««« Raccolta “Poesie sparse” (1890/1933)
42. Conversando (2)
Da Nuova Antologia, 16 agosto 1910.
E debbo proprio crederci: non ha
amato mai, neppure
in sogno? Che peccato!
Mai, mai… Cosí non sa
che cosa sia l’amore.
Come? che dice? il Fato?
No, via, le lasci dir soltanto a noi
codeste brutte parolacce oscure.
Ella, cosí bellina…
Bellina, oh questo poi
lo sa! Certo, guardandosi allo specchio,
un birichin, non visto demonietto
gliel’avrà detto – piano, in un orecchio,
ed ella avrà sorriso…
No? Perché tien cosí la testa china
e verso terra il guardo cosí fiso?
Che improvviso rossore!
Piange! Oh guarda!E non sa
che cosa sia l’amore…
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Noto soprattutto per le numerose e caratteristiche novelle, le singolari opere teatrali e gli altrettanto peculiari romanzi, Pirandello, agli albori della sua carriera, fu anche poeta. Un poeta che, nonostante fosse solo agli inizi, lasciava già intravedere chiare tracce non solo del suo inconfondibile stile, ma soprattutto della sua particolare visione del mondo e della natura umana. Nel 1960 vennero per la prima volta pubblicate in un’unica raccolta tutte le opere poetiche dell’autore, accompagnate da testi inediti pazientemente ricercati e recuperati fra i numerosi scritti sparsi. L’amore ed i rapporti fra uomo e donna, tematiche chiave in Pirandello, spesso trasfigurate da ambientazioni irreali e mitiche, mostrano già quelle lacerazioni e contraddizioni che col tempo diventeranno segni distintivi dell’intera opera pirandelliana. Basti pensare al titolo della prima raccolta poetica dell’autore, Mal giocondo, ossimoro che, dietro l’apparente scherzo nell’accostare due termini così dissimili, quasi a volersi burlare del lettore, anticipa le antinomie e incoerenze che saranno parte integrante delle successive opere teatrali e dei romanzi.
Amore e odio, quindi, ma anche beltà e tristezza, giovinezza e vecchiaia, ricchezza e povertà: sentimenti forti e contrastanti, che sembrano prendere vita ed uscire dai versi con irruenza, per rispecchiarsi in ogni animo umano.
Ma vi traspare anche la sfiducia tipicamente pirandelliana nei confronti della società e della classe dirigente, soprattutto nel delicato momento storico che Pirandello si trova a vivere, subito dopo l’unità d’Italia (1870), e che si riflette nelle efficaci e forti immagini della folla romana, descritta con spietata ironia nei suoi aspetti più negativi, peccaminosi e lascivi.
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