Dal Canale YouTube Caf Aci Catena
Regia di Giovanni Pulvirenti
Dicembre 2015 – Teatro Matrice – Aci Catena
con: Vincenzo Catanzaro, Martina Torrisi, Giovanni Oliveri, Manuela Mazza, Caterina Balsamo, Lorena Amico, Salvo Lombardo
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Sezione Teatro – A’ vilanza
Non tutti sanno che Luigi Pirandello e Nino Martoglio scrissero ben due commedie a quattro mani; e non tutti sanno che in tali opere appare con decisione una Sicilia diversa: vera, bellissima e violenta, metafora di tutto un mondo e portatrice di valori diversi. Una Sicilia il cui tratto più significativo e più precipuo è un certo fatalismo, e una certa ciclicità, quasi da girone dantesco.
E’ il caso di ‘A Vilanza, che col suo carico di simboli (già dal titolo, ma anche i nomi dei personaggi: Anna-Anello, Rachele-madre d’Israele, Ninfa-colei che ammalia e ruba i bambini), rappresenta una folla corsa verso un precipizio, a tutti noto, da tutti paventato, da tutti volentieri evitato, eppure da tutti inesorabilmente raggiunto.
La storia dell’inevitabile fallimento, dell’impossibilità, che nulla permette all’uomo se non l’urlo disperato, la ribellione, la lotta inutile, lucida e convulsa ad un tempo, e l’inevitabile sconfitta, è rappresentata all’interno di una Sicilia che presto diviene simbolo e metafora di un fatalismo atavico, che porta inesorabilmente i personaggi all’alienazione prima, e alla negazione di se stessi dopo.
Così questo testo, dotato di una peculiare ciclicità e ricco di richiami e rimandi non solo intertestuali, ma relativi al corpus drammatico dei due autori siciliani, prende la Sicilia a pretesto e sublimandone i tratti più oleografici la innalza a microcosmo e simbolo dell’universale sconfitta d’ogni individuo condannato a vedersi vivere nella penosa avventura dell’esistenza.
Le ritualità tribali, come le vendette per gelosia, frutto di un immobilismo atavico e determinista, non possono non sfociare in un fatalismo accecante che paralizza il personaggio nel medesimo istante in cui diviene consapevole della differenza fra ciò che è e ciò che avrebbe voluto essere, tra ciò che c’è in luogo di ciò che ci sarebbe dovuto essere.
Insomma Pirandello e Martoglio ci regalano un ritratto di Sicilia storico e meraviglioso; di quella Sicilia che non c’è più e che proprio perciò vale la pena rivedere. I due mettono insieme i tratti salienti propri della Sicilia, quei tratti che furono di tutti i grandi autori siciliani (da Verga a Sciascia a Tomasi di Lampedusa) e che hanno fatto della Trinacria una terra unica, un mito, un simbolo e un’allegoria.
Una Sicilia che deve essere raccontata, proprio perché non c’è più; una Sicilia di cui bisogna farsi custodi e divulgatori…proprio per questa dimensione fantastica propria della nostra isola.
Per raggiungere tale obiettivo, Martoglio e Pirandello hanno esasperato tutti i tratti caratteriali della loro Sicilia, e quindi non solo quelli folclorici, ma anche e soprattutto quelli linguistici; lavorando su un dialetto inquietante e disperato che, come i personaggi, volesse affermare la propria indipendenza ed autonomia dal reale dialetto Siciliano; un siciliano strano questo di ‘A Vilanza, criptico e musicale ad un tempo, tenta costantemente la scalata alla lingua italiana, e non si rassegna alla classificazione di dialetto…, quasi volesse divenire altro da sé.
Neologismi, perifrastiche passive, predicati verbali coniugati al futuro semplice, coesistono e forzano le strutture sintattico-grammaticali del dialetto siciliano, conferendo al parlato di ‘A Vilanza un sapore che subito diventa proiezione e desiderio, urlo, bestemmia e musica: proprio come la voce di chi non sa più come dare importanza alla vita, di chi non sa più come portarle rispetto.
Un pezzo di storia della nostra terra che merita di essere conservato e conosciuto.
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