1917 – Così è (se vi pare) – Parabola in tre atti

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È una commedia dichiaratamente a tesi; Pirandello l’ha definita: «Parabola in tre atti». L’argomento è la verità, invano cercata concitatamente da tutti i personaggi dall’inizio alla fine, invano affermata e contraddetta in un intrecciarsi di ipotesi senza sbocco, sì da condurre naturalmente lo spettatore a considerarne la relatività.

FONTE  Novella «La signora Frola e il signor Ponza suo genero» (1917)
STESURA marzo – aprile 1917
PRIMA RAPPRESENTAZIONE 18 giugno – Milano, Teatro Olimpia, Compagnia di Virgilio Talli con la Melato e Betrone.

Approfondimenti nel sito:
Sezione Novelle – La signora Frola e il signor Ponza suo genero
Sezione Video – Così è (se vi pare) – 1974 – Romolo Valli, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Rossella Falk.
Sezione Audio – Così è (se vi pare) – 1954 – Compagnia di prosa di Firenze. 

Link esterni
Opere letterarie del 900 Italiano – Così è (se vi pare)

In English – Right you are! (If you think so)
En Español – Así es… si así te parece

Premessa e analisi
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

««« Elenco delle opere in versione integrale
««« Introduzione al Teatro di Pirandello

Così è (se vi pare) – Parabola in tre atti
Paolo Stoppa, Così è (se vi pare), 1974. Fotogramma RAI.

Premessa e analisi

   Premessa

        La commedia è tratta dalla novella La Signora Frola e il Signor Ponza suo genero, Milano, Treves 1917 (é nella raccolta Una giornata di Novelle per un anno). La stesura della commedia è del marzo-aprile dello stesso anno; la prima rappresentazione a Milano, al Teatro Olimpia (Compagnia Virgilio Talli) il 18 giugno 1918. Fu pubblicata a puntate su La Nuova Antologia, dal primo al 16 gennaio 1918 e, successivamente, nello stesso anno, da Treves.

        È una commedia dichiaratamente a tesi; Pirandello l’ha definita: «Parabola in tre atti». L’argomento è la verità, invano cercata concitatamente da tutti i personaggi dall’inizio alla fine, invano affermata e contraddetta in un intrecciarsi di ipotesi senza sbocco, sì da condurre naturalmente lo spettatore a considerarne la relatività. E in sostanza una farsa filosofica, sapientemente concepita, svolta in tono leggero e divertito, coinvolgendo un salotto borghese di provincia, che traduce in pettegolezzo il malsano desiderio di conoscere i fatti altrui. La satira sulla società piccolo-borghese in cui si svolge l’azione, animata da un coro di donne pettegole e curiose fino allo spasimo che hanno come punto di riferimento una grigia burocrazia di provincia, culmina con la dichiarata convinzione che l’autorità prefettizia ha il dovere dì sapere tutto sui fatti intimi delle persone (!) e di informarne i cittadini. Una delle protagoniste esclama risentita: «Il prefetto con la sua autorità potrebbe farci sapere come stanno le cose…». Una curiosità così superficiale, che si presta a una brillante satira di costume, è il motivo di fondo e fa da metafora a un nobile problema filosofico, quello, appunto, della ricerca della verità, che impegna una curiosità di ben diverso grado. C’è in questa impostazione una evidente intenzione umoristica che è ben riuscita e raggiunge il suo effetto con estrema naturalezza, ma c’è anche la volontà di sostenere che, a qualunque livello, la verità, qualunque verità, risulta contraddittoria e inconoscibile. E quanto più evidente è la differenza tra il salottiero rovello per conoscere i fatti privati degli altri e la ricerca della verità come assillo insito in ogni uomo, tanto più, per contrasto, risulta efficace la tesi che Pirandello vuol dimostrare, affidata alla consapevolezza ironica di Lamberto Laudisi che emerge dalla corale insipienza, e alla rivelazione finale della Signora Ponza, di grande effetto scenico, ideologico e umano.

        Singolare è il comportamento del Signor Ponza, di sua moglie e della suocera, Signora Frola, tale da scatenare la morbosa curiosità del gretto ambiente di provincia nel quale sono andati a vivere da poco tempo.

        La figlia nessuno l’ha mai vista, vive segregata in casa, quasi avvolta nel mistero e ha contatti con la madre, che vive sola in un’altra parte del paese (anche questo è motivo di pettegolezzo), soltanto mediante un cestino, che lei cala dalla finestra, con qualche bigliettino dentro.

        La Signora Frola, messa alle strette, dopo pietose dissimulazioni, finisce per ammettere che il Signor Ponza, dopo il terremoto in cui sono morti tutti i loro parenti, è posseduto da un amore ossessivo per la moglie, fino a impedire a lei, la madre, di vedere la propria figlia tenuta da lui chiusa in casa. Il Signor Ponza sostiene, invece, che la suocera è pazza, crede che sua figlia sia ancora viva e invece è morta, e la scambia con la sua seconda moglie; egli ha fatto ricorso alla segregazione e alla gelosia per evitarle una grande delusione. La duplice versione dei fatti, cui non si riesce a venire a capo nemmeno in un confronto diretto fra i due rende esasperata la generale curiosità, fino a pretendere che sia chiamata a testimoniare la stessa Signora Ponza, l’unica in grado di chiarire l’ossessionante dilemma. La misteriosa donna arriva col volto simbolicamente velato e alle insistenti domande risponde: «La verità? E solo questa: che io sono, sì, la figlia della Signora Frola – e la seconda moglie del Signor Ponza – sì; e per me nessuna! Nessuna! Per me io sono colei che mi si crede».

        Si indovina un dramma della follia che ella riusciva a tener nascosto a occhi indiscreti, recitando pietosamente la duplice parte per i due suoi cari. Nessuno potrà mai sapere chi dei due è pazzo. La sua esistenza è votata ad un grande sacrificio; lei per se stessa è nessuna ed esiste nella maniera in cui è creduta dal marito e dalla Signora Frola; nella maniera in cui ciascuno vorrà crederla.

        La Signora Ponza, con questa sua finale apparizione, così sapientemente preparata, così a lungo alimentata dalla curiosità comune, riesce ad apparire come simbolo della verità che ognuno può credere a suo modo e essere nello stesso tempo, il più umano dei personaggi in cui si riflette la pietà di Pirandello per la follia e per la solitudine.

        R. Simoni, dopo la «prima» mette in evidenza il grande successo che ha accolto questa commedia (L’Illustrazione Italiana, Milano, 24 giugno 1917). Rileva che l’attenzione degli spettatori converge «non sullo svolgimento di un fatto, ma sul fluttuare e rimutarsi, e smarrirsi del giudizio degli uomini attorno a questo fatto». Il che non è antiteatrale «che in fondo tutto il teatro, specialmente il teatro nel quale le passioni sono studiate e dipinte, ci mostra l’incapacità umana a ghermire con mano ferma la sostanza delle cose».

   Analisi

       La mancata identità femminile all’interno delle dinamiche del matrimonio e della vita coniugale

La vita di un paesino siciliano viene scossa dall’arrivo del nuovo impiegato comunale, il signor Ponza, e di sua suocera, la signora Frola. Si mormora che con loro sia arrivata anche la moglie dell’impiegato, ma nessuno l’ha mai vista.
Non basta nè al popolino, né ai superiori del signor Ponza che questi compia perfettamente il suo lavoro, che sia una persona inappuntabile. Tutti vogliono fare della sua vita privata un caso pubblico, per avere qualcosa di cui (s)parlare. E cresce l’interesse della gente quando si viene a sapere che la moglie del signor Ponza vive segregata in casa, senza avere rapporti neanche con la madre. L’unico contatto tra loro è affidato a poche righe scritte dalla figlia e calate dalla finestra in un cestino.
La commedia ha il ritmo di una seduta in tribunale, dove si alternano a discolparsi e a dare la loro versione dei fatti la suocera e il genero.

– La prima, messa alle strette dalla curiosità popolare, finisce per ammettere che il signor Ponza è posseduto da un sentimento ossessivo per la moglie fino a volere tutto il suo amore per sè. Così che anche l’amore filiale che la moglie nutre per la madre sia filtrato dalla sua persona.
– Di contro, il signor Ponza sostiene che la suocera sia diventata pazza per la perdita della vera figlia: infatti la donna segregata in casa sarebbe la sua seconda moglie, ma rivelarlo alla suocera le procurerebbe un dolore grandissimo.

Nell’ultima scena, la signora Ponza, con un velo nero che le copre il volto dichiara: “Io sono colei che mi si crede.”. La verità è in lei, dietro la sua maschera, nascosta dalla soggettività del personaggio.

Personaggio chiave della commedia è Laudisi che sin dall’inizio della discussione è convinto che la verità assoluta non sia raggiungibile: si è di fronte a verità possibili, soggettive, contrastanti fra loro e non oggettivamente certe. Situazione paradigmatica della visione di Laudisi è il suo colloquio davanti allo specchio. Si trova solo in casa e, salutando con due dita la propria immagine riflessa, dice:

“Eh caro! – chi è il pazzo di noi due? Eh lo so: io dico TU! e tu col dito indichi me. Va là che, a tu per tu, ci conosciamo bene noi due. Il guaio è che, come ti vedo io, gli altri non ti vedono… Tu per gli altri diventi un fantasma! Eppure, vedi questi pazzi? senza badare al fantasma che portano con sè, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! e credono che sia una cosa diversa.”.

Laudisi di fronte alla sua immagine può “comunicare”, perché lo specchio gli mostra la sua maschera, ovvero ciò che appare agli altri e che lui non può vedere. Ed anche le persone sono maschere, senza interiorità e senza radici, e solo per questo possono parlare tra di loro. Ma, svuotata com’è della verità, che è irraggiungibile, la comunicazione non è fruttuosa, perché manca il suo punto d’arrivo. La comunicazione è quindi frutto di un compromesso; è farsi come gli altri ci vedono.

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