel silenzio, allora, spiccherà netta e ferma la voce di Laudisi.)

       LAUDISI. Ma io ho già letto!

       TUTTI (lasciando il consigliere Agazzi e precipitandosi rumorosamente attorno a lui). Ah sì? Ebbene? Che dice? Che si sa?

       LAUDISI (scandendo bene le parole). È certo, inconfutabile, per testimonianza d’un compaesano del signor Ponza, che la signora Frola è stata in una casa di salute!

       TUTTI (con rammarico e delusione). Oh!

       SIGNORA SIRELLI. La signora Frola?

       DINA. Ma dunque è proprio lei?

       AGAZZI (che nel frattempo avrà letto, griderà, agitando il foglio): Ma no! ma no! Qua non dice niente affatto così!

       TUTTI (di nuovo, lasciando Laudisi, si precipiteranno attorno ad Agazzi gridando): Ah, come! Che dice? che dice?

       LAUDISI (ad Agazzi forte). Ma sì! Dice «la signora»! Dice specificatamente «la signora»!

       AGAZZI (più forte). Ma nient’affatto! «Gli pare» dice questo signore; non ne è affatto sicuro! E non sa, a ogni modo, se la madre o la figlia!

       TUTTI (con soddisfazione). Ah!

       LAUDISI (tenendo testa). Ma dev’essere lei, la madre senza dubbio!

       SIRELLI. Che! È la figlia, signori! La figlia! –

       SIGNORA SIRELLI. – come ci ha detto lei stessa, la signora, del resto! –

       AMALIA. – ecco! benissimo! quando la sottrassero di nascosto al marito –

       DINA. – e la chiusero appunto in una casa di salute!

       AGAZZI. E del resto non è neanche del paese questo informatore! Dice che ci andava spesso… che non ricorda bene… che gli pare d’aver sentito dire così…

       SIRELLI. Ah! Cose dette in aria, dunque!

       LAUDISI. Ma scusate tanto, se siete tutti così convinti che la signora Frola ha ragione lei, che andate ancora cercando? Finitela perdio, una buona volta! Il pazzo è lui, e non se ne parli più!

       SIRELLI. Già! se non ci fosse il Prefetto, caro mio, che crede il contrario, e accorda ostentatamente al signor Ponza tutta la fiducia!

       CENTURI. Sissignori, è vero! Il signor Prefetto crede al signor Ponza; l’ha detto anche a me!

       AGAZZI. Ma perché il signor Prefetto non ha ancora parlato con la signora qua accanto!

       SIGNORA SIRELLI. Sfido! Ha parlato solo con lui!

       SIRELLI. E del resto, ci son altri qua che credono come il Prefetto!

       UN SIGNORE. Io, io, per esempio, sissignori! Perché so d’un caso simile, io; d’una madre impazzita per la morte della figliuola, la quale crede che il genero non voglia fargliela vedere. Tal’e quale!

       SECONDO SIGNORE. No, no, c’è in più che il genero è rimasto vedovo e non ha più nessuno a casa con sé. Mentre qua, questo signor Ponza, ha una in casa con sé…

       LAUDISI (acceso da un subito pensiero). Oh Dio, signori! Avete sentito? Ma eccolo trovato il bandolo! Dio mio! L’uovo di Colombo! (Battendo sulla spalla del secondo signore?) Bravo! bravo, caro signore! Avete sentito?

       TUTTI (perplessi, non comprendendo). Ma che è? che è?

       SECONDO SIGNORE (stordito). Che ho detto? Io non so…

       LAUDISI. Come, che ha detto? Ha risolto la questione! Eh, un po’ di pazienza, signori! (Ad Agazzi:) Il Prefetto deve venire qua?

       AGAZZI. Sì, lo aspettiamo… Ma perché? Spiegati!

       LAUDISI. È inutile che venga qua per parlare con la signora Frola! Finora crede al genero; quando avrà parlato con la suocera, non saprà più neanche lui a chi credere dei due! No, no! Qua bisogna che faccia ben altro il signor Prefetto. Una cosa che può fare lui solo!

       TUTTI. Che cosa? che cosa?

       LAUDISI (raggiante). Ma come! Non avete sentito che cosa ha detto questo signore? Il signor Ponza ha «una» in casa con sé! La moglie.

       SIRELLI Far parlare la moglie? Eh già! Eh già!

       DINA. Ma se è tenuta come in carcere quella poverina?

       SIRELLI. Bisogna che il Prefetto s’imponga e la faccia parlare!

       AMALIA. Certo è l’unica che possa dire la verità!

       SIGNORA SIRELLI. Ma che! Dirà ciò che vuole il marito!

       LAUDISI. Già! Se dovesse parlare davanti a lui! Certo!

       SIRELLI. Dovrebbe parlare da sola a solo col Prefetto!

       AGAZZI. E il Prefetto potrebbe imporre, senz’altro, con la sua autorità, che la moglie gli confessi a quattr’occhi come stanno realmente le cose. Sicuro! Sicuro! Non le sembra, Centuri?

       CENTURI. Eh, senza dubbio; se il signor Prefetto volesse!

       AGAZZI. È l’unica veramente! Bisognerebbe avvertirlo, e risparmiargli per ora l’incomodo di venire da me. Vada, vada lei, caro Centuri.

       CENTURI. Sissignore. La riverisco. Signore, signori. (S’inchinerà, e via).

       SIGNORA SIRELLI (battendo le mani). Ma sì! Bravo Laudisi!

       DINA. Bravo, bravo, zietto! Che bell’idea!

       TUTTI. Bravo! bravo! – Sì, è l’unica! è l’unica!

       AGAZZI. Ma già! Come non ci avevamo pensato?

       SIRELLI. Sfido! Nessuno l’ha mai veduta! Come se non ci fosse, quella poverina!

       LAUDISI (come folgorato da una nuova idea). Oh! Ma, scusate, siete poi proprio sicuri che ci sia?

       AMALIA. Come? Dio mio, Lamberto!

       SIRELLI (fingendo di ridere). Vorresti metterne in dubbio anche l’esistenza?

       LAUDISI. Eh, andiamoci piano: dite voi stessi che nessuno l’ha mai veduta!

       DINA. Ma via! C’è la signora che la vede e le parla ogni giorno!

       SIGNORA SIRELLI. E poi l’asserisce anche lui, il genero!

       LAUDISI. Sta bene! Ma riflettete un momento. A rigore di logica, in quella casa non dovrebbe esserci altro che un fantasma.

       TUTTI. Un fantasma?

       AGAZZI. Eh via, smettila una buona volta!

       LAUDISI. Lasciatemi dire. – Il fantasma d’una seconda moglie, se ha ragione lei, la signora Frola. O il fantasma della figliuola, se ha ragione lui, il signor Ponza. Resta ora da vedere, o signori, se questo fantasma per l’uno o per l’altra sia poi realmente una persona per sé. Arrivati a questo punto, mi sembra che sia anche il caso di dubitarne!

       AMALIA. Ma va’ là! Tu vorresti farci impazzire tutti quanti con te!

       SIGNORA NENNI. Oh Dio, mi sento aggricciar le carni!

       SIGNORA CINI. Non so che gusto provi a farci impaurire così!

       TUTTI. Ma che! ma che! scherza! scherza!

       SIRELLI. È una donna in carne ed ossa, state sicuri. E la faremo parlare! la faremo parlare!

       AGAZZI. L’hai proposto tu stesso, scusa, di farla parlare col Prefetto!

       LAUDISI. Io, sì; se lassù c’è veramente una donna: dico, una donna qualunque. Ma badate bene, signori miei, che una donna qualunque, lassù, non ci può essere. Non c’è! Io almeno dubito, adesso, che ci sia.

       SIGNORA SIRELLI. Dio mio, davvero vuol farci impazzire!

       LAUDISI. Eh! vedremo, vedremo!

       TUTTI (confusamente). Ma se è stata vista anche da altri! – Se s’affaccia dal cortile! – Le scrive le letterine! – Lo fa apposta, per ridersi di noi!

SCENA TERZA

       Detti, Centuri di ritorno.

       CENTURI (tra l’agitazione di tutti s’introdurrà accaldato, annunziando): Il signor Prefetto! il signor Prefetto!

       AGAZZI. Come? Qua? E che ha fatto allora lei?

       CENTURI. L’ho incontrato per via, col signor Ponza, diretto qua…

       SIRELLI. Ah, con lui?

       AGAZZI. Oh Dio, no! se viene col Ponza, entrerà dalla signora qua accanto! Per piacere, Centuri, si metta davanti la porta e lo preghi a nome mio di favorire prima qua da me un momento, come m’aveva promesso.

       CENTURI. Sissignore, non dubiti. Vado. (Via di fretta per l’uscio in fondo.)

       AGAZZI. Signori, vi prego di ritirarvi un poco di là nel salotto.

       SIGNORA SIRELLI. Ma glielo dica bene, sa! È l’unica! è l’unica!

       AMALIA (davanti all’uscio a sinistra). Avanti, favoriscano, signore.

       AGAZZI. Tu resta, Sirelli. E anche tu, Lamberto. (Tutti gli altri, signori e signore, usciranno per l’uscio a sinistra. Agazzi a Laudisi🙂 Ma lascia che parli io, ti prego.

       LAUDISI. Per me, figùrati! Anzi, se vuoi che me ne vada anch’io…

       AGAZZI. No no: è meglio che tu ci sia. – Ah, eccolo qua.

SCENA QUARTA

       Detti, il Signor Prefetto, Centuri.

       IL PREFETTO (sui sessanta, alto, grasso, aria di bonomia facilona). Caro Agazzi! – Oh, c’è anche lei, Sirelli? – Caro Laudisi! (Stringerà la mano a tutti.)

       AGAZZI (invitandolo col gesto a sedere). Scusami, se t’ho fatto pregare d’entrare prima da me.

       IL PREFETTO. Era mia intenzione; come t’avevo promesso. Sarei venuto dopo, certamente.

       AGAZZI (scorgendo indietro e ancora in piedi il Centuri). Prego, Centuri, venga avanti; segga qua.

       IL PREFETTO. Eh lei, Sirelli – ho saputo! – è uno dei più accesi, dei più agitati, per queste dicerie sul nostro nuovo segretario.

       SIRELLI. Oh no, creda, signor Prefetto, sono tutti agitati non meno di me, in paese.

       AGAZZI. È la verità, sì, agitatissimi tutti.

       IL PREFETTO. E io che non so vederne la ragione!

       AGAZZI. Perché non t’è avvenuto d’assistere a certe scene, com’è avvenuto a noi che abbiamo, qua accanto, la suocera.

       SIRELLI. Perdoni, signor Prefetto, Lei non l’ha ancora sentita, questa povera signora.

       IL PREFETTO. Mi recavo appunto da lei. (Ad Agazzi:) Ti avevo promesso che l’avrei sentita qua da te, come tu desideravi. Ma il genero stesso è venuto a pregarmi, a implorare la grazia (per far cessare tutte queste chiacchiere) che mi recassi in casa di lei. Scusate, vi pare che lo avrebbe fatto, se non fosse più che sicuro che avrei avuto da questa visita la prova di quanto egli afferma?

       AGAZZI. Oh certo! Perché davanti a lui, quella poveretta –

       SIRELLI (attaccando subito). – avrebbe detto come vuol lui, signor Prefetto! E questa è la prova che la pazza non è lei!

       AGAZZI. Ne abbiamo fatto l’esperimento qua, noi, jeri!

       IL PREFETTO. Ma sì, caro: perché egli appunto le fa credere che il pazzo sia lui! Me ne ha prevenuto. E difatti, come potrebbe illudersi, altrimenti, codesta disgraziata? È un martirio, credete, un martirio per quel pover’uomo!

       SIRELLI. Già! Se non dà lei, invece, l’illusione a lui di credere che la figliuola sia morta, perché possa star sicuro che la moglie non gli sarà di nuovo sottratta! In questo caso, vede bene, signor Prefetto, il martirio sarebbe della signora; non più di lui!

       AGAZZI. II dubbio è questo. E t’è entrato nell’animo un simile dubbio –

       SIRELLI. – come è entrato in tutti! –

       IL PREFETTO. – il dubbio? Eh, no; mi pare che in voi, anzi, non ce ne sia più neppur l’ombra! Come vi confesso che non ce n’è più neppure in me per un altro verso. – E lei, Laudisi?

       LAUDISI. Mi scusi, signor Prefetto. Io ho promesso a mio cognato di non aprir bocca.

       AGAZZI (scattando). Ma va’ là, che dici! Se ti domanda, rispondi! – Gli avevo detto di non parlare, sai perché? perché si diverte da due giorni a intorbidare peggio le acque!

       LAUDISI. Non creda, signor Prefetto. È proprio al contrario. Io ho fatto di tutto per rischiararle, le acque.

       SIRELLI. Già! Sa come? Sostenendo che non è possibile scoprire la verità, e ora facendo sorgere il dubbio che in casa del signor Ponza non ci sia una donna, ma un fantasma!

       IL PREFETTO (godendoci). Come! come! Oh bella!

       AGAZZI. Per carità! Lo comprendi: è inutile dare ascolto a lui!

       LAUDISI. Eppure, signor Prefetto, lei è stato invitato a venire qua, per me!

       IL PREFETTO. Perché pensa anche lei che farei bene a parlare con la signora qua accanto?

       LAUDISI. No, per carità! Lei fa benissimo a stare a ciò che dice il signor Ponza!

       IL PREFETTO. Ah, bene! Dunque crede anche lei che il signor Ponza…?

       LAUDISI (subito). No. Come vorrei che tutti qua stessero a ciò che dice la signora Frola; e la facessero finita!

       AGAZZI. Hai capito? Ti pare un ragionamento, codesto?

       IL PREFETTO. Permetti? (A Laudisi:) Secondo lei, dunque, si può prestar fede anche a ciò che dice la signora?

       LAUDISI. Altro che! In tutto e per tutto. Come a ciò che dice lui!

       IL PREFETTO. Ma allora, scusi?

       SIRELLI. Se dicono il contrario!

       AGAZZI (irritato, risolutamente). Da’ ascolto a me, per favore! Io non pendo, non voglio pendere finora, né verso l’una né verso l’altro. Può aver ragione lui, può aver ragione lei. Bisogna venirne a capo! C’è un solo mezzo.

       SIRELLI. E l’ha suggerito lui appunto! (Indica Laudisi.)

       IL PREFETTO. Ah sì? – E dunque! Sentiamo!

       AGAZZI. Poiché ci manca ogni altra prova di fatto, l’unica che ci resti è questa: che tu, con la tua autorità, ottenga la confessione della moglie.

       IL PREFETTO. Della signora Ponza?

       SIRELLI. Ma senza la presenza del marito, s’intende!

       AGAZZI. Perché possa dire la verità!

       SIRELLI. Se è la figlia della signora, come sembra a noi di dover credere –

       AGAZZI. – o una seconda moglie che si presta a rappresentare la parte della figlia, come vorrebbe far credere il signor Ponza –

       IL PREFETTO. – e come io credo senz’altro! – Ma sì! Pare l’unica anche a me. Quel poverino, credete, non desidera di meglio che convincere tutti della sua ragione. S’è mostrato con me così arrendevole! Ne sarà più di tutti contento! E voi vi tranquillerete subito, amici miei. – Mi faccia il favore, Centuri. (Il Centuri si alzerà.) Vada a chiamarmi il signor Ponza qua accanto. Lo preghi a nome mio di venire qua un momento.

       CENTURI. Vado subito! (S’inchinerà, e andrà via per l’uscio infondo.)

       AGAZZI. Eh, se acconsentisse!

       IL PREFETTO. Ma vedrai che acconsentirà subito! La faremo finita in un quarto d’ora! Qua, qua davanti a voi stessi.

       AGAZZI. Come! Qua, in casa mia?

       SIRELLI. Crede che vorrà portare qua la moglie?

       IL PREFETTO. Lasciate fare a me! Qua stesso, sì. Perché, altrimenti, io lo so, tra voi, seguitereste a supporre che io –

       AGAZZI. – ma no, per carità! che pensi!

       SIRELLI. Questo, mai!

       IL PREFETTO. Andate là! Sapendomi così sicuro che la ragione sta dalla parte di lui, pensereste che per mettere in tacere la cosa, trattandosi d’un pubblico funzionario… – No no; voglio che ascoltiate anche voi. (Poi, ad Agazzi:) La tua signora?

       AGAZZI. È di là, con altre signore…

       IL PREFETTO. Eh, voi avete stabilito qua un vero quartiere di congiura…

SCENA QUINTA

       Detti, Centuri, il Signor Ponza.

       CENTURI. Permesso? – Ecco il signor Ponza.

       IL PREFETTO. Grazie, Centuri. (Il signor Ponza si presenterà su la soglia.) Venga, venga avanti, caro Ponza.

       (Il signor Ponza s’inchinerà.)

       AGAZZI. S’accomodi, prego.

       (Il signor Ponza tornerà a inchinarsi e sederà.)

       IL PREFETTO. Lei conosce i signori… – Sirelli…

       (Il signor Ponza si alzerà e s’inchinerà.)

       AGAZZI. Sì, l’ho già presentato. Mio cognato Laudisi. (Il signor Ponza s’inchinerà.)

       IL PREFETTO. L’ho fatto chiamare, caro Ponza, per dirle che qua, coi miei amici… (S’interromperà, notando che il signor Ponza fin dalle sue prime parole avrà dato a vedere un gran turbamento e una viva agitazione.) Ha da dire qualche cosa?

       PONZA. Sì. Che intendo, signor Prefetto, di domandare oggi stesso il mio trasferimento.

       IL PREFETTO. Ma perché? Scusi, poc’anzi, lei parlava con me, così remissivo…

       PONZA. Ma io sono fatto segno qua, signor Prefetto, a una vessazione inaudita!

       IL PREFETTO. Eh via! Non esageriamo adesso!

       AGAZZI (a Ponza). Vessazione, scusi, – intende, da parte mia?

       PONZA. Di tutti! E perciò me ne vado! Me ne vado, signor Prefetto, perché non posso tollerare questa inquisizione accanita, feroce sulla mia vita privata, che finirà di compromettere, guasterà irreparabilmente un’opera di carità che mi costa tanta pena e tanti sacrifizii! – Io venero più che una madre quella povera vecchia, e mi sono veduto costretto, qua, jeri, a investirla con la più crudele violenza. Ora l’ho trovata di là, in tale stato d’avvilimento e d’agitazione –

       AGAZZI (interrompendolo, calmo). È strano! Perché la signora, con noi, ha parlato sempre calmissima. Tutta l’agitazione, al contrario, l’abbiamo finora notata in lei, signor Ponza; e anche adesso!

       PONZA. Perché loro non sanno quello che mi stanno facendo soffrire!

       IL PREFETTO. Via, via, si calmi, caro Ponza! Che cos’è? Ci sono qua io! E lei sa con quale fiducia e quanto compatimento io abbia ascoltato le sue ragioni. Non è così?

       PONZA. Mi perdoni. Lei, sì. E gliene sono grato, signor Prefetto.

       IL PREFETTO. Dunque! Guardi: lei venera come una madre la sua povera suocera? Orbene, pensi che qua questi miei amici mostrano tanta curiosità di sapere, appunto perché vogliono bene alla signora anche loro.

       PONZA. Ma la uccidono, signor Prefetto! E l’ho già fatto notare più d’una volta!

       IL PREFETTO. Abbia pazienza. Vedrà che finiranno, appena sarà chiarito tutto. Ora stesso, guardi! Non ci vuol niente. – Lei ha il mezzo più semplice e più sicuro di levare ogni dubbio a questi signori. Non a me, perché io non ne ho.

       PONZA. Ma se non vogliono credermi in nessun modo!

       AGAZZI. Questo non è vero. – Quando lei venne qua, dopo la prima visita di sua suocera, a dichiararci ch’era pazza, noi tutti – con meraviglia, ma le abbiamo creduto. (Al Prefetto:) Ma subito dopo, capisci? tornò la signora –

       IL PREFETTO. – sì, sì, lo so, me l’hai detto, (seguiterà volgendosi al Ponza:) … a dare quelle ragioni, che lei stesso cerca di tener vive in sua suocera. Bisogna che abbia pazienza, se un dubbio angoscioso nasce nell’animo di chi ascolta, dopo di lei, la povera signora. Di fronte a ciò che dice sua suocera, questi signori, ecco, non credono di poter più con sicurezza prestar fede a ciò che dice lei, caro Ponza. Dunque, è chiaro. Lei e sua suocera – via! tiratevi in disparte per un momento! – Lei è sicuro di dire la verità, come ne sono sicuro io; non può aver nulla in contrario, certo, che sia ripetuta qua, ora, dall’unica persona che possa affermarla, oltre voi due.

       PONZA. E chi?

       IL PREFETTO. Ma la sua signora!

       PONZA. Mia moglie? (Con forza, con sdegno.) Ah, no! Mai, signor Prefetto!

       IL PREFETTO. E perché no, scusi?

       PONZA. Portare mia moglie qua a dare soddisfazione a chi non vuol credermi?

       IL PREFETTO (pronto). A me! Scusi. – Può aver difficoltà?

       PONZA. Ma signor Prefetto… no! mia moglie, no! Lasciamo stare mia moglie! Si può ben credere a me!

       IL PREFETTO. Eh no, guardi, comincia a parere anche a me, allora, che lei voglia far di tutto per non essere creduto!

       AGAZZI. Tanto più che ha cercato anche d’impedire in tutti i modi – anche a costo d’un doppio sgarbo a mia moglie e alla mia figliuola – che la suocera venisse qua a parlare.

       PONZA (prorompendo, esasperato). Ma che vogliono loro da me? In nome di Dio! Non basta quella disgraziata? vogliono qua anche mia moglie? Signor Prefetto, io non posso sopportare questa violenza! Mia moglie non esce di casa mia! Io non la porto ai piedi di nessuno! Mi basta che mi creda lei! E del resto vado a far subito l’istanza per andar via di qua! (Si alzerà.)

       IL PREFETTO (battendo un pugno sulla scrivania). Aspetti! Prima di tutto io non tollero, signor Ponza, che lei assuma codesto tono davanti a un suo superiore e a me, che le ho parlato finora con tanta cortesia e tanta deferenza. In secondo luogo le ripeto che dà ormai da pensare anche a me codesta sua ostinazione nel rifiutare una prova che le domando io e non altri, nel suo stesso interesse, e in cui non vedo nulla di male! – Possiamo bene, io e il mio collega, ricevere una signora… – o anche, se lei vuole, venire a casa sua…

       PONZA. Lei dunque mi obbliga?

       IL PREFETTO. Le ripeto che glielo domando per il suo bene. Potrei anche pretenderlo come suo superiore!

       PONZA. Sta bene. Sta bene. Quand’è così, porterò qua mia moglie, pur di finirla! Ma chi mi garantisce che quella poveretta non la veda?

       IL PREFETTO. Ah già… perché sta qui accanto…

       AGAZZI (subito). Potremmo andar noi in casa della signora.

       PONZA. Ma no! Io lo dico per loro. Che non mi si faccia un’altra sorpresa che avrebbe conseguenze spaventevoli!

       AGAZZI. Stia pur tranquillo, quanto a noi!

       IL PREFETTO. O se no, ecco, a suo modo potrebbe condurre la signora in Prefettura.

       PONZA. No, no – subito, qua… subito… Starò io di là, guardia di lei. Vado subito, signor Prefetto; e sarà finita, sarà finita! (Uscirà sulle furie per l’uscio infondo.)

SCENA SESTA

       Detti, meno il Signor Ponza.

       IL PREFETTO. Vi confesso che non m’aspettavo da parte sua questa opposizione.

       AGAZZI. E vedrai che andrà a imporre alla moglie di dire ciò che vuol lui!

       IL PREFETTO. Ah no! Per questo state tranquilli. Interrogherò io la signora!

       SIRELLI. Questa esasperazione continua, scusi!

       IL PREFETTO. È la prima volta – che! che! – è la prima volta che lo vedo così. – Forse l’idea di portare qua la moglie –

       SIRELLI. – di scarcerarla! –

       IL PREFETTO. – oh, questo – che la tenga come in carcere – si può anche spiegare senza ricorrere alla supposizione che sia pazzo.

       SIRELLI. Perdoni, signor Prefetto, lei non l’ha ancora sentita, questa povera signora.

       AGAZZI. Già! Dice che la tiene così per paura della suocera.

       IL PREFETTO. Ma anche se non fosse per questo: potrebbe esserne geloso; e basta.

       SIRELLI. Fino al punto, scusi, di non tenere neppure una donna di servizio? Costringe la moglie a fare in casa tutto, da sé!

       AGAZZI. E va a farsi lui la spesa, ogni mattina!

       CENTURI. Sissignore, è vero: l’ho visto io! Se la porta in casa con un ragazzotto –

       SIRELLI. – che fa restare sempre fuori della porta!

       IL PREFETTO. Oh Dio, signori: l’ha deplorato lui stesso, parlandomene.

       LAUDISI. Servizio d’informazione, inappuntabile!

       IL PREFETTO. Lo fa per risparmio, Laudisi! Deve tener due case…

       SIRELLI. Ma no, non diciamo per questo, noi! Scusi, signor Prefetto,, crede lei che una seconda moglie si sobbarcherebbe a tanto –

       AGAZZI (incalzando). – ai più umili servizi di casa! –

       SIRELLI (seguitando). – per una che fu suocera di suo marito, e che sarebbe un’estranea per lei?

       AGAZZI. Via! Via! Non ti par troppo?

       IL PREFETTO. Troppo, sì –

       LAUDISI (interrompendo). – per una seconda moglie qualunque!

       IL PREFETTO (subito). Ammettiamolo. Troppo, sì. – Ma anche questo però, scusate – se non con la generosità – può spiegarsi benissimo ancora con la gelosia. E che sia geloso – pazzo o non pazzo – mi pare che non si possa mettere neppure in discussione. (Si udrà a questo punto dal salotto un clamore di voci confuse.)

       AGAZZI. Oh! Che avviene di là?

SCENA SETTIMA

       Detti, la Signora Amalia.

       AMALIA (entrerà di furia, costernatissima, dall’uscio a sinistra, annunziando): La signora Frola! La signora Frola è qua!

       AGAZZI. No! perdio, chi l’ha chiamata?

       AMALIA. Nessuno! E venuta da sé!

       IL PREFETTO. No! Per carità! Ora, no! La faccia andar via, signora!

       AGAZZI. Subito via! Non la fate entrare! Bisogna impedirglielo a ogni costo! Se la trovasse qua, gli sembrerebbe davvero un agguato!

SCENA OTTAVA

       Detti, la Signora Frola, Tutti gli altri.

       La signora Frola s’introdurrà tremante, piangente, supplicante, con un fazzoletto in mano, in mezzo alla ressa degli altri, tutti esagitati.

       SIGNORA FROLA. Signori miei, per pietà! Per pietà! Lo dica lei a tutti, signor Consigliere!

       AGAZZI (facendosi avanti, irritatissimo). Io le dico, signora, di ritirarsi subito! Perché lei, per ora, non può stare qua!

       SIGNORA FROLA (smarrita). Perché? Perché? (Alla signora Amalia:) Mi rivolgo a lei, mia buona signora…

       AMALIA. Ma guardi… guardi, c’è lì il Prefetto…

       SIGNORA FROLA. Oh! lei, signor Prefetto! Per pietà! Volevo venire da lei!

       IL PREFETTO. No, abbia pazienza, signora! Per ora io non posso darle ascolto. Bisogna che lei se ne vada! se ne vada via subito di qua!

       SIGNORA FROLA. Sì, me n’andrò! Me n’andrò oggi stesso! Me ne partirò, signor Prefetto! per sempre me ne partirò!

       AGAZZI. Ma no, signora! Abbia la bontà di ritirarsi per un momento nel suo quartierino qua accanto! Mi faccia questa grazia! Poi parlerà col signor Prefetto!

       SIGNORA FROLA. Ma perché! Che cos’è? Che cos’è?

       AGAZZI (perdendo la pazienza). Sta per tornare qua suo genero: ecco! ha capito?

       SIGNORA FROLA. Ah! Sì? E allora, sì… sì, mi ritiro… mi ritiro subito! Volevo dir loro questo soltanto: che per pietà, la finiscano! Loro credono di farmi bene e mi fanno tanto male! Io sarò costretta ad andarmene, se loro seguiteranno a far così; a partirmene oggi stesso, perché lui sia lasciato in pace! – Ma che vogliono, che vogliono ora qua da lui? Che deve venire a fare qua lui? – Oh, signor Prefetto!

       IL PREFETTO. Niente, signora, stia tranquilla! stia tranquilla, e se ne vada, per piacere!

       AMALIA. Via, signora, sì! sia buona!

       SIGNORA FROLA. Ah Dio, signora mia, loro mi priveranno dell’unico bene, dell’unico conforto che mi restava: vederla almeno da lontano la mia figliuola! (Si metterà a piangere.)

       IL PREFETTO. Ma chi glielo dice? Lei non ha bisogno di partirsene! La invitiamo a ritirarsi ora per un momento. Stia tranquilla!

       SIGNORA FROLA. Ma io sono in pensiero per lui! per lui, signor Prefetto! sono venuta qua a pregare tutti per lui; non per me!

       IL PREFETTO. Sì, va bene! E lei può star tranquilla anche per lui, gliel’assicuro io. Vedrà che ora si accomoderà ogni cosa.

       SIGNORA FROLA. E come? Li vedo qua tutti accaniti addosso a lui!

       IL PREFETTO. No, signora! Non è vero! Ci sono qua io per lui! Stia tranquilla!

       SIGNORA FROLA. Ah! Grazie! Vuol dire che lei ha compreso…

       IL PREFETTO. Sì, sì, signora, io ho compreso.

       SIGNORA FROLA. L’ho ripetuto tante volte a tutti questi signori: è una disgrazia già superata, su cui non bisogna più ritornare.

       IL PREFETTO. Sì, va bene, signora… Se le dico che io ho compreso!

       SIGNORA FROLA. Siamo contente di vivere così; la mia figliuola è contenta. Dunque… – Ci pensi lei, ci pensi lei… perché, se no, non mi resta altro che andarmene, proprio! e non vederla più, neanche così da lontano… Lo lascino in pace, per carità!

       (A questo punto, tra la ressa si farà un movimento; tutti faranno cenni; alcuni guarderanno verso l’uscio; qualche voce repressa si farà sentire.)

       VOCI. Oh Dio… Eccola, eccola!

       SIGNORA FROLA (notando lo sgomento, lo scompiglio, gemerà perplessa, tremante): Che cos’è? Che cos’è?

SCENA NONA

       Detti, la Signora Ponza, poi il Signor Ponza. Tutti si scosteranno da una parte e dall’altra per dar passo alla signora Ponza che si farà avanti rigida, in gramaglie, col volto nascosto da un fitto velo nero, impenetrabile.

       SIGNORA FROLA (cacciando un grido straziante, di frenetica gioja): Ah! Lina… Lina… Lina… (E si precipiterà e s’avvinghierà alla donna velata, con l’arsura d’una madre che da anni e anni non abbraccia più la sua figliuola. Ma contemporaneamente, dall’interno, si udranno le grida del signor Ponza che subito dopo si precipiterà sulla scena.)

       PONZA. Giulia!… Giulia!… Giulia!… (La signora Ponza, alle grida di lui, s’irrigidirà tra le braccia della signora Frola che la cingono. Il signor Ponza, sopravvenendo, s’accorgerà subito della suocera così perdutamente abbracciata alla moglie e inveirà furente🙂 Ah! L’avevo detto io! Si sono approfittati così, vigliaccamente, della mia buona fede?

       SIGNORA PONZA (volgendo il capo velato, quasi con austera solennità). Non temete! Non temete! Andate via.

       PONZA (piano, amorevolmente, alla signora Frola). Andiamo, sì, andiamo…

       SIGNORA FROLA (che si sarà staccata da sé, tutta tremante, umile, dall’abbraccio, farà eco subito, premurosa, a lui). Sì, sì… andiamo, caro, andiamo… (E tutti e due abbracciati, carezzandosi a vicenda, tra due diversi pianti, si ritireranno bisbigliandosi tra loro parole affettuose. Silenzio. Dopo aver seguito con gli occhi fino all’ultimo i due, tutti si rivolgeranno, ora, sbigottiti e commossi, alla signora velata.)

       SIGNORA PONZA (dopo averli guardati attraverso il velo, dirà con solennità cupa): Che altro possono volere da me, dopo questo, lor signori? Qui c’è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato.

       IL PREFETTO (commosso). Ma noi vogliamo rispettare la pietà, signora. Vorremmo però che lei ci dicesse –

       SIGNORA PONZA (con un parlare lento e spiccato). – che cosa? la verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola –

       TUTTI (con un sospiro di soddisfazione). – ah!

       SIGNORA PONZA (subito e. s.). – e la seconda moglie del signor Ponza –

       TUTTI (stupiti e delusi, sommessamente). – oh! E come?

       SIGNORA PONZA (subito c. s.). – sì; e per me nessuna! nessuna!

       IL PREFETTO. Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l’una o l’altra!

       SIGNORA PONZA. Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede. (Guarderà attraverso il velo, tutti, per un istante; e si ritirerà. Silenzio.)

       LAUDISI. Ed ecco, o signori, come parla la verità! (Volgerà attorno uno sguardo di sfida derisoria.) Siete contenti? (Scoppierà a ridere.) Ah! ah! ah! ah!

Tela

»» Indice Audiolibri

Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com

Shakespeare Italia

image_pdfvedi in PDF
Skip to content