Io sono figlio e uomo del Caos – Capitolo 4: Riceve il battesimo

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Di Pietro Seddio

L’atto di battesimo non venne trascritto e proprio poco prima del matrimonio, mancando quel documento, fu necessario avere un decreto vescovile e così mons. Blandini, vescovo di quel tempo, provvide a far stipulare il nuovo atto di battesimo che venne trascritto nei registri dei battezzati tra il 1865-1868.

Io sono figlio e uomo del Caos

Per gentile concessione dell’ Autore

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Pirandello. Autobiografia immaginaria. Capitolo 4
Interno della casa natale, restaurata

Io sono figlio e uomo del Caos
Capitolo 4
Riceve il battesimo

Mia madre, donna pia e religiosa, vincendo le resistenze di mio padre, mi fece battezzare nella casina del Caos persistendo ancora in Girgenti la pestilenza. Cominciai da subito ad avere problemi, infatti l’atto di battesimo non venne trascritto e proprio poco prima del matrimonio, mancando quel documento, fu necessario avere un decreto vescovile e così mons. Blandini, vescovo di quel tempo, provvide a far stipulare il nuovo atto di battesimo che venne trascritto nei registri dei battezzati tra il 1865-1868. Ed ecco il testo integrale:

“Nos Cajetanus Blandini ecc. Rev.ma can. Pietro Fasulo thsaurario huius Sanctae E. Cathedralis salutem. Dai documenti presentati e dalla disposizione di testimoni degni di fede risulta che a 28 giugno 1867 nacque Luigi Pirandello dai coniugi Stefano e Caterina Ricci Gramitto nella casina della Villa del Chaos e che fu battezzato nel giorno 3 di detto mese ed anno nella detta casina dal Rev.do Padre Giuseppe Librici, da Raffadali, dei Minori Osservanti, curato di Porto Empedocle e che i padrini furono D. Innocenzo e donna Rosalia Ricci Gramitto, fratello e sorella. Stante l’anzidetto la incarichiamo a notate nel libro dei battesimi del 1867 di questa Chiesa Cattedrale quello amministrato al detto Luigi Pirandello con le predette circostanze. 

Datum Agrigenti die 27 Decembris 1893, Vicarius Generalis Cantor Chiarelli; Canonicus G. Gaglio, Cancellatius”. 

Prima ancora di continuare il mio racconto ho potuto constatare in tutti questi anni che molti analisti hanno parlato delle case dove io ho abitato prima ad Agrigento, a Palermo e poi a Roma, non considerando il periodo universitario a Bonn e poi in giro per il mondo, ma in questo ultimo caso si è sempre trattato di alberghi. Or bene ho potuto considerare che a volte si è fatta confusione, allora fin da subito chiarisco come si sono svolti i fatti per cancellare questo “piccolo mistero” elencando tutte le abitazioni dove ho soggiornato sia per lunghi che per brevi periodi.

Dopo il periodo trascorso al Caos, e già in età scolare con la famiglia, sono andato ad abitare in via San Pietro al n.19. Malinconica casa, ricordo perfettamente. Sapete tutti che ora quella via mi è stata intitolata. Dalla parte opposta c’era la via delle Falde, malfamata e contigua all’edificio delle Scuole Normali. Il bombardamento del 1943 provocò gravi distruzioni.

Non posso dimenticare le due case di Porto Empedocle, poi distrutte, presso lo sbocco della via Spinola, verso la Marina, lungo il palazzo Cappadona oltre l’inizio della via Roma.

Ritornando alle case di Agrigento, dopo la via San Pietro, siamo andati a vivere nel villino Contini, sotto la via Francesco Crispi tra il viale della Passeggiata (oggi Viale della Vittoria) e la Valle dei Templi.

Poi ancora nei pressi della via Duomo e la discesa Cannella che porta a Santa Maria dei Greci. Proprio vicino alla chiesa dell’Itria dove, è risaputo, mi sono sposato con Antonietta Portulano. Ma di questo matrimonio ne parlerò a tempo debito.

Proprio quando abitavo nei pressi del Duomo, giornalmente di pomeriggio mi portavo, scendendo dalla via Cannella, in via Atenea per arrivare nei pressi della Chiesa di San Francesco, dove alcuni anni addietro, poco prima della chiesa, sulla via principale di Agrigento, si trovava il Bar Torrefazione. Mi fermavo per sorbire un buon caffè, leggermi un po’ il giornale che mi portavo dietro e cercavo di rilassarmi.

Durante questo breve periodo di riposo riuscivo a vedere quanti erano seduti attorno ai tavolinetti, e sentivo le loro voci, osservavo quei volti, guardavo i loro occhi, i loro tic, sentivo le loro risate scrutando le loro dentature, alcune cariate o ricoperte di denti placcati in oro. Tutto veniva immagazzinato nel mio cervello e a volte, non lo nego, sorridevo senza però che nessuno se ne accorgesse, poteva sembrare non educato ed io mi coprivo il volto con il giornale che non leggevo pur dandone la percezione.

Poi lentamente facevo la via del ritorno per riprendere il mio lavoro e spesso riuscivo a dare un volto, una voce, proprio di quelli incontrati, che inevitabilmente diventavano “personaggi” a loro insaputa. 

Ricordo che, conoscendomi, venivo salutato con rispetto, deferenza ed erano tanti i cappelli e le coppole che si alzavano dal loro capo in segno di rispetto.

Non che provassi fastidio, ma non volevo tutti quei saluti che mi davano soggezione e siccome andavo spedito, sempre con gli occhi rivolti verso la strada, si diffuse la nomea che ero superbo. Ma in verità non lo sono mai stato, molto probabilmente timido, riservato.

Ricordando questo particolare, nel momento in cui scrissi “Il berretto a sonagli”, feci dire a Ciampa (così per smentire la nomea) che il padre, sciocco, invece di ripararsi la fronte con le mani, le ritirava così inciampando, cadendo, le mani si portavano indietro per cui ruzzolando si spaccava la fronte. Io, invece, al contrario, continuo a mettere le mani avanti perché la fronte me la voglio portare sana, libera, sgombra.

Frequentando l’università a Palermo fui ospitato presso la zia e lo zio Rocco Ricci Gramitto. A Roma in una stanza ammobiliata. Invece quanto tornai a Roma, una volta contratto matrimonio, andai ad abitare in una casa tra la via Sistina e il Tritone; la bella villa del quartiere Nomentano verso S. Agnese e l’ultima in via Bosio. In estate andavo nel Viterbese e, per dipingere, a Rocca di Papa.

Soggiornai anche a Milano e in tante altre città europee ed anche in alcune americane. In questo momento mi sono sovvenute alcune ubicazioni di Roma ed oltre a quella in via Sistina, mi ritrovai in via Vittoria Colonna nel palazzo Odescalchi, poi in via san Martino al Macao dove abitai per circa sette anni e poi per meno anni in via Palestro, via Alessandro Torlonia, via Mario Pagano ed altre i cui nomi mi sfuggono. L’ultima fu una villetta situata nel quartiere Nomentana di S. Agnese dove vi rimasi fino al 10 dicembre 1936.

Intanto dopo il colera si era fatto ritorno ad Agrigento ma ricordo perfettamente che nella mia mente avevo impresso l’evento dell’eclisse, mentre eravamo al Caos, che, seppur piccolo, sembrò sconvolgere la mia vita iniziando ad avere paura del buio. Certo questi primi eventi non deponevano in mio favore. Posso anticipare che quello altro non era che il mio inizio di quell’involontario soggiorno sulla terra e lo ripeto perché continuo ad esserne convinto.

Casa mia, a Girgenti, era frequentata da una serva, Maria Stella, una popolana che aveva tanto spirito capace di farmi godere e soffrire e seppur pauroso ero affascinato dai tanti racconti di superstizione, orrore ed anche esageratamente mistici.

A tal proposito, nonostante mia madre fosse cattolica, in casa non si parlava mai di Dio ed ecco che la perseverante serva sembrò diventare missionaria e mi portava spesso nella chiesa di San Pietro, vicinissima, dove officiava padre Sparma. Confesso che alla fine mi convinsi che gli spiriti esistevano e questi da me sarebbero stati, più avanti una volta acquisita una formazione matura, personaggi in potenza.

Anticipo che parlando di spiriti, fantasmi, mondi occulti, riuscii a scrivere un testo “La favola del figlio cambiato” ed alcune novelle in cui i veri protagonisti diventarono appunto gli spiriti, i fantasmi. E poi non era solo la serva a parlare di spiriti, ma donne del popolo, raccolte davanti alle loro case, circondate da ragazzi e ragazze pronte a raccontare favole ma sempre pieni di spiriti, di morti, di fantasmi brutti e orribili.

E la notte non era facile prendere sonno. Per mischiare le carte, una notte vicino alla nostra casa, si sentì l’urlo di un morto ammazzato, subito si erano chiuse le porte, le finestre mentre Maria Stella parlò a lungo di quel defunto. Non contenta per giorni mi raccontava che lo aveva visto apparire per strada e non era stata la sola ad affermare quell’evento.

Alla fine, dopo giorni di insistenza, riuscì a portarmi in chiesa e da quel giorno tutte le mattine mi recavo per ascoltare messa. Mia madre non parlava ma sembrava compiaciuta, mio padre a parte che spesso dormiva fuori, non si curava tanto della famiglia seppur non faceva mancare niente. Ma non parliamo di dialoghi familiari, di sentimenti, di affetti. Del tutto inesistenti.

Io avevo bisogno e quello di mia madre non mi bastava. Era un estraneo, mio padre, dal sempiterno carattere ruvido, rissoso, attaccabrighe sempre pronto a sfidare gli altri. E non mancò di cimentarsi in alcuni duelli. Non gli era bastato il brutale incontro, anzi lo scontro, con Camizzi.

Tutte le sere venivo messo a letto dalla serva la quale al mio risveglio mattutino era pronta a lavarmi il muso. Ero sempre assonnato perché le notti che trascorrevo erano insonni. Anche io pensavo di vedere il fantasma dell’ucciso che gridava vendetta. Inutile dire che sudavo a più non posso.

Ma durante il giorno la musica cambiava, perché tornavo ad essere invaso dal misticismo che mi portava, con i pensieri, lontano. Credevo nei precetti che venivano predicati dal pulpito cercando di seguire con fervore i precetti del Vangelo.

Voglio a questo punto mettere in evidenza un episodio che mi coinvolse personalmente e del quale ho ancora un nitido ricordo.

Era domenica, fui vestito da marinaretto. Recandomi verso la chiesa mi accorsi della presenza di un bambino vestito poveramente, in alcune parti lacero e subito fui preso da un senso di carità per cui decisi di regalargli il vestito. Successe un pandemonio e quando rividi il vestito che avevo regalato a casa, mi misi a piangere ed urlare provocando un vero terremoto. Ma incombeva un altro evento che avrebbe segnato una clamorosa svolta nella mia vita e nella mia psiche in formazione e maturazione.

E’ vero che questo evento in più occasioni è stato raccontato ma per l’importanza lo voglio ricordare pensando che le nuove generazioni molto probabilmente non lo conoscono per questo voglio ricordare anche che fui colpito dall’avvento della luce elettrica che mi diede la possibilità di vedere molte cose che prima non si aveva avuto modo di vedere. 

Tutto ora appariva chiaro, nitido ed io mi trovai a perfetto agio. Aspettavo la sera per accendere la lampadina e quella luce, fioca, mi riempiva lo spirito e mi era gratificante leggere e scrivere. Ora tutto era diverso.

E’ risaputo da tanto tempo che il mese di Maggio è dedicato alla Vergine Maria e in chiesa dopo la predica, la recita del rosario e la benedizione con il canto del coro accompagnato dall’organo, si era soliti effettuare un sorteggio tra i devoti, della statua della Madonnina custodita in una teca di cristallo.

Per un marchingegno ideato maldestramente dal parroco la sorte toccò ad un altro bambino suscitando in me un moto di sdegno che venne a frantumare le mie certezze così la figura di quel prete mi apparve subdola, ingannevole sentendo tutta la disfatta dalle mie credenze religiose. Decisi che altro non erano, i preti, fatte pochissime eccezioni, ipocriti e figli del demonio.

Da quel momento inevitabilmente mi allontanai da quel credo religioso iniziando a farmi mille domande cercando in tutti i modi quale potesse essere la verità alla quale credere e per tanto tempo tutte le domande sono rimaste sempre senza risposta alcuna.

Solo mia madre, comprendendo il mio stato d’animo, cercò di consolarmi, ma io da quel momento non sono mai più entrato in chiesa e voglio ricordare, nemmeno da morto.

Ancora mi piace rimembrare che dopo molti anni si decise di cambiare il nome della via da san Pietro a via Pirandello, ormai famoso, ma subito si contrapposero due azioni: contrari e favorevoli. Ci fu quasi una sommossa popolare tanto che intervenne il sindaco il quale alla fine, per poter porre fine a quella querelle, divise in due parti la strada: una conservò l’intestazione a via san Pietro e l’altra a me fu intitolata.

Confesso che non mi sono ritenuto soddisfatto perché io da sempre preferivo via san Pietro identificandomi proprio per i miei giovanili trascorsi.

Pietro Seddio

Io sono figlio e uomo del Caos

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