A cena con Pirandello (Con audio lettura)

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Di Wafaa El Beih

Parlare di letteratura con uno scrittore è cosa che può riuscire stucchevole se lo scrittore fa il… letterato; ma parlare con Pirandello, che ha “ucciso” il letterato per far vivere in lui l’artista, è lo stesso che farsi immettere nelle vene un po’ di sangue nuovo, caldo, vivificante.

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A cena con Pirandello

A cena con Pirandello

da Academia.edu

Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza. 

Il 13 dicembre del 1932 Pirandello arrivò ad Alessandria d’Egitto a bordo del piroscafo Gange del Lloyd Triestino, ed era accompagnato dal Commendatore Piero Parini, Direttore Generale degli Italiani all’Estero, e dal giornalista Ettore De Zuani. Le tappe e gli eventi del viaggio breve del grande letterato, Accademico d’Italia, ad Alessandria e al Cairo, furono seguiti da «Il Giornale d’Oriente», il quotidiano italiano che usciva in Egitto con due sottotitoli separati «L’Imparziale» e «Il Messaggero Egiziano», a partire dal 1930, e che prevedeva tra gli articoli di cronaca anche contributi di tipo letterario-culturale, non privi di un certo spirito di mondanità. Nell’albergo alessandrino, Cecil, Atanasio Catraro, il giornalista e lo scrittore triestino, amico e traduttore del poeta greco-egiziano, Konstantinos Kavafis, incontrò Pirandello a cena ed ebbe con lui una libera conversazione sulla letteratura, sulle conferenze e sulla critica. In questo incontro, Pirandello annunciò anche la sua nuova opera, «Adamo ed Eva», che diede il titolo alla relazione rilasciata, il 15 dicembre del 1932, da Catraro stesso riguardo l’incontro, appunto sulla terza pagina del famoso periodico italiano.

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«Cenare, quando si sente un po’ di appetito, in un albergo come il Cecil – ottima cucina e ottimi vini – è uno di quei piaceri che non lasciano indifferente la natura umana; ma cenare con Pirandello significa tramutare un atto più o meno elegantemente gastronomico in una riunione spirituale, senza programmi, senza tesi, libera e interessante; significa sovrapporre al piacere una gioia sottile e delicata. Perciò, trascurando la lista delle vivande e affidando al bravo Mercedi, direttore del servizio di sala, il compito di “farci mangiare”, balziamo leggeri e avidi nella conversazione. Il la è dato dal collega De Zuani, dell’Italia Letteraria, il quale accompagna Pirandello in questo suo purtroppo breve giro in Egitto.

Parlare di letteratura con uno scrittore è cosa che può riuscire stucchevole se lo scrittore fa il… letterato; ma parlare con Pirandello, che ha “ucciso” il letterato per far vivere in lui l’artista, è lo stesso che farsi immettere nelle vene un po’ di sangue nuovo, caldo, vivificante. Da prima egli ascolta, seguendo con l’occhio arguto le spire azzurrognole del fumo, come se dalla sua sigaretta uscisse e prendesse consistenza uno spiritello gaio e fluido e danzante nell’aria; e, dopo le prime scherzose schermaglie, interviene. Ed allora, le parole sbrigliate iniziano una ridda nei giardini del pensiero: e la conversazione diventa una festa. Egli parla con voce discreta, e pur dicendo cose belle, è calmo come se facesse delle care confidenze; e soltanto, tratto tratto, una mano si alza e fa un gesto come se cercasse di rendere palpabile una idea, come se volesse lasciare una impronta di vitalità nell’argilla domata.

Come fare una conferenza

I temi si succedono – non avvertiamo neanche lo scomparire e il sopraggiungere di piatti – nel modo più vario. La possibilità di trarre un romanzo da un’automobile, il senso recondito dell’umorismo – che talvolta si camuffa in bluff grotteschi – il significato delle conferenze, tutto ciò è passato in rassegna e si citano autori, si svelano correnti, si ritrovano influenze e tradizioni.

Interessante, del resto, quanto dice Pirandello sulle conferenze. Il modo di tenerle che tutti hanno, e ch’egli stesso qualche volta deve usare, non gli va. Una conferenza, per lui, dev’essere una cosa viva che crei un ponte ideale fra il conferenziere e l’uditorio. Perciò al monologo, detto ex cathedra, preferisce il dialogo pubblico: preferisce che gli si rivolgano domande cui egli risponda. Così, la conferenza si trasforma in una conversazione varia, poiché verte su più soggetti, ed è animata continuamente dal prezioso elemento “improvviso” che toglie ogni pesantezza e determina un autentico interesse. D’altra parte, simile sistema (chiamiamolo così) è utilissimo al conferenziere stesso, giacché, a traverso le domande e il contradditorio, egli penetra nelle ombre dell’anima degli ascoltatori e degli interlocutori; e ciò serve sempre a rivelare nuove frazioni dell’umanità.

Del resto Pirandello, qualche anno fa, in America, ha usato questo genere con viva soddisfazione del pubblico; ed anche a Barcellona – si dice – ha fatto lo stesso, ma per ragioni speciali.

Don Chisciotte a… Barcellona

Trovandosi in quest’ultima città, l’autore di Fu Mattia Pascal credette di fare cosa grata agli spagnuoli parlando loro di Cervantes e determinando un parallelismo fra l’autore di Don Chisciotte e il nostro Ariosto. Pirandello avrebbe messo in rilievo il significato diverso di Orlando e del Cavaliere della Triste Figura e delle loro avventure, creando appunto i rapporti esistenti – secondo ognuno dei poetici personaggi – rispetto alla realtà e alla leggenda. In questo saggio di comparazione psicologico-letteraria c’era del nuovo e Pirandello era lieto di dare un contributo anche nel campo del poema e del romanzo eroicomico. Ma quale non fu la sua sorpresa nel sentirsi dire da qualcuno, cui aveva esposto il piano della conferenza, che “infatti, Cervantes è un buon autore spagnuolo”… Il velo era squarciato; anche in letteratura e in arte, i catalani erano accanitamente separatisti. E, naturalmente, Pirandello non parlò né di Orlando né di Don Chisciotte e fece una conferenza-dialogo che, del resto, fu coronata dal successo che meritava.

Che cosa è la critica?

Intanto sulla tavola appaiono le frutta ricche di odori sani e di colori. Le sbucciamo automaticamente, ché Pirandello tocca un altro soggetto importantissimo: la critica. Tutto un mondo di pensieri sorge dietro questa parola. Eppure il nostro interlocutore è chiaro, esplicito, sintetico.

Non si tratta di sapere quale sia la funzione della critica: la cosa è più grave: bisogna sapere invece che cosa sia in grado di intendere il critico. Ed ecco impostato il problema dei rapporti che devono intercorrere, se devono intercorrere, fra il creatore e colui che ne diventa il giudice. La cosa è oltremodo delicata. Spesso i critici si soffermano sull’esteriorità, su difetti di simmetria o di forma, e non scendono nel profondo di un’opera: ed in tal caso il critico non farà che una critica esteriore. È difficile, d’altro canto, scendere nel profondo di un’anima, di un cervello, di tutto quel mondo segreto che si agita in un artista e attende il momento di essere espresso. Ogni artista, ha in sé un infinito e per esprimerlo balbetta. Tutti i monumenti dell’arte sono balbettii, divini balbettii: così per Dante, così per Shakespeare. Ma di questo balbettare che può intendere il critico? Che fa per intenderlo? Di quale luce si serve? Quale strada batte? E che dire di un’opera che è lodata da dieci uomini d’ingegno ed è condannata da altri dieci, pure di ingegno? Questo è un tormento per l’artista se egli non riesce a liberarsi da tutte queste contingenze e a vivere per sé, in sé, felice di sentire liberamente e di esprimersi liberamente, senza preoccuparsi dei giudizi che sono sempre vari, antitetici e quasi sempre vani.

Pirandello, mettendo a nudo il suo pensiero, si è presentato nella sua natura d’artista e, in realtà, nessun… critico avrebbe potuto meglio farcelo conoscere.

La nuova opera

Ma tutte le cose che hanno principio devono finire; ed anche la cena volgeva ormai alla conclusione: i caffè ce lo dicevano, rammaricandoci- non per cattivo epicureismo- ma perché sentivamo che Pirandello, da un momento all’altro, avrebbe cessato di parlare.

Un tuffo, dunque, dalla sfera del verbo nella realtà. Ritorniamo ad essere giornalisti e chiediamo al Maestro se egli stia componendo un lavoro nuovo. Pirandello sorride: ci siamo. All’indiscrezione giornalistica – che del resto fa parte della… Storia – ci si risponde con una confidenza.

Pirandello sta lavorando e fra breve terminerà un nuovo romanzo.

Il titolo, Eccellenza?

Adamo ed Eva”.

Con lo sguardo esprimiamo un interrogativo tale che gli ci dà alcun particolari preziosi.

Immaginate voi il mondo che volge alla sua fine. La terra è sommersa. Rimane soltanto, su tanta ruina, un cocuzzolo e sovr’esso due esseri umani si ritrovano, estremi superstiti. A quanto pare, l’uno è inglese, e l’altra spagnuola. Naturalmente, sul solitario cocuzzolo, si ripete l’idillio che già rese celebri Adamo ed Eva; né mancano i figli, ai quali i genitori, che portano sulle spalle il fardello della precedente civiltà, intendono impartire una educazione che da detta civiltà derivi. Qui nasce il conflitto, poiché i figli non sentono bisogno di tale educazione: di ben altro hanno bisogno. C’è tutto da rifare, c’è una vita nuova da impostare. E il romanzo si risolve in modo drammatico…

A questo punto, un garzone interrompe la conversazione ed annunzia alcuni visitatori che chiedono l’onore di essere ricevuti dall’Accademico d’Italia.

La conversazione è stata interrotta: ma non il fascino».

Atanasio Catraro
Il Giornale d’Oriente, 15 dicembre 1932, XI

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