Come tu mi vuoi – Atto terzo

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Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
Atto Terzo

En Español – Como tu me deseas

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Andrea Jonasson e Kurt Beck, - Atto III
Andrea Jonasson e Kurt Beck, Come tu mi vuoi, 1992

1930
Come tu mi vuoi
Atto terzo

        La stessa scena dell’atto precedente, una ventina di minuti dopo. È quasi sera. La sala è invasa da una luce violacea, di tramonto già spento, che entra dalla loggia aperta, da cui ora il paesaggio s’intravede più che mai tranquillo, coi lumi tenui, aggruppati, di qualche villaggio lontano, e altri lumi sparsi nella campagna qua e là.

        Sono in scena Ines, Barbara, zio Salesio, Bruno, Silvio Màsperi. Ines, benché sorella minore di Cia, mostrerà più anni di quanti ne mostri l’Ignota. Veste con eleganza; ha il cappello in capo. Ciò che le spetta, lo ha. Una bella donna è. Un marito, ce l’ha. Una buona reputazione, ce l’ha. Una bella casa, ce l’ha. Non desidera nulla e non parla male di nessuno perché solo gl’invi­diosi sparlano, e lei non ha niente da invidiare a nessuno. Ciò che ha fatto, l’ha fatto perché era giusto lo facesse. Non contro la sorella. Dio sa quanto la pianse la sorella sua disgraziata, prima per ciò che le avvenne e poi creden­dola morta. Ma, avendo in casa una figlia, e ritenendosi ormai l’unica nipote di quel povero zio Salesio, che s’era spogliato della villa e delle terre, non certo per lasciarle godere a un estraneo, dovette – anche per la buona vec­chiaia di zio Salesio – far valere i diritti per il loro riacquisto. Morta Cia, do­vevano rientrare in famiglia.

        Barbara è una vecchia zitella, atticciata, di quaranta anni, con un testone di capelli così, neri, quasi metallici, un po’ brizzolati qua e là; e l’aria cupa e scontrosa di chi sta sempre intozzata su di sé. Quando proferisce qualche pa­rola, dà l’impressione che si spiccichi tutta. Gli occhi che sfuggono sempre lo sguardo altrui, palesano chiaramente ch’ella sente in sé, chi sa in che modo feroce, il segreto, tremendo tormento d’esser nata donna e brutta. Il Màsperi – peccato che il labbro superiore – non si sa come – pare gli si sia rattratto e seccato sotto il naso e sui denti davanti, grossi, ma curatissimi; sa­rebbe, senza questo, un bell’uomo, prestante, di maniere distinte, con una carnagione che, Dio mio, si direbbe imbellettato. Porta le lenti che, parlando, si rialza spesso sul naso, con due dita. Vuol essere compito; ma al mondo, bi­sogna saperci anche stare; e le cose saperle fare. Lui le ha sapute sempre fare. Coi guanti, coi guanti! Ma le mani, dentro i guanti, ben ferme e sode. Ora non sa più come nascondere il malumore e frenar l’impazienza per lo sgarbo che sta ricevendo con la moglie. Guarda tutti gli altri, che son come freddati nell’attesa che si protrae da quasi mezz’ora. L’Ignota, dopo aver detto che sarebbe ridiscesa subito, non è ancora ridiscesa. Questa mezz’ora d’attesa pare quasi quasi più lunga, ormai, dei quattro mesi che ha fatto passare prima di accordar quella visita, che avrebbe dovuto av­venir subito.

        Questa protratta attesa deve far quadro, al levarsi della tela. Alla fine di­scende dalla scala la zia Lena.

        BRUNO: Che fa, insomma? T’ha detto che scende?

        ZIA LENA: Sì, ha detto «Vengo» – ma… –

        BRUNO: – ma? –

        ZIA LENA: – … era lì tra i suoi abiti… ha aperto i bauli…

        BRUNO (stordito): – i bauli? –

        ZIA LENA: – forse per cercare… o per riporre, io non so…

        Pausa.

        INES: Non vorrà… dico, partire?

        BRUNO: Ma no, che partire! (A Lena:) Non le hai chiesto perché? (Poi, agli altri:) Sì, disse che voleva cambiarsi…

        ZIA LENA: E s’è cambiata! (Stava così bene com’era!)

        BRUNO: E allora?

        ZIA LENA: Che vuoi che ti dica! È tutta accesa in volto… nervosa… M’ha quasi spinto fuori dell’uscio: «Va’ giù, va’ giù! Di’ che ora vengo…»,

        ZIO SALESIO: E dunque verrà!

        Pausa.

        BARBARA (appressandosi alla loggia): Come si vede bene di qua tutta la cam­pagna… quei lumi…

        MÀSPERI (andando a guardare anche lui): Sì, la serata è poi così tranquilla… Mah… (Pausa.)

        BRUNO (a Lena, piano): Com’era?

        ZIA LENA: Giurerei che ha pianto…

        ZIO SALESIO: Certo è molto turbata! – Si spiega: l’idea di rivedere…

        MÀSPERI: Eh no, – eh no – chiedo scusa, quand’è così – l’idea di rivedere, no! – tranne che il mal’animo non l’abbia lei, contro la sorella.

        ZIA LENA: Non contro la sorella! Chi ti dice che c’entri la sorella? Dai retta alle spiegazioni di Salesio? (A zio Salesio:) Lo dovresti pur sapere – mi pare – contro chi… Ha parlato chiaro con me e con te!

        BRUNO (pigiando sulle parole): Ce l’ha con me.

        MÀSPERI: Ah – se è cosa tra voi…

        BARBARA: Già, ma – noi stiamo qua ad aspettare, ormai da un quarto d’ora… (Pausa. )

        INES: Mal’animo non dovrebbe più averne…

        ZIA LENA (a Ines): Ma che mal’animo, se ha detto perfino che è giusto ciò che tu hai fatto – che vuoi di più? – e che sarebbe felice se tutto, qua, fosse ritor­nato a lui (indica zio Salesio) perché lui potesse ancora disporne e darlo a te! (A zio Salesio:) Non ha detto così?

        ZIO SALESIO: Così! Così!

        ZIA LENA: E dunque!

        INES: Ma no! Questo… Che c’entra ora darlo a me?

        ZIA LENA: È per dire, adesso, qual è il suo sentimento!

        ZIO SALESIO: Proprio così! Giusto – ha detto – che tu, dopo dieci anni…

        INES: Non lo feci nemmeno per me – lo sai, zio, ma per te – e poi, sì… perché ho una figlia…

        MÀSPERI: Avrà compreso che noi, propriamente, non si è voluto far nulla con­tro di lei…

        BRUNO (spiccando bene le parole): Ciò che pare non voglia comprendere è sol­tanto quello che avete fatto voi contro di me.

        MÀSPERI (mettendo le mani avanti): Oh – non saremo venuti qua – spero – per tornare a discuterne!

        BRUNO: No, no –

        MÀSPERI (vorrebbe seguitare): Stiamo qua aspettando…

        BRUNO (non gliene lascia il tempo): È per chiarire, adesso, il suo animo… Anche per me! Dico, per vederci chiaro io stesso. (Con scatto d’ira:) Fosse il tempo di far ghiribizzi! Non so dove vorrei essere io, in questo momento… (A zia Lena e a zio Salesio:) Ha parlato con voi due… Che cos’ha contro di me? – Le è nato il sospetto…?

        ZIA LENA: Sì, è questo – credi – è questo!

        ZIO SALESIO: Ha detto che, se avesse saputo di dover ritrovarsi in mezzo a un contrasto d’interessi…

        MÀSPERI: Ma dove? Finito subito ogni contrasto, col suo ritorno!

        ZIO SALESIO: Gliel’abbiamo detto!

        INES: Io sarei subito corsa –

        BARBARA: – anch’io – se Bruno –

        MÀSPERI: – eh già – non avesse fatto sapere a tutti –

        INES: – che non voleva veder nessuno – sopratutto me! – Le avrei fatto inten­dere che mai e poi mai, io… Ma come! Dio solo sa tutte le lacrime che piansi per lei… (Si commuove e nasconde gli occhi nel fazzoletto.)

        MÀSPERI: Lascia! Lascia! Mi pare che questo l’abbia compreso bene. Dunque, non c’entri tu. Pare che qua, ora, si tratti d’altro, non senti?

        BRUNO: Io non ho detto che non voleva. Che non poteva – ho detto.

        ZIA LENA: E non poteva, non poteva davvero! Neanche noi due ha potuto ve­dere in principio! Signori miei, insomma, bisogna pensare ch’è terribile quello ch’è avvenuto a questa poverina!

        ZIO SALESIO: L’orrore del passato… Ritornare qua… Ha potuto farlo soltanto per amore di lui… Non voleva!

        ZIA LENA: Forzata! (Bruno si volta a guardarla male, ella aggiunge:) Sì, l’ha detto, forzata!Pausa.

        BARBARA (come spiccicandosi): E – il sospetto? La domanda suona strana. E provoca un altro silenzio.

        MÀSPERI (vi fa cadere un): – già… –

        BRUNO (non potendo ormai fare a meno di rispondere): – che io l’abbia ap­punto forzata – ecco – a venire, perché qua avevo bisogno di lei, per la com­petizione con voi. – Veramente non voleva. – E credo appunto che le sia nato, questo sospetto, perché io là, per persuaderla a venire e farle vincere… proprio quest’orrore del passato che dice zio Salesio – non solo – ma più, forse, quello di dover rivedere voi tutti… (eh, cari miei, bisogna pur tener conto della vita che s’era buttata a fare là, dopo l’inferno della sua sciagura; decisa a non ritornare più) – l’idea (a Ines:) sopratutto di te, della sorella che le avrebbe certo richiamato l’immagine della sua vita di prima – tu non sai che orrore le suscitò! – ebbene, le avevo promesso che non avrebbe veduto nessuno… «C’è una scusa, c’è una scusa – le dissi – perché tu non la veda!» Questa, degli interessi. – E lei non le diede altra importanza – credi – a que­sta questione d’interessi, se non di scusa, appunto, per non vederti. – Ero si­curo che poi, passato il primo momento, calmata, rimessa qua nella sua vita di prima, insomma col tempo, quel ritegno sarebbe riuscita a vincerlo.

        INES: Ma gliel’avrei fatto subito vincere io, assicurandola che…

        BRUNO: – non era tanto per te – quanto forse per sé – … – almeno m’è parso… – (A zia Lena, con astio:) Forzata… Ecco, così l’ho forzata… Se questo è for­zarla… Non le ho mai fatto nessuna pressione! (Irritandosi sempre più:) Ma, dico, da questa situazione si doveva pur uscire una volta, no? Mi son veduto costretto a cercar di persuaderla, che doveva pur cessare… ciò che finora era stata soltanto una scusa… – (rivolgendosi a zia Lena e a zio Salesio:) tanto più, se lei stessa a voi due – come dite – ha ora manifestato chiaramente che (a Ines:) contro te non ha nulla… Ecco: se ha voluto levar di mezzo lei stessa – così – quella scusa (suda, si agita:) io non so! – (Brevepausa – poi scatta:) Mi secca che in questo momento debba aver l’aria di scusarmi io, in faccia a voi… (Passeggia.) Sospetta di me… come se non fossi rimasto io solo, tra voi tutti, a credere che lei non fosse morta! così sicuro, che non badai perdio! a spendere quello che spesi per rifarle qua tutto! – Mi dite perché lo feci? Non sarei stato un pazzo a farlo, col bel resultato di vedermi levare poi tutto da voi? – E allora, si sa, ci ho messo un certo puntiglio, può essere nata in me una picca, non lo nego! mi pare, dopo tutto, naturale… E son corso, appena saputo, non m’è parso vero… Ho dovuto combattere… difendere (non è un de­litto!) i miei interessi, oltre che il mio sentimento. .. (Avverte a questo punto egli stesso che sta parlando come per trovare a se stesso un modo per giusti­ficarsi e non può fare a meno di confessare:) E una cosa… una cosa che ve­ramente sconcerta… quando è nato un sospetto… tutto ciò che prima s’è fatto senza badarci… si resta male a pensare che… davvero ora… alla luce di quel sospetto… possa apparire… (Con ira guardando verso la scala:) Ma che fa, ancora?

        INES: Eh – perché, se non vuole scendere…

        BARBARA: – mi pare inutile che stiamo qua ancora ad aspettarla!

        ZIA LENA: Abbiate pazienza! Vorrà prima quietarsi… V’ho detto che…

        BRUNO: Ma dovrebbe pur pensare, che tra poco, qua… (Si frena; e, subito, a zia Lena:) Lena, fammi il piacere, ritorna su e dille a mio nome così, che si ri­cordi bene dove e perché è andato Boffi. Bisogna che si trovi qui! La si è aspettata già troppo! C’è un limite…

        ZIA LENA: Vado, vado, sì… (Si avvia alla scala.)

        INES: Anche per vedere come sta…

        ZIA LENA: Sì, sì. (Via su per la scala.)

        INES: Perché, se proprio per questa sera non si sentisse…

        BARBARA: Ecco, noi ce n’andremmo! Pausa.

        MÀSPERI: Mi dispiace che una questione per noi finita subito, alla notizia del suo arrivo, abbia potuto ora cagionare una questione tra voi due…

        BRUNO: E c’è altro… c’è altro, per cui… – no, sai? ogni questione tra noi non è forse finita…

        MÀSPERI: Altro? che?

        BRUNO: Lei (fa cenno su:) lo sa bene che! – E non dovrebbe ora lasciarmi così! (Passeggia ancora; poi dice:) Vi prego di scusarmi… Sono in uno stato d’a­nimo… Ah Dio! Avessi potuto immaginare una cosa simile… – Non voler stare ai fatti… – facile! Bisogna starci, se avvengono, se si provocano… Debbo anche rispondere di quelli che non ho provocati io? Si vede ridiscendere la zia Lena.

        INES: Ecco qua Lena di nuovo –

        BARBARA: – sola!

        BRUNO: Ebbene? Che ha detto?

        ZIA LENA: Eh – io non so – dice che è «proprio per questo» che ancora non scende…

        BRUNO: Ah sì? proprio per questo?

        ZIA LENA: Sì.

        BRUNO: Vuole dunque aspettare…?

        ZIA LENA: – che prima Boffi ritorni.

        BRUNO: Ah! t’ha detto così! vuol dunque proprio farmi disperare?

        ZIA LENA (stringendosi nelle spalle): Che vuoi che ci faccia… Ha detto così…

        BRUNO: Vado su io! Vado su io! (Corre su per la scala.)

        INES (alzandosi e avvicinandosi a zia Lena): Ma insomma che avviene? che è successo?

        BARBARA: Giusto nel momento della nostra visita…

        ZIO SALESIO: No no – ci dev’esser dell’altro, ci dev’esser dell’altro!

        ZIA LENA: Pare anche a me!

        MÀSPERI: L’ha accennato lui stesso…

        INES: Ma che altro? Dice che forse non è finita…

        MÀSPERI: Già! La questione… Non so a che abbia voluto alludere…

        ZIA LENA: Io dico che è per la lettera…

        INES: Lettera?

        ZIO SALESIO: Sì, sì – anch’io! Ne puoi star sicura…

        INES: Che lettera?

        ZIA LENA: Una certa lettera che hanno ricevuta poc’anzi… pare, di là…

        ZIO SALESIO: Ne han parlato qua a lungo…

        ZIA LENA: Sì – d’un tale… – io non so… Cose di là…

        ZIO SALESIO: Li ha messi in subbuglio…

        ZIA LENA: C’era anche Boffi – e poi l’hanno subito mandato… non so dove… a impedire…

        Si vede dalla loggia il lume abbagliante di due riflettori, e s’ode la tromba di un’automobile, e, di nuovo, sulla ghiaja del giardino lo strisciare delle ruote gommate.

        ZIO SALESIO: Ah! Eccolo! Dev’esser lui!

        ZIA LENA: Bene, bene. E vedrete che adesso scenderà. Ha proprio aspettato lui…

        ZIO SALESIO: Lo disse anche a noi, ti ricordi? che voleva che Boffi fosse pre­sente.

        ZIA LENA (guardando dalla porta del giardino): Sì, eccolo… (Moto ed espres­sione di sorpresa.) Ma – oh! non è solo…

        ZIO SALESIO (guardando anche lui): Sono in tanti…

        MÀSPERI (c.s.): O chi sono?

        INES: Ma c’è anche un’inferma?

        ZIA LENA: Pare…

        BARBARA: Che vuol dire?

        ZIO SALESIO: La tirano giù…

        MÀSPERI: Sì – l’ajutano a scendere…

        INES: Oh Dio, ma che cos’è?

        BARBARA: Che storia è questa?

        ZIO SALESIO: Gente che viene di là…

        ZIA LENA: Sì, son forestieri…

        MÀSPERI: Ma guarda…

        INES (addietrando): Che spavento!

        La luce in questo momento s’è fatta, nella sala, rada, vana, livida. Entrano prima la Demente sorretta dall’infermiera e dal Dottore, poi Boffi e Salter. La Demente è grassa, flaccida, con un viso di cera, i capelli scomposti, gli occhi svaniti, immobili, e la bocca atteggiata d’un perpetuo sorriso scemo, largo, vano, che non cessa neppur quando emette qualche suono o balbetta qualche parola, evidentemente senza intendere quel che dice. Il Dottore e l’Infermiera avranno il tipo e l’impostatura caratteristica dei tedeschi. E ora, anche il Salter parrà spiccatamente tedesco.

        LA DEMENTE: Le-na… Le-na…

        Proferirà con la bocca larga e piena di fiato, quasi in cadenza, queste due sillabe, che per lei non significano più un nome, ma sono come un verso che sia divenuto abituale.

        ZIA LENA (ne è atterrita): Oh Dio, ma come?… chiama me?

        INES: Chi è?

        BOFFI (ansiosissimo, entrando): Dov’è Bruno? la signora?

        LA DEMENTE (ancora): Le-na…

        ZIA LENA (guardando tutti, sbalordita): Chiama me!

        SALTER: Lei è della famiglia? – Si chiama Lena?

        ZIA LENA: Sì – sono la zia…

        SALTER (al Dottore): Senti? senti? C’è una della famiglia che si chiama Lena! Un’altra prova! Un’altra prova! Ah, ora è certo! è certo! Noi non lo sape­vamo!

        MÀSPERI (facendosi avanti): Che è certo?

        BOFFI: Ma non gli badate! Fa questo verso; l’ha fatto durante tutto il tragitto!

        LA DEMENTE: Le-na

        BARBARA: Dice proprio Lena però!

        BOFFI: Ma non chiama nessuno! E ride sempre così… (Poi alludendo a Bruno e all’Ignota:) Dove sono insomma?

        INES: Oh Dio, sono pazzi?

        MÀSPERI: Che significa? Perché hanno portato qua questa donna?

        BOFFI (sempre alludendo a Bruno e a l’Ignota): Possibile che se ne stiano su? Chiamateli, per favore!

        SALTER (a Boffi indicando gli altri): Questi signori sono altri parenti?

        BOFFI: Sì; – (presentando Ines:) questa è la sorella: la signora Ines Màsperi.

        SALTER: A C’è anche una sorella? sorella di lei? – E dunque, ecco – subito, subito…

        INES: Chi è il signore?

        BOFFI: Lo scrittore Carlo Salter.

        SALTER: La guardi dunque subito, signora: eccola!

        INES: Io? che dice? chi?

        BOFFI: Vuole ostinarsi a credere… s

        SALTER (a Ines): Possibile che non le dica nulla?

        INES: No… che? Dio mio… che vuole che mi dica?

        BOFFI: – che sua sorella è questa!

        MÀSPERI: Che?

        BARBARA: Questa?

        INES: Cia?

        ZIA LENA: Dove? Che dice? s

        SALTER: Sì, sì – questa! questa!

        ZIO SALESIO: Sarà pazzo anche lui!

        SALTER: Io l’ho portata fin qua…

        LA DEMENTE: Le-na…

        SALTER (mostrandola, alla voce): Ecco: non è una prova? Possibile che non paja loro una prova? Chiama Lena!

        IL DOTTORE: Da anni, sempre, chiama Lena!

        SALTER (a zia Lena): – lei! lei! –

        ZIA LENA: – ma no! non è possibile!

        SALTER: Non la riconosce? la guardi negli occhi! come non la riconosce?

        ZIA LENA: Che vuole che riconosca? Chi debbo riconoscere?

        SALTER: Il mio amico – il dottore che la studia da anni – ha documenti, prove…

        MÀSPERI: Che prove? Le mostri!

        BARBARA: Ma è impossibile!

        MÀSPERI (a Barbara): Lo lasci dire, prego! Noi siamo presi così all’improv­viso… Che prove?

        ZIA LENA: Ma se è su, la nostra Cia!

        SALTER: La signora che è su, io la conosco bene!

        ZIO SALESIO: Ah, questo è un caso…

        BARBARA: Incredibile! Incredibile!

        MÀSPERI: Lasciamolo dire, signori miei! (A Salter:) Lei conosce…?

        SALTER: La signora su – troppo bene!

        ZIA LENA: La vuol conoscere meglio di me? Le feci da mamma, io! s

        SALTER (indicando la Demente): A questa! A questa!

        ZIA LENA: Ma che a questa!

        MÀSPERI: Se lei crede d’aver prove e documenti…

        ZIO SALESIO: Ma che dici, prove? ti pare sul serio…?

        MÀSPERI: No, dico che c’è il modo… se dicono d’aver prove da far valere…

        BOFFI (ironicamente): Ecco, ecco!

        ZIO SALESIO: Faranno ridere – o piangere di compassione!

        MÀSPERI: – … Ci sono le autorità competenti!

        BOFFI: Anche quando si conosca la ragione per cui tutto questo è fatto?

        MÀSPERI: Io non so perché sia fatto!

        BOFFI: Lo so io, e lo sa Bruno con me, e la signora! Dove sono?

        SALTER: La parola è vostra: vendetta –

        BOFFI (a Màsperi): – lo sente? –

        SALTER: – ma la mia è anche punizione!

        MÀSPERI: Io non conosco il signore…

        ZIO SALESIO: O oh! Del resto, importa fino a un certo punto, perché il signore l’abbia fatto. – Fuori, fuori, qua, se ci sono prove, documenti! Perché non vogliamo che tra noi ci possa esser qualcuno che di questa sua vendetta, o punizione, si abbia ora ad approfittare!

        BOFFI (a Màsperi): Previsto – sa?

        MÀSPERI: Che dice lei, previsto? Chi poteva prevedere una cosa simile?

        BOFFI: No – dico che lei se ne potesse approfittare!

        ZIO SALESIO: Ma non se ne deve approfittare nessuno!

        INES (sdegnata): No! chi dice approfittare? Anche tu, zio? No! Non devi dirlo! (A Salter:) Ecco qua: noi tutti – io, che sono la sorella – questa, una zia, – quello, uno zio – e la cognata – e lei, Boffi – tutti – guardiamo questa pove­rina che lei ha portato, e non la riconosciamo.

        SALTER: Perché hanno già riconosciuta la signora su?

        INES: No! Io, no!

        SALTER: Come! lei non l’ha riconosciuta?

        INES: Non l’ho ancora veduta, da che è arrivata. Sono venuta a vederla oggi appunto.

        SALTER: Non ha voluto prima?

        INES: No, non io – lei…

        SALTER: Ah, è stata lei? – Chiaro. – Perché non ha potuto, la sorella… Eh, con la sorella… il sangue… Solo a immaginarlo – la guancia su la guancia – con­tatto insopportabile, anche per lei stessa… Temeva che la signora non avrebbe sentito parlare il sangue. Si provi, signora, si provi ora, e lo sentirà là lei (in­dica la Demente) parlare, il proprio sangue…

        INES (inorridita): Ma no, Dio, non seguiti!

        SALTER: Se in lei la pietà potesse vincere l’orrore… – E lei, guardi – dieci anni – tutti gli scempii – la guerra – la fame… – Conosco quella che su si dà per lei. Ora, se quella è parsa a loro tanto somigliante, guardino… guardino bene che questa… a volerla ritrovare… sì, sotto i guasti e le alterazioni… ha – ha pure quei tratti…

        INES: Ma no!

        ZIA LENA: Dove?

        ZIO SALESIO: Che dice?

        SALTER: Gli occhi, se non fossero così svaniti…

        BOFFI: Ma neanche per idea – altro taglio! – forse un po’ il colore…

        SALTER: Impazzita da nove anni… Fu trovata con una vecchia casacca d’ussero addosso, tutta stracciata, ma con un segno!

        INES: Che segno?

        ZIO SALESIO: E dove fu trovata?

        SALTER: A Lintz.

        MÀSPERI: Che segno – quella casacca?

        SALTER: Del reggimento a cui quell’ussero apparteneva. Il reggimento era stato qua – qua! – proprio qua!

        MÀSPERI: Ah, qua, durante l’invasione?

        BOFFI: E che prova, questo? Potè averla a Lintz in elemosina, quella casacca, da un ussero che era stato qua durante l’invasione.

        LA DEMENTE: Le-na…

        SALTER: E chiama Lena! Sentono? Perché? Le è rimasto fisso solo questo nome. (A zia Lena:) Ma lei che dice averle fatto da madre…

        ZIA LENA (con risoluzione improvvisa, vincendo l’orrore, tra l’orrore di tutti, prende con ambo le mani il capo della Demente e chiama): Cia! – Cia! – Cia!-

        La Demente resta impassibile col suo muto riso vano. Tutti la guardano. Nel mentre è scesa dalla scala l’Ignota seguita da Bruno. Nessuno se n’è accorto. Se la trovano lì davanti che s’avanza verso la Demente appena la zia Lena, delusa, se ne stacca; e, cosa strana, dopo quanto è avvenuto, e per il solo fatto che è pur lì quella Demente che nessuno tuttavia ha potuto riconoscere, tutti, anche quelli che fin’ora hanno creduto in lei, la zia Lena, lo zio Salesio, lo stesso Boffi, restano a mirarla perplessi e dubitosi.

        L’IGNOTA (nel silenzio, mentre così tutti la guardano, dice a Bruno): Provati a chiamarla anche tu.

        SALTER: Ah, eccola!

        L’IGNOTA (subito, altera): Eccomi.

        INES (nella perplessità, ma come se sentisse di doverla vincere): Cia…

        L’IGNOTA: Aspetta. Fate luce. Qua ci si vede appena.

        Zio Salesio va presso la porta a girare la chiavetta della luce. La scena s’il­lumina.

        INES (guardandola alla luce, dopo un momento ancora d’esitazione, ripete): Cia…

        SALTER (a cui, di fronte all’altera sicurezza dell’Ignota e a questo ripetuto ap­pello di Ines avviene l’inverso di quanto è avvenuto agli altri – cioè di dubi­tare ora di se stesso, dice, rivolto a Ines): Lei crede veramente…?

        L’IGNOTA (a Salter): Ho trattenuto su lui (indica Bruno) e mi sono trattenuta io, apposta per dare qua a lei il tempo di fare il suo colpo. Riconosco la sua fe­rocia. Solo uno come lei poteva esser capace di commettere una simile atro­cità: portare qua… (S’appressa alla Demente; con pietosa delicatezza accosta le dita sotto il mento dì lei, per contemplarla da vicino nel viso che ride.)

        LA DEMENTE (mentre l’Ignota la contempla, emette ancora, senza cessare dal suo vano riso, il verso abituale): Le-na…

        L’IGNOTA: Lena…? (E si volge dominando il brivido che ne prova, verso la zia Lena. )

        SALTER (subito, mostrandola): Ecco, ecco, vedono? chiama Lena, per lei! s’è voltata a guardarla!

        BOFFI (insorgendo): Ma no! Questo s’è già chiarito!

        L’IGNOTA: Che s’è chiarito?

        ZIA LENA: Non chiama me…

        BOFFI: È un verso, signora – un verso che fa sempre…

        SALTER: A me basta che si sia voltata –

        L’IGNOTA: – per aver la prova, è vero? che Cia non sono io.

        SALTER: Ha finanche detto: «Provati a chiamarla anche tu!».

        L’IGNOTA: Che non mi credesse lei, lo sapevo; ma ho sorpreso qua loro adesso, mentre, così china, lei (indica Lena) chiamava: – «Cia… Cia…».

        ZIA LENA (afflitta, per scusarsi): Ma perché… vedi…?

        ZIO SALESIO (a un tempo, indicando Salter): – sotto la sua insistenza… –

        BOFFI (a un tempo anche lui): – … sentendo quel «Le-na» – «Lena»…

        L’IGNOTA (dominando le voci simultanee): Ma sì… ma sì… è naturale… natu­rale… (A Lena:) E vedo come ora mi guardi…

        ZIA LENA (smarrita): Come ti guardo…?

        L’IGNOTA (a zio Salesio): Anche tu…

        ZIO SALESIO: Io?… no… no…

        L’IGNOTA: E lei stesso, Boffi…

        BOFFI: Ma niente affatto! – Nessuno l’ha riconosciuta! (Allude alla Demente.)

        ZIO SALESIO: Siamo tutti… (Non sa come dire: sorpresi, sopraffatti. Del resto, non gliene lasciano il tempo.)

        BOFFI: E sua sorella stessa, ha potuto vedere che –

        L’IGNOTA: – sì – ha chiamato me, Cia, due volte…

        BOFFI (prima a Salter): Lei ha sentito? (Poi, a Màsperi, con intenzione:): Elei, avrà sentito?

        INES (sdegnata): Io le ho detto che nessuno qua si vuole approfittare…

        BOFFI: No, dico perché, se mai – di questo – potrebbe approfittarsi anche Bruno!

        L’IGNOTA (di scatto): Ah no, lui no! non s’approfitterà di nulla lui! – Del resto, vede? è lì smarrito più di tutti…

        BRUNO (riscotendosi): Smarrito? Sbalordito dalla tracotanza di questo signore, che ha osato, sì – lui – approfittarsi…

        L’IGNOTA: Sta’ sicuro che non s’approfitterà neanche lui (guarda Salter:) né di me né di questa poverina. (Indica la Demente.)

        SALTER: Io ho creduto mio obbligo –

        L’IGNOTA: – portarla qua –

        SALTER: – sì, per punir lei!

        L’IGNOTA (facendoglisi avanti): Punirmi?

        SALTER: Sì! Di quello che ha fatto! Io ho rischiato di morire per lei; e proprio in quello stesso momento, lei ha potuto venirsene qua, ingannando altri!

        L’IGNOTA: Io non ho ingannato nessuno!

        SALTER: Sì, sì, ha ingannato! ingannato!

        BRUNO (facendo per lanciarsi): Si provi ad asserirlo un’altra volta…

        L’IGNOTA (subito fermandolo): No – calma, calma, tu!

        BOFFI: Provoca!

        L’IGNOTA: Basto io! (E volgendosi subito a Salter:) Con la mia «impostura», è vero? – Ne ha dato le prove? – Come? così? – con questa cosa atroce che ha osato fare? – E lei (rivolgendosi al Dottore:) è il medico che s’è prestato?

        IL DOTTORE: Prestato, sì – tanto più, che s’è avuto motivo di supporre… –

        L’IGNOTA: – ah sì – questo è vero! – che qua s’avesse interesse a non far na­scere un dubbio, magari anche interessato… – V’assicuro che sono contenta che ci siate riusciti: il dubbio, difatti, è nato.

        ZIA LENA: Ma no!

        BOFFI (a un tempo): Quando?

        ZIO SALESIO (c.s.). In chi? No!

        L’IGNOTA (quasi gridando): Ne sono contenta! (Poi con altro tono:) Dite di no… vi ho sorpresi…

        ZIO SALESIO: Ma se non l’abbiamo riconosciuta!

        L’IGNOTA: Non importa!

        BOFFI: Stia sicura, signora! Scommetto che non lo crede nemmeno lui stesso!

        L’IGNOTA: Non importa! (Poi, andando lentamente avanti a Salter:) Veda un po’ di che specie curiosa deve essere questa mia «impostura», se io, proprio io, ho fatto notare come tutti, appena scesa, m’avete guardata! – E badi, Boffi, che solo per farsi forte contro il dubbio che le è sorto… –

        BOFFI: – le giuro che in me non è sorto alcun dubbio! –

        L’IGNOTA: – (è sorto – è sorto) – e per confortarsi, ha osservato, e m’ha fatto osservare – che lei (indica Ines) m’ha chiamata Cia due volte… –

        BOFFI: – ma no! perché è vero! – Scusi, che dubbio vuole che mi sia sorto per…? (Indica la Demente.)

        L’IGNOTA: – no – per me! – per me! – anche senza che abbiate potuto ricono­scere lei. Il più naturale dei dubbi – appena vi sono apparsa d’improvviso… smarriti come eravate… E lui (indica Salter) ha avuto subito il dubbio oppo­sto – sì, sentendomi chiamar Cia da chi ancora – prima – non m’aveva veduta. Ma naturale… naturale… (A Lena che piange in silenzio:) Non piangere adesso! – Qualunque certezza può vacillare, appena il minimo dubbio sorge e non ci fa credere più come prima!

        SALTER: Ammette lei stessa, dunque, che può non essere Cia?

        L’IGNOTA: Ammetto ben altro! Ammetto che Cia può anche essere questa (in­dica la Demente) – se loro volessero crederlo!

        ZIO SALESIO: Ma noi non lo crediamo!

        SALTER (subito, indicando prima l’Ignota e poi la Demente): Eh, perché lei somiglia, e quella no!

        L’IGNOTA: Ah no! questo no! Non perché somiglio! Io stessa – proprio io – ho detto anzi a tutti che non è prova – nessuna prova – la mia somiglianza – questa somiglianza per cui tutti avete creduto di conoscermi. Gridai proprio: «Ma com’è possibile – ci pensate? – una, a cui sia passata sopra la guerra – dopo dieci anni – rimanere così – la stessa?» – Sarebbe, se mai – al contrario

        –  una prova che non sono io!

        MÀSPERI (colpito, con scatto spontaneo): Eh già! Questo…

        L’IGNOTA (subito, rivolta a lui): Non è vero? – Una prova che non posso essere io! (Di nuovo, a Salter:) Vede? C’è chi lo pensa soltanto ora…

        BRUNO: Mi pare che tu stia facendo di tutto…

        L’IGNOTA: Ma se ne convenisti anche tu!

        BRUNO: Io?

        L’IGNOTA: Tu! tu!

        BRUNO: Quando? che dici?

        L’IGNOTA: Quando te lo dissi là, – e ne restò scosso anche lei, Boffi! – Per forza! – Soltanto se si crede – o quando faccia comodo credere – una cosa tanto chiara non si pensa – o non si vuol pensare: che essere così, la stessa, è anzi una prova contraria – e che dunque – perché no? – Cia può esser proprio –   invece – questa disgraziata, appunto perché non somiglia più affatto.

        BRUNO: Questo è un gusto malvagio!

        L’IGNOTA: T’ho detto ch’io debbo rispondere a lui (indica Salter) della mia im­postura!

        BRUNO: Come? così? facendo tu stessa dubitare di te?

        L’IGNOTA: Così! così! – Perché voglio che tutti – sì – dubitino di me – come lui

        – per prendermi almeno questa soddisfazione di restare io sola a credere a me! (Accennando alla Demente:) Non l’avete riconosciuta… Forse perché irriconoscibile? Perché, a guardarla, non vi sembra? Perché non v’hanno portato prove sufficienti? – No! no! – È solo perché non vi pare ancora che ci possiate credere! Ecco tutto! – Più d’un disgraziato, dopo anni, è ritornato così (indica lo Demente) – quasi senza più aspetto – irriconoscibile – senza più memoria – e sorelle, mogli, madri – madri – se lo son disputato! «È mio!» «No, è mio!» – Non perché sembrasse loro, no! (non può sembrare uguale il figlio dell’una a quello di un’altra!) – ma perché lo han creduto! lo han voluto credere! – E non c’è prove contrarie che tengano, quando si vuol credere! – Non è lui? – E per quella madre sì, è lui! Che importa che non sia, se quella madre se lo tiene e con tutto il suo amore lo fa suo? – Contro ogni prova, lo crede. Senza una prova, lo crede. – Me, forse, senza prove, non m’avete creduta?

        BOFFI: Ma perché è lei, e non c’è bisogno di prove!

        L’IGNOTA: Non è vero! (Voltandosi subito a Bruno che fa un atto di protesta:) Sta’ tranquillo, caro, che non è contro i tuoi interessi – anzi! – se mi provo a dimostrare che veramente, veramente Cia può essere questa (indica la De­mente.) – Si sono fatti tanti sospetti, scusate! Me l’ha detto lui (indica zio Salesio) perché me ne sono stata qua chiusa quattro mesi senza voler vedere nessuno…

        BRUNO: Ma tutti ne han capita la ragione!

        L’IGNOTA (ammiccando a zia Lena): Tranne i «maligni» eh? (Poi a Bruno:) Il male è che lo affermi tu… (A Màsperi) Ecco, lei che già lavora (si vede) –

        MÀSPERI (sorpreso): Ma no… io… –

        L’IGNOTA: – come no? si vede così bene… – su quanto ho finito or ora di dire! Vada avanti, vada avanti, un po’ più a fondo! Ci vuol tanto a sospettare… che so? – che qualcuna, approfittando appunto d’una rassomiglianza, che per esempio faceva comodo ad altri avere riscontrata in lei –

        BRUNO (masticando e sottolineando): – comodo – a me…

        L’IGNOTA (subito): Cos’è? S’è fatto questo sospetto?

        BRUNO: L’hai fatto tu!

        L’IGNOTA: Precisamente! (Poi, appressandosi a Màsperi:) – Ebbene, dico, ci vuol tanto a sospettare che io me ne sia stata qua, prendendomi comodamente tutto il tempo – (ammicca a zio Salesio:) quattro mesi! – per prepararmi a farmi quella – (indica il ritratto) – prima, dicendo di non poter soffrire la vista di nessuno (a Salter, ammiccando:) – e per fortuna, sa? la scusa c’era – comodissima per lui (indica Bruno.)

        BRUNO (subito ai parenti): Ecco, ve l’ho detto?

        L’IGNOTA: L’avrai detto – ma vedi che ora prestano ascolto a me! (A Salter:) – una contesa qua d’interessi, fra loro! (A Ines e a Màsperi:) Si può fingere bene in principio di non voler più avere in sé nessun ricordo (e guaj a Lena e a zio Salesio, infatti, se accennavano a voler richiamarne qualcuno). – E si può anche fingere d’averli totalmente perduti; ma intanto eh? a poco a poco, fabbricarseli. – (S’appressa a Boffi:) Gli ci volle, a lui (indica Bruno), il tempo necessario per rimettere in piedi la villa in rovina, le terre devastate? Ebbene, il tempo anche a me per ricostruirmi, pietra su pietra, come la villa; e la pietà dei ricordi della povera Cia, trapiantati in me il tempo di riallevarli per farli rifiorire in vita – (va lentamente verso Ines con le braccia protese:) fino al punto di poter ricevere alla fine convenientemente anche una sorella-(le prende le mani:) così da poterle parlare, per esempio, di quando s’era pic­cole insieme, e di quando si scherzava, benché orfane tutte e due, allevate dagli zii… Farmi – farmi – ridurmi insomma fino a parere «scesa da quel ri­tratto lì», – come disse zio Salesio – copiato anche nell’abito –

        INES: – copiato? –

        L’IGNOTA: – sì – m’ero vestita poc’anzi per ricevere voi – proprio come in quel ritratto, (a Lena:) non è vero? – e sono andata su a cambiarmi, perché vera­mente mi è parso troppo… (Movimento negli altri, d’imbarazzo, di dubbio, di costernazione.) Eh? – sì? – vi nasce alla fine questo sospetto? se ancora non l’avete fatto…

        MÀSPERI (quasi inorridito): Ah no – mai!

        INES: A chi poteva venire in mente…?

        BARBARA: …una cosa simile?

        L’IGNOTA (indicando Bruno): A lui – a lui è venuta in mente – una cosa si­mile…

        BRUNO: A me?

        L’IGNOTA: Sì – e ora hai il terrore che questo sospetto – che si può fare – che io stessa ho fatto – si scopra verità.

        BRUNO: Ma che verità! Voi potreste crederla?

        L’IGNOTA: La credono! la credono! Perché è – è la verità – la verità dei fatti! Proprio 1’«impostura» a cui crede lui (indica Salter).

        BOFFI: Ma che dice, signora!

        ZIO SALESIO: Com’è possibile?

        BRUNO: Questa è una vendetta contro di me, più feroce di quella di lui! (Indica Salter.)

        L’IGNOTA: Non mia, non mia! Si vendicano i fatti, caro, si vendicano i fatti! Ci sei voluto venire, chiamando loro qua? Io non posso accettare nel fatto il loro riconoscimento! Dovevi riconoscermi tu soltanto, disinteressatamente! – Non sono mica venuta qua per una dote da difendere! Sarebbe davvero un inganno, questo, che non ho pensato di fare; che non posso fare! Davvero sì, allora, la «impostura» che lui dice. Se ti serve – guarda – perché non ti paja una ven­detta – ora tu crédici! – davanti ai fatti, crédici!

        BRUNO: A che debbo credere?

        L’IGNOTA: A questa mia impostura! Che vuoi che ti dica di più?

        BRUNO (esasperato, facendosele incontro): Tu lo fai per mettermi alla prova! Tu stai facendo tutto questo per mettermi alla prova!

        L’IGNOTA: No! No! Davvero!

        BRUNO: Sì, è per questo! è per questo!

        L’IGNOTA: Guarda se, piuttosto, non è una nuova manovra, la tua…

        BRUNO: Che manovra?

        L’IGNOTA: Dare a intendere che io lo stia facendo per questo!

        BRUNO: No!

        L’IGNOTA: No? e allora, crédici! E dico veramente che – nel fatto – ci potete credere tutti – sì, sì – credere a lui (indica Salter:) e dargli ragione – ragione in tutto! – anche per questa poveretta, sì – che possa essere lei – Cia – vera­mente! Guardatela! (S’accosta di più alla Demente e di nuovo con pietosa de­licatezza le pone le dita sotto il mento.)

        LA DEMENTE (appena toccata, ripete): Le-na…

        L’IGNOTA (a zia Lena): Lena – senti? – Chiama proprio te! Perché non vuoi crederlo?

        LA DEMENTE: Le-na…

        L’IGNOTA: Ecco: te – davvero! – Io non t’ho voluta vedere – io t’ho fatta andar via di qua per più d’un mese – appena t’ho vista, non t’ho saputo dir nulla – questa viene, chiamando Lena – ha chiamato sempre Lena, Lena – e tu non le vuoi credere? Perché non t’ha risposto? E come volevi che ti rispondesse? Non vedi? (Contempla con infinita tristezza la Demente:) – Se può chiamar Lena così… con questo riso… nessuna voce potrà raggiungerla più! (Parlando a lei:) Chiami, chi sa da qual momento lontano… felice… della tua vita, a cui sei rimasta sospesa… là… Non vedi più altro… Nessuno ti può dare più nulla… La pietà?… che ti giova? Le cure che gli altri si possono prendere di te? – Ora – eh, beata in questo tuo riso – sei salva tu – immune… (A Salter:) A chi l’ha portata lei qua? (A Lena che, quasi pentita, attratta istintivamente dalla commozione, s’è appressata:) Ah! ti sei appressata?

        ZIA LENA (quasi senza voce, sbigottita): No… no. –

        L’IGNOTA (dolcemente): Sì, sta’ qua, sta’ qua… Forse anche la sorella… Mentre io dico a lui (indica Salter e gli si accosta:) un’altra cosa. (Fissandolo:) Lei, oltre che un cattivo uomo, dev’essere un cattivo scrittore.

        SALTER: Io? – può darsi – perché?

        L’IGNOTA: Dev’essere solo impostura – per lei – e nient’altro – tutto quello che scrive.

        SALTER: Ah, la mia…?

        L’IGNOTA: – la sua letteratura. Non ci deve aver messo mai nulla – né cuore – né sangue – né fremito di nervi – di sensi…

        SALTER: Nulla?

        L’IGNOTA: Nulla. E non le dev’esser mai nato da un tormento vero, da una di­sperazione vera, il bisogno di vendicarsi della vita, della vita com’è – come gli altri, i casi gliel’hanno fatta – creandone un’altra migliore, più bella, come avrebbe dovuto essere, come avrebbe voluto averla! – E perché è così lei, perché m’ha conosciuto (tre mesi…) com’ho potuto essere con lei, la mia è anch’essa una simile impostura?

        SALTER: Lei ci ha messo cuore…?

        L’IGNOTA: Mi dice perché altrimenti l’avrei fatto?

        SALTER: Per liberarsi di me.

        L’IGNOTA: Potevo liberarmi di lei, senz’ingannare un altro.

        SALTER: Sta finendo di confessare, mi sembra, che ha ingannato.

        L’IGNOTA: Ah bene! Le sembra che io abbia ingannato?

        SALTER: Può avere avuto il suo fine, ora, a confessare, forzata…

        L’IGNOTA: Che fine?

        SALTER: Qualche interesse…

        L’IGNOTA: Anche? Si vede che lei giuoca, scrivendo, solo per guadagnare. Vuol vedere come si giuoca gratis? Giuoco soltanto per lei. Non se ne deve appro­fittare nessuno! La mia impostura? Secondo come si cade, signor Salter, sotto le sventure! Guardi: si può cadere così (indica la Demente) quando avviene di cadere sotto le mani di un nemico feroce che n’abbia fatto scempio… allora bella… giovane… sorpresa qua sola nella villa… scempio delle carni, con tutte le ignominie che lei sa, e strazio dell’anima, fino a farla impazzire e ri­durla così, da renderle impossibile – da sé – il ritorno… – O si può – sì, ca­dere sempre, certo – ma altrimenti; subire tutte le onte e gli strazii, ugual­mente, fino a impazzire, sì – ma anche altrimenti… trovando, per esempio, nella pazzia un estro di vendetta contro la propria sorte… nell’orrore di quanto le è stato fatto, la sensazione d’essere rimasta tutta talmente insudi­ciata, da provar davvero ribrezzo, raccapriccio al solo pensiero di poter ritor­nare alla vita di prima… –

        SALTER (con feroce richiamo): – lei sta giocando –

        L’IGNOTA: – aspetti! – io dico alla vita di prima, per esempio qua, a questa villa

        – dove – ah Dio! fresca come un fiore, e limpida – limpida – a diciott’anni… stretta a lei –(allude a Ines senza voltarsi a guardarla, come se non fosse lì presente e la vedesse nel passato allorché a diciott’anni, accompagnata da lei, andò sposa lì nella villa donata in dote dallo zio. Lentamente, lentamente, mentre seguita a parlare, indietreggia fino a toccarla e dirà le ultime parole reclinando il capo sul petto di lei:) – forte, forte, senza volerla più lasciare, non perché non amassi lui… ma perché, quella prima notte, non sapendo nulla, le parole di lei che piangeva, ignara come me: «Dicono, sai? che egli ora ti deve vedere»…

        INES (con scatto di vivissima commozione, abbracciandola): Cia! Cia!

        L’IGNOTA (fermandola convulsa): No – aspetta! aspetta!

        BRUNO (con gioja trionfante): Questo non te l’ho detto io!

        L’IGNOTA (dopo averlo fissato, gli dice freddamente): Io potrei farti impazzire.

        – Non me l’ha detto nessuno. (E subito aggiunge, poiché Bruno, quasi senza volerlo, s’è voltato a guardar Lena:) – No, nemmeno Lena, no! Figurati! Una cosa così intima – (l’ho ricordata apposta) – non poteva avermela detta, nella confidenza tra sorella e sorella, se non chi veramente allora la disse, (a Ines:) non è vero?

        INES: Sì! Sì!

        L’IGNOTA (voltandosi subito a Bruno): Cia, tu, l’hai cercata male! – Le rico­struisti subito la villa; ma non cercasti, non cercasti mai bene, se tra le pietre sparse e lo scompiglio della rovina, qualche cosa di lei, della sua anima fosse rimasta… qualche ricordo veramente vivo – per lei! non per te! – Fortuna che l’ho trovato io!

        BRUNO: Che intendi dire?

        L’IGNOTA (non gli risponde e si rivolge a Salter): Capisce? e allora, insozzata da non potersi più ripulire, via, col più stupido di quegli ufficiali – (precisa­mente, precisamente, come là le raccontai) – via, prima a Vienna, per anni, nel trambusto dopo il crollo della guerra… – poi a Berlino… in quell’altro manicomio… Si vede una sera a teatro la Barth… s’impara a danzare… la pazzia s’illumina… applausi… un delirio… non vedi più la ragione di spo­gliarti di quei veli colorati della pazzia… puoi anche scendere in piazza, an­dare per le strade con quei veli… nei caffè notturni, dopo le tre, tra i buffoni in marsina… eh, signor Salter? finché non si diventa come diventò lei, lugu­bre e insopportabile… e finché non capita una sera tutt’a un tratto, quando meno te l’aspetti, (va verso il Boffi) uno che ti passa vicino, sguisciando come un diavolo, e ti chiama: «Signora Lucia», «Signora Lucia, suo marito è qua a due passi; se vuole, lo chiamo!». (Allontanandosi con le mani sulla faccia:) Ah, Dio, credetti che egli cercasse una che non poteva esserci più! una che soltanto in me comprendesse di potere trovar viva, per rifarsela, non come lei si voleva – (che per sé non si voleva più) ma come lui la voleva!(Scrollandosi per liberarsi da una pazza illusione e andando incontro a Sal­ter:) – Via! via! via! – Lei è venuto a punirmi della mia impostura? Ha ra­gione! Sa fino a qual punto si voleva farla arrivare, questa impostura? fino a farmi riconoscere da tre persone – mia sorella – mio cognato – mia cognata, sorella di mio marito – che sto vedendo soltanto ora per la prima volta in vita mia!

        INES (con enorme stupore): Ma Cia, che dici?

        L’IGNOTA: Com’è vero che non ero stata mai qua, da queste parti, prima che lui mi ci portasse!

        BRUNO (fremente, gridando): Tu sai bene che non è vero!

        L’IGNOTA: È vero! È vero!

        BRUNO: Tu lo vuoi far credere! Tu lo stai dicendo…

        L’IGNOTA: Sì – perché mi fa piacere che seguitiate a credermi Cia! – Ma Cia ora se ne va! Ritorna a danzare!

        BRUNO: Che?

        L’IGNOTA: Me ne parto con lui! (Indica Salter.) Me ne torno a danzare a Ber­lino! a Berlino!

        BRUNO: Tu non ti muovi di qua!

        L’IGNOTA: T’ho detto che Cia tu l’hai cercata male! Guarda! caro, che su nel riposto, tu avevi lasciato buttare, senza nemmeno accorgertene, uno stipetto di sandalo, tutto fracassato, con ancora, negli sportelli, attaccato qualche in­setto d’argento. Lena m’ha ricordato che quello stipetto Cia lo aveva conser­vato perché della mamma. Sai che ho trovato in un cassettino di quello sti­petto? un piccolo taccuino d’appunti di Cia dov’erano le parole dette da Ines il giorno delle nozze: «Dicono, sai? che egli ora ti deve vedere». – Questo taccuino è mio, e me lo porto con me! Tanto più che, strano!, anche la scrit­tura pare di mia mano! (Ride; fa per scappare; si ferma per aggiungere:) Un’altra cosa! un’altra cosa! Non ti scordare di far cercare alla sorella se questa poverina ha qua sul fianco… –

        IL DOTTORE: – sì – un neo…

        L’IGNOTA: – rosso? – rilevato? l’ha davvero? –

        IL DOTTORE: – sì – rilevato – ma non rosso – nero – e non propriamente sul fianco… –

        L’IGNOTA: Nel taccuino è detto: «rosso e rilevato – sul fianco – come una coc­cinella». (A Bruno:) – Vedi? si sarà annerito – si sarà spostato – ma ce l’ha! – Un’altra prova che è lei! – Credete, credete che è lei! – Andiamo, Salter! (A Boffi:) Penserà poi lei, Boffi, a rimandarmi tutto. (A Salter:) Ha fuori la mac­china? Vengo via così! (E corre verso la porta.)

        SALTER: Così, così! Andiamo, andiamo. Tutti e due di furia vanno verso la macchina in giardino.

        IL DOTTORE (movendosi anche lui con l’infermiera): Ma no, aspettate! E noi?

        BRUNO (stordito – smarrito come tutti): Come? Così?

        E via anche luì seguito dagli altri, nel giardino. Si udranno ora di là voci confuse e concitate. Restano in scena soltanto la Demente e la zia Lena, che se ne tiene però discosta – incerta anche lei – sbigottita.

        LA DEMENTE: Le-na…

        ZIA LENA (senza voce, come se non sappia credere): Cia…

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1930 – Come tu mi vuoi – Dramma in tre atti
Premessa
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
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