Il capretto nero – Audio lettura 3

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Legge Giuseppe Tizza
«Dicevano gli antichi che gli Akragantini mangiavano ogni giorno come se dovessero morire il giorno dopo, e costruivano le loro case come se non dovessero morir mai.»

Prime pubblicazioni: Corriere della Sera, 31 dicembre 1913, poi in Un cavallo nella luna, Treves, Milano 1918.

Il capretto nero
Frederick Karl Frieseke (1874 – 1839), Donna con capra. Immagine dal Web.

Il capretto nero

Voce di Giuseppe Tizza

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             Senza dubbio il signor Charles Trockley ha ragione. Sono anzi disposto ad ammettere che il signor Charles Trockley non può aver torto mai, perché la ragione e lui sono una cosa sola. Ogni mossa, ogni sguardo, ogni parola del signor Charles Trockley sono così rigidi e precisi, così ponderati e sicuri, che chiunque, senz’altro, deve riconoscere che non è possibile che il signor Charles Trockley, in qual si voglia caso, per ogni questione che gli sia posta, o incidente che gli occorra, stia dalla parte del torto.

             Io e lui, per portare un esempio, siamo nati lo stesso anno, lo stesso mese e quasi lo stesso giorno; lui, in Inghilterra, io in Sicilia. Oggi, quindici di giugno, egli compie quarantotto anni; quarantotto ne compirò io il giorno ventotto. Bene: quant’anni avremo, lui il quindici, e io il ventotto di giugno dell’anno venturo? Il signor Trockley non si perde; non esita un minuto; con sicura fermezza sostiene che il quindici e il ventotto di giugno dell’anno venturo lui e io avremo un anno di più, vale a dire quarantanove.

             È possibile dar torto al signor Charles Trockley?

             Il tempo non passa ugualmente per tutti. Io potrei avere da un sol giorno, da un’ora sola più danno, che non lui da dieci anni passati nella rigorosa disciplina del suo benessere; potrei vivere, per il deplorevole disordine del mio spirito, durante quest’anno, più d’una intera vita. Il mio corpo, più debole e assai meno curato del suo, si è poi, in questi quarantotto anni, logorato quanto certamente non si logorerà in settanta quello del signor Trockley. Tanto vero ch’egli, pur coi capelli tutti bianchi d’argento, non ha ancora nel volto di gambero cotto la minima ruga, e può ancora tirare di scherma ogni mattina con giovanile agilità.

             Ebbene, che importa? Tutte queste considerazioni, ideali e di fatto, sono per il signor Charles Trockley oziose e lontanissime dalla ragione. La ragione dice al signor Charles Trockley che io e lui, a conti fatti, il quindici e il ventotto di giugno dell’anno venturo avremo un anno di più, vale a dire quarantanove.

             Premesso questo, udite che cosa è accaduto di recente al signor Charles Trockley e provatevi, se vi riesce, a dargli torto.

             Lo scorso aprile, seguendo il solito itinerario tracciato dal Baedeker per un viaggio in Italia, Miss Ethel Holloway, giovanissima e vivacissima figlia di Sir W. H. Holloway, ricchissimo e autorevolissimo Pari d’Inghilterra, capitò in Sicilia, a Girgenti, per visitarvi i maravigliosi avanzi dell’antica città dorica. Allettata dall’incantevole piaggia tutta in quel mese fiorita del bianco fiore dei mandorli al caldo soffio del mare africano, pensò di fermarsi più d’un giorno nel grande Hotel des Temples che sorge fuori dell’erta e misera cittaduzza d’oggi, nell’aperta campagna, in luogo amenissimo.

             Da ventidue anni il signor Charles Trockley è vice-console d’Inghilterra a Girgenti, e da ventidue anni, ogni giorno, sul tramonto, si reca a piedi, col suo passo elastico e misurato, dalla città alta sul colle alle rovine dei Tempii akragantini, aerei e maestosi su l’aspro ciglione che arresta il declivio della collina accanto, la collina akrea, su cui sorse un tempo, fastosa di marmi, l’antica città da Pindaro esaltata come bellissima tra le città mortali.

             Dicevano gli antichi che gli Akragantini mangiavano ogni giorno come se dovessero morire il giorno dopo, e costruivano le loro case come se non dovessero morir mai. Poco ora mangiano, perché grande è la miseria nella città e nelle campagne, e delle case della città antica, dopo tante guerre e sette incendii e altrettanti saccheggi, non resta più traccia. Sorge al posto di esse un bosco di mandorli e d’olivi saraceni, detto perciò il Bosco della Civita. E i chiomati olivi cinerulei s’avanzano in teoria fin sotto alle colonne dei Tempii maestosi e par che preghino pace per quei clivi abbandonati. Sotto il ciglione scorre, quando può, il fiume Akragas che Pindaro glorificò come ricco di greggi. Qualche greggiola di capre, attraversa tuttavia il letto sassoso del fiume: s’inerpica sul ciglione roccioso e viene a stendersi e a rugumare il magro pascolo all’ombra solenne dell’antico tempio della Concordia, integro ancora. Il caprajo, bestiale e sonnolento come un arabo, si sdraja anche lui sui gradini del pronao dirupati e trae qualche suono lamentoso dal suo zufolo di canna.

             Al signor Charles Trockley questa intrusione delle capre nel tempio è sembrata sempre un’orribile profanazione; e innumerevoli volte ne ha fatto formale denunzia ai custodi dei monumenti, senza ottener mai altra risposta che un sorriso di filosofica indulgenza e un’alzata di spalle. Con veri fremiti d’indignazione il signor Charles Trockley di questi sorrisi e di queste alzate di spalle s’è lagnato con me che qualche volta lo accompagno in quella sua quotidiana passeggiata. Avviene spesso che, o nel tempio della Concordia, o in quello più su di Hera Lacinia, o nell’altro detto volgarmente dei Giganti, il signor Trockley s’imbatta in comitive di suoi compatriotti, venute a visitare le rovine. E a tutti egli fa notare, con quell’indignazione che il tempo e l’abitudine non hanno ancora per nulla placato o affievolito, la profanazione di quelle capre sdrajate e rugumanti all’ombra delle colonne. Ma non tutti gl’inglesi visitatori, per dir la verità, condividono l’indignazione del signor Trockley. A molti anzi sembra non privo d’una certa poesia il riposo di quelle capre nei Tempii, rimasti come sono ormai solitari in mezzo al grande e smemorato abbandono della campagna. Più d’uno, con molto scandalo del signor Trockley, di quella vista si mostra anzi lietissimo e ammirato.

             Più di tutti lieta e ammirata se ne mostrò, lo scorso aprile, la giovanissima e vivacissima Miss Ethel Holloway. Anzi, mentre l’indignato vice-console stava a darle alcune preziose notizie archeologiche, di cui né il Baedeker né altra guida hanno ancor fatto tesoro, Miss Ethel Holloway commise l’indelicatezza di voltargli le spalle improvvisamente per correr dietro a un grazioso capretto nero, nato da pochi giorni, che tra le capre sdrajate springava qua e là come se per aria attorno gli danzassero tanti moscerini di luce, e poi di quei suoi salti arditi e scomposti pareva restasse lui stesso sbigottito, che ancora ogni lieve rumore, ogni alito d’aria, ogni piccola ombra, nello spettacolo per lui tuttora incerto della vita, lo facevano rabbrividire e fremer tutto di timidità.

             Quel giorno, io ero col signor Trockley, e se molto mi compiacqui della gioja di quella piccola Miss, così di subito innamorata del capretto nero, da volerlo a ogni costo comperare; molto anche mi dolsi di quanto toccò a soffrire al povero signor Charles Trockley.

             –    Comperare il capretto?

             –    Sì, sì! comperare subito! subito!

             E fremeva tutta anche lei, la piccola Miss, come quella cara bestiolina nera; forse non supponendo neppur lontanamente che non avrebbe potuto fare un dispetto maggiore al signor Trockley, che quelle bestie odia da tanto tempo ferocemente.

             Invano il signor Trockley si provò a sconsigliarla, a farle considerare tutti gl’impicci che le sarebbero venuti da quella compera: dovette cedere alla fine e, per rispetto al padre di lei, accostarsi al selvaggio caprajo per trattar l’acquisto del capretto nero.

             Miss Ethel Holloway, sborsato il denaro della compera, disse al signor Trockley che avrebbe affidato il suo capretto al direttore dell’Hotel des Temples, e che poi, appena ritornata a Londra, avrebbe telegrafato perché la cara bestiolina, pagate tutte le spese, le fosse al più presto recapitata; e se ne tornò in carrozza all’albergo, col capretto belante e guizzante tra le braccia.

             Vidi, incontro al sole che tramontava fra un mirabile frastaglio di nuvole fantastiche, tutte accese sul mare che ne splendeva sotto come uno smisurato specchio d’oro, vidi nella carrozza nera quella bionda giovinetta gracile e fervida allontanarsi infusa nel nembo di luce sfolgorante; e quasi mi parve un sogno. Poi compresi che, avendo potuto, pur tanto lontana dalla sua patria, dagli aspetti e dagli affetti consueti della sua vita, concepir subito un desiderio così vivo, un così vivo affetto per un piccolo capretto nero, ella non doveva avere neppure un briciolo di quella solida ragione, che con tanta gravità governa gli atti, i pensieri, i passi e le parole del signor Charles Trockley.

             E che cosa aveva allora al posto della ragione la piccola Miss Ethel Holloway?

             Nient’altro che la stupidaggine, sostiene il signor Charles Trockley con un furore a stento contenuto, che quasi quasi fa pena, in un uomo come lui, sempre così compassato.

             La ragione del furore è nei fatti che son seguiti alla compera di quel capretto nero.

             Miss Ethel Holloway partì il giorno dopo da Girgenti. Dalla Sicilia doveva passare in Grecia, dalla Grecia, in Egitto; dall’Egitto nelle Indie.

             È miracolo che, arrivata sana e salva a Londra su la fine di novembre, dopo circa otto mesi e dopo tante avventure che certamente le saranno occorse in un così lungo viaggio, si sia ancora ricordata del capretto nero comperato un giorno lontano tra le rovine dei Tempii akragantini in Sicilia.

             Appena arrivata, secondo il convenuto, scrisse per riaverlo al signor Charles Trockley.

             L’Hotel des Temples si chiude ogni anno alla metà di giugno per riaprirsi ai primi di novembre. Il direttore, a cui Miss Ethel Holloway aveva affidato il capretto, alla metà di giugno, partendo, lo aveva a sua volta affidato al custode dell’albergo, ma senz’alcuna raccomandazione, mostrandosi anzi seccato più d’un po’ del fastidio che gli aveva dato e seguitava a dargli quella bestiola. Il custode aspettò di giorno in giorno che il viceconsole signor Trockley, per come il direttore gli aveva detto, venisse a prendersi il capretto per spedirlo in Inghilterra, poi, non vedendo comparir nessuno, pensò bene, per liberarsene, di darlo in consegna a quello stesso caprajo che lo aveva venduto alla Miss, promettendoglielo in dono se questa, come pareva, non si fosse più curata di riaverlo, o un compenso per la custodia e la pastura, nel caso che il vice-console fosse venuto a chiederlo.

             Quando, dopo circa otto mesi, arrivò da Londra la lettera di Miss Ethel Holloway, tanto il direttore dell’Hotel des Temples, quanto il custode, quanto il caprajo si trovarono in un mare di confusione; il primo per aver affidato il capretto al custode; il custode per averlo affidato al caprajo, e questi per averlo a sua volta dato in consegna a un altro caprajo con le stesse promesse fatte a lui dal custode. Di questo secondo caprajo non s’avevano più notizie. Le ricerche durarono più d’un mese. Alla fine, un bel giorno, il signor Charles Trockley si vide presentare nella sede del vice-consolato in Girgenti un orribile bestione cornuto, fetido, dal vello stinto rossigno strappato e tutto incrostato di sterco e di mota, il quale, con rochi, profondi e tremuli belati, a testa bassa, minacciosamente, pareva domandasse che cosa si volesse da lui, ridotto per necessità di cose in quello stato, in un luogo così strano dalle sue consuetudini.

             Ebbene, il signor Charles Trockley, secondo il solito suo, non si sgomentò minimamente a una tale apparizione; non tentennò un momento: fece il conto del tempo trascorso, dai primi d’aprile agli ultimi di dicembre, e concluse che, ragionevolmente, il grazioso capretto nero d’allora poteva esser benissimo quest’immondo bestione d’adesso. E senza neppure un’ombra d’esitazione rispose alla Miss, che subito gliel’avrebbe mandato da Porto Empedocle col primo vapore mercantile inglese di ritorno in Inghilterra. Appese al collo di quell’orribile bestia un cartellino con l’indirizzo di Miss Ethel Holloway e ordinò che fosse trasportata alla marina. Qui, lui stesso, mettendo a grave repentaglio la sua dignità, si tirò dietro con una fune la bestia restia per la banchina del molo, seguito da una frotta di monellacci; la imbarcò sul vapore in partenza, e se ne ritornò a Girgenti, sicurissimo d’aver adempiuto scrupolosamente all’impegno che s’era assunto, non tanto per la deplorevole leggerezza di Miss Ethel Holloway, quanto per il rispetto dovuto al padre di lei.

             Jeri, il signor Charles Trockley è venuto a trovarmi in casa in tali condizioni d’animo e di corpo, che subito, costernatissimo, io mi son lanciato a sorreggerlo, a farlo sedere, a fargli recare un bicchier d’acqua.

             – Per amor di Dio, signor Trockley, che vi è accaduto?

             Non potendo ancora parlare, il signor Trockley ha tratto di tasca una lettera e me l’ha porta.

             Era di Sir H. W. Holloway, Pari d’Inghilterra, e conteneva una filza di gagliarde insolenze al signor Trockley per l’affronto che questi aveva osato fare alla figliuola Miss Ethel, mandandole quella bestia immonda e spaventosa.

             Questo, in ringraziamento di tutti i disturbi, che il povero signor Trockley s’è presi.

             Ma che si aspettava dunque quella stupidissima Miss Ethel Holloway? Si aspettava che, a circa undici mesi dalla compera, le arrivasse a Londra quello stesso capretto nero che springava piccolo e lucido, tutto fremente di timidezza tra le colonne dell’antico Tempio greco in Sicilia? Possibile? Il signor Charles Trockley non se ne può dar pace.

             Nel vedermelo davanti in quello stato, io ho preso a confortarlo del mio meglio, riconoscendo con lui che veramente quella Miss Ethel Holloway dev’essere una creatura, non solo capricciosissima, ma oltre ogni dire irragionevole.

             –    Stupida! stupida! stupida!

             –    Diciamo meglio irragionevole, caro signor Trockley, amico mio. Ma vedete, – (mi son permesso d’aggiungere timidamente) – ella, andata via lo scorso aprile con negli occhi e nell’anima l’immagine graziosa di quel capretto nero, non poteva, siamo giusti, far buon viso (così irragionevole com’è evidentemente) alla ragione che voi, signor Trockley, le avete posta davanti all’improvviso con quel caprone mostruoso che le avete mandato.

             –    Ma dunque? – mi ha domandato, rizzandosi e guardandomi con occhio nemico, il signor Trockley. – Che avrei dovuto fare, dunque, secondo voi?

             –    Non vorrei, signor Trockley, – mi sono affrettato a rispondergli imbarazzato, – non vorrei sembrarvi anch’io irragionevole come la piccola Miss del vostro paese lontano, ma al posto vostro, signor Trockley, sapete che avrei fatto io? O avrei risposto a Miss Ethel Holloway che il grazioso capretto nero era morto per il desiderio de’ suoi baci e delle sue carezze; o avrei comperato un altro capretto nero, piccolo piccolo e lucido, simile in tutto a quello da lei comperato lo scorso aprile e gliePavrei mandato, sicurissimo che Miss Ethel Holloway non avrebbe affatto pensato che il suo capretto non poteva per undici mesi essersi conservato così tal quale. Seguito con ciò, come vedete, a riconoscere che Miss Ethel Holloway è la creatura più irragionevole di questo mondo e che la ragione sta intera e tutta dalla parte vostra, come sempre, caro signor Trockley, amico mio.

Il capretto nero – Audio lettura 1 – Legge Valter Zanardi
Il capretto nero – Audio lettura 2 – Legge Gaetano Marino
Il capretto nero – Audio lettura 3 – Legge Giuseppe Tizza

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