Di Adolfo Lippi.
Abba volle il villino a suo piacere. Lei adorava D’Annunzio, era decadente e capricciosa. Volle una costruzione tondeggiante, una volta dipinta di stelle, stanze luminosissime e senza troppe spezzettature.
Il rifugio segreto al Lido di Pirandello e Marta Abba
Il premio Nobel alloggiava al Royal ma si stancò dei sotterfugi per vedere la bellissima attrice e allora si fecero costruire questa villa a forma di moschea.
Leggi e ascolta. Voce di Giuseppe Tizza.
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C’è molto di dannunziano nel villino in Costa Fiorita a Lido di Camaiore. Dove vissero alcune stagioni estive Luigi Pirandello e l’attrice Marta Abba.
C’è anche molto di oriente, una cupola quasi araba, una volta stellata, stanze che sanno di scena teatrale. Tutta l’intera zona è magica. Vi vissero anche Rosso di San Secondo (altro grande autore di teatro), a due passi da lì Galileo Chini e Lorenzo Viani. Insomma un rifugio per i cultori della bellezza come vita vissuta, bellezza nelle opere di Plinio Nomellini, simbolista e divisionista, che pure a Lido volle il nido.
Viareggio attorno agli anni ‘30 era all’apice. Le celebrità di allora vi facevano scalo e presenza mondana. I terreni costavano oro. Non vi era un metro libero. Sulla Passeggiata trionfavano le architetture di autentici geni del luogo, come Alfredo Belluomini, brillavano, al suono di Giacomo Puccini, le decorazioni del fiorentino Chini (vedi villa Argentina). Cosicché, anche per risparmio, si cominciò a considerare la zona attorno alla Fossa dell’Abate. E vennero, attorno a via del Fortino, le prime lottizzazioni e di Lido di Camaiore si occupò Raffaello Brizzi, sollecitato dal regime fascista, direttore della Reale scuola di architettura di Firenze. Egli voleva distribuire il territorio versiliese in questo modo: al Forte gli intellettuali (e vi erano Carrà, Soffici, Malaparte), a Viareggio la buona società, a Pietrasanta i solitari, a Lido di Camaiore gli uomini d’affari. Ma non andò proprio così. E’ vero che a nord della Fossa vi era la vasta proprietà del gerarca e ministro Rolando Ricci. Ma, a richiamare verso il Lido, più che gli imprenditori (e speculatori) furono gli artisti, in primis Galileo Chini, poi Viani, poi la coppia Pirandello-Abba. Ora gli artisti richiedevano case leggiadre, case di carattere, case di gusto, su terreni a scarso prezzo (ancora per poco). E sorse, il 16 maggio 1929, la cooperativa “Costa Fiorita”, già il nome un programma. Cosa voleva costruire la cooperativa? Volle costruire su un terreno coperto parzialmente di pineta, un “grande villaggio silvano-marino” con strade che si sarebbero chiamate, con animus naturalistico, via degli Ippocastani, via dei Tigli, via delle Rose, via dei Glicini.
Pirandello s’era stancato dell’hotel Royal dove, solitamente, veniva in vacanza. In quegli anni, pur sposato con Antonietta Portolano aveva incontrato a teatro, per far compagnia, la giovanissima attrice Marta Abba (aveva la metà dei suoi anni) e ne era rimasto folgorato. Secondo Leonardo Sciascia, che l’aveva guardata in un film in cui era Teresa Confalonieri, Marta aveva lineamenti duri, era petulante, aveva l’eloquio fastidioso della “musa”. Per Luigi Pirandello, invece, era “di meravigliosa bellezza, occhi verdi, capelli fulvi, ricciuti…”. Così valse la pena lasciar da canto la famiglia e portarsela al mare. Il primo anno avevano scelto il “Royal”. Lui scriveva “l’amica delle mogli” che la Abba avrebbe interpretato da protagonista. Teneva la macchina da scrivere sulle ginocchia . nel giardino antistante l’hotel. Lei invece si scioglieva in acqua corteggiata da cento bagnanti eroticizzati. Poi lei affidava il cagnolino al maestro e lui doveva corrergli dietro attorno al giardino del Royal.
Lì si svolgeva anche il Premio Letterario e Pirandello ne era uno dei giurati. Però circolavano troppe dicerie, troppi pettegolezzi. Allora poiché Pirandello (che produceva le sue compagnie), s’era anche fatto abbastanza ricco, decisero di costruirsi un villino. Scelsero un luogo appartato, delizioso, intimo, un terreno a “villa Fiorita” a Lido e fecero costruire la loro abitazione, che abitarono dal ‘24 agli anni ‘30. Intanto la moglie legittima, Antonietta, era in clinica (ormai perdutamente fuori di testa). Abba volle il villino a suo piacere. Lei adorava D’Annunzio, era decadente e capricciosa. Volle una costruzione tondeggiante, una volta dipinta di stelle, stanze luminosissime e senza troppe spezzettature. E’ quasi un loft a piano terra, dove potevano correre i cani, dove lei e lui si potevano sempre guardare, senza nascondimenti, senza rifugi segreti. Marta Abba ebbe poi una carriera lunghissima. Lasciata da Pirandello (che ritornò in famiglia) andò negli Stati Uniti, a Cleveland e sposò un miliardario. Poi tornò in Versilia negli anni ‘50 ed ebbe a “la Bussola” una serata d’onore. Ancora splendida, ancora sprizzante scintille. La villa passò in proprietà ad un imprenditore fiorentino, un personaggio a metà tra il “bohemien” ed il mercante. Si chiama Giuseppe A. ed è un vero amatore d’arte, amico di pittori e scrittori. Il villino rimasto com’è, è principale soggetto di una serie di squisiti delicati acquarelli di Mario Francesconi con i quali uscirà presto un libro che il maestro toscano dedicherà al soggiorno sognato di Pirandello e Marta Abba, coppia che lasciò un segno “arabizzante” e bizzarro nell’urbanistica della riviera.
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