Tutto per bene – Personaggi, Atto primo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Todo sea para bien

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Tutto per bene - Atto I
Ginella Bertacchi, Giulio Bosetti, Tutto per bene, 1982. Immagine dal Web. 

Personaggi

Martino Lori, consigliere di Stato
Il senatore Salvo Manfroni
Palma Lori
Il marchese Flavio Gualdi
La Barbetti, vedova Agliani, vedova Clarino
Carlo Clarino, suo figlio
La signorina Cei
Il conte Veniero Bongiani
Giovanni, cameriere di casa Gualdi
Un vecchio cameriere del Manfroni

A Roma. Oggi

1920
Tutto per bene
Atto Primo

        Salotto di passaggio, in casa Lori, tra la sala di ricevimento e la camera di Palma. Arredo signorile, ma non dovizioso. Usci laterali a destra e a sinistra: quello a sinistra dà nella sala di ricevimento; quello a destra, nella camera di Palma. Nella parete di fondo, verso destra, si apre un altro uscio, che dà su un corridojo. È il giorno delle nozze di Palma, e anche qui nella saletta son ricchi mazzi e ceste di fiori.

        Al levarsi del sipario la scena è vuota. Poco dopo, dall’uscio a sinistra entra, col cappello in capo, la Barbetti seguita dal figlio Carlo Clarino. La Barbetti ha sessantatre anni, ma è tutta tinta e goffamente parata, come una ricca provinciale. È imperiosa e sguajata, in fondo però non antipatica. Il figlio Carletto, sui trent’anni, veste all’ultima moda, con un’aria affettata di stanco vizioso, annojato di tutto, trascinato dalla madre ricca e bisbetica a far quello che non vorrebbe.

        Entrano in iscena, come in cerca di qualcuno; la madre con una certa risolu­tezza; il figlio titubante.

        LA BARBETTI (dalla soglia): Permesso? Non c’è nessuno? Vieni, vieni, Carletto.

        CARLETTO (col tono di chi avverte che può finir male): Mammà, prudenza!

        LA BARBETTI: Non mi seccare! Ci hanno piantato lì in salotto come due piuoli…

        CARLETTO: Ma introdurci così…

        LA BARBETTI: Bisogna ch’io sappia; che parli con qualcuno… (Si guarda at­torno.) Ma non c’è un campanello in questa stanza?

        CARLETTO (rassegnato, sospirando): Vogliamo fare per forza una pessima fi­gura, facciamola!

        LA BARBETTI (picchiando all’uscio a destra): Permesso?… (Attende un po’ e ri­picchia.) Permesso? (Nuova attesa; si prova ad aprir l’uscio e guarda den­tro.) Neanche qua, nessuno… (Al figlio, irata:) Perché una pessima figura, imbecille? Porto in regalo una «broche» di tremila e settecento lire! (Torna a guardarsi intorno.) Vorrei sapere dov’è andato a ficcarsi quell’idiota di ca­meriere! (Si fa all’altro uscio infondo e chiama:) Cameriere!… Cameriere!

        CARLETTO (dopo una pausa): Sarà andato in chiesa anche lui con tutta la ser­vitù per assistere allo sposalizio.

        LA BARBETTI: E lasciano la casa sola?

        CARLETTO (col tono di prima): Forse è una fortuna, mammà! Svigniamocela! Siamo ancora in tempo!

        LA BARBETTI: Tu starai qua con me, perché voglio così! Ti costringerò io a im­parare a vivere tra la gente per bene!

        CARLETTO: Figuriamoci che allegria!

        LA BARBETTI: Ah, tu hai finito di scialacquarti i miei denari, te lo dico io!

        CARLETTO: Mammà! Ma Dio mio!

        LA BARBETTI: D’ora in poi, vedrai!

        CARLETTO: Perché speri davvero che ci faranno una buona accoglienza?

        LA BARBETTI: No, comunque! comunque! Son venuta via da Perugia per questo. Ti metterai qua sulla buona strada, e con l’ajuto di tuo cognato…

        CARLETTO (con uno scatto): Ma che cognato, per carità! Non dire cognato, mammà, in nome di Dio! Mi fai sudar freddo!

        LA BARBETTI: Ma sì, che è tuo cognato! Che storie!

        CARLETTO: Mammà, non dire cognato, sai, o io me ne scappo!

        LA BARBETTI: Come vuoi che dica?

        CARLETTO: Non voglio esser preso per le spalle e cacciato via con un calcio da nessuno, io!

        LA BARBETTI (risoluta, ponendoglisi davanti): Scusa, sei figlio mio?

        CARLETTO: Ma lascia andare, mammà!

        LA BARBETTI: Non sei figlio mio?

        CARLETTO: Ti dico di lasciare andare, mammà! Sai bene che non si tratta di te!

        LA BARBETTI (adirandosi fieramente): Che credi di dire, imbecille?

        CARLETTO: Vuoi litigare qua, scusa?

        LA BARBETTI: No! Tu devi parlare con rispetto!

        CARLETTO: Ma io ti parlo con rispetto, mammà! E perché vorrei che tutti ti par­lassero con rispetto, torno a ripeterti: andiamocene!

        LA BARBETTI: No, no e no! Sei un povero di spirito, ecco quello che sei! Uno sciocco! Perché son tutte fisime! Se con tuo padre – posso ammettere – ci fu in prima qualche irregolarità, poi ci sposammo.

        CARLETTO: Va bene: poi.

        LA BARBETTI: O prima o poi, diventasti anche tu legittimo, tale e quale come fu la buon’anima di Silvia. Sorellastra, sì, sorellastra, va bene. Ma ciò non toglie che questo signor Martino Lori, marito della povera Silvia e perciò mio ge­nero, non debba considerar te – almeno in qualche modo – come suo cognato. Mi par chiaro!

        CARLETTO: Già! Bello! Abolendo il prima!

        LA BARBETTI: Che vuol dire abolendo?

        CARLETTO: Ma sì! Tu abolisci il prima, mammà! Quella irregolarità di prima.

        LA BARBETTI: Fisime! Chi vuoi che ci pensi più? Il mio primo marito è morto da vent’anni.

        CARLETTO: E io, che non sono suo figlio, ne ho trentadue, mammà! È una grave irregolarità questa, a danno del tuo primo marito. Talmente grave che, t’assicuro, non avresti avuto il coraggio di presentarti qua, con tua figlia Sil­via ancora viva!

        LA BARBETTI: È morta, sì o no? E sono, sì o no, sedici anni che è morta? Sedici, ohe, non sono un giorno!… Ora c’è qua la figlia di mia figlia che sposa, e io me le presento con un bel regalo per le sue nozze.

        CARLETTO: Ah, va bene! Così. Come nonna. Presentati come nonna! Nonna sei; nessuno può metterlo in dubbio. Silvia era tua figlia; questa è la figlia di Sil­via; dunque c’è poco da dire: tu sei la nonna. Non immischiarci gli uomini, mammà, la cui parentela, neanche tra padre e figlio, santo Dio, può esser si­cura; figurati poi tra cognati !

        Dall’uscio di fondo, attirata dal rumore delle voci, si presenta la signorina Cei. Bionda, magra, alta, sulla trentina, veste, per l’occasione, con sobria eleganza. Usa a nascondere tutta la sua intima vita sotto una composta ap­parenza, parla e guarda attenta, e dimostra in tutti i modi una finezza natu­ralmente signorile.

        SIGNORINA CEI: Chi è qua?

        LA BARBETTI (voltandosi alla voce): Ah, ecco… Abbiamo chiesto…

        SIGNORINA CEI: Ma chi è lei, scusi?

        LA BARBETTI: Sono la nonna della sposa; e questi lo zio. (Indica il figlio, che fa un gesto di stizza. )

        SIGNORINA CEI (notandolo e restando perplessa): Ah… la nonna?

        LA BARBETTI (come a farlo apposta): È lo zio. Veniamo da Perugia.

        SIGNORINA CEI: Ma la signora non era attesa, che io sappia…

        LA BARBETTI: No no: arriviamo di sorpresa.

        SIGNORINA CEI (all’una e all’altro): Prego… prego: si accomodino.

        LA BARBETTI (sedendo): Grazie. E lei, scusi… sarebbe?

        SIGNORINA CEI: Sono… – come vuol dire? – sono qua per tener compagnia alla signorina.

        LA BARBETTI: Ah, la dama di compagnia?

        SIGNORINA CEI: Se vuole… Ma sono piuttosto un’amica di Palma.

        LA BARBETTI: Ah bene, bene… di Palma. (Ripete il nome, come uno che lo ap­prenda per la prima volta.)

        SIGNORINA CEI: Mi dispiace che la signorina non mi abbia avvertita…

        LA BARBETTI: Niente. Non si dia pena. Dev’essere una sorpresa.

        SIGNORINA CEI: Già… ma, proprio sul punto…

        CARLETTO (che si è agitato alla battuta precedente della madre): Ecco! dicevo appunto questo a mia madre…

        LA BARBETTI: Tu stai zitto lì! (Alla signorina Cei:) C’è stato uno sbaglio, veda. Credevamo, per nostre informazioni, che il matrimonio dovesse celebrarsi domattina. Volevamo arrivare alla vigilia.

        SIGNORINA CEI: Ma è stato celebrato jeri, veramente…

        LA BARBETTI: Ah, come! Jeri?

        SIGNORINA CEI: Il matrimonio civile, sì, signora. Stamattina, la cerimonia reli­giosa.

        LA BARBETTI: Ah, jeri il civile, e ora il religioso?… Guarda!

        SIGNORINA CEI: Credo che a momenti saranno di ritorno!

        LA BARBETTI: Un gran corteo, m’immagino! Un gran festino!

        SIGNORINA CEI: No, signora. Niente…

        LA BARBETTI: Come, niente? La sala, di là, (indica a sinistra) tutta piena di fiori! (Si guarda attorno.) Anche qua!

        SIGNORINA CEI: Sì, ma nessuna pompa. Ieri sì, ricevimento, pranzo; proprio però nell’intimità…

        CARLETTO: Ma sì, come usa adesso! In abito da viaggio…

        SIGNORINA CEI: No, signore. Per questo, pochi amici, intimi; ma la sposa, come di rito, stamattina, in bianco e col suo velo e i suoi fiori d’arancio. La vedrà: una bellezza!

        LA BARBETTI: Me l’immagino! Un amore! Ma, Dio mio, dico… sposando un marchese…

        SIGNORINA CEI: Già, ma… forse per questo, veda… La signora Marchesa madre…

        LA BARBETTI: Non avrebbe voluto questo matrimonio?

        SIGNORINA CEI: No no, signora! Anzi! Vedesse che regali ha mandato! Ma… ecco… la salute un po’ malferma…

        CARLETTO (da uomo dì mondo): Comprendiamo, comprendiamo…

        SIGNORINA CEI: Riceverà con grande festa la sposa nel suo palazzo al ritorno dal viaggio di nozze.

        LA BARBETTI: Cosicché, ora, qua…

        SIGNORINA CEI: Oh, tutto finito, ormai. Si fermeranno un po’, credo, per dar tempo alla sposa di rivestirsi per il viaggio. Vi saranno i testimoni, qualche amico del signor Marchese e del signor Senatore,

        LA BARBETTI: Mio genero? (A Carletto:) Ah senti! Lo hanno fatto anche sena­tore!

        SIGNORINA CEI (sorridendo impercettibilmente): No, signora. Dico del senator Manfroni.

        LA BARBETTI: Ah, non è mio genero? E chi è questo Manfroni?

        CARLETTO: Ma Salvo Manfroni, mammà!, che fu nostro deputato, e poi anche Ministro…

        LA BARBETTI: Ah, lui? E come c’entra lui qua?

        CARLETTO: Come c’entra! È quello che ha portato su tuo genero fino al Consi­glio di Stato!

        LA BARBETTI: Ah, sì?

        CARLETTO: Quando fu Ministro lo prese come capogabinetto; non ti ricordi che te lo dissi a Perugia?

        SIGNORINA CEI: E anch’io sono qua per il signor Senatore…

        CARLETTO: Fu scolaro del tuo primo marito.

        LA BARBETTI: Già, già! sì! Ora ricordo… Del mio primo marito!

        SIGNORINA CEI: Il nonno della signorina?

        LA BARBETTI: Un professore, sa, il mio primo marito!

        SIGNORINA CEI (con meraviglia mal dissimulata): Ah, come… la signora… la moglie di Bernardo Agliani?

        LA BARBETTI: Io, io, sì!

        SIGNORINA CEI: Un’illustrazione della scienza!

        LA BARBETTI: Glie n’ha parlato la mia nipotina?

        SIGNORINA CEI: Oh, ma ne parlano tutti i libri di scuola, signora…

        LA BARBETTI: E morì disgraziato, sa? nel suo… (A Carletto:) come si chiama?

        CARLETTO: Laboratorio, mammà!

        LA BARBETTI: Laboratorio di… di…

        CARLETTO: Di fisica, mammà!

        LA BARBETTI: Di fisica, già… Fulminato! Ne parlarono tutti i giornali.

        SIGNORINA CEI: Eh, lo so bene signora…

        LA BARBETTI: Una disgrazia! E mi pentii tanto io, creda, quando avvenne, di non aver avuto pazienza con lui fino all’ultimo. Dotto! Studiava sempre! Stampava sempre! tanti libri!

        CARLETTO: Ma sì, mammà! Non vedi che la signorina lo sa? E ne sa qualche cosa anche Salvo Manfroni, mi pare, che ne stampò l’ultimo, postumo…

        LA BARBETTI: Già! Un’opera… come si dice?

        CARLETTO: Postuma, postuma, mammà!

        LA BARBETTI: No! Dico un’opera che questo Manfroni si prese, perché mio ma­rito l’aveva lasciata… come si dice?

        CARLETTO: Ah, inedita!

        LA BARBETTI: Come?

        CARLETTO: Inedita, mammà!

        LA BARBETTI: Ecco… così… Se la prese, e diventò celebre: senatore!

        CARLETTO: Ma non dire così, che se la prese. Pare che l’abbia rubata! Erano tracce, appunti di un’opera nuova…

        SIGNORINA CEI: Salvo Manfroni la riprese, la sviluppò, la compì…

        CARLETTO: E n’ebbe grandissimi onori!

        SIGNORINA CEI: Meritati, io credo. Senza detrarre nulla alla fama del suo mae­stro.

        LA BARBETTI: A Perugia, non lo credono! Ah, non lo credono! E sono capace di dirglielo io, sa!

        CARLETTO: Ma no, mammà!

        SIGNORINA CEI: Pare, del resto, che sia stata una fortuna, questa, per la signorina; a quanto ho sentito dire.

        LA BARBETTI: Che cosa, una fortuna?

        SIGNORINA CEI: Ma che il senator Manfroni abbia trovato in casa del signor Lori queste carte inedite del suo maestro-.

        LA BARBETTI: Per lui, una fortuna!

        SIGNORINA CEI: Sì, forse; ma anche per la signorina, bambina allora di pochi anni. Costretto a lavorar qui, perché pare che la signora morta fosse tanto ge­losa di queste carte del padre, le si affezionò fin d’allora; e quando poi la si­gnora morì, prese lui a proteggerla, povera orfanella. Rimasto scapolo, ricco, se l’è cresciuta quasi come una figliuola; le ha trovato ora questo ricco par­tito…

        LA BARBETTI: E va bene! S’è sdebitato di quel che prese al nonno! Qualche fa­vore avrà fatto anche a mio genero…

        SIGNORINA CEI: Ah, per il commendatore, l’abbiamo tutti veduto, proprio come un fratello!

        LA BARBETTI: E lui, lui, dica, mio genero: com’è?

        SIGNORINA CEI: Mah! La signora lo saprà…

        LA BARBETTI: Ah no, veda… Mia figlia è morta da tanti anni… S’era data all’in­segnamento. Venuta qua a Roma, dopo la morte del padre, conobbe questo Lori, ch’era allora al Ministero, e lo sposò senza neanche dirmene nulla… Sì… perché, la povera Silvia, vittima anche lei, non creda, della troppa scienza di quel benedett’uomo, ebbe sempre però una vera adorazione per lui, e guai a toccarglielo! Ora, capirà… una figlia può anche compatire; ma una moglie si stanca; e io – glielo dico chiaro – mi stancai. Separata dal padre, non ebbi più rapporti con mia figlia. Dopo sette anni di matrimonio ella morì. Cosicché io, mio genero, non lo conosco.

        SIGNORINA CEI: Ah, come! Non lo ha mai veduto?

        LA BARBETTI: Mai!

        SIGNORINA CEI: E neanche la signorina, dunque?

        LA BARBETTI: No, neanche!

        SIGNORINA CEI: Oh, ma allora…

        CARLETTO: Il momento di presentarci non è scelto bene, è vero? Ho fatto notare anche questo a mammà…

        SIGNORINA CEI: È che… capiranno…

        CARLETTO: Nel trambusto, lei vuol dire, signorina?

        SIGNORINA CEI: Già… E poi…

        CARLETTO: L’imbarazzo d’una spiegazione…

        LA BARBETTI: Ma nient’affatto! Ma che imbarazzo! Che spiegazione! La nonna che viene a portare il regalo di nozze alla sua nipotina! Sarebbe stato meglio, certo, arrivare alla vigilia. Ma dopo tutto, che vuoi che importi a lei la spie­gazione di cose passate da tanto tempo; e anche a lui, a mio genero, vedovo da sedici anni, che vuoi che gl’importi di suo suocero che non ha conosciuto, dei rancori di sua moglie… Non ci penserà più neanche, alla moglie!

        SIGNORINA CEI: Ah no, signora, s’inganna!

        LA BARBETTI: Ci pensa ancora?

        SIGNORINA CEI: E come! Creda… per una donna… non so, è una cosa… una cosa che fa quasi dispetto, ecco. Dispetto non per lui, ma per noi stesse, signora, per la poca stima che abbiamo di noi. Vedere un uomo così perduto, quasi svanito ancora, dopo tanti anni, per la morte della sua compagna…

        LA BARBETTI: Ah, sì? Come sarebbe, svanito?

        SIGNORINA CEI: Ha certi occhi… non so! Vedesse come guarda! come ascolta! Come se le cose, i rumori, le voci stesse a lui più note, quella della figlia, del­l’amico, avessero un aspetto, un suono, ch’egli non riuscisse più ad avvertire. Come se la vita tutt’intorno, gli si fosse… non so, quasi diradata… Sarà forse per l’abitudine che ha preso…

        LA BARBETTI (accompagnando l’interrogazione col gesto): Beve?

        SIGNORINA CEI (con orrore, sorridendo): No, signora! Che dice! (Poi triste:) L’abitudine d’andar là ogni giorno…

        LA BARBETTI: Al camposanto?

        SIGNORINA CEI: Tutti i giorni, con qualunque tempo! E ritorna così, come se guardasse tutto da lontano.

        CARLETTO (alzandosi, dopo una pausa): Io credo, mammà, che sarebbe meglio rimandare a un altro giorno la nostra presentazione.

        LA BARBETTI: Sta’ seduto! Lasciami sentire… (Alla signorina Cei, risolutamente, come una a cui non sia facile darla a bere:) Scusi, che età ha?

        SIGNORINA CEI: Mah… quarantacinque, quarantasei anni…

        LA BARBETTI: Meno sedici, quanto fanno?

        SIGNORINA CEI: Che vuol dire?

        LA BARBETTI: Quarantasei, meno sedici?

        SIGNORINA CEI: Eh… trenta…

        LA BARBETTI: Trenta, signorina! A chi vuol darla a intendere il signor Lori, ri­masto vedovo a trent’anni, con quest’andare ogni giorno alla tomba della moglie? Signorina mia! Siamo di carne, anche!

        SIGNORINA CEI: Lei suppone?

        LA BARBETTI: Ma ci vuol poco, scusi, a supporlo!

        SIGNORINA CEI: Ebbene, creda che non lo dirà più, appena l’avrà veduto. E poi, si saprebbe… Entra dall’uscio infondo il cameriere in livrea per annunziare in gran fretta:

        CAMERIERE: Ecco, signorina: arrivano, arrivano… (E via di nuovo per l’uscio in fondo. )

        SIGNORINA CEI (alzandosi): Eccoli qua. Mi permettano. O vogliono favorire in sala?

        CARLETTO (c.s.): No no, per carità!

        LA BARBETTI: Aspettiamo qua… sarà meglio.

        SIGNORINA CEI: Come vogliono.

        CARLETTO: Dica la nonna, per favore! La nonna, e basta! (La signorina Cei, via per l’uscio di sinistra.)

        LA BARBETTI: Ti raccomandi bene, imbecille! Meno male che ci sono qua io!

        CARLETTO: Scusa: poni che ti trattino male: che devo fare io?

        LA BARBETTI: Ma tu non farai niente!

        CARLETTO: Lascerò insultare mia madre?

        LA BARBETTI: Chi vuoi che m’insulti? Perché mi si deve insultare? Entra, turbato e concitato, dall’uscio di sinistra Martino Lori. E quasi tutto bianco, benché ancora sotto i cinquant’anni. Curatissimo nelle vesti. Fisionomia viva, segnatamente negli occhi, mobile, visibilmente sospesa ai conti­nui avvertimenti d’una mutevole, acutissima sensibilità, che subito però svanisce, quasi smemorata d’improvviso, lasciando senza difesa lo spirito, che si appalesa allora triste, remissivo e sopra tutto credulo.

        LORI: No no, mi scusi, signora. Non so come lei possa aver l’ardire di presen­tarsi in casa mia!

        LA BARBETTI: Parlo con mio genero?

        LORI: Ma no! Che genero! La prego! Io non sono mai stato suo genero!

        LA BARBETTI: Il commendator Lori?

        LORI: Ma sì! Sono io.

        LA BARBETTI: Se sposaste mia figlia…

        LORI: Ma appunto per questo, signora! Possibile che lei non senta che è un’of­fesa – un’offesa per me intollerabile – alla memoria di sua figlia, la sua pre­senza in questa casa?

        LA BARBETTI: Oh Dio mio, ho creduto che finite da tanti anni le ragioni…

        LORI: Ma no, signora! Quand’io sposai sua figlia, del resto, lei aveva cessato da un pezzo d’esser la moglie di Bernardo Agliani!

        LA BARBETTI: Già, ma non la madre di lei!

        LORI: Eh via! Che madre! Lei sa bene che Silvia non aveva più voluto da al­lora considerarla come madre, e con ragione!

        CARLETTO: Oh, senta, io la prego…

        LORI: Chi è lei?

        LA BARBETTI (subito a riparo del figlio): Questo è mio figlio… (A Carletto:) Lascia, lascia che parli io!

        CARLETTO: No, aspetta! dirò io a questo signore, che per mio conto – io – non volevo venire, e non sarei venuto…

        LORI: E avreste fatto bene!

        CARLETTO: No bene, benissimo! E l’ho detto io stesso a mia madre. Ma ciò non toglie…

        LA BARBETTI (subito, interrompendo e intromettendosi): Che voi dobbiate par­lare a me così…

        CARLETTO (c.s. a sua volta): – senza neanche saper che cosa…

        LA BARBETTI (c.s.): – già! che cosa io sia venuta a far qui per mia nipote!

        LORI (lottando per non smarrirsi): Io non credo che mia figlia possa avere un sentimento diverso dal mio per ciò che riguarda la memoria di sua madre, e il rispetto che le si deve! (Si ode, a questo punto, dall’interno, a sinistra, la voce di Palma.)

        VOCE DI PALMA: Sì, sì, mi sbrigo in due minuti! E sopravviene, dall’uscio a sinistra, Palma, in abito da sposa, avviata di furia verso l’uscio a destra, che dà nella sua camera. Ha diciott’anni. È bel­lissima. Tratta il padre con mal dissimulata freddezza. Subito al suo apparire, la Barbetti le si fa innanzi tendendole le braccia.

        LA BARBETTI: Ah, eccola qua! eccola qua! Oh figlia mia, come sei bella!

        PALMA (così soprappresa, confusa, trattenendosi): Scusi… lei?

        LA BARBETTI: Sono la tua nonna! la tua nonna, figliuola mia!

        PALMA (più stordita dapprima, che meravigliata): La nonna? Come! (Poi vol­gendosi al padre, con aria di comica incredulità:) Ho anche una nonna?

        LORI: No, no, Palma!

        LA BARBETTI (al Lori): Come no? (E subito a Palma, con enfasi:) La madre della tua mamma!

        CARLETTO (al Lori): Questo non potete negarlo!

        LORI: Ma non m’obbligate a dire ciò che mia figlia del resto sa bene!

        PALMA (sovvenendosi, ma senza dare alcun peso all’indegnità di quella nonna, che per la sua goffaggine le sembra da burla): Ah… lei… già!

        LORI: Tu capisci, Palma, che se tua madre fosse qua…

        PALMA (infastidita dall’impiccio imprevisto in cui la mette il padre; stringen­dosi nelle spalle): Sì… ma… non so! che vuoi fare adesso?

        LA BARBETTI: Dice che ho fatto male a venire…

        LORI: Malissimo!

        PALMA (seccata, protestando): Ma no! Non mi pare che sia più il caso di pen­sare ormai…

        LORI (ferito): No? Come?

        LA BARBETTI (subito, esultante): Ecco, sì, è vero, è vero, figliuola mia?

        LORI: Di pensare a tua madre?

        PALMA (c.s.): Ma sì, la mamma, va bene! Ma per carità, ora che sto per andar via…

        LA BARBETTI: Ecco, già! sposa… Non ha più, dunque, neanche il diritto d’opporsi, lui!

        LORI: Ma io non m’oppongo in nome d’un diritto!

        LA BARBETTI: E potete forse impedirmi d’aver le mie intenzioni su mia nipote?

        PALMA (disgustata, fa per avviarsi): Ah, è troppo! è troppo, via!

        LA BARBETTI (ponendosi davanti, per placarla): No, per carità, non turbarti… vestita così…

        PALMA: Debbo andare a rivestirmi per partire…

        LORI (smarrito e cupo, ritraendosi): Forse eccedo… forse eccedo…

        PALMA: Eccedi? sì, proprio! Ah, ma se Dio vuole, basta!

        LA BARBETTI: Mi dispiace, che per causa mia…

        PALMA (rasserenandosi e tornando a vedere il lato grottesco di quell’incontro inatteso): No, no… Ci vuole un po’ di misura, Dio benedetto! Era, dopo tutto, una graziosa sorpresa, trovar così d’improvviso una nonna, sulla soglia…

        LA BARBETTI (gongolante): Come sei bella! Come sei cara! (Volgendosi subito al figlio per farsi dare il regalo di nozze:) Da’, da’, Carletto!

        PALMA (non comprendendo): Che cosa?

        LA BARBETTI: T’avevo portato anche un piccolo regaluccio…

        PALMA (volgendosi al padre per richiamarlo a una certa comica indulgenza): Ma vedi! Anche il regaluccio!

        LA BARBETTI: E su, su, Carletto! (A Palma, presentandoglielo:) Questo è l’altro mio figlio…

        PALMA: Ah, piacere…

        LA BARBETTI (seguitando): Che sarebbe, sì… un fratellastro della tua povera mamma.

        PALMA: Ah! un quasi-zio, allora?

        CARLETTO: Già, ecco, un quasi-zio… Veramente felice! (Porgendo l’astuccio alla madre:) Ecco, mammà.

        LA BARBETTI (porgendolo a Palma): Prendi, prendi, figliuola mia…

        PALMA (aprendolo e ammirandolo, per compiacenza, esageratamente): Oh bello! bello!

        LA BARBETTI: Ne avrai avuto di ben altri!

        CARLETTO: Con gli auguri d’ogni felicità!

        LA BARBETTI: Sì, cara, di quella felicità che ti meriti! E poi penserò a fare an­cora dell’altro per te.

        LORI (non riuscendo più a contenersi): Tuo nonno, Bernardo Agliani, restituì a costei tutti i suoi denari, anche quelli della dote, che appartenevano a tua madre; e tua madre ne fu felicissima, e preferì, rimasta orfana, guadagnarsi il pane, insegnando. Ma fai, fai, prendi pure: turbo la tua festa, e non ho più neanche il diritto di parlare, come t’ha detto la signora…Sopravvengono, a questo punto, dall’uscio a sinistra Salvo Manfroni, il mar­chese Flavio Gualdi e il cónte Venterò Bongiani. Il senatore Salvo Manfroni è appena sulla cinquantina, alto, rigido, magro. Se la nomina a senatore non gli fosse venuta per meriti scientifici e accademici, oltre che per il suo pas­sato politico, avrebbe potuto venirgli per censo. Si vede infatti in lui il gran signore, padrone degli altri, ma sopratutto di sé. Il marchese Flavio Gualdi ha trentaquattro anni, ancor biondo, anzi d’un biondo acceso, ma già quasi calvo; lucido e roseo come una figurina di finissima porcellana smaltata; parla piano, con accento più francese che piemontese, affettando nella voce una tal quale benignità condiscendente, che contrasta però in modo strano con lo sguardo freddo e duro degli occhi azzurri, quasi vitrei. Il conte Ve­rnerò Bongiani ha circa quarant’anni, elegantissimo, specula in cinematogra­fia e ha fondato una delle più ricche Case per la produzione dei films.

        MANFRONI: Che cos’è?

        PALMA: Niente, niente: una bella sorpresa! Guarda, Flavio!

        FLAVIO: Ma come, ancora così?

        PALMA: Ho trovato una nonna, qua in anticamera!

        FLAVIO: Una nonna?

        VENIERO (contemporaneamente): Oh bella!

        SALVO (contemporaneamente): La signora?

        FLAVIO (indicando il Lori): Sua madre?

        PALMA (subito): No, per fortuna! (E immediatamente rivolgendosi a Carletto:) E anche… aspetta! qua… scusi, il suo nome?

        CARLETTO (riscotendosi, con grazia): Ah, Clarino… (e si inchina.)

        SALVO (con stupore, in tono di riprensione): Ma che storia è questa? Palma!

        PALMA (apparentemente, senza dargli retta): Ecco, il signor Clarino, figlio della nonna! Quasi-zio! (Subito alla Barbetti:) Nonna Clarino, dunque? Ve­dova?

        LA BARBETTI: Sì, due volte, carina…

        PALMA (quasi trionfante, rivolta al Lori): E dunque, via! Come vedi, non c’è proprio bisogno di ricordar Bernardo Agliani, la mamma; e si può prender la cosa, così, leggermente, e anche (si volta a Flavio con uno sguardo d’intelli­genza) allegramente, Flavio; quando si sta per andar via…

        FLAVIO: Ma sì, per me, figurati!

        LA BARBETTI (con sincerità): Ecco, già, come dicevo io!

        LORI (ferito dalle ultime parole di Palma): Potevo non volerlo anche per te, mentre ti stacchi da questa casa…

        SALVO (notando il tono appassionato del Lori e sembrandogli fuor di tempo, fuori di luogo, subito lo interrompe, accostandogli): Ma no, ma no, basta! che cos’è, amico mio? (E resta a conversar piano con lui concitatamente.)

        PALMA (a Salvo, che mostra di non ascoltarlo): Come se l’avesse invitata lui, capisci? (E viene accanto a Flavio e Veniero, che si tengono presso l’uscio a sinistra.)

        FLAVIO (a Palma con un sorriso): Mi spiegherai poi…

        PALMA: Ma sì! È da ridere veramente!

        VENIERO: Una nonna in ottimo stato di conservazione!

        PALMA: Impagabile! Dovreste scritturarla per la vostra casa cinematografica!… (A Flavio:) Ti spiegherò poi…

        FLAVIO: Ma bisogna, cara, che tu ti sbrighi…

        PALMA: Sì, ecco, subito… Ma portateveli di là… (A Bongiani:) Fate, fate la proposta anche al figlio… (Poi forte, conducendoli davanti, alla Barbetti:) Ecco, vi presento alla nonna: il marchese Flavio Gualdi, mio marito; il conte Veniero Bongiani. (Rivolgendosi a Cadetto:) Il signor… Carlo, è vero?

        CARLETTO: Carletto, sì…

        PALMA: Zio Carletto! Ah; non credevo proprio che dovesse toccarmi di far questa parte in abito da sposa! Con permesso. Vado subito a levarmelo… Voi andate, andate di là… (Palma, via per l’uscio a destra.)

        LA BARBETTI (le grida dietro): Cara!… Cara!… (Poi, voltandosi a Flavio e av­viandosi verso l’uscio a sinistra:) Ah, sono proprio felice!…

        FLAVIO (cedendole il passo, davanti all’uscio): Prego… (Ed esce dopo la Bar­betti.)

        VENIERO (c.s. a Cadetto): Prego…

        CARLETTO (tirandosi indietro): Ah, non permetto… (Mostrandogli l’uscio:) Prego…

        VENIERO (passando avanti): È giusto… Lei è quasi di casa… (Via per l’uscio a sinistra anche Veniero e Carletto.)

        LORI (seguitando a voce alta il discorso col Manfroni, appassionatamente): Posso ritrarmi da qualunque sentimento! Da questo, no! no! perché non vivo d’altro, tu lo sai!

        SALVO (concitato, quasi tra sé): È incredibile! incredibile! (Poi, aggressivo, rapidamente:) Va bene; persisti in codesta fissazione; ma accorgiti almeno della pena che fai a chi ti vede intestato così, e vorrebbe cacciarti dal ridicolo in cui ti metti da te stesso!

        LORI: Dal ridicolo? Ti pare ridicolo?

        SALVO: Ma sì, caro mio, perché esageri, esageri maledettamente! E giusto ora che Palma si libera e ti libera, santo Dio, potevi farne a meno!

        LORI: Non ho potuto.

        SALVO: Lo capisco! Ma perché appunto ti sei fissato nella dimostrazione d’un sentimento che… sì, va benissimo, è servito finora a scusar tante cose, il tuo appartarti dalle cure che avresti dovuto darti di Palma…

        LORI: Perché c’eri tu…

        SALVO (seguitando): Benissimo; io che m’affezionai alla bambina nel vederla trascurata…

        LORI (protestando): Ma no!

        SALVO (per troncare, irritato): Oh Dio mio, dico per gli altri, adesso!

        LORI (come se guardasse lontano, nel tempo): Eh lo so, che doveva apparir così…

        SALVO (con fastidio): Ma nient’affatto, perché è apparso invece anche troppo che il tuo lutto ti escludeva da quegli svaghi, che avresti dovuto procurare alla figliuola. (Con forza, esasperatamente:) Ma ora, basta! Ora, basta! È fi­nita! Lei se ne va! Tutto codesto sdegno per la comparsa di quella megera, sul punto di partire, potevi risparmiartelo!

        LORI: Ha accettato sotto i miei occhi il regalo che le han portato…

        SALVO: Volevi che lo rifiutasse?

        LORI: È la promessa della donazione d’un danaro di cui la madre ebbe schifo!

        SALVO (impressionato): Le ha fatto questa promessa?

        LORI: Ma io le gridai in faccia la sua vergogna!

        SALVO (sbalordito): E non capisci… (Si nasconde la faccia.) Dio mio! non ca­pisci che non dovevi farlo?

        LORI: Perché? Grazie a Dio, Palma… (Si corregge:) dico grazie a Dio, grazie a te, Palma non ha bisogno di quel danaro!

        SALVO: Ma giusto per questo! (Quasi tra sé:) È incredibile!

        LORI: Giusto per questo? Perché?

        SALVO: Ma sì! ma sì! Non toccava a te di dirglielo, scusa!

        LORI: Perché non ne ho il diritto?

        SALVO: Non l’hai! Non l’hai in nessun modo! Quella donna è ricchissima. E tu non puoi sapere se il marito di Palma…

        LORI: Con la dote che tu hai generosamente costituito a sua moglie…

        SALVO: Ma lascia andare, che il danaro non è mai troppo!

        LORI (stupido e dolente): Ah! scusa… non credevo…

        SALVO: Che cosa?

        LORI: Non m’aspettavo proprio da te che hai venerato e veneri la memoria di Bernardo Agliani…

        SALVO (scrollandosi, al colmo dell’irritazione, accennando ad avviarsi verso l’uscio a sinistra): Oh! ma fa’ il piacere! È veramente troppo!

        Rientra a questo punto, di là, Flavio Gualdi.

        FLAVIO: Permesso?

        SALVO: Vieni, vieni avanti, Flavio!

        FLAVIO (ridendo e alludendo alla Barbetti di là): Ah, è bellissima! bellissima! E il figlio, più bello ancora della madre! S’è ingaggiato davvero, sai? per ca­chet con Bongiani, che se li sta godendo… Meraviglioso!

        SALVO: Tu hai capito dunque di che si tratta?

        FLAVIO: Ma sì! Una farsa… (Ripigliandosi, serio, con uno sguardo d’intelli­genza a Salvo:) Oh… naturalmente, ragione di più per… (Fa un gesto con la mano che significa: «per tagliar corto»:) ca va sans dire…

        LORI: Nessuno poteva prevedere che avesse l’impudenza di presentarsi…

        SALVO: Hai capito, caro mio, che cosa hai guastato? Una farsa. La farsa che quel vecchio pappagallo lì era venuta a offrirci inaspettatamente… (A Flavio:) Ma ti dirò poi qualche cosa… Vado io intanto a farle un certo discorsetto… Vieni, vieni con me…

        FLAVIO: Ecco, dico a Palma di far presto…

        Salvo, via per l’uscio a sinistra. Flavio s’accosta a quello a destra, picchia e sta in ascolto.della voce di Palma.

        LORI: Vorrei parlarti anch’io…

        FLAVIO (seccato, freddo): Scusi… (Parlando, verso la porta:) Sono io, Palma… (Pausa; sta a sentire; poi ridendo:) No, no, non voglio entrare… (Pausa c.s.) Ecco, sì, perché è tardi. (Pausa c.s.) Ma lascia fare alla signorina: tu spic­ciati!… (Pausa c.s.) Sì, penso io… penso io… (E s’avvia di fretta verso l’uscio dì fondo.)

        LORI: Vorrei dirti…

        FLAVIO: Scusi, non ho tempo… (Lo pianta e via.)

        Il Lori resta come raggelato dallo sprezzo patente del Gualdi. Egli non può supporre che nessuno creda al suo sentimento; suppone invece che tutti n’abbiano fastidio e non abbian per lui nessuna considerazione, poiché la fi­glia, per la protezione e le aderenze del Manfroni, uscendo dalla sua casa modesta, entra ora col marito nel gran mondo. Rimane avvilito a guardare innanzi a sé, in una lunga pausa. Finché s’apre l’uscio a destra e la signo­rina Cei si sporge e mette fuori borse, borsette, cappelliere, che il cameriere, sopravvenuto dall’uscio infondo, man mano porta via.

        SIGNORINA CEI (porgendo al cameriere): Ecco, Giovanni… E questo! Attento a questo!… No no, a poco per volta…

        Dallo stesso uscio a destra entra infine Palma in un ricco abito da viaggio; nell’atto di calzarsi i guanti.

        PALMA (alla signorina Cei): Mi farà il piacere, Gina, di raccomandare che non sbaglino tra la roba da spedire come bagaglio e quella da portare nello scom­partimento.

        SIGNORINA CEI: Ah, non dubiti. Andrà Giovanni stesso…

        CAMERIERE: Sì, signora. Vado io. Non ci pensi…

        PALMA (a Lori): Tu vieni con noi alla stazione?

        LORI: Sì, certo…

        PALMA (alla signorina Cei che sta per andarsene per l’uscio infondo): Aspetti, Gina… Lei va via di qua ora stesso, è vero?

        SIGNORINA CEI: Se il signor commendatore non ha bisogno di me…

        LORI: No, no, grazie… Per me…

        PALMA: Chi resta qui?

        SIGNORINA CEI: Ma… non so… C’è la donna di servizio…

        LORI: Non importa… non importa… Senti, Palma…

        PALMA: Abbi pazienza, vorrei dare a Gina certi ordini.

        LORI: Fai, fai…

        PALMA (alla signorina Cei): Lei sarà di ritorno prima della fine del mese?

        SIGNORINA CEI: Potrei, se vuole, anche prima…

        NO, no, basterà. Del resto, le scriverò…

        SIGNORINA CEI: Non dubiti che al suo arrivo sarà tutto pronto, come lei m’ha detto.

        PALMA: Quello stipetto, mi raccomando! (A Lori:) E penserai tu, poi, per gli ori della mamma.

        LORI: Te li ho già messi da parte.

        SIGNORINA CEI: Verrò io a ritirarli, al mio ritorno.

        PALMA: Sta bene. E allora, a rivederla, Gina. Mi dia un bacio.

        SIGNORINA CEI: Buon viaggio! E le rinnovo tutti i miei auguri.

        PALMA: Grazie! Ma la saluterò ancora prima di partire. La signorina Cei, via per l’uscio infondo.

        LORI: Non vorrei, Palma, che questo spiacevole incidente…

        PALMA: Ma no, basta, non ne parliamo più! (Alludendo alla nonna:) E ancora di là?

        LORI: Sì, credo…

        PALMA: Sarà ora d’andare…

        LORI: Aspetta un momento… Devo dirti una cosa che mi sta a cuore sopra tutto.

        PALMA: Oh Dio mio, ma perché? Avrei capito prima! Ma ora?

        LORI: No, ora, ora che te ne vai, figliuola mia…

        PALMA: Ma se non ce n’è più bisogno, proprio!

        LORI: Come! Vuoi che non ti dica, prima che te ne vada via per sempre da questa casa, ciò che è stato ed è ancora il mio più segreto dolore?

        PALMA (piano, con insofferenza, ma pur sentendo la necessità di venire a un discorso che è spinosissimo toccare e che perciò sarebbe stato meglio sfug­gire): Ma sì, io lo so…

        LORI: Lo sai?

        PALMA (c.s.): Sì, lo so. E perciò mi pare inutile, scusa, che me ne parli adesso…

        LORI: Non è inutile, perché vedo che non hai indovinato che prezzo, diverso da quello che ha avuto per te, ha avuto per me la parte che mi sono assunta (resta un po’ sospeso, e aggiunge con molta pena:) di padre trascurato.

        PALMA: Ma mi sembra che ora…

        LORI: Lasciami dire! Per me, tutto questo, si riferisce a cose lontane, che tu non puoi sapere, perché eri allora bambina. Voglio che le sappia, prima che tu vada via.

        PALMA (con un sospiro, non nascondendo l’impazienza, ma rassegnandosi): Ebbene, allora! di’, di’…

        LORI: Codesto tuo modo di trattarmi…

        PALMA: Ma no, scusa…

        LORI: Lasciami dire! Non te ne fo rimprovero. Codesto tuo modo di trattarmi, sì, è vero, dà ragione ora a tua madre contro di me, doppiamente…

        PALMA: Mi parli ancora della mamma?

        LORI (con forza): Sì! Perché previde questo!

        PALMA (unpo’ stordita dal tono assunto da lui): Che cosa?

        LORI (s’arresta, pentito, e non risponde, perché dovrebbe dirle: «che tu non avresti più avuto per me nessuna considerazione». Poi dice, con dolcezza tri­ste): Non voglio fartene un.rimprovero, ripeto! Sento solo il bisogno di dirti che ho voluto acquistarmi il diritto di dar torto a lei, che non voleva, non vo­leva assolutamente…

        PALMA: Che cosa, non voleva?

        LORI: Ma che Salvo Manfroni stesse qua, troppo attorno a te.

        PALMA: Ebbene?

        LORI: Ho voluto acquistarmelo, dicevo, questo diritto di non riconoscere al­meno le ragioni di lei, a costo d’una lunga sofferenza che tu – (non dirmi di no, perché è chiaro) – non hai, non hai indovinato, non hai supposto, e non supponi ancora infine.

        PALMA: Ma chi te lo dice, Dio mio?

        LORI: Ecco. Il tono stesso con cui me lo domandi.

        PALMA: No, scusa, questo tono è appunto perché la conosco, e la conosco bene, codesta tua sofferenza, su cui è edificata, vuoi dirmi questo? la mia for­tuna! Oh! e vuoi che non lo sappia, scusa?

        LORI: Saperlo, non dovrebbe voler dire il fastidio che ne mostri.

        PALMA: Ma non è fastidio; è che proprio non vedo più la ragione, scusa, per cui vuoi ricordarmela anche adesso, quando ha già finito di pesar tanto, credi, su te, su me, su tutti… Ecco: il tuo torto è questo, permetti che te lo dica, poi­ché mi costringi!

        LORI: Mi son tenuto tanto da parte…

        PALMA: Troppo per un verso, troppo poco per un altro!

        LORI: Cioè?

        PALMA: Ma non ti pajono inutili adesso codeste recriminazioni? Via! via! (Rientrano dall’uscio a sinistra Salvo Manfroni e Flavio Gualcii.)

        FLAVIO (impaziente): Su, Palma, è tempo d’andare…

        PALMA: Eccomi pronta, sì. Andiamo, andiamo… (Fa per avviarsi con Flavio.)

        SALVO: Aspettate un momento. (Al Lori:) Senti: è meglio che Palma si licenzii qua da te.

        LORI (restando): Perché? La accompagno alla stazione…

        SALVO: No…

        FLAVIO: Per quei due là… (Accenna alla seda, dove sono la nonna e Cadetto.)

        SALVO: Se vieni tu, capisci, verranno anche loro, e…

        FLAVIO: Ci sarà mia sorella; ci saranno gli amici…

        PALMA (subito): Ah, no! È meglio qua, è meglio qua, allora…

        LORI: Ma quei due si possono mandar via!

        FLAVIO: Abbiamo già detto così…

        SALVO: Che saresti rimasto anche tu. Si disponevano a venire!

        PALMA: Pazienza, via! Licenziamoci qua!

        LORI (raggelato, aprendo le braccia): Pazienza…

        PALMA: E allora, addio, eh? (Lo abbraccia senza effusione d’affetto.)

        LORI (dopo averla baciata in fronte): Addio figliuola mia. Così all’improv­viso… Vorrei dirti tante cose; non so dirti nulla… Sii felice…

        SALVO: Andiamo, su, andiamo…

        LORI (a Flavio che gli porge la mano): Addio anche a te, e…

        FLAVIO: Scusi. (Si volge a Palma:) Vai, Palma, vai a licenziarti intanto di là…

        PALMA: Sì, eccomi, eccomi. (Via, per l’uscio a sinistra.)

        FLAVIO (a Lori): Diceva?

        LORI (freddo, triste): Niente. T’ho salutato…

        FLAVIO: Ah, bene. L’ho salutato anch’io. Possiamo dunque andare…

        SALVO: Sì, andiamo! (A Lori, prima d’uscire dall’uscio a sinistra:) Noi ci ve­diamo.

        Via Flavio e Salvo. Il Lori resta assorto per lungo tratto nella sua gelida de­lusione, finché dall’uscio a sinistra non rientrano in iscena la Barbetti e Carletto, in silenzio, L’una ingrugnata e l’altro come una marionetta smontata, cascante di noja.

        LA BARBETTI: Eh, dico… una bella fortuna maritare una figliuola con un mar­chese…

        CARLETTO: Mi piace che lui, tante storie per la nostra venuta, e poi…

        LORI: E poi? Sono rimasto qua, appunto per la vostra venuta!

        LA BARBETTI: Già! Ma vostra figlia…

        LORI: Mi ha impedito di fare lo scandalo di cacciarvi via in presenza di suo marito!

        CARLETTO: Il quale ci ha accolto con tanta cortesia…

        LA BARBETTI (subito, a rincalzo): E benevolenza!

        CARLETTO: Insieme con quel suo amico.

        LA BARBETTI: E anche Salvo Manfroni, hai visto come mi ha parlato?

        CARLETTO: Ma di quello non ti fidare, mammà!

        LA BARBETTI: Io non so! Un padre… capisco, sacrificarsi per il bene della pro­pria figlia… ma farsi poi sostituire così…

        LORI (contenendo a stento un fremito d’ira): Io vi prego d’andarvene via!

        CARLETTO: Subito! Ecco… ce n’andiamo da noi senza bisogno d’esser pregati.

        LA BARBETTI: Ma in casa di vostra figlia, tra me e voi, sarò accolta meglio io che voi…

        CARLETTO: Andiamo, andiamo, mammà! Lascialo perdere!

        LA BARBETTI: Di dove si esce?

        CARLETTO (indicando l’uscio a sinistra): Di qua, passa!

        LA BARBETTI (uscendo): Ma guarda che uomo!

        CARLETTO (uscendo): Lascialo perdere…

        Prima che la Barbetti e Carletto escano, entra dall’uscio infondo la signo­rina Cei col cappellino in capo e una borsetta in mano, pronta per andar via.

        SIGNORINA CEI (al Lori): Vuole che li accompagni?

        LORI (con sdegno): No, lasci!

        SIGNORINA CEI (dopo aver atteso un po’): E allora, signor commendatore, se non ha proprio bisogno di me…

        LORI: No, grazie. Vada pure…

        SIGNORINA CEI: Se mi permette, poiché tutti questi fiori rimangono qui…

        LORI (come se li vedesse soltanto ora): Ah, già! Bisogna pensarci… Mi rimane così la casa, tutta piena di fiori…

        SIGNORINA CEI: Già… Le possono anche far male…

        LORI: Me li ha lasciati qui…

        SIGNORINA CEI: Peccato! Ce n’è di così belli…

        LORI: Prenda, prenda pure, tutti quelli che vuole…

        SIGNORINA CEI: Grazie, ne prenderò un po’, di questi… (Si accosta a una cesta di fiori.)

        LORI: Non pensa lei che per un padre nessun sacrifizio possa esser di troppo, quando si tratti di fare il bene della propria figliuola?

        SIGNORINA CEI: Eh, per un padre come lei, signor commendatore… Guardi, che rose! (Gliele mostra nella cesta da cui sta per prenderle:) Guardi!…

        LORI: Belle, sì. Prenda… Vorrei prenderne anch’io… (Guarda l’orologio.)

        SIGNORINA CEI (triste, alludendo alla sua visita consueta ed cimitero): Vuole andare anche oggi?

        LORI: Non mi han lasciato andare alla stazione, per via di quei due là; andrò a portarle un po’ di questi fiori della figlia e a dire anche a lei che non voleva, le mie ragioni.

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1920 – Tutto per bene – Commedia in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Todo sea para bien

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