Arcani nell’opera di Luigi Pirandello

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Di Regina dal Monte

Pirandello ha spesso giocato a nascondino con gli spiriti e con le loro manifestazioni: talora riuscendo a mascherarsi dietro i travestimenti del beffardo e dell’ironico, altre volte giungendo a discutere animatamente con esseri provenienti da altre dimensioni che si presentavano come “personaggi”.

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Arcani nelle opere di Pirandello
Federica Di Martino (Ilse), I giganti della montagna. Regia Gabriele Lavia, 2019-2020

Arcani nell’opera di Luigi Pirandello

da Insegnanet

Leggendo le opere di Luigi Pirandello raramente si ride, spesso capita di sorridere. Si tratta di un riso suscitato da situazioni paradossali oppure sgangherate, tristemente realistiche o surreali. Occuparsi dei fantasmi, degli spiriti nell’opera di Pirandello è uno di quei percorsi che può, sotto certi punti di vista, anche dilettare. Non si può fare a meno di sorridere leggendo, nella novella Il corvo di Mìzzaro, le avventure del povero Cichè, indotto a rafforzare la sua convinzione riguardo l’esistenza degli spiriti perché, quotidianamente, sente il suono di una campanellina, del quale non riesce a individuare la fonte, e constata la sparizione del proprio pranzo; oppure si pensi al vecchio benestante don Diego Alcozèr, nel romanzo Il turno, addirittura terrorizzato dagli spiriti delle sue mogli defunte. Si consideri poi, nella novella La casa del Granella, la reazione dell’avvocato Zummo dopo la visita della famiglia Piccirilli o la situazione del povero Granella che, a causa di strani e inquietanti rumori, esce spaventato dalla propria casa con i capelli “ritti” sulla fronte e i pantaloni sbottonati perché, a causa della fretta di andarsene, non aveva fatto in tempo a sistemarsi… e pensare che era andato a dormire lì per provare a tutti che la sua casa non era infestata dagli spiriti!

Lo sfortunato Carlo Noccia de Lo spirito maligno si sente angariato da uno spirito malefico sempre pronto a nuocergli: lo arresteranno con la convinzione che “Non sarebbe stato serio prestar fede alla persecuzione di un certo spirito maligno di cui […] farneticava.”

Nella novella Il vitalizio, il vecchio Maràbito, dopo aver deciso, con le lacrime agli occhi, di dare la sua roba per un vitalizio di due lire al giorno a don Michelangelo Scinè, detto il Maltese, si ritira a vivere in città, dicendo al nuovo padrone di “star sicuro che dei suoi belli denari” non ne avrebbe sciupati molti perché sarebbe morto presto. In paese nasce, così, una schermaglia tra coloro che pensano al buon affare sottoscritto dallo Scinè e quelli che augurano lunga vita a Maràbito.

Quando Maràbito si ammala di polmonite la ‘gna Croce va a chiamare la “Malanotte, ch’ era una vecchia strega, famosa per levare il malocchio: nera come la pece, con certi occhi da lupa e una bocca enorme, da cui usciva una vociaccia roca maschile.” La Malanotte “non volle udir nulla da le vicine: sapeva tutto. / – Me l’hanno detto, – affermò misteriosamente, senza spiegare chi glielo avesse detto: ma certo gli Spiriti, con cui essa conversava la notte.” Dopo l’ “opera di magia” della strega, nessuno “poté levare dal capo alle vicine” che la guarigione del vecchio fosse un vero miracolo.

Che dire della spassosissima presentazione che, nel Fu Mattia Pascal, Pirandello ci offre del Signor Anselmo Paleari? Nel momento in cui si apre la porta della casa in via Ripetta appare “un vecchio su i sessant’anni […] in mutande di tela, coi piedi scalzi entro un pajo di ciabatte rocciose, nudo il torso roseo, ciccioso, senza un pelo, le mani insaponate e un fervido turbante di spuma in capo.” Un paio di pagine dopo si legge che il Paleari “aveva pure, come di spuma, il cervello”; questo poco prima di svelare che l’eccentrico ospite era ascritto alla scuola teosofica e che negli ultimi tempi si era dato agli esperimenti spiritici…

Per l’evocazione di Madama Pace nei Sei personaggi in cerca d’autore, è ravvisabile un utilizzo della fenomenologia spiritica: il Padre, infatti, invita ad appendere a un attaccapanni dei cappellini e un mantello affinché, “attratta dagli oggetti stessi del suo commercio”, si presenti la “megera d’enorme grassezza”.

Certo, occuparsi delle presenze arcane nell’opera di Pirandello diventa impresa ardua quando volgendo lo sguardo all’intero corpus delle sue opere, dalle novelle agli scritti teorici, si giunge a constatare che l’autore siciliano fu per tutta la vita in costante contatto con esseri provenienti da un’altra dimensione: spiriti paurosi, oppure beffardi e buontemponi, anime del purgatorio che chiedono riscatto, fantasmi di morti ammazzati, anime o apparenze di defunti che si aggirano ancora nei paraggi dei cimiteri, diavoli, fate e streghe dell’aria, pensieri e desideri che assumono consistenza, personaggi che ossessionano l’Autore e insistono fino a sfinirlo pur di materializzarsi nel mondo dell’arte.

  In questa sede si intende fornire solo facili spunti con il semplice scopo di incuriosire o interessare ad un argomento che da un lato pare donare al lettore-spettatore pause e respiri ariosi, dall’altro induce sicuramente, come spesso accade nell’opera pirandelliana, all’autoanalisi e alla riflessione.

Alla porta della creatività di Pirandello hanno bussato anche presenze che facevano capolino dalla lontana memoria della sua infanzia, soprattutto dai racconti di Maria Stella, l’anziana servente della famiglia: presenze magiche, come quella dell’Angelo Centuno, e a volte paurose, come quella delle ” Donne “.

  L’Angelo Centuno, la cui storia viene raccontata dalla vecchia Gesa nella novella Lo storno e l’Angelo Centuno e dalla Sgricia nei Giganti della montagna, aveva in custodia cento anime del purgatorio e le guidava ogni notte a sante imprese. Era oggetto di una particolare devozione da parte del popolo.

Le ” Donne “, che fanno avvertire la loro presenza nella novella Il figlio cambiato, nella Favola del figlio cambiato e vengono evocate nei Giganti della montagna, sono presenze soprannaturali, benefiche o malefiche, della tradizione popolare siciliana e hanno un particolare rapporto di amore e odio, simpatia e antipatia con i bambini. Pirandello stesso, in una delle lettere a Marta Abba, spiega: «C’è in tutta l’Italia meridionale la credenza popolare che le notti d’inverno, le notti di vento e senza luna, vadano per l’aria le streghe, certe streghe dette “Le Donne”, che si introducono nelle case per la gola dei camini e per gli abbaini […]».

Il fatto è che Pirandello ha spesso giocato a nascondino con gli spiriti e con le loro manifestazioni: talora riuscendo a mascherarsi dietro i travestimenti del beffardo e dell’ironico, altre volte giungendo a discutere animatamente con esseri provenienti da altre dimensioni che si presentavano come “personaggi”.

Così, nella novella intitolata Personaggi, alla porta dello studio dell’autore bussano dei personaggi che si comportano proprio come avevano fatto i clienti dell’avvocato Zummo e, ricordiamolo, tra gli assistiti dell’intraprendente avvocato, c’erano anche degli… spiriti.

Il primo incontro dell’autore siciliano con quelli che sarebbero stati i fantasmi di tutta una vita è sicuramente da collocarsi nella stagione dell’infanzia, quando, bambino, si addormentava impaurito ascoltando o ricordando i racconti, appartenenti al folklore siciliano, di Maria Stella, l’anziana servente della famiglia che lo sapeva incantare e impaurire con canti, favole, filastrocche magiche, storie di incantesimi, magie o sortilegi realmente verificatisi.

La familiarità con esseri provenienti da altre dimensioni è dovuta anche al fatto che Pirandello, dal canto suo, era dotato di una speciale curiosità e di una chiara disposizione a interessarsi dei fenomeni culturali del tempo. Tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, il clima culturale era caratterizzato da un particolare interesse per l’occulto, specialmente da una certa diffusione dello spiritismo e della teosofia.

Sempre più vivo, infatti, era nell’uomo il desiderio di frenare l’invadente pragmatismo materialistico e di reagire di fronte alla grande avanzata della scienza che, rivelandosi impotente di fronte alle importanti e urgenti domande dell’umanità, aveva denunciato la propria sconfitta.

Il dottor Scoto confessa: “Un’illusione ci è assolutamente necessaria; e la scienza, Lei lo sa bene, non ce la può dare. Così ho letto anch’io qualche libro di teosofia. Ne ho riso, creda. […] Pure, guardi: in questo libro ho trovato un passo curiosissimo, una certa idea che mi pare abbia un qualche fondamento di verità e possa interessarla moltissimo .”

Nonostante l’opposizione da parte dell’ortodossia e di molti settori della scienza, si era diffusa una sorta di epidemia che aveva coinvolto tutti gli ambienti culturali e sociali. La pratica spiritica era diventata moda esotica, pratica mondana e, come spiega l’avvocato Deodati nella novella Visitare gl’infermi,nuova sollecitudine intellettuale “.

Il mondo della letteratura aveva alle proprie spalle una tradizione millenaria di interessi per l’occultismo e la produzione letteraria coeva di tipo creativo e saggistico accolse subito gli stimoli forniti dalla fenomenologia spiritica. Vi furono autori che riconobbero rapporti con il segreto in qualsiasi operazione artistica: W.B. Yeats, R. M. Rilke, V. Hugo, J.-A. Rimbaud, W. Benjamin e molti altri. Alcuni scrittori parteciparono a vario titolo a pratiche di tipo spiritico a scopo sperimentale o con intenti apologetici.

Pirandello ha condiviso l’interesse per l’occulto di Capuana e di tanti altri personaggi illustri del tempo; la sua conoscenza delle dottrine teosofica e spiritica, anche negli elementi che le distinguono, è testimoniata da molti dei suoi scritti: si ricordino, solo per citare alcuni tra gli esempi più noti, Un fantasma, articolo uscito nella “Gazzetta del Popolo” del 24 dicembre 1905, oppure i libri   di teosofia presenti nella biblioteca e la seduta spiritica in casa del signor Paleari ma anche lo stato di sospensione di Adriano Meis “Forestiere della vita”. Nei Giganti della montagna l’apparizione delle Due Vicine popolane avviene grazie all’utilizzo della fenomenologia spiritica: la recita da parte di Ilse di alcuni versi   della Favola del figlio cambiato ha facoltà di evocazione, attrae i due personaggi che si materializzano, vivi, ai lati della Contessa.

Secondo la teosofia l’uomo può realizzare il suo destino di perfezione grazie a un complesso sistema di esistenze e reincarnazioni ed eventualmente potrà sollevarsi fino al quinto piano dell’intelligenza pura. Solo eccezionalmente raggiungerà lo stato di equilibrio e beatitudine del Logos superiore. Applicando alla monade umana la scala evolutiva dei primi cinque piani si hanno: il piano fisico, il piano astrale, il piano mentale, il piano buddhico e il piano atmico. A voler ben vedere, il mondo in cui, nei Giganti della montagna, vivono gli scalognati “al limite, fra la favola e la realtà”, in una sorta di sospensione ontologica, potrebbe essere assimilato al piano astrale.

In base alla constatazione che secondo la dottrina teosofica solo le anime di coloro che si trovano nei piani inferiori comunicano con i vivi o si manifestano nelle sedute spiritiche e che nella regione di Kâmaloca si trovano i resti di coloro che, privi di coscienza morale, in vita non andarono oltre la percezione di tipo istintivo e incosciente e mancano di qualsiasi possibilità di redenzione, anche Madama Pace può essere considerata una larva astrale. Evocata magneticamente dalla scena del salotto, si materializza, come si è detto precedentemente, con modalità che sono riconducibili anche alla fenomenologia spiritica. Il suo aspetto e la sua parlata “affatto inintelligibile” attirano immediatamente la nostra attenzione e… gli attori e il capocomico, dopo essere schizzati via urlando spaventati, risalgono titubanti sul palcoscenico.

L’eco di suggestioni teosofiche è ravvisabile anche nella novella La tragedia d’un personaggio ove si narrano le vicissitudini di in personaggio, il filosofo e saggista Fileno, che, contrariato e offeso dal modo in cui era stato trattato nell’opera di uno scrittore “tutto inteso ad annodare artificiosamente una delle trame più solite”, aveva deciso di presentarsi a   un nuovo autore: tale possibilità era stata presa in considerazione da due tra i maggiori teosofi dell’epoca, C. W. Leadbeater e Annie Besant in Thought-Forms, un saggio pubblicato nel 1901. In esso si afferma che le immagini mentali sono così pienamente “obiettive” che autori diversi, da colui che diede loro originariamente la vita, le possono raccogliere, riordinare, riadattare.

Il “mito dell’Arte” I giganti della montagna, che ha occupato la mente di Pirandello fino agli ultimi momenti della sua vita, è opera pervasa di spiriti, magie, evocazioni, fenomeni inspiegabili: in essa si ravvisa un utilizzo di tutti i motivi magici e irreali presenti negli scritti anteriori.

Nella villa detta “La Scalogna” ci si imbatte in presenze arcane, già incontrate in altri scritti: le ” Donne “, evocate, in un’atmosfera da seduta spiritica, grazie alla recita di alcuni versi della Favola del figlio cambiato, e l’Angelo Centuno, che compare, praticamente primo tra i prodigi e preceduto solo dall’animarsi dei “fantocci”, all’interno dell’ “arsenale delle apparizioni”.

Nei Giganti della montagna i riferimenti al sogno, ad esempio, sono molteplici; nella villa, spiega Cotrone, avviene nella veglia ciò che di solito accade nei sogni: entra l’invisibile, vaporano i fantasmi; all’interno dell’ “arsenale delle apparizioni”, Cromo scopre che i corpi dei presenti sono rimasti nelle camere e spiega: “Stiamo sognando! Avete capito? Siamo noi stessi, ma in sogno, fuori del   nostro corpo che dorme di là!”

Secondo la dottrina teosofica, durante il sonno, il corpo astrale si separa spontaneamente da quello fisico ed ha quelle esperienze che si chiamano sogni. Le sensazioni conseguenti ai sogni dipendono dal fatto che ciò che è stato vissuto nella dimensione onirica, benché inconscio, è vero.

In questo sistema sono possibili esperienze come quella vissuta dalla protagonista de La realtà del sogno (1914) che, dopo aver sognato di tradire il marito, sentendosi toccata dall’ ‘amante’ del sogno, è dominata dalle sensazioni provate durante il sonno e si aggrappa istintivamente a lui. Singolare è anche quanto accade all’inquilino protagonista di Effetti d’un sogno interrotto (1936) che a causa di un sogno, appunto, interrotto da una zuffa di gatti, vede un quadro animarsi.

L’indagine all’interno dei Giganti della montagna potrebbe proseguire ancora, per esempio, alla ricerca dei riferimenti alla chiaroveggenza, a quello stato peculiare grazie al quale i bambini credono ai miracoli…

La pur veloce ed essenziale esemplificazione fin qui condotta, è comunque sufficiente per porre in rilievo, da un lato, la costante presenza nella produzione pirandelliana di elementi che fanno riferimento al magico e all’irreale e il reiterarsi di essi in opere anche lontane nel tempo o appartenenti a periodi diversi nell’ambito dell’evoluzione dell’estetica dell’autore siciliano, dall’altro, il loro utilizzo strumentale in scritti che affrontano l’esame e la spiegazione di questioni basilari del mondo e del modo creativo.

Volutamente il rapido excursus qui operato tra i lavori di Pirandello ha inteso segnare un percorso che si snodasse da scritti in cui gli elementi magici sono di natura essenzialmente folklorica   ad opere in cui, insieme al riutilizzo di quei medesimi componenti in un contesto generale diverso, accanto a considerazioni di tipo teorico-estetico, fossero rilevabili suggestioni teosofiche e spiritiche provenienti direttamente dalle discussioni culturali del tempo.

I fantasmi dell’autore siciliano, le presenze che animano la sua arte, non sono ectoplasmi di defunti o spiriti che se la spassano “a picchiar sui tavolini, a suonar campanelli, a grattar chitarre”; non si tratta di considerare se Pirandello abbia o meno creduto nei principi di spiritismo o teosofia ma di constatare che, se il clima culturale del tempo ha sollecitato quella componente esoterica e misteriosofica che risale al sostrato mediterraneo-siciliano e alla preistoria personale dell’Autore, Pirandello stesso ha coniugato queste due componenti facendole diventare sussidi congeniali al confronto con diversi codici narrativi, alla riflessione sui soggetti e sulle tecniche del narrare, sulla genesi e la natura dei personaggi, sulla relazione tra arte e realtà e sul rapporto realtà – finzione.

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