Di Pietro Seddio.
In quel preciso momento venni coinvolto dalla atmosfera che si respirava dentro l’università e confesso che subii l’influenza dei giovani radicali di quell’ateneo. E’ stato scritto, anche giustamente, che il mio animo politico fu complicato e mi portò ad un lavoro che si sovrappose ad altri miei convincimenti dove furono presenti anche quelle idee radicali.
Io sono figlio e uomo del Caos
Per gentile concessione dell’ Autore
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Io sono figlio e uomo del Caos
Capitolo 9
Prime esperienze sociali
E’ vero, nonostante non amassi Porto Empedocle e la vita che vi si svolgeva, non potevo fare a meno di sentirmela vicina ed ero consapevole che quell’acre odore di zolfo ormai circolava, con il sangue, nelle mie vene. Ne ho parlato dettagliatamente scrivendo molte novelle trattando questo specifico argomento.
Intanto, per non perdere il filo del discorso, mio padre continuava a destreggiarsi perché il mio fidanzamento andasse a monte. Trovò, in verità, terreno fertile perché la ragazza, notai con stupore, era cambiata tanto da definirla “Alcina”, fata crudele e diversa. Ci vedevamo e quelle passeggiate al Foro Italico, sempre con la scorta che ci seguiva, mi dava ai nervi. Sapevo di miei amici che già amoreggiavano con le loro fidanzate.
E mi chiedevo se ero io a non sapermi destreggiare e mi rodeva perché lei diventava sempre più sensuale. Mi sfogavo scrivendo poesie, ma queste non avrebbero sortito l’effetto sperato, mai. Ora fra noi due si frapponeva la poesia, l’impegno, le ore trascorse a leggere e a scrivere e quindi lentamente si vennero a intercalarsi come muro di incomprensione.
Mi balenò l’idea di troncare, seppur debbo confessare che mai più, nonostante l’avventura, poi, con la ragazza tedesca, Jenny, e il mio matrimonio con Antonietta, ho amato come quella volta.
Dovetti registrare, a mio spese, quell’unico vano (ma vero) tentativo di innamoramento, che si era perduto tra mille incomprensioni, malintesi, tra opposte riflessioni e soprattutto diverse scelte di vita.
Confermo che questa prima esperienza importante mi ha maturato ma anche segnato. Alla fine sentivo che era arrivato il momento delle significative decisioni pensando che ero a una svolta, per iniziare un rapporto con Lina che si affievolì lentamente fino ad interrompersi definitivamente. Forse non tutti sanno che in quel periodo ero iscritto a due facoltà: Legge e Lettere.
Nel contempo fui preso da una realtà politica che ebbe una notevole rilevanza che riguardò la presenza dei Fasci Siciliani.
La mia posizione, ho cercato di spiegare all’interno del mio romanzo, già citato, “I vecchi e i giovani”, seppur lo stesso è stato oggetto di analisi disparate, contrastanti e difficilmente vicine alla mia vera idea. Era un momento socio-politico importante espresso, nel corso della mia vita, a diretto contatto e più aumentava la mia fama, più ero costretto a spiegazioni su quanto avevo detto o scritto già sapendo che molti avrebbero preferito manipolare a piacere secondo i loro interessi. Mi fecero dire che la facoltà di legge a Palermo, in particolare, era considerata la “cittadella del radicalismo”, la quale veniva alimentata dagli studenti provenienti dalla provincia, chiamati “regnicali”. Aggiungo che i dirigenti dei Fasci si erano formati in seno a una generazione di studenti universitari proprio a Palermo. Io quindi ero considerato un “regnicolo”.
In quel preciso momento venni coinvolto dalla atmosfera che si respirava dentro l’università e confesso che subii l’influenza dei giovani radicali di quell’ateneo. E’ stato scritto, anche giustamente, che il mio animo politico fu complicato e mi portò ad un lavoro che si sovrappose ad altri miei convincimenti dove furono presenti anche quelle idee radicali. Non posso negare che alla fine tutto questo mi attirò e mi diede la possibilità di interessarmi di problemi politici di quel periodo durante il quale ero stato a Palermo. Ripeto che su questo aspetto complicato è stato scritto di tutto e di più. Ricordo che a quel tempo si leggeva Mario Rapisardi, considerato il profeta dei giovani fascisti.
Mi si deve credere, quello fu un periodo complesso, concitato, terribile per me anche perché oltre alle spinte politiche c’era ancora la relazione con Lina che naufragava giorno per giorno. Tutto questo inferno interiore mi tolse anche la voglia di studiare.
Si parlava già di matrimonio, ed io mi sentivo come vivere in una gabbia. A quel punto ho deciso di allontanarmi da Palermo così sarei riuscito a laurearmi e poi, se del caso, pensare al matrimonio.
Non fu una decisione semplice; solo i miei genitori furono contenti. Sarei andato a Roma in casa di mio zio, fratello di mia madre, Rocco Ricci Gramitto.
Quando lasciai la Sicilia, su una nave, era il 1887 nel mese di novembre. Lina? Rimase sola, ma accettò constatando la mia risolutezza. Se non fossi stato Pirandello nessuno si sarebbe ricordato di questa mia prima esperienza in Sicilia, del mio primo viaggio a Roma, ma siccome questo non corrisponde a verità, sapendo di quante pagine sono state scritte, mi sembra giusto parlare in dettaglio perché si possa avere una risposta univoca che segue questa domanda che molti hanno fatto: “Cosa ha rappresentato la Sicilia per Pirandello?”.
Domanda pertinente perché si è voluto confrontare questo periodo isolano con quello che è seguito vivendo a Roma, per poi sapere di Bonn ed ancora del mio ritorno a Roma seppur ho peregrinato in tutto il mondo. Ma voglio procedere con ordine e cronologicamente quindi parlerò del rapporto avuto con la Sicilia ricordando che quando salpai dal porto di Palermo avevo venti anni.
Dico subito che la Sicilia che mi è rimasta nel cuore è quella relativa all’Ottocento mentre Girgenti e Porto Empedocle quella della mia infanzia e adolescenza. Aggiungo che proprio nell’Isola la storia si muoveva lentamente essendo ancora presenti il latifondismo e il costume feudale oltre alle già più volte citate industrie dello zolfo, le quali si sviluppavano secondo regole e aspetti ancora medioevali.
Esisteva la divisione in caste così tutto rimaneva immobile, solo di tanto in tanto si cambiavano le persone in varie posizioni sociali e ruoli. A questa situazione si affiancava il carattere siciliano con tutte le sue note problematiche. Questo del muoversi senza cambiare niente, alcuni anni dopo, da un altro grande scrittore isolano, è stata riproposta e messa in bocca ad un nobile che si conosce come il Principe, don Fabrizio Salina assai noto e rispettato.
Elementi principali la repressione e l’esplosione. Non va dimenticata l’omertà e seppur in modo diverso, anche io, nei miei scritti mi sono spesso avvalso di questa peculiarità attraverso una frequenza feudale dello stile mettendo in risalto un fraseggio allusivo, spezzato, ammiccato, tortuoso quanto a volte esplosivo. Sintomi che hanno denotato un’anima repressa, e questo aspetto, in tanti modi, è stato evidenziato da illuminati scrittori che di me hanno scritto e parlato.
Non bisogna dimenticare che nel momento in cui lasciai la Sicilia mi sono portato la rigida concezione della famiglia e del costume familiare. In ogni caso in Sicilia per un certo periodo si respirò un’aria rivoluzionaria che non fu compresa né condivisa da parecchi ceti sociali. Non si può negare che il diffuso senso di anarchismo è stato assimilato e alla fine fu considerato come causa di una persistente anacronistica conseguenza relativa alla condizione socio-economica seppur non fu l’unica. Io sono sempre rimasto più scettico.
Quello che ho imparato e assimilato mi hanno dato il senso della vita e stante quelle esperienze delle quali ho fatto cenno, per tanto tempo ho visto in modo negativo l’emancipazione femminile fino a quando non mi sono convinto del contrario agognando che la donna potesse usufruire di una integra autonoma vita sentimentale, pur riconoscendo ancorato, a livello di socialità, a conformismi assimilabili che si riferivano in modo particolare a quell’atavica Sicilia che aveva le sue radici nella concezione musulmana-cattolica.
Ho mantenuto sempre caratteri rigidi per quanto attiene il concetto cattolico del peccato della carne tanto che in alcune mie opere questo tema è stato trattato con rigidità e ho sempre creduto nel concetto della verginità e castità della donna. Mentre la nave continuava la sua traversata, io, nel silenzio del mio animo, rimuginavo tutti questi concetti sperando che sarebbero rimasti sempre vivi nel mio cuore e nella mia mente.
Inutile ricordare che in un certo periodo dell’Ottocento la “disonestà” della donna era punita con la morte, come accade ancora oggi in regioni che sono ferme al concetto medioevale.
Mi piace ricordare, amico mio, che ci fu un elemento di educazione ambientale che rimase vivo nel mio animo e che si riferiva al formalismo dei siciliani per cui ho creduto in un prepotente bisogno di indipendenza, anche ossessivamente imbrigliato, durante la mia giovinezza, nel clima pesante, apprensivo e oppressivo di quei riti sociali che diventò, in un secondo tempo, il seme delle future rivendicazioni.
Non nego che, una volta lasciata l’Isola, ho cercato di integrarmi nei vari contesti sociali in cui mi sono venuto a trovare seppur ho sempre avvertito un freno nonostante la molla di ribellione pulsasse in me avendo vissuto traumi sociali che mi avevano, fin da allora, ferito profondamente.
Forse per questo nella mia opera ho lasciato libera la mia fantasia che ha finito per celebrare lo scandalo e alla fine mi sono accorto che tutta la mia scrittura è infarcita dal vivace disordine di compromessi, tra le accettazioni delle convenzioni ed anche, a volte, della convenienza affiancate dal rifiuto più radicale di esse.
Tutto mi sono portato dentro seppur già avvertivo una potente spinta centrifuga che contrastava quel riflusso nostalgico.
Quelle esperienze negative che io ho cercato di dimenticare, una volta iniziato un diverso percorso, stante anche la mia notorietà, in verità sono rimaste sempre latenti e a volte riemergevano qua e là nel momento in cui proponevo un’opera o rilasciavo qualche dichiarazione a mezzo stampa. D’altro canto una (o più) esperienza acquisita nel corso di tanni anni, quelli della prima maturità, è difficile che si possano dimenticare.
Quindi, alla fine, leggendo tra le righe, nella mia opera esiste una struttura siciliana che sarà sempre ad indicare il movimento e la simbiosi scambievole con quel fondamento, rilevato anche da alcuni critici.
E’ stato difficile non fare tornare a galla quel vivo terreno originario.
Molte opere, alla fine (novelle, poesie, qualche romanzo ed alcune opere teatrali) sono impregnate di tessuto e vita siciliana affermando che la mia terra, vicina o lontana, è stata sempre l’occasione di uno scontro effettivo. Tale prerogativa mi ha consentito di esprimere giudizi non sempre sereni, omogenei seppur derivanti da una vena creativa consentendo tutta una serie di estreme interpretazioni che ho letto con attenzione e verso le quali ho sempre avuto rispetto. Cosa è rimasto di quelle esperienze acquisite nella mia Isola?
Penso di essere nel giusto quando affermo che sono rimasto, valutando e analizzando tutta la mia vita letteraria e non solo, uno scrittore siciliano in tutta la estensione e non potrei essere privato da questa annotazione caratteriale in quanto ogni altra accezione potrebbe sembrare un’astrazione e una falsificazione del tutto vanamente critica.
Nel mese di novembre del 1887 giunsi a Roma. Mi sono posto subito questa domanda: “Cosa mi avrebbe riservato, nel futuro, il destino?”.
Pietro Seddio
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