La Madonnina – Audio lettura 3

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Legge Lorenzo Pieri
«Donne e fanciulli, cantando le canzoncine in ginocchio, tenevano fissi gli occhi a quella Madonnina sull’altare, tra i ceri accesi e le rose offerte in gran profusione; e ciascuno desiderava ardentemente che quella Madonnina gli toccasse in sorte.»

Prime pubblicazioni: Corriere della Sera, 7 agosto 1913, poi in La mosca, Bemporad Firenze 1923.

La Madonnina
Ivan Gregorewitch Olinsky (1878 – 1962), La figlia Tosco

La Madonnina

Legge Lorenzo Pieri

Da Spreaker.com

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             Una scatola di giocattoli, di quelle con gli alberetti incoronati di trucioli e col dischetto di legno incollato sotto al tronco perché si reggano in piedi, e le casette a dadi e la chiesina col campanile e ogni cosa: ecco, immaginate una di queste scatole, data in mano al Bambino Gesù, e che il Bambino Gesù si fosse divertito a costruire al padre beneficiale Fiorìca quella sua parrocchietta così; la chiesina modesta, dedicata a San Pietro, di fronte; e di qua, la canonica con tre finestrette riparate da tendine di mussola inamidate che, intravedendosi di là dai vetri, lasciavano indovinare il candore e la quiete delle stanze piene di silenzio e di sole; il giardinetto accanto, col pergolato e i nespoli del Giappone e il melagrano e gli aranci e i limoni; poi, tutt’intorno, le casette umili dei suoi parrocchiani, divise da vicoli e vicoletti, con tanti colombi che svolazzavano da gronda a gronda; e tanti conigli che, rasenti ai muri, spiavano raccolti e tremanti, e gallinelle ingorde e rissose e porchetti sempre un po’ angustiati, si sa, e quasi irritati dalla soverchia grassezza.

             In un mondo così fatto, poteva mai figurarsi il padre beneficiale Fiorìca che il diavolo vi potesse entrare da qualche parte?

             E il diavolo invece vi entrava a suo piacere, ogni qual volta gliene veniva il desiderio, di soppiatto e facilissimamente, sicuro d’essere scambiato per un buon uomo o una buona donna, o anche spesso per un innocuo oggetto qualsiasi. Anzi si può dire che il padre beneficiale Fiorìca stava tutto il santo giorno in compagnia del diavolo, e non se n’accorgeva. Non se ne poteva accorgere anche perché, bisogna aggiungere, neppure il diavolo con lui sapeva esser cattivo: si spassava soltanto a farlo cadere in piccole tentazioni che, al più al più, scoperte, non gli cagionavano altro danno che un po’ di beffe da parte dei suoi fedeli parrocchiani e dei colleghi e superiori.

             Una volta, per dirne una, questo maledettissimo diavolo indusse una vecchia dama della parrocchia, andata a Roma per le feste giubilari, a portare di là al padre beneficiale Fiorìca una bella tabacchiera d’osso con l’immagine del Santo Padre dipinta a smalto sul coperchio. Ebbene, si crederebbe? Vi s’allogò dentro, non ostante la custodia di quell’immagine, e per più d’un mese, ai vespri, mentre il padre beneficiale Fiorìca faceva alla buona un sermoncino ai divoti prima della benedizione, di là dentro la tabacchiera si mise a tentarlo:

             – Su, un pizzichetto, su! Facciamola vedere la bella tabacchiera… Per soddisfazione della dama che te l’ha regalata e che sta a guardarti… Un pizzichetto!

             E dalli, e dalli, con tanta insistenza, che alla fine il padre beneficiale Fiorìca, il quale non aveva mai preso tabacco e aveva cominciato a prenderlo molto timidamente dal giorno che aveva avuto quel regalo, ecco che doveva cedere a cavar di tasca la tabacchiera e il grosso fazzoletto di cotone a fiorami. Conseguenza: il sermoncino interrotto da un’infilata di almeno quaranta sternuti e arrabbiate e strepitose soffiate di naso, che facevano ridere tutta la chiesina.

             Ma la peggio di tutte fu quando questo diavolo maledetto s’insinuò nel cuore d’una certa Marastella, ch’era una poverina svanita di cervello, bambina di trent’anni, bellissima e cara a tutto il vicinato che rideva dell’inverosimile credulità di lei tutta sempre sospesa a una perpetua ansiosa maraviglia. S’insinuò, dunque, nel cuore di questa Marastella e la fece innamorare coram populo del padre beneficiale Fiorìca che aveva già circa sessant’anni e i capelli bianchi come la neve.

             La poverina, vedendolo in chiesa, o sull’altare durante l’ufficio divino, o sul pulpito durante la predica, non rifiniva più d’esclamare, piangendo a goccioloni grossi così dalla tenerezza e picchiandosi il petto con tutte e due le mani:

             – Ah Maria, com’è bello! Bocca di miele! Occhi di sole! Cuore mio, come parla e come guarda!

             Sarebbe stato uno scandalo, se tutti, conoscendo la santa illibatezza del padre beneficiale e l’innocenza della povera scema, non ne avessero riso.

             Ma un giorno Marastella, vedendo uscire il padre beneficiale dalla chiesa, s’inginocchiò in mezzo alla piazzetta e, presagli una mano, cominciò a baciargliela perdutamente e poi a passarsela sui capelli, su tutta la faccia, fin sotto la gola, gemendo:

             –    Ah padre mio, mi levi questo fuoco, per carità! per carità, mi levi questo fuoco!

             –    Il povero padre Fiorìca, smarrito, sbalordito, chino sulla poverina, senza nemmeno tentare di ritirar la mano, le chiedeva:

             –    Che fuoco, Marastella, che fuoco, figliuola mia?

             E forse non avrebbe ancora capito, se da tutte le casette attorno non fossero accorse le vicine a strappar da terra la scema con parole e atti così chiari, che il padre Fiorìca, sbiancato, trasecolato, tremante, se n’era fuggito, facendosi la croce a due mani.

             Questa volta sì, il diavolo s’era troppo scoperto. Riconobbero tutti l’opera sua in quella pazzia di Marastella. E allora egli ne pensò un’altra, che doveva costare al padre beneficiale Fiorìca il più gran dolore della sua vita.

             La perdita di Guiduccio. State a sentire.

             Guiduccio era un ragazzo di nove anni, unico figliuolo maschio della più cospicua famiglia della parrocchia: la famiglia Greli.

             Il padre beneficiale Fiorìca aveva in cuore da anni la spina di questa famiglia che si teneva lontana dalla santa chiesa, non già perché fosse veramente nemica della fede, ma perché lei, la chiesa, a giudizio del signor Greli (ch’era stato garibaldino, carabiniere genovese nella campagna del 1860 e ferito a un braccio nella battaglia di Milazzo) lei, la chiesa, s’ostinava a rimanere nemica della patria; ragion per cui un patriota come il signor Greli credeva di non potervi metter piede.

             Ora, di politica il padre beneficiale Fiorìca non s’era impicciato mai e non riusciva perciò a capacitarsi come l’amor di patria potesse esser cagione che la mamma e le sorelle maggiori di Guiduccio e Guiduccio stesso non venissero in chiesa almeno la domenica e le feste principali per la santa messa. Non diceva confessarsi; non diceva comunicarsi. La santa messa almeno, la domenica, Dio benedetto! E, tentato al solito dal diavolaccio che gli andava sempre avanti e dietro come l’ombra del suo stesso corpo, cercava d’entrar nelle grazie del signor Greli.

             – Eccolo là che passa! non fingere di non vederlo. Salutalo, salutalo tu per il primo: un bell’inchino, con dignitosa umiltà!

             Il padre Fiorìca ubbidiva subito al suggerimento del diavolo: s’inchinava sorridente; ma il signor Greli, accigliato, rispondeva appena appena, con brusca durezza, a quell’inchino e a quel sorriso. E il diavolo, si sa, ne gongolava.

             Ora, un pomeriggio d’estate, vigilia d’una festa solenne, il diavolo, sapendo che il signor Greli s’era ritirato a casa molto stanco del lavoro della mattinata e s’era messo a letto per ristorar le forze con qualche oretta di sonno, che fece? salì non visto con alcuni monellacci al campanile della chiesina di San Pietro e lì dalli a sonare, dalli a sonare tutte le campane, con una furia così dispettosa, che il signor Greli, il quale era d’indole focosa e facilmente si lasciava prendere dall’ira, a un certo punto, non potendone più, saltò giù dal letto e, così come si trovava, in maniche di camicia e mutande, corse su in terrazza armato di fucile e – sissignori – commise il sacrilegio di sparare contro le sante campane della chiesa.

             Colpì, delle tre, quella di destra, la più squillante: occhio d’antico carabiniere genovese! Ma povera campanella! Sembrò una cagriolina che, colta a tradimento da un sasso, mentre faceva rumorosamente le feste al padrone, cangiasse d’un tratto l’abbaio festoso in acuti guaiti. Tutti i parrocchiani, raccolti per la festa davanti alla chiesa, si levarono in tumulto, furibondi, contro il sacrilego. E fu vera grazia di Dio, se al padre beneficiale Fiorìca, accorso tutto sconvolto e coi paramenti sacri ancora in dosso, riuscì d’impedire con la sua autorità che la violenza dei suoi fedeli indignati prorompesse e s’abbattesse sulla casa del Greli. Li arrestò a tempo, li placò, rendendosi mallevadore che il signor Greli avrebbe donato una campana nuova alla chiesa e che un’altra e più solenne festa si sarebbe fatta per il battesimo di essa.

             Allora, per la prima volta, Guiduccio Greli entrò nella chiesina di San Pietro.

             Veramente il padre beneficiale Fiorìca avrebbe desiderato che madrina della campana fosse la signora Greli, o almeno una delle figliuole, la maggiore che aveva circa diciott’anni. Rimase però grato poi, in cuor suo, al signor Greli di non aver voluto condiscendere a quel suo desiderio, vedendo il miracolo che il battesimo della campana operò nell’anima di quel fanciullo.

             Fu forse per l’esaltazione della festa, o forse per la simpatia che gli testimoniarono tutti i fedeli della parrocchia; o piuttosto la voce ch’egli per primo trasse da quella campana benedetta, salito su in cima al campanile, nel luminoso azzurro del cielo. Il fatto è che da quel giorno in poi la voce di quella campana lo chiamò ogni mattina alla chiesa, per la prima messa. Di nascosto, udendo quella voce, balzava dal letto e correva in cerca della vecchia serva di casa perché lo conducesse con sé.

             – E se papà non volesse? – gli diceva la serva.

             Ma Guiduccio insisteva, scosso da un brivido a ogni rintocco della campana che seguitava a chiamar sommessa nella notte. E per l’angusta viuzza, ancora invasa dalle tenebre notturne, abbrividendo, si stringeva alla vecchia serva e, arrivato alla piazzetta della chiesa, alzava gli occhi al campanile, e allo sgomento misterioso che gliene veniva, non meno misterioso rispondeva il conforto che, appena entrato nella chiesa, gli veniva dai ceri placidi accesi sull’altare, nella frescura dell’ombra solenne insaporata d’incenso.

             La prima volta che il padre beneficiale Fiorìca, voltandosi dall’altare verso i fedeli, se lo vide davanti inginocchiato dinanzi alla balaustrata, con gli occhioni, tra i riccioli castani, ancora imbambolati, spalancati e lucenti quasi di follia divina, si sentì fendere le reni da un lungo brivido di tenerezza e dovette far violenza a se stesso per resistere alla tentazione di scendere dall’altare a carezzare quel volto d’angelo e quelle manine congiunte.

             Finita la messa, fece segno alla vecchia di condurre il bimbo in sagrestia; e lì se lo prese in braccio, lo baciò in fronte e sui capélli, gli mostrò a uno a uno tutti gli arredi e i paramenti sacri, le pianete coi ricami e le brusche d’oro e i camici e le stole, le mitrie, i manipoli, tutti odorosi d’incenso e di cera; lo persuase poi dolcemente a confessare alla mamma d’esser venuto in chiesa, quella mattina, per il richiamo della sua campana santa, e a pregarla che gli concedesse di ritornarci. Infine lo invitò – sempre col permesso della mamma – alla canonica, a vedere i fiori del giardinetto, le vignette colorate dei libri ei santini, e a sentire qualche suo raccontino.

             Guiduccio andò ogni giorno alla canonica, avido dei racconti della storia sacra. E il padre beneficiale Fiorìca, vedendosi davanti spalancati e intenti quegli occhioni fervidi nel visetto pallido e ardito, tremava di commozione per la grazia che Dio gli concedeva di bearsi di quel meraviglioso fiorire della fede in quella candida anima infantile; e quando, sul più bello di quei racconti, Guiduccio, non riuscendo più a contenere l’interna esaltazione, gli buttava le braccia al collo e gli si stringeva al petto, fremente, ne provava tale gaudio e insieme tale sgomento, che si sentiva quasi schiantar l’anima, e piangendo e premendo le mani sulle terga del bimbo, esclamava: – Oh figlio mio! E che vorrà Dio da te?

             Ma sì! Il diavolo stava intanto in agguato dietro il seggiolone su cui il padre beneficiale Fiorìca sedeva con Guiduccio sulle ginocchia; e il padre beneficiale Fiorìca, al solito, non se n’accorgeva.

             Avrebbe potuto notare, santo Dio, una cert’ombra che di tratto in tratto passava sul volto del fanciullo e gli faceva corrugare un po’ le ciglia. Quell’ombra, quel corrugamento di ciglia erano provocati dalla bonaria indulgenza con cui egli velava e assolveva certi fatti della storia sacra; bonaria indulgenza che turbava profondamente l’anima risentita del fanciullo già forse messa in diffidenza a casa e fors’anche derisa dal padre e dalle sorelle.

             Ed ecco allora in che modo il diavolo trasse partito da questi e tant’altri piccoli segni che sfuggivano all’accorgimento del padre Fiorìca.

             Nel mese di maggio, dedicato alla Vergine, nella chiesetta di San Pietro, dopo la predica e la recita del rosario, dopo impartita la benedizione e cantate a coro al suono dell’organo le canzoncine in lode di Maria, si faceva il sorteggio tra i divoti d’una Madonnina di cera custodita in una campana di cristallo.

             Donne e fanciulli, cantando le canzoncine in ginocchio, tenevano fissi gli occhi a quella Madonnina sull’altare, tra i ceri accesi e le rose offerte in gran profusione; e ciascuno desiderava ardentemente che quella Madonnina gli toccasse in sorte. Tuttavia, non poche donne, ammirando il fervore con cui Guiduccio pregava davanti a tutti, avrebbero voluto che la Madonnina, anziché a qualcuna di loro, sortisse a lui. E più di tutti, naturalmente, lo desiderava il padre beneficiale Fiorìca.

             Le polizzine della riffa costavano un soldo l’una. Il sagrestano aveva l’incarico della vendita durante la settimana, e su ogni polizzina segnava il nome dell’acquirente. Tutte le polizzine poi, la domenica, erano raccolte arrotolate in un’urna di cristallo; il padre beneficiale Fiorìca vi affondava una mano, rimestava un po’ tra il silenzio ansioso di tutti i fedeli inginocchiati, ne estraeva una, la mostrava, la svolgeva e, attraverso le lenti insellate sulla punta del naso, ne leggeva il nome. La Madonnina era condotta in processione tra canti e suoni di tamburi alla casa del sorteggiato.

             S’immaginava il padre Fiorìca l’esultanza di Guiduccio, se dall’urna fosse sortito il suo nome, e vedendolo lì davanti all’altare inginocchiato, rimestando nell’urna avrebbe voluto che per un miracolo le sue dita indovinassero la polizzina che ne conteneva il nome. E quasi quasi era scontento della generosità del fanciullo, il quale, potendo prendere dieci polizze con la mezza lira che ogni domenica gli dava la mamma, si Contentava d’una sola per non avere alcun vantaggio sugli altri ragazzi, a cui anzi lui stesso con gli altri nove soldi comperava le polizzine.

             E chi sa che quella Madonnina, entrando con tanta festa in casa Greli, non avesse poi il potere di conciliare con la chiesa tutta la famiglia!

             Così il diavolo tentava il padre beneficiale Fiorìca. Ma fece anche di più. Quando fu l’ultima domenica, venuto il momento solenne del sorteggio, appena lo vide salire all’altare ove accanto all’urna di cristallo stava la Madonnina di cera, zitto zitto gli si mise dietro le spalle e, sissignore gli suggerì di leggere nella polizzina estratta il nome di Guiduccio Greli. Allo scoppio d’esultanza di tutti i divoti, Guiduccio però, diventato in prima di bragia, si fece subito dopo pallido pallido, aggrottò le ciglia sugli occhioni intorbidati, cominciò a tremar tutto convulso, nascose il volto tra le braccia e, guizzando per divincolarsi dalla ressa delle donne che volevano baciarlo per congratularsi, scappò via dalla chiesa, via, via, e rifugiandosi in casa, si buttò tra le braccia della madre e proruppe in un pianto frenetico. Poco dopo, udendo per la viuzza il rullo del tamburo e il coro dei divoti che gli portavano in casa la Madonnina, cominciò a pestare i piedi, a contorcersi tra le braccia della madre e delle sorelle e a gridare:

             –   Non è vero! Non è vero! Non la voglio! Mandatela via! Non è vero! Non la voglio!

             Era accaduto questo: che dei dieci soldi che la mamma gli dava ogni domenica, nove Guiduccio li avea già dati al solito ai ragazzi poveri della parrocchia perché fossero iscritti anche loro al sorteggio; nel recarsi alla sagrestia con l’ultimo soldino rimastogli per sé, era stato avvicinato da un ragazzetto tutto arruffato e scalzo, il quale, da tre settimane ammalato, non aveva potuto prender parte alla festa e al sorteggio delle Madonnine precedenti, e vedendo ora Guiduccio con quell’ultimo soldino in mano, gli aveva chiesto se non era per lui. E Guiduccio gliel’aveva dato.

             Troppe volte il signor Greli in casa, scherzando, aveva ammonito il figlio:

             –   Bada, Duccio! Ti vedo con la chierica! Duccio, bada: quel tuo prete ti vuole accalappiare!

             E difatti, perché a lui quella Madonnina, se nessuna polizza recava il suo nome, quell’ultima domenica?

             La signora Greli, per far cessare l’orgasmo del figlio, ordinò che subito la Madonnina fosse rimandata indietro, alla chiesa; e d’allora in poi il padre beneficiale Fiorìca non vide più Guiduccio Greli.

La Madonnina – Audio lettura 1 – Legge Giuseppe Tizza
La Madonnina – Audio lettura 2 – Legge Gaetano Marino
La Madonnina – Audio lettura 3 – Legge Lorenzo Pieri
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