Ciascuno a suo modo – Personaggi, Atto primo, Primo Intermezzo corale

image_pdfvedi in PDF

Premessa
Premessa dell’autore
Personaggi, Atto Primo, Primo Intermezzo
Atto Secondo, Secondo Intermezzo

En Español – Cada cual a su manera

««« Elenco delle opere in versione integrale
««« Introduzione al Teatro di Pirandello

Ciascuno a suo modo - Atto I
Luigi Vannucchi, Lucilla Mornacchi, Giulio Brogi, Ciascuno a suo modo, 1961

Personaggi

Fissati nella commedia sul palcoscenico: 
Delia Morello – Michele Rocca – La vecchia signora Donna Livia Palegari, e i suoi invitati, le sue amiche e i vecchi amici di casa – Doro Palegari, suo figlio, e Diego Cinci, suo giovane amico – Il vecchio cameriere di casa Palegari Filippo – Francesco Savio, il contradditore, e il suo amico Prestino, altri amici, il Maestro di scherma e un cameriere

Momentanei nel ridotto del teatro:  
La Moreno (che tutti sanno chi è) – Il Barone Nuti – Il Capocomico – Attori e attrici – Il direttore del teatro – L’amministratore della compagnia – Usceri del teatro – Carabinieri – Cinque critici drammatici – Un vecchio autore fallito – Un giovane autore – Un letterato che sdegna di scrivere – Lo spettatore pacifico – Lo spettatore irritato – Qualcuno favorevole – Molti contrarii – Lo spettatore mondano – Altri spettatori, signori e signore

1924
Ciascuno a suo modo
Atto Primo

       Siamo nell’antico palazzo della nobile signora Donna Livia Palegari, nell’ora del ricevimento, che sta per finire. Si vedrà in fondo, attraverso tre arcate e due colonne, un ricchissimo salone molto illuminato e con molti invitati, signori e signore. Sul davanti, meno illuminato, vedremo un salotto, piuttosto cupo, tutto damascato, adorno di pregiatissime tele, la maggior parte di soggetto sacro; cosicché ci sembrerà di trovarci nella cappella d’una chiesa, di cui quel salone in fondo, oltre le colonne, sia la navata: cappella sacra d’una chiesa profana. Questo salotto avrà appena una panca e qualche scranna per comodità di chi voglia ammirar le tele alle pareti. Nessun uscio. Ci verranno dal salone alcuni degli invitati, a due, a tre alla volta, per farsi, appartati, qualche confidenza, e, al levarsi della tela, ci troveremo un Vecchio Amico di casa e un Giovine sottile, che discorreranno tra loro.

       IL GIOVINE SOTTILE: (con un capino straziato, d’uccello pelato) Ma che ne pensa lei?

       IL VECCHIO: (bello, autorevole, ma anche un po’ malizioso, sospirando) Che ne penso! (Pausa.) Non saprei. (Pausa.) Che cosa ne dicono gli altri?

       IL GIOVINE SOTTILE: Mah! Chi una cosa e chi un’altra.

       IL VECCHIO: S’intende! Ciascuno ha le sue opinioni.

       IL GIOVINE SOTTILE: Ma nessuno, per dir la verità, par che ci s’attenga sicuro, se tutti come lei, prima di manifestarle, vogliono sapere che cosa ne dicono gli altri.

       IL VECCHIO: Io alle mie mi attengo sicurissimo; ma certo la prudenza, non volendo parlare a caso, mi consiglia di conoscere se gli altri sanno qualche cosa che io non so e che potrebbe in parte modificare la mia opinione.

       IL GIOVINE SOTTILE: Ma per quello che ne sa?

       IL VECCHIO: Caro amico, non si sa mai tutto!

       IL GIOVINE SOTTILE: E allora, le opinioni?

       IL VECCHIO: Oh Dio mio, mi tengo la mia ma – ecco – fino a prova contraria!

       IL GIOVINE SOTTILE: No, mi scusi; con l’ammettere che non si sa mai tutto, lei già presuppone che ci siano codeste prove contrarie.

       IL VECCHIO: (lo guarderà un po’, riflettendo, sorriderà e domanderà) E con questo lei vorrebbe concludere che non ho nessuna opinione?

       IL GIOVINE SOTTILE: Perché a stare a quello che dice, nessuno potrebbe mai averne!

       IL VECCHIO: E non le sembra già questa un’opinione?

       IL GIOVINE SOTTILE: Sì, ma negativa!

       IL VECCHIO: Meglio che niente, eh! meglio che niente, amico mio!

       Lo prenderà sotto il braccio e s’avvierà con lui per rientrare nel salone in fondo.
Pausa. Nel salone si vedranno alcune signorine offrire il tè e le paste agli invitati. Entreranno guardinghe due Giovani Signore.

       LA PRIMA: (con foga ansiosa) Mi ridai la vita! Mi ridai la vita! Dimmi! dimmi!

       L’ALTRA: Ma non è niente più che una mia impressione, bada!

       LA PRIMA: Se l’hai avuta, è segno che qualcosa di vero dev’esserci! – Era pallido? Sorrideva triste?

       L’ALTRA: Mi parve così.

       LA PRIMA: Non dovevo lasciarlo partire. Ah, il cuore me lo diceva! Gli tenni la mano fino alla porta. Era già lontano d’un passo fuori della porta e ancora gli tenevo la mano. Ci eravamo baciati, lasciati, ed esse no, le nostre mani non si volevano staccare. Rientrando, caddi, come rotta dal pianto. – Ma dimmi un po’, dimmi: nessuna allusione?

       L’ALTRA: Allusione a che?

       LA PRIMA: No, dico, se – così, parlando in generale – come tante volte si fa…

       L’ALTRA: No, non parlava: stava ad ascoltare ciò che dicevano gli altri.

       LA PRIMA: Eh, perché lui lo sa! Lo sa quanto male ci facciamo per questo maledetto bisogno di parlare. Finché dentro di noi c’è un’incertezza, si dovrebbe stare con le labbra cucite. Si parla; non sappiamo neanche noi quello che diciamo… Ma era triste? Sorrideva triste? Non ricordi che cosa dicessero gli altri?

       L’ALTRA: Ah, non ricordo. Non vorrei, cara, che ti facessi qualche illusione. Sai com’è? Ci s’inganna. Era forse indifferente e mi parve che sorridesse triste. Aspetta, sì: quando uno disse –

       LA PRIMA: – che disse? –

       L’ALTRA: – una frase: aspetta… «Le donne, come i sogni, non sono mai come tu le vorresti».

       LA PRIMA: Non la disse lui, questa frase?

       L’ALTRA: No, no.

       LA PRIMA: Ah Dio mio! – Intanto, non so se sbaglio o non sbaglio. Io che mi sono vantata d’aver fatto in ogni occasione a mio modo! – Sono buona, ma posso diventar cattiva; e allora guaj a lui!

       L’ALTRA: Vorrei, cara, che tu non rinunciassi a essere come sei.

       LA PRIMA: E come sono? Non lo so più! Ti giuro che non lo so più! Tutto mobile, labile, senza peso. Mi volto di qua, di là, rido; m’apparto in un angolo per piangere. Che smania! Che angoscia! E continuamente mi nascondo la faccia, davanti a me stessa, tanto mi vergogno a vedermi cambiare!

       Sopravvengono a questo punto altri invitati: due giovanotti annojati, molto eleganti, e Diego Cinci.

       IL PRIMO: Disturbiamo?

       L’ALTRA: No no: tutt’altro. Venite avanti.

       IL SECONDO: Questa è la cappella delle confessioni.

       DIEGO: Già. Donna Livia dovrebbe tenere qua a disposizione dei suoi invitati un prete e un confessionale.

       IL PRIMO: Ma che confessionale! La coscienza! La coscienza!

       DIEGO: Sì, bravo! E che te ne fai?

       IL PRIMO: Come? Della coscienza?

       IL SECONDO: (con solennità) «Mea mihi conscientia pluris est quam hominum sermo».

       L’ALTRA: Come come? Lei parla in latino?

       IL SECONDO: Cicerone, signora. Me ne ricordo ancora dal liceo.

       LA PRIMA: E che significa?

       IL SECONDO: (c.s.) «Fo più conto della testimonianza della mia coscienza, che dei discorsi di tutto il mondo».

       IL PRIMO: Modestamente ognuno di noi dice: «Ho la mia coscienza e mi basta».

       DIEGO: Se fossimo soli.

       IL SECONDO: (stordito) Che vuol dire, se fossimo soli?

       DIEGO: Che ci basterebbe. Ma allora non ci sarebbe più neanche la coscienza. Purtroppo, cari miei, ci sono io e ci siete voi. Purtroppo!

       LA PRIMA: Dice purtroppo?

       L’ALTRA: Non è gentile!

       DIEGO: Ma perché dobbiamo fare i conti con gli altri, sempre, signore mie!

       IL SECONDO: Ma nient’affatto! Quando ho la mia coscienza!

       DIEGO: E non vuoi capire che la tua coscienza significa appunto «gli altri dentro di te»?

       IL PRIMO: I soliti paradossi!

       DIEGO: (Al Secondo) Che vuol dire, scusa, che «hai la tua coscienza e ti basta»? Che gli altri possono pensare di te e giudicarti come piace a loro, anche ingiustamente; che tu sei intanto sicuro e confortato di non aver fatto male. Non è così?

       IL SECONDO: Mi pare!

       DIEGO: Bravo! E chi te la dà, se non sono gli altri, codesta sicurezza? Codesto conforto chi te lo dà?

       IL SECONDO: Io stesso! La mia coscienza appunto! Oh bella!

       DIEGO: Perché credi che gli altri, al tuo posto, se fosse loro capitato un caso come il tuo, avrebbero agito come te! Ecco perché, caro mio! E anche perché, fuori dei casi concreti e particolari della vita… sì, ci sono certi principii astratti e generali, su cui possiamo essere tutti d’accordo (costa poco!). Intanto, guarda: se tu ti chiudi sdegnosamente in te stesso e sostieni che «hai la tua coscienza e ti basta», è perché sai che tutti ti condannano e non t’approvano o anche ridono di te; altrimenti non lo diresti. Il fatto è che i principii restano astratti; nessuno riesce a vederli come te nel caso che ti è capitato né a veder se stesso nell’azione che hai commessa. E allora a che ti basta la tua coscienza, me lo dici? A sentirti solo? No, perdio. La solitudine ti spaventa. E che fai allora? T’immagini tante teste, tutte come la tua: tante teste che sono anzi la tua stessa; le quali, a un dato caso, tirate per un filo, ti dicono sì e no, e no e sì, come vuoi tu. E questo ti conforta e ti fa sicuro. Va’ là, va’ là che è un giuoco magnifico, codesto della tua coscienza che ti basta!

       LA PRIMA: E già tardi, oh. Bisogna andare.

       L’ALTRA: Sì sì. Se ne vanno via tutti. (A Diego, fingendosi scandalizzata) Ma che discorsi!

       IL PRIMO: Andiamo, andiamo via anche noi.

       Ritorneranno nel salone per salutare la padrona di casa e andar via. Nel salone, ormai, saranno rimasti pochi invitati che già si licenziano da Donna Livia, la quale alla fine si farà avanti, molto turbata, trattenendo Diego Cinci. Lo seguiranno il Vecchio Amico di casa che abbiamo veduto in principio e un Secondo Vecchio Amico.

       DONNA LIVIA: (a Diego) No no, caro, non ve ne andate. Siete l’amico più intimo di mio figlio. Sono tutta sossopra. Ditemi, ditemi se è vero ciò che mi hanno riferito questi miei vecchi amici.

       PRIMO VECCHIO AMICO: Ma sono solo supposizioni, Donna Livia, badiamo!

       DIEGO: Su Doro? Che gli è accaduto?

       DONNA LIVIA: (sorpresa) Come? Non sapete nulla?

       DIEGO: No. Nulla di grave, suppongo. Lo saprei.

       SECONDO VECCHIO AMICO: (socchiudendo gli occhi quasi per attenuare la gravità di quello che dice) Lo scandalo di jersera –

       DONNA LIVIA: E in casa Avanzi! La difesa di… di quella… come si chiama? – di quella donnaccia!

       DIEGO: Scandalo? Che donnaccia?

       PRIMO VECCHIO AMICO: (c.s.) Mah! La Morello.

       DIEGO: Ah. È per Delia Morello?

       DONNA LIVIA: Voi dunque la conoscete?

       DIEGO: E chi non la conosce, signora mia?

       DONNA LIVIA: Anche Doro? Dunque è vero! La conosce!

       DIEGO: Oh Dio, la conoscerà. Ma che scandalo?

       DONNA LIVIA: (al Primo Vecchio Amico) E voi che dicevate di no! –

       DIEGO: – come la conoscono tutti, signora. Ma che è accaduto?

       PRIMO VECCHIO AMICO: Ecco. Io ho detto: «senza che forse abbia mai parlato con lei!».

       SECONDO VECCHIO AMICO: Già! Per fama.

       DONNA LIVIA: E ne prendeva le difese? Fin quasi a venire alle mani –

       DIEGO: – con chi? –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – con Francesco Savio –

       DONNA LIVIA: – è incredibile! Arrivare fino a questo punto! In una casa per bene! Per una donna come quella!

       DIEGO: Ma forse, discutendo –

       PRIMO VECCHIO AMICO: – ecco, nel calore della discussione –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – come tante volte avviene.

       DONNA LIVIA: Per carità, non cercate d’ingannarmi! (A Diego) Dite, ditemi voi, caro! Voi sapete tutto di Doro –

       DIEGO: – ma stia tranquilla, signora –

       DONNA LIVIA: – no! Il vostro obbligo, se siete amico vero di mio figlio, è dirmi francamente quello che sapete!

       DIEGO: Ma se non so nulla! E vedrà che non sarà nulla! Vuol far caso di parole?

       PRIMO VECCHIO AMICO: No, questo no –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – che abbia fatto un gran senso a tutti, non si può negare –

       DIEGO: – ma che cosa, in nome di Dio? –

       DONNA LIVIA: – questa difesa scandalosa! Vi par poco?

       DIEGO: Ma lo sa lei, signora mia, che da una ventina di giorni non si fa altro che discutere di Delia Morello? Se ne dicono di cotte e di crude, in tutti i ritrovi, salotti, caffè, redazioni di giornali. Ne avrà letto anche lei qualche cosa sui giornali.

       DONNA LIVIA: Sì. Che un uomo s’è ucciso per lei!

       PRIMO VECCHIO AMICO: – un giovane pittore: il Salvi –

       DIEGO: – Giorgio Salvi, sì –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – che pare facesse sperare tanto di sì –

       DIEGO: – e pare che non sia neanche il primo.

       DONNA LIVIA: Come? Anche qualche altro?

       PRIMO VECCHIO AMICO: – sì, era stampato in un giornale –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – che già un altro s’era ucciso per lei? –

       DIEGO: – un Russo, qualche anno fa, a Capri.

       DONNA LIVIA: (dando in ismanie e nascondendosi la faccia tra le mani) Dio mio! Dio mio!

       DIEGO: Non tema, per carità, che Doro debba essere il terzo!Creda, signora, che se si deve compiangere da tutti la fine sciagurata d’un artista come Giorgio Salvi; poi – a conoscere bene i fatti come si sono svolti – si può, si può anche tentare la difesa di quella donna.

       DONNA LIVIA: Anche voi?

       DIEGO: Anch’io, sì… perché no?

       SECONDO VECCHIO AMICO: Sfidando l’indignazione di tutti?

       DIEGO: Sissignori! Vi dico che si può difendere!

       DONNA LIVIA: Il mio Doro! Dio mio, sempre così serio!

       PRIMO VECCHIO AMICO: Riserbato.

       SECONDO VECCHIO AMICO: Contegnoso.

       DIEGO: Può darsi che, contradetto, abbia un po’ ecceduto, si sia lasciato andare.

       DONNA LIVIA: No no, non me la date a intendere! non me la date a intendere! È un’attrice, codesta Delia Morello?

       DIEGO: Una pazza, signora.

       PRIMO VECCHIO AMICO: Ha fatto però l’attrice drammatica.

       DIEGO: S’è fatta cacciare per le sue stravaganze da tutte le compagnie; tanto che non trova più da scritturarsi. «Delia Morello» sarà un soprannome. Chi sa come si chiama, chi è, di dove viene!

       DONNA LIVIA: È bella?

       DIEGO: Bellissima.

       DONNA LIVIA: Tutte così, queste maledette! Doro l’avrà conosciuta a teatro?

       DIEGO: Credo. Ma avrà parlato con lei poche volte nel camerino, se pure. E in fondo non è così terribile come tutti si figurano, signora; stia tranquilla.

       DONNA LIVIA: Con due uomini che si sono uccisi per lei?

       DIEGO: Io non mi sarei ucciso.

       DONNA LIVIA: Avrà fatto perdere la testa a tutti e due!

       DIEGO: Io non l’avrei perduta.

       DONNA LIVIA: Ma io non temo per voi! Temo per Doro!

       DIEGO: Non tema, signora. E creda che se male ha fatto agli altri quella disgraziata, il più gran male l’ha fatto sempre a se stessa. È di quelle donne fatte a caso, sempre fuori di sì, fuggiasche, che non sapranno mai dove andranno a parare. Eppure, tante volte, sembra una povera bambina impaurita che cerchi ajuto.

       DONNA LIVIA: (impressionatissima, afferrandolo per le braccia) Diego, queste cose ve l’ha dette Doro!

       DIEGO: No, signora!

       DONNA LIVIA: (incalzando) Siate sincero, Diego! Doro è innamorato di questa donna!

       DIEGO: Ma se le dico di no!

       DONNA LIVIA: (c.s.) Sì, sì; ne è innamorato! Le parole che avete detto sono quelle d’un innamorato!

       DIEGO: Ma le ho dette io, non Doro!

       DONNA LIVIA: Non è vero! Ve le ha dette Doro! Nessuno me lo leva dalla testa!

       DIEGO: (stretto così da lei) Oh Dio mio… (Con estro improvviso: voce chiara, lieve, invitante) Signora, e lei non pensa… che so, a un calessino per una strada di campagna – aperta campagna – in una bella giornata di sole?

       DONNA LIVIA: (restando) A un calessino? e come c’entra?

       DIEGO: (con ira, commosso sul serio) Signora, sa come mi sono trovato io, vegliando di notte mia madre che moriva? Con un insetto sotto gli occhi, dalle ali piatte, a sei piedi, caduto in un bicchier d’acqua sul tavolino. E non m’accorsi del trapasso di mia madre, tanto ero assorto ad ammirare la fiducia che quell’insetto serbava nell’agilità dei suoi due ultimi piedi più lunghi, atti a springare. Nuotava disperatamente, ostinato a credere che quei due piedi fossero capaci di springare anche sul liquido e che intanto qualcosina attaccata all’estremità di essi li impacciasse nel salto. Riuscendo vano ogni sforzo, se li nettava vivacemente con quelli davanti e ritentava il salto. Stetti più di mezz’ora a osservarlo. Vidi morir lui e non vidi morire mia madre. Ha capito? – Mi lasci stare!

       DONNA LIVIA: (confusa, stordita, dopo aver guardato gli altri due, anch’essi confusi, storditi) Io vi chiedo scusa – ma non vedo che relazione…

       DIEGO: Le sembra assurdo? Lei domani riderà – gliel’assicuro io – di tutta codesta vana costernazione per suo figlio, ripensando a questo calessino che ora le ho fatto passar davanti per frastornarla. Consideri che io non posso ridere ugualmente, pensando a quell’insetto che mi cadde sotto gli occhi mentre vegliavo mia madre che moriva.

       Pausa. Donna Livia e i due Vecchi Amici, dopo questa brusca diversione, torneranno a guardarsi tra loro, più che mai imbalorditi, non riuscendo, per quanta buona volontà ci mettano, a far entrare quel calessino e quell’insetto nell’argomento del loro discorso. D’altra parte Diego Cinci è veramente commosso dal ricordo della morte della madre; per cui Doro Palegari, che entrerà in questo momento, lo troverà del tutto cambiato d’umore.

       DORO: (sorpreso, dopo aver guardato in giro tutti e quattro) Che cos’è?

       DONNA LIVIA: (riavendosi) Ah! Eccoti qua! Doro, Doro, figlio mio, che hai fatto? Questi amici mi hanno detto…

       DORO: (scattando, irritatissimo)… dello scandalo, È vero?… che sono cotto, fradicio, pazzo di Delia Morello, eh? Tutti gli amici che m’incontrano per via, mi fanno l’occhietto: – «Eh, Delia Morello?» – Ma perdio, dove siamo? in che mondo viviamo?

       DONNA LIVIA: Ma se tu –

       DORO: – io, che cosa? È incredibile, parola d’onore! È già, subito, diventato uno scandalo!

       DONNA LIVIA: Hai difeso –

       DORO: – non ho difeso nessuno! –

       DONNA LIVIA: – in casa Avanzi, jersera –

       DORO: – in casa Avanzi jersera ho sentito esprimere da Francesco Savio un’opinione che non m’è sembrata giusta sulla fine tragica del Salvi di cui tutti parlano; e l’ho combattuta. – Questo è tutto!

       DONNA LIVIA: Ma hai detto cose –

       DORO: – avrò anche detto un cumulo di sciocchezze! Quello che ho detto, non lo so! Una parola tira l’altra! – Ma può ciascuno pensare a suo modo, sì o no? sui fatti che accadono. Si può, mi pare, interpretare un fatto in una maniera o in un’altra, come ci sembra; oggi così e domani magari diversamente? – Io sono prontissimo, se domani vedo Francesco Savio, a riconoscere che aveva ragione lui, e torto io.

       PRIMO VECCHIO AMICO: Ah, benissimo, allora!

       DONNA LIVIA: Fallo, sì, fallo, Doro mio! –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – per tagliar corto a tutte queste chiacchiere!

       DORO: Ma non per questo! Me ne infischio, io, delle chiacchiere. – Per vincere in me stesso l’irritazione che provo –

       PRIMO VECCHIO AMICO: – è giusto! sì sì, è giusto! –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – a vedersi così frainteso!

       DORO: Ma no! Per le esagerazioni a cui mi sono lasciato andare vedendo bestialmente incornato su certe false argomentazioni Francesco Savio, il quale poi – sì – aveva ragione lui, sostanzialmente. Ora, a mente fredda, sono pronto – ripeto – a riconoscerlo. E lo farò, lo farò davanti a tutti, perché si finisca di gonfiare questa famosa discussione! Non ne posso più!

       DONNA LIVIA: Bene, bene, Doro mio! E sono contenta che tu riconosca fin d’ora, qua davanti al tuo amico, che non si può difendere una donna come quella!

       DORO: Perché anche lui diceva che si può difendere?

       PRIMO VECCHIO AMICO: Già – lo diceva; ma… così; lo diceva –

       SECONDO VECCHIO AMICO: – accademicamente – per tranquillare tua madre…

       DONNA LIVIA: Ah, sì, bel modo di tranquillarmi! Fortuna che m’hai tranquillato tu, ora. Grazie, Doro mio!

       DORO: (scattando al ringraziamento) Ma dici sul serio? Mi fai crescere più che mai l’irritazione, vedi?

       DONNA LIVIA: Perché ti ringrazio? Doro mio!

       DORO: Eh sì, scusa! Perché mi ringrazi? Hai potuto credere anche tu, dunque? –

       DONNA LIVIA: – no! no! –

       DORO: – e allora perché mi ringrazi e ti dichiari tranquilla «ora?» – Farei cose da pazzi, farei!

       DONNA LIVIA: Per carità, non ci pensare più!

       DORO: (voltandosi a Diego) Come credi che sia da difendere, tu, Delia Morello?

       DIEGO: Lascia andare! Ora che tua madre è tranquilla!

       DORO: No, vorrei saperlo, vorrei saperlo.

       DIEGO: Per seguitare a discutere con me?

       DONNA LIVIA: Basta, Doro!

       DORO: (alla madre) No, per curiosità! (A Diego) Per vedere se le tue ragioni sono quelle stesse che portavo io contro Francesco Savio.

       DIEGO: E in questo caso? Cambieresti di nuovo?

       DORO: Ti pare che sia una bandieruola? – «Non si può dire» – sostenevo io – «che Delia Morello abbia voluto la rovina del Salvi per il fatto che, quasi alla vigilia delle nozze, si mise con quell’altro, perché la vera rovina del Salvi sarebbe stata a ogni modo il suo matrimonio con lei».

       DIEGO: Ecco! Benissimo! Ma sai com’è una torcia accesa, al sole, in un mortorio? La fiamma non si vede; e che si vede invece? come fùmiga!

       DORO: Che intendi dire?

       DIEGO: Che son d’accordo con te: che la Morello lo sapeva; e che appunto perché lo sapeva, non volle il matrimonio! Ma tutto questo non è chiaro, forse neanche a lei stessa; e appare invece a tutti il fumighìo della sua così detta perfidia.

       DORO: (subito, con foga) No, no, caro mio! Ah, la perfidia c’è stata; è innegabile; e raffinatissima! Ci ho ripensato bene tutt’oggi. Ella si mise con quell’altro – con Michele Rocca – per seguitare fino all’ultimo la sua vendetta sopra il Salvi; come sosteneva Francesco Savio jersera.

       DIEGO: Oh! E dunque statti adesso in buona pace con codesta opinione del Savio, e non parlarne più.

       PRIMO VECCHIO AMICO: Ecco! È il meglio che si possa fare su un simile argomento! E noi ce n’andiamo, Donna Livia – (le bacerà la mano.)

       SECONDO VECCHIO AMICO: (seguitando) – felicissimi che tutto si sia chiarito! (Le bacerà la mano; poi, rivolgendosi ai due giovani) Buona sera, cari.

       PRIMO VECCHIO AMICO: Addio, Doro. Buona sera, Cinci.

       DIEGO: Buona sera. (Se lo tirerà un po’ in disparte e gli dirà piano, maliziosamente) Congratulazioni!

       PRIMO VECCHIO AMICO: (stordito) Di che?

       DIEGO: Noto con piacere che in lei c’è sempre, sotto sotto, un di più, che per fortuna non viene mai fuori.

       PRIMO VECCHIO AMICO: In me? Ma no! Che cosa?

       DIEGO: Eh via! Ciò che pensa, lei se lo tiene per sé, e non se ne fa accorgere. Ma siamo d’accordo, sa!

       PRIMO VECCHIO AMICO: Uhm! Non ci arrivo, che vuole che le dica!

       DIEGO: (tirandoselo un po’ più in disparte) Io me la sposerei perfino! Ma ho appena quanto basta a me, e non di più. Sarebbe come ad accogliere un altro sotto l’ombrello quando piove, che ci si bagna in due.

       DONNA LIVIA: (che se ne sarà stata frattanto a conversare, rassicurata, con Doro e l’altro vecchio amico: rivolgendosi al primo che riderà) E allora, amico mio… – Che avete da ridere così?

       PRIMO VECCHIO AMICO: Niente: capestrerie!

       DONNA LIVIA: (seguitando e avviandosi a braccetto di lui e seguìta dall’altro verso il salone, da cui parlando scompariranno per la destra) – se domani andrete da Cristina, ditele che si tenga pronta per l’ora fissata…

       Via Donna Livia coi due Vecchi Amici. Doro e Diego resteranno per un buon pezzo in silenzio. Il salone vuoto e illuminato farà, alle loro spalle, una strana impressione.

       DIEGO: (aprendo le dita delle due mani a ventaglio e intrecciandole tra loro in modo da formare una grata o una rete e appressandosi a Doro per mostrargliela) È così – guarda – proprio così –

       DORO: Che cosa?

       DIEGO: – la coscienza di cui si parlava poc’anzi. Una rete elastica, che se s’allenta un poco, addio! scappa fuori la pazzia che cova dentro ciascuno di noi.

       DORO: (dopo un breve silenzio, costernato e sospettoso) Lo dici per me?

       DIEGO: (quasi a se stesso) Ti vagano davanti sconnesse le immagini accumulate in tanti anni, frammenti di vita che forse hai vissuta e che t’è rimasta occultata perché non hai voluto o potuto rifletterla in te al lume della ragione; atti ambigui, menzogne vergognose, cupi livori, delitti meditati all’ombra di te stesso fino ai minimi particolari, desiderii inconfessati: tutto, tutto ti riviene fuori, ti sbòmica, e ne resti sconcertato e atterrito.

       DORO: (c.s.) Perché dici questo?

       DIEGO: (con gli occhi fissi nel vuoto) Dopo nove notti che non dormivo… (S’interromperà per voltarsi di scatto a Doro.) Provati, provati a non dormire per nove notti di fila! – Quella tazzina di majolica, sul comodino, con un solo righino azzurro. – E tèn-tèn, che morte, quella campana! Otto, nove… le contavo tutte: dieci, undici – la campana dell’orologio – dodici – e poi ad aspettare quella dei quarti! Non c’è più nessun affetto che tenga, quando hai trascurato i bisogni primi che si debbono per forza soddisfare. Rivoltato contro la sorte feroce che teneva ancora là, rantolante e insensibile, il corpo, il solo corpo ormai, quasi irriconoscibile, di mia madre – sai che pensavo? pensavo che – ah Dio, poteva finalmente finire di rantolare!

       DORO: Ma è morta, scusa, da più di due anni, tua madre, mi pare.

       DIEGO: Sì. Sai come mi sorpresi, a una momentanea sospensione di quel rantolo, nel terribile silenzio sopravvenuto nella camera, voltando non so perché il capo verso lo specchio dell’armadio? Curvo sul letto, intento a spiare da vicino, se non fosse morta. Proprio come per farsi vedere da me, la mia faccia conservava nello specchio l’espressione con cui stava sorpresa a spiare, in un quasi allegro spavento, la liberazione. La ripresa del rantolo m’incusse in quel punto un tale raccapriccio di me, che mi nascosi quella faccia come se avessi commesso un delitto; e mi misi a piangere – come il bambino ch’ero stato per la mia mamma, di cui – sì, sì – volevo ancora la pietà per la stanchezza che sentivo, che mi faceva cascare a pezzi; pur avendo finito or ora di desiderare la sua morte; povera mamma che ne aveva perdute di notti per me, quand’ero piccino e malato…

       DORO: Ma mi dici perché, all’improvviso, codesto ricordo di tua madre?

       DIEGO: Non lo so, perché. Lo sai tu forse perché ti sei tanto irritato del ringraziamento che tua madre t’ha fatto per averla tranquillata?

       DORO: Perché aveva potuto supporre per un momento anche lei…

       DIEGO: Va’ là, che noi c’intendiamo a guardarci!

       DORO: (scrollando le spalle) Ma che vuoi intendere!

       DIEGO: Se non fosse vero, avresti dovuto riderne, non irritartene.

       DORO: Ma come? pensi sul serio anche tu? –

       DIEGO: – io? tu lo pensi!

       DORO: Se do ragione al Savio adesso!

       DIEGO: Lo vedi? Da così a così. E anche contro te stesso ti sei irritato, delle tue «esagerazioni»!

       DORO: Perché riconosco –

       DIEGO: – no! no! leggi chiaro, leggi chiaro in te stesso!

       DORO: Ma che vuoi che legga, fammi il piacere!

       DIEGO: Tu dài ragione adesso a Francesco Savio… sai perché? per reagire contro un sentimento, che covi dentro, a tua insaputa.

       DORO: Ma nient’affatto! Mi fai ridere!

       DIEGO: Sì! sì!

       DORO: Mi fai ridere, ti dico!

       DIEGO: Nel ribollimento della discussione di jersera t’è venuto a galla e t’ha stordito e t’ha fatto dir cose «che non sai». Sfido! Credi di non averle mai pensate! E invece le hai pensate, le hai pensate –

       DORO: – come? quando? –

       DIEGO: – di nascosto a te stesso! – Caro mio! Come ci sono i figli illegittimi, ci sono anche i pensieri bastardi!

       DORO: I tuoi, sì!

       DIEGO: Anche i miei! Tende ognuno ad ammogliarsi per tutta la vita con un’anima sola, la più comoda, quella che ci porta in dote la facoltà più adatta a conseguir lo stato a cui aspiriamo; ma poi, fuori dell’onesto tetto coniugale della nostra coscienza, abbiamo tresche, tresche e trascorsi senza fine con tutte le altre nostre anime rejette che stanno giù nei sotterranei del nostro essere, e da cui nascono atti, pensieri, che non vogliamo riconoscere, o che, forzati, adottiamo o legittimiamo, con accomodamenti e riserve e cautele. Questo, tu ora lo respingi, povero pensiero trovatello! Ma guardalo bene negli occhi: è tuo! Tu ti sei davvero innamorato di Delia Morello! Come un imbecille!

       DORO: Ah! ah! ah! ah! Mi fai ridere, mi fai ridere. (A questo punto entrerà dal salone il cameriere Filippo.)

       FILIPPO: C’è il signor Francesco Savio.

       DORO: Ah, eccolo qua! (A Filippo) Fallo entrare.

       DIEGO: Io me ne vado.

       DORO: No, aspetta che ti farò vedere come mi sono innamorato di Delia Morello! (Entrerà Francesco Savio.)

       DORO: Vieni, vieni, Francesco.

       FRANCESCO: Caro Doro! – Buona sera, Cinci!

       DIEGO: Buona sera.

       FRANCESCO: (a Doro) Sono venuto a esprimerti il mio rammarico per il diverbio nostro di jersera.

       DORO: Oh guarda! Mi proponevo anch’io di venirti a trovare questa sera per esprimerti allo stesso modo il mio rammarico.

       FRANCESCO: (lo abbraccerà) Ah! Mi togli un gran peso dal petto, amico mio!

       DIEGO: Siete da dipingere tutti e due, parola d’onore!

       FRANCESCO: (a Diego) Ma sai che per un punto non abbiamo guastata per sempre la nostra vecchia amicizia?

       DORO: Ma no! ma no!

       FRANCESCO: Come no? Ci sono stato male tutta la notte, credi! A pensare come mi fosse potuto rimanere oscuro il sentimento generoso –

       DIEGO: (di scatto) – benissimo! – che l’ha spinto a difendere Delia Morello, eh? –

       FRANCESCO: – davanti a tutti – coraggiosamente – mentre tutti le gridavano la croce addosso.

       DIEGO: Tu prima di tutti!

       FRANCESCO: (con calore) Ma sì! Per non aver considerato a fondo le ragioni, una più giusta e più valida dell’altra, addotte da Doro!

       DORO: (con dispetto e restando) Ah sì? tu, ora? –

       DIEGO: (c.s.) – benissimo! In favore di quella donna, è vero? –

       FRANCESCO: – sfidando lo scandalo! Imperterrito contro le risa sguajate con cui tutti quegli sciocchi accoglievano le sue risposte sferzanti!

       DORO: (c.s. prorompendo) Senti! Tu sei un pulcinella!

       FRANCESCO: Come! Vengo a darti ragione!

       DORO: Appunto per questo! Un pulcinella!

       DIEGO: (a Francesco) Voleva darti ragione – lui, a te!

       FRANCESCO: me?

       DIEGO: A te! a te! per tutto quello che hai detto tu contro Delia Morello!

       DORO: E ora ha il coraggio di venirmi a dire in faccia che avevo ragione io!

       FRANCESCO: Ma perché ho riflettuto su quello che dicesti jersera!

       DIEGO: Eh già! Capisci? Come lui su quello che dicevi tu!

       FRANCESCO: E ora lui dà ragione a me?

       DIEGO: Come tu a lui!

       DIEGO: Ora, già! Dopo avermi reso jersera lo zimbello di tutti, il bersaglio di tutte le malignità, e aver qua turbato mia madre –

       FRANCESCO: – io?

       DORO: – tu! tu! sì! cimentandomi, compromettendomi, facendomi dir cose che non m’erano mai passate per la mente! (Parandoglisi di fronte, aggressivo, fremente) Non t’arrischiare, sai, d’andar dicendo che ho ragione io adesso!

       DIEGO: (incalzando) – perché riconosci la generosità del suo sentimento –

       FRANCESCO: – ma se è vero!

       DORO: Sei un pulcinella!

       DIEGO: Farai credere che sai anche tu, ora, la verità: che è innamorato di Delia Morello, e che l’ha difesa per questo!

       DIEGO: Diego, finiscila, perdio, o me la piglio con te! (A Francesco) Un pulcinella, caro mio, un pulcinella!

       FRANCESCO: Me lo gridi in faccia per la quinta volta, bada!

       DORO: E te lo griderò per cento volte di fila, ora, domani e sempre!

       FRANCESCO: Ti faccio notare che sono in casa tua!

       DORO: In casa mia e fuori, dove tu vuoi te lo grido in faccia: pulcinella!

       FRANCESCO: Ah sì? Sta bene. Quand’è così, a rivederci! (E andrà via.)

       DIEGO: (facendo per corrergli dietro) Oh, non facciamo scherzi!

       DORO: (trattenendolo) Lascialo andare!

       DIEGO: Ma dici sul serio? Tu così finisci di comprometterti! DORO: Non me n’importa un corno!

       DIEGO: (svincolandosi) Ma tu sei pazzo!… Lasciami andare!

       Scapperà via per tentare di raggiungere Francesco Savio.

       DORO: (gli griderà dietro) Ti proibisco d’intrometterti! (Non vedendolo più s’interromperà e andrà in su e in giù per il salotto, masticando tra i denti) Ma guarda un po’! – Ora! – Ha il coraggio di venirmi a dire in faccia che avevo ragione io, ora! – Pulcinella… – Dopo aver fatto credere a tutti… –

       Sopravverrà a questo punto Filippo, un po’ smarrito, con un biglietto da visita in mano.

       FILIPPO: Permesso?

       DORO: (arrestandosi, brusco) Che cosa c’è?

       FILIPPO: C’è una signora che domanda di lei.

       DORO: Una signora?

       FILIPPO: Ecco. (Gli porgerà un biglietto da visita.)

       DORO: (dopo aver letto il nome sul biglietto, turbandosi vivamente) – Qua? Dov’è?

       FILIPPO: È di là che aspetta.

       DORO: (si guarderà attorno, perplesso; poi domanderà, cercando di nascondere l’ansia e il turbamento) E – la mamma è uscita?

       FILIPPO: Sissignore, da poco.

       DORO: Falla passare, falla passare.

       Andrà verso il salone per accogliere Delia Morello. Filippo si ritirerà e ritornerà poco dopo per accompagnare fino alle colonne Delia Morello che apparirà velata, sobriamente vestita, ma elegantissima. Filippo tornerà a ritirarsi, inchinandosi.

       DORO: Voi qua, Delia?

       DELIA: Per ringraziarvi; per baciarvi le mani, amico mio!

       DORO: Ma no, che dite!

       DELIA: Sì, ecco – (Chinerà il capo come se volesse veramente baciargli la mano che tiene ancora tra le sue.) – davvero! davvero!

       DORO: Ma no, che fate! Debbo io, a voi –

       DELIA: Per il bene che mi avete fatto!

       DORO: Ma che bene! Ho solo –

       DELIA: – no! credete per la difesa che avete fatto di me? Che volete che m’importi di difese, di offese! – Mi dilanio da me! – La mia gratitudine è per quello che avete pensato, sentito; e non perché l’abbiate gridato in faccia agli altri!

       DORO: (non sapendo come regolarsi) Ho pensato… sì, quel che – conoscendo, come conoscevo, i fatti – m’è… m’è parso giusto.

       DELIA: Giusto o ingiusto – non m’importa! È che mi sono riconosciuta, capite, «riconosciuta» in tutto quello che avete detto di me, appena me l’hanno riferito!

       DORO: (c.s. ma non volendo parere smarrito) Ah, bene – perché… ho – ho indovinato dunque?

       DELIA: Come se foste vissuto in me, sempre; ma intendendo di me quello che io non ho potuto mai intendere, mai, mai! Mi sono sentita fendere le reni da brividi continui; ho gridato: «Sì! sì! è così! è così!»; non potete immaginarvi con che gioja, con che spasimo, vedendomi, sentendomi in tutte le ragioni che avete saputo trovare!

       DORO: Ne sono… ne sono felice, credetemi! Felice perché mi sono apparse così chiare nel momento in cui – veramente – «le trovavo», senza rifletterci, come… come per un estro che mi si fosse acceso, ecco, per una divinazione insomma del vostro animo – e poi, vi confesso, non più –

       DELIA: – ah, non più?

       DORO: Ma se voi ora mi dite che vi ci siete riconosciuta!

       DELIA: Amico mio, vivo da stamattina di codesta vostra divinazione, che è apparsa tale anche a me! Tanto che mi domando come abbiate potuto fare ad averla, voi che mi conoscete così poco, in fondo; e mentr’io mi dibatto, soffro – non so – come di là da me stessa! come se quella che io sono, debba andarla sempre inseguendo, per trattenerla, per domandarle che cosa voglia, perché soffra, che cosa dovrei fare per ammansarla, per placarla, per darle pace!

       DORO: Ecco: un po’ di pace, sì! Voi ne avete veramente bisogno.

       DELIA: L’ho sempre davanti, come me lo vidi in un attimo cadere ai piedi, bianco, di peso, dacché m’era sopra come una vampa; mi sentii – non so – estinguere, estinguere – protendendomi a guardare, dall’abisso di quell’attimo, l’eternità di quella morte improvvisa, là, nella sua faccia in un momento smemorata di tutto, spenta. E sapevo io sola, io sola la vita ch’era in quella testa che s’era là fracassata per me; per me che non sono niente! – Ero pazza; figuratevi come sono adesso!

       DORO: Calmatevi, calmatevi.

       DELIA: Mi calmo, sì. E appena mi calmo – ecco qua – sono così – come insordita. In tutto il corpo, insordita. Proprio. Mi stringo e non mi sento. Le mani – me le guardo – non mi sembrano mie. E tutte le cose – Dio mio, le cose da fare – non so più perché si debbano fare. Apro la borsetta; ne cavo lo specchio; e nell’orrore di questa vana freddezza che mi prende, non potete immaginarvi che impressione mi facciano, nel tondo dello specchio, la mia bocca dipinta, i miei occhi dipinti, questa faccia che mi sono guastata per farmene una maschera.

       DORO: (appassionato) Perché non ve la guardate con gli occhi degli altri.

       DELIA: Anche voi? Sono proprio condannata a odiare come nemici tutti coloro a cui m’accosto perché m’ajutino a comprendermi? Abbagliati dai miei occhi, dalla mia bocca… E nessuno che si curi di ciò che più mi bisogna!

       DORO: Del vostro animo, sì.

       DELIA: E io allora li punisco, là, dove s’appuntano le loro brame; e prima le esaspero, codeste brame che mi fanno schifo, per meglio vendicarmi; facendo getto all’improvviso di questo mio corpo a chi meno essi s’aspetterebbero.

       Doro farà segno di sì col capo; come a dire: «Purtroppo!».

       Così, per mostrar loro in quanto dispregio io tenga ciò che essi sopratutto pregiano di me.

       Doro farà ancora segno di sì col capo.

        Ho fatto il mio danno? Sì. L’ho sempre fatto. Ah, ma meglio la canaglia – la canaglia che si dà per tale; che se rattrista, non delude; e che può avere anche qualche lato buono; certe ingenuità talvolta, che tanto più rallegrano e rinfrescano, quanto meno ce l’aspettiamo in loro!

       DORO: (sorpreso) Ho detto proprio così, io! Proprio questo –

       DELIA: (convulsa) sì, sì –

       DORO: – ho spiegato così, proprio così, certi vostri inopinati –

       DELIA: – traviamenti – già! – balzi – salti mortali… (Resterà d’un tratto con gli occhi fissi nel vuoto, come assorti in una lontana visione.) – Guarda!… (Poi dirà come a se stessa:) Pare impossibile… Già… I salti mortali… (È di nuovo assorta:) Quella ragazzetta, a cui gli zingari insegnavano a farli – in una spianata verde verde, vicino alla mia casetta di campagna, quand’ero bambina… – (c.s.) Pare impossibile che sia stata anch’io bambina… (Farà, senza dirlo, il grido con cui la madre la chiamava:) – «Lilì! Lilì!» – Che paura di quegli zingari; che levassero d’improvviso le tende e mi rapissero! – (Rivenendo a sé) Non mi hanno rapita. Ma i salti mortali ho imparato a farli anch’io, da me, venendo dalla campagna in città – qua – fra tutto questo finto, fra tutto questo falso, che diventa sempre più finto e più falso – e non si può sgombrare; perché, ormai, a rifarla in noi, attorno a noi, la semplicità, appare falsa – appare? è, è – falsa, finta anch’essa. – Non è più vero niente! E io voglio vedere, voglio sentire, sentire almeno una cosa, almeno una cosa sola che sia vera, vera, in me!

       DORO: Ma codesta bontà che è in fondo a voi, nascosta; come io ho cercato di farla vedere agli altri –

       DELIA: – sì, sì; e ve ne sono tanto grata, sì – ma così complicata anch’essa – complicata – tanto che vi siete attirate l’ira, le risa di tutti per aver voluto chiarirla. Anche a me l’avete chiarita. Sì, malvista da tutti, come avete detto voi, trattata con diffidenza da tutti, là a Capri. – (Credo che ci fosse anche chi mi sospettava spia.) – Ah, che scoperta vi feci, amico mio! Sapete che cosa significa «amare l’umanità»? Significa soltanto questo: «essere contenti di noi stessi». Quando uno è contento di se stesso «ama l’umanità». – Pienissimo di questo amore – oh, felice! – dopo l’ultima esposizione dei suoi quadri a Napoli, doveva esser lui, quando venne a Capri –

       DORO: – Giorgio Salvi? –

       DELIA: – per certi suoi studi di paese. – Mi trovò in quello stato d’animo – DORO: – ecco! proprio come ho detto io! Preso tutto dalla sua arte, senza più altro sentimento.

       DELIA: Colori! Per lui i sentimenti non erano più altro che colori!

       DORO: Vi propose di sedere per un ritratto –

       DELIA: – dapprima, sì. Poi… Aveva un modo di chiedere quello che voleva… un modo… – era impudente, pareva un bambino. – E gli feci da modella. Voi l’avete detto benissimo: nulla irrita più che il restare esclusi da una gioja –

       DORO: – viva, presente innanzi a noi, attorno a noi, di cui non si scopra o non s’indovini la ragione –

       DELIA: – giustissimo! Ero una gioja – pura – soltanto per i suoi occhi – ma che mi dimostrava che anche lui, in fondo, non pregiava e non voleva da me altro che il corpo; non come gli altri, per un basso intento, oh!

       DORO: Ma questo a lungo andare non poteva che irritarvi di più –

       DELIA: – ecco! Perché se m’ha fatto sempre sdegno e nausea non vedermi ajutata nelle mie smaniose incertezze da quegli altri; il disgusto per uno che voleva anch’esso il corpo, e nient’altro, ma solo per trarne una gioja –

       DORO: – ideale! –

       DELIA: – esclusivamente per sé! –

       DORO: – doveva essere tanto più forte, in quanto mancava appunto ogni motivo di nausea –

       DELIA: – e rendeva impossibile quella vendetta che almeno ho potuto prendermi d’improvviso contro gli altri! – Un angelo, per una donna, è sempre più irritante d’una bestia!

       DORO: (raggiante) Oh guarda! Le mie parole! io ho detto proprio – precisamente – così!

       DELIA: Ma io ripeto le vostre parole, appunto, come mi sono state riferite: che mi hanno fatto luce –

       DORO: – ah, ecco! – per vedere la ragione vera –

       DELIA: – di quello che ho fatto! Sì, sì: è vero: per potermi vendicare, io feci in modo che il mio corpo a mano a mano davanti a lui cominciasse a vivere, non più per la delizia degli occhi soltanto –

       DORO: – e quando lo vedeste come tant’altri vinto e schiavo, per meglio assaporare la vendetta, gli vietaste che prendesse da esso altra gioja che non fosse quella di cui finora s’era contentato –

       DELIA: – come unica ambita, perché unica degna di lui!

       DORO: E basta! – Basta! – Perché la vostra vendetta, così, era già fatta! Voi non voleste affatto che egli vi sposasse, è vero?

       DELIA: No! no! Lottai tanto, tanto, per dissuaderlo! Quando corrivo, esasperato per le mie ostinate repulse, minacciò di far pazzie – volli partire, sparire.

       DORO: E poi gl’imponeste le condizioni che sapevate per lui più dure – apposta –

       DELIA: – apposta, sì, apposta –

       DORO: – ch’egli cioè vi presentasse come promessa sposa alla madre, alla sorella –

       DELIA: – sì, sì – della cui illibata riserbatezza era orgoglioso e gelosissimo – apposta, perché dicesse di no! – Ah, come parlava di quella sua sorellina!

       DORO: Benissimo! Allora, come ho sostenuto io! – E ditemi la verità: quando il fidanzato della sorella, il Rocca –

       DELIA: (con orrore) – no! no! Non mi parlate, non mi parlate di lui per carità!

       DORO: Questa è la massima prova delle ragioni sostenute da me, e dovete dirlo, dovete dirlo che è vero, quello che ho sostenuto io –

       DELIA: – sì; che mi misi con lui, disperata, disperata, quando non vidi più altra via di scampo –

       DORO: – ecco! benissimo! –

       DELIA: – per farmi sorprendere, sì, per farmi sorprendere da lui, e impedire così quel matrimonio –

       DORO: – che sarebbe stato la sua infelicità –

       DELIA: – e anche la mia! la mia! –

       DORO: (trionfante) – benissimo! Tutto quello che ho sostenuto io! Così v’ho difesa! – E quell’imbecille che diceva di no! che tanto le repulse, quanto la lotta, la minaccia, il tentativo di sparire, furono tutte perfide arti –

       DELIA: (impressionata) – diceva questo? –

       DORO: – già! ben meditate ed attuate per ridurre alla disperazione il Salvi, dopo averlo sedotto –

       DELIA: (c.s.) – ah – io – sedotto? –

       DORO: – sicuro! – e che più lui si disperava e più voi vi negavate, per ottenere tante e tante cose, ch’egli altrimenti non vi avrebbe mai accordate –

       DELIA: (sempre più impressionata e man mano smarrendosi) – che cosa? –

       DORO: – ma prima di tutto, quella presentazione alla madre e alla sorellina e al fidanzato di lei –

       DELIA: – ah, non perché io sperassi di trovare un pretesto nell’opposizione di lui per mandare a monte la promessa di matrimonio? –

       DORO: – no! no! per un’altra perfidia – sosteneva! –

       DELIA: (del tutto smarrita) – e quale? –

       DORO: – per il gusto di comparire vittoriosa, davanti a tutti in società, accanto alla purezza di quella sorellina – voi – la disprezzata, la contaminata –

       DELIA: (trafitta) – ah, così ha detto? – (e resterà con gli occhi invagati, accasciata.)

       DORO: – così! così! – e che quando sapeste che ragione del prolungato ritardo di quella presentazione da voi posta per patto, era invece l’opposizione fierissima del Rocca, fidanzato della sorella –

       DELIA: – ancora per vendicarmi, è vero? –

       DORO: – sì! perfidamente! –

       DELIA: – di questa opposizione? –

       DORO: – sì, attraeste e travolgeste il Rocca come un fuscellino di paglia in un gorgo, senza pensare più al Salvi, solo per il gusto di dimostrare a quella sorella che cos’è la fierezza e l’onestà di codesti illibati paladini della morale!

       Delia resterà per un lungo tratto in silenzio, fissa a guardare innanzi a sé, come insensata, poi si coprirà di scatto il volto con le mani, e resterà così.

       DORO: (dopo averla mirata un tratto, perplesso, sorpreso) Che cos’è?

       DELIA: (resterà ancora un poco col volto coperto; poi lo scoprirà e guarderà un poco ancora innanzi a sé; infine dirà aprendo desolatamente le braccia) E chi sa, amico mio, ch’io non l’abbia fatto veramente per questo?

       DORO: (scattando) Come? E allora?

       Sopravverrà a questo punto stravolta e agitatissima Donna Livia, gridando fin dall’interno:

       DONNA LIVIA: Doro! Doro!

       DORO: (subito alzandosi turbatissimo alla voce) Mia madre!

       DONNA LIVIA: (precipitandosi) Doro! M’hanno detto a passeggio che lo scandalo di jersera avrà un seguito cavalleresco!

       DORO: Ma no! Chi te l’ha detto?

       DONNA LIVIA: (voltandosi a Delia, sdegnosamente) … Ah! E trovo infatti codesta signora in casa mia?

       DORO: (con fermezza, pigiando sulle parole) In casa tua, appunto, mamma!

       DELIA: Io vado, vado. Ah, ma questo non avverrà – non avverrà, stia tranquilla, signora! Lo impedirò io! Penserò io a impedirlo! (E s’avvierà rapidamente, convulsa.)

       DORO: (seguendola per un tratto) Non s’arrischi, signora, per carità, a interporsi. –

       Delia scomparirà.

       DONNA LIVIA: (gridando, per arrestarlo) Ma dunque è vero?

       DORO: (voltandosi e gridando esasperato) Vero? Che cosa? – Che mi batto? Forse. – Ma perché? Per una cosa che nessuno sa quale sia, come sia: né io, né quello – e nemmeno lei stessa! nemmeno lei stessa!

       Tela

Primo Intermezzo Corale

       Il sipario, appena abbassato, si rialzerà per mostrare quella parte del corridojo del teatro che conduce ai palchi di platea, alle poltrone, alle sedie e, in fondo, al palcoscenico. E si vedranno gli spettatori che a mano a mano vengono fuori dalla sala, dopo avere assistito al primo atto della commedia. (Altri, in gran numero, si suppone che vengano fuori dalla sala sull’altra parte del corridojo che non si vede; e non pochi, infatti, ne sopravverranno di tanto in tanto da sinistra.)

       Con questa presentazione del corridojo del teatro e del pubblico che figurerà d’aver assistito al primo atto della commedia, quella che da principio sarà apparsa in primo piano sulla scena quale rappresentazione d’una vicenda della vita, si darà ora a vedere come una finzione d’arte; e sarà perciò come allontanata e respinta in un secondo piano. Avverrà più tardi, sul finire di questo primo intermezzo corale, che anche il corridojo del teatro e gli spettatori saranno anch’essi respinti a loro volta in un terzo piano; e questo avverrà allorché si verrà a conoscere che la commedia che si rappresenta sul palcoscenico è a chiave: costruita cioè dall’autore su un caso che si suppone realmente accaduto e di cui si siano occupate di recente le cronache dei giornali: il caso della Moreno (che tutti sanno chi è) e del barone Nuti e dello scultore Giacomo La Vela che si è ucciso per loro. La presenza in teatro, tra gli spettatori della commedia, della Moreno e del Nuti stabilirà allora per forza un primo piano di realtà, più vicino alla vita, lasciando in mezzo gli spettatori alieni, che discutono e s’appassionano soltanto di una finzione d’arte. Si assisterà poi nel secondo intermezzo corale al conflitto tra questi tre piani di realtà, allorché da un piano all’altro i personaggi veri del dramma assalteranno quelli finti della commedia e gli spettatori che cercheranno di interporsi. E la rappresentazione della commedia non potrà più, allora, aver luogo.

       Intanto per questo primo intermezzo si raccomanda sopratutto la naturalezza più volubile e la più fluida vivacità. E ormai noto a tutti che a ogni fin d’atto delle irritanti commedie di Pirandello debbano avvenire discussioni e contrasti. Chi le difende abbia di fronte agli irriducibili avversarii quell’umiltà sorridente che di solito ha il mirabile effetto d’irritare di più.

       E prima si formino varii crocchi; e dall’uno all’altro si spicchi di tanto in tanto qualcuno in cerca di lume. Giova e diverte veder cambiare a vista d’opinione, due o tre volte, dopo aver colto a volo due o tre opposti pareri. Qualche spettatore pacifico fumerà, e fumerà la sua noja, se annojato; i suoi dubbi, se dubbioso; poiché il vizio del fumo, come ogni altro vizio divenuto abituale, ha questo di triste, che non dà più, se non raramente, gusto per sé, ma prende qualità dal momento in cui si sodisfa e dall’animo con cui si sodisfa. Potranno così fumare, se vogliono, anche gli irritati, e ridurranno in fumo la loro irritazione.

       Tra la folla, i pennacchi di due carabinieri. Qualche maschera, qualche uscere del teatro; due o tre donne dei palchi vestite di nero e col grembiulino bianco. Qualche giornalajo griderà i titoli dei giornali. Nei crocchi, qua e là, anche qualche signora. Non vorrei che fumasse. Ma forse più di una fumerà. Altre si vedranno andar per visita da un palco all’altro.

       I cinque critici drammatici si manterranno dapprima, specie se interrogati, molto riservati nel giudizio: si saranno messi insieme, a poco a poco, per scambiarsi le prime impressioni. Gli amici indiscreti che s’accosteranno a udire, attrarranno subito molti curiosi, e allora i critici o taceranno o s’allontaneranno. Non è escluso che qualcuno di loro che dirà peste e vituperii della commedia e dell’autore qua nel corridojo, non ne debba poi dir bene il giorno dopo sul suo giornale. Tanto è vero che altro è la professione, altro l’uomo che la professa per ragioni di convenienza che lo costringano a sacrificare la propria sincerità (questo, s’intende, quando il sacrificio sia possibile: che egli abbia, voglio dire, una sincerità da sacrificare). E parimenti potranno mostrarsi denigratori accaniti quegli stessi spettatori che avranno applaudito nella sala il primo atto della commedia.

       Facilmente si potrebbe recitare a soggetto questo primo intermezzo corale, tanto ormai son noti e ripetuti i giudizii che si dànno indistintamente di tutte le commedie di questo autore: «cerebrali», «paradossali», «oscure», «assurde», «inverosimili». Tuttavia, saranno qui segnate le battute più importanti dell’uno e dell’altro degli attori momentanei di questo intermezzo, senza esclusione di quelle che potranno essere improvvisate per tener viva la confusa agitazione del corridojo.

       Dapprima, brevi esclamazioni, domande, risposte di spettatori indifferenti, che usciranno per i primi, mentre dall’interno si sentirà il sordo fragorìo della platea.

       TRA DUE CHE ESCONO IN FRETTA: – Vado su, vado su a trovarlo!

       – Seconda fila, numero otto! Ma diglielo, mi raccomando!

       S’avvierà per la sinistra.

       – Non dubitare, lasciami fare!

       UNO CHE SOPRAVVIENE DA SINISTRA: Oh, hai poi trovato posto?

       QUELLO CHE SE NE VA DI FRETTA: Come vedi! A rivederci, a rivederci.

       Via. Intanto altri sopravverranno da sinistra, dove sarà pure un gran vociare; altri sboccheranno dall’entrata delle poltrone; altri verranno fuori dagli uscioli dei palchi.

       UNO QUALUNQUE: Che sala, eh?

       UN ALTRO: Magnifica! Magnifica!

       UN TERZO: Ma non hai visto se sono venute?

       UN QUARTO: No no: non credo.

       Scambio di saluti qua e là: «Buona sera! Buona sera!». – Frasi aliene. Qualche presentazione. Intanto, spettatori favorevoli all’autore, coi volti accesi e gli occhi brillanti, si cercheranno tra loro e staranno un po’ insieme a scambiarsi le prime impressioni, per poi sparpagliarsi qua e là, accostandosi a questo o a quel crocchio a difendere la commedia e l’autore, con petulanza e con ironia, dalle critiche degli avversarii irreconciliabili che, nel frattempo, si saranno anch’essi cercati tra loro.

       I FAVOREVOLI: Ah, eccoci qua!

       – Pronti!

       – Ma va benissimo, mi pare!

       – Ah, si respira finalmente!

       – Quell’ultima scena con la donna!

       – E lei, lei, la donna!

       – E la scena di quei due che voltano da così a così!

       I CONTRARI: (contemporaneamente) – Le solite sciarade! Va’ e sappi tu che voglia dire!

       – E un prendere in giro la gente!

       – Mi pare che cominci a fidarsi un po’ troppo, oramai!

       – Io non ci ho capito nulla!

       – Il giuoco degli enimmi!

       – Se il teatro, dico, deve ridursi un supplizio!

       UNO DEI CONTRARI: (al crocchio dei favorevoli) Voi, già, capite tutto, eh?

       UN ALTRO DEI CONTRARI: Eh, si sa! tutti intelligenti, quelli là!

       UNO DEI FAVOREVOLI: (accostandosi) Lei dice a me?

       IL PRIMO DEI CONTRARI: Non a lei. Dico a quello! (Ne indicherà uno…)

       L’INDICATO: (avanzandosi) A me? dici a me?

       IL PRIMO DEI CONTRARI: A te! a te! Ma se tu non capiresti neanche I due sergenti, caro mio!

       L’INDICATO: Già, perché tu capisci bene che questa è roba da buttar in là col piede, è vero? così, come un ciottolo per via!

       VOCI DI UN CROCCHIO VICINO: – Ma che volete che ci sia da capire, scusate; non avete inteso? Nessuno sa niente!

       – Stai a sentire; che è, che non è, dicevano una cosa e te ne dicono un’altra!

       – Pare una burla!

       – E tutti quei discorsi a principio?

       – Per non concludere nulla!

       QUELLO CHE SI SPICCA: (andando a un altro crocchio) Pare una burla già! Nessuno sa nulla!

       VOCI DI UN ALTRO CROCCHIO – E certo però che interessa!

       – Oh Dio mio, ma questo girar sempre sullo stesso pernio!

       – Ah no, non direi!

       – Se è tutto un modo d’intendere, di concepire!

       – L’ha espresso? E dunque basta!

       – Basta, basta, sì! Non se ne può più!

       – Ma se avete applaudito! Tu, tu, sì! t’ho visto io!

       – Può aver pure tante facce, una concezione, scusate: se è totale, della vita!

       – Ma che concezione? Mi sai dire in che consiste quest’atto?

       – Oh bella! E se non volesse consistere? Se volesse mostrare appunto l’inconsistenza delle opinioni, dei sentimenti?

       QUELLO CHE SI SPICCA: (andando a un altro crocchio) Già! E questo, ecco! Forse non vuole consistere! Apposta, apposta; capite? È la commedia dell’inconsistenza.

       VOCI D’UN TERZO CROCCHIO (attorno ai critici drammatici) – Ma sono pazzie! Ma dove siamo! – Voi che siete critici di professione, illuminateci.

       PRIMO CRITICO: Mah! L’atto è vario. C’è forse del superfluo.

       UNO DEL CROCCHIO: Tutta quella disquisizione sulla coscienza!

       SECONDO CRITICO: Signori miei, siamo ancora al primo atto!

       TERZO CRITICO: Ma diciamo la verità! Vi par lecito, scusate, distruggere così il carattere dei personaggi? condurre l’azione a vento, senza né capo né coda? ripigliare il dramma, come a caso, da una discussione?

       >QUARTO CRITICO: Ma la discussione è appunto su questo dramma. È il dramma stesso!

       SECONDO CRITICO: Che appare del resto vivo, in fine, nella donna!

       TERZO CRITICO: Ma io vorrei vedere rappresentato il dramma, e basta!

       UNO DEI FAVOREVOLI: E la donna è disegnata benissimo!

       UNO DEI CONTRARI: Dici piuttosto che l’ha resa a meraviglia la… (nominerà l’attrice che avrà fatto la parte della Morello.)

       QUELLO CHE SI SPICCA: (ritornando al primo crocchio) Il dramma però è vivo, vivo nella donna! Questo è innegabile! Lo dicono tutti!

       UNO DEL PRIMO CROCCHIO: (rispondendogli, indignato) Ma va’ là! Se è tutta una matassa arruffata di contraddizioni!

       UN ALTRO: (investendolo a sua volta) E la solita casistica! Non se ne può più!

       UN TERZO: (c.s.) Tutte, tutte trappole dialettiche! Acrobatismi cerebrali!

       QUELLO CHE SI SPICCA: (allontanandosi per accostarsi al secondo crocchio) Eh sì, veramente sì, la solita casistica! È innegabile. Lo dicono tutti!

       QUARTO CRITICO: (al terzo) Ma che caratteri, ormai, fammi il piacere! dove li trovi nella vita, i caratteri?

       TERZO CRITICO: Oh bella! Per il solo fatto che esiste la parola!

       QUARTO CRITICO: Parole, appunto, parole, di cui si vuol mostrare l’inconsistenza!

       QUINTO CRITICO: Ma io domando, ecco, se il teatro che, salvo errore, dev’esser arte –

       UNO DEI CONTRARI: – benissimo! poesia! poesia!

       QUINTO CRITICO: – debba essere invece controversia – ammirevole, sì, non dico di no – contrasto, urto d’opposti ragionamenti, ecco!

       UNO DEI FAVOREVOLI: Ma si fanno qua, mi pare, i ragionamenti! Sul palcoscenico non me ne sono accorto! Se per voi è ragionamento la passione che sragiona…

       UNO DEI CONTRARI: Qua c’è un illustre autore: dica lei! dica lei!

       IL VECCHIO AUTORE FALLITO: Ah, per me, lo volete, tenetevelo! Quel che ne penso lo sapete.

       VOCI: No, dica! dica!

       IL VECCHIO AUTORE FALLITO: Ma piccole sollecitudini intellettuali, signori miei, di quelle… di quelle… – come vorrei dire? – problemucci filosofici da quattro al soldo!

       QUARTO CRITICO: Ah questo poi no!

       IL VECCHIO AUTORE FALLITO: (grandeggiando) E nessun profondo travaglio di spirito, che nasca da forze ingenue e veramente persuasive!

       QUARTO CRITICO: Ah sì, le conosciamo! le conosciamo, codeste forze ingenue e persuasive!

       IL LETTERATO CHE SDEGNA DI SCRIVERE: Quello che, secondo me, offende sopra tutto è il poco garbo – ecco.

       IL SECONDO CRITICO: Ma no; anzi, questa volta mi pare che circoli nell’atto un po’ più d’aria del solito!

       IL LETTERATO CHE SDEGNA DI SCRIVERE Ma nessuna vera discrezione artistica, via! A scrivere, così, saremmo tutti buoni!

       QUARTO CRITICO: Io, per me, non voglio anticipare il giudizio, ma vedo lampi, guizzi. Ecco, ho l’impressione come d’uno sbarbagliare di specchio impazzito.

       Da sinistra arriverà a questo punto il clamore violento, come d’un tumulto. Si griderà: – «Sì, manicomio, manicomio!». – «Macchina! Trucco! trucco!» – «Manicomio! manicomio!» – Molti accorreranno gridando: «Che avviene di là?».

       LO SPETTATORE IRRITATO: Ma possibile che a ogni prima di Pirandello debba avvenire il finimondo?

       LO SPETTATORE PACIFICO: Speriamo che non si bastonino!

       UNO DEI FAVOREVOLI: Oh badate che è una bella sorte davvero! Quando venite ad ascoltare le commedie degli altri autori, vi abbandonate sulla vostra poltrona, vi disponete ad accogliere l’illusione che la scena vi vuol creare, se riesce a crearvela! Quando venite invece ad ascoltare una commedia di Pirandello, afferrate con tutte e due le mani i bracciuoli della poltrona, così, vi mettete – così – con la testa come pronta a cozzare, a respingere a tutti i costi quel che l’autore vi dice. Sentite una parola qualunque – che so? «sedia» – ah perdio, senti?, ha detto «sedia»; ma a me non me la fa! Chi sa che cosa ci sarà sotto a codesta sedia!

       UNO DEI CONTRARI: Ah, tutto, tutto – d’accordo! – tranne un po’ di poesia però!

       ALTRI CONTRARI: Benissimo! benissimo! E noi vogliamo un po’ di poesia! di poesia!

       UN ALTRO DEI FAVOREVOLI: Sì, andate a cercarla sotto i sediolini degli altri, la poesia!

       I CONTRARI: Ma basta con questo nichilismo spasmodico!

       – E questa voluttà d’annientamento!

       – Negare non è costruire!

       IL PRIMO DEI FAVOREVOLI: (investendo) Chi nega? Negate voi!

       UNO DEGLI INVESTITI: Noi? Non abbiamo mai detto, noi, che la realtà non esiste!

       IL PRIMO DEI FAVOREVOLI: E chi ve la nega, la vostra, se siete riusciti a crearvela?

       UN SECONDO: La negate voi agli altri, dicendo che è una sola –

       IL PRIMO: – quella che pare a voi, oggi –

       IL SECONDO: – e dimenticando che jeri vi pareva un’altra!

       IL PRIMO: Perché la avete dagli altri, voi, come una convenzione qualunque, parola vuota:monte, albero, strada, credete che ci sia una «data» realtà; e vi sembra una frode se altri vi scopre ch’era invece un’illusione! Sciocchi! Qua s’insegna che ciascuno se lo deve costruire da sé il terreno sotto i piedi, volta per volta, per ogni passo che vogliamo dare, facendovi crollare quello che non v’appartiene, perché non ve l’eravate costruito da voi e ci camminavate da parassiti, da parassiti, rimpiangendo l’antica poesia perduta!

       IL BARONE NUTI: (che sarà sopravvenuto da sinistra, pallido, contraffatto, fremente, in compagnia di altri due spettatori, che cercheranno di trattenerlo) E un’altra cosa però mi pare che s’insegni qua, caro signore: a calpestare i morti e a calunniare i vivi!

       UNO DEI DUE CHE L’ACCOMPAGNANO: (subito, prendendolo sotto il braccio per trascinarlo via) Ma no, vieni via! vieni via!

       L’ALTRO ACCOMPAGNATORE: (contemporaneamente c.s.) Andiamo, andiamo! Per carità, lascia andare!

       IL BARONE NUTI: (mentre se lo trascineranno verso sinistra, si volterà a ripetere convulso) Calpestare i morti e calunniare i vivi!

       VOCI DI CURIOSI (tra la sorpresa generale) – Ma chi è? – Chi è? – Che faccia, oh! – Pare un morto! –

       – Un pazzo! – Chi sarà?

       LO SPETTATORE MONDANO: E il barone Nuti! il barone Nuti!

       VOCI DI CURIOSI: – E chi lo conosce? – Il barone Nuti? – Perché ha detto così?

       LO SPETTATORE MONDANO: Ma come! Nessuno ha capito ancora che la commedia è a chiave?

       UNO DEI CRITICI: A chiave? Come, a chiave?

       LO SPETTATORE MONDANO: Ma sì! Il caso della Moreno! Tal quale! Tolto di peso dalla vita!

       VOCI: – Della Moreno?

       – E chi è?

       – Eh via! La Moreno, l’attrice che è stata in Germania tanto tempo!

       – Tutti sanno chi è, a Torino!

       – Ah già! Quella del suicidio dello scultore La Vela, avvenuto qualche mese fa!

       – Oh guarda! guarda! E Pirandello?

       – Ma come! Pirandello si mette a scrivere adesso commedie a chiave?

       – Pare! eh, pare!

       – Non è la prima volta!

       – Ma è legittimo trarre dalla vita l’argomento d’un’opera d’arte!

       – Già, quando con essa, come ha detto quel signore, non si calpestino i morti e non si calunnino i vivi!

       – Ma quel Nuti chi è?

       LO SPETTATORE MONDANO: Quello per cui s’è ucciso il La Vela! E che doveva essere appunto suo cognato!

       UN ALTRO DEI CRITICI: Perché si mise veramente con la Moreno? alla vigilia delle nozze?

       UNO DEI CONTRARI: Ma allora il fatto è identico! E enorme, perdio!

       UN ALTRO: E ci sono dunque in teatro gli attori del dramma vero, della vita?

       UN TERZO: (alludendo al Nuti e indicando perciò verso sinistra) Eccolo là, uno!

       LO SPETTATORE MONDANO: E la Moreno è su, nascosta in un palchetto di terza fila! S’è riconosciuta subito nella commedia! La tengono, la tengono, perché pare veramente impazzita! Ha lacerato coi denti tre fazzoletti! Griderà, vedrete! Farà qualche scandalo!

       VOCI: – Sfido! Ha ragione!

       – A vedersi messa in commedia!

       – Il proprio caso sul palcoscenico!

       – E anche quell’altro! Perdio, m’ha fatto paura!

       – Ah, finisce male! finisce male!

       Si sentiranno squillare i campanelli che annunziano la ripresa della rappresentazione.

       – Oh suonano! suonano!

       – Comincia il secondo atto!

       – Andiamo a sentire! andiamo a sentire!

       Movimento generale verso l’interno della sala, con sommessi confusi commenti alla notizia che man mano si diffonde. Resteranno un po’ indietro tre dei favorevoli, in tempo per assistere, nel corridojo già sgombrato dal pubblico, all’irruzione da sinistra della Moreno, scesa dal suo palchetto di terza fila e trattenuta da tre amici che vorrebbero condurla fuori del teatro per impedirle di fare uno scandalo. Gli usceri del teatro, dapprima impressionati, faranno poi cenni di tacere perché non sia disturbata la rappresentazione. I tre spettatori favorevoli si terranno in disparte ad ascoltare, stupiti e costernati.

       LA MORENO: No, no, lasciatemi! lasciatemi!

       UNO DEGLI AMICI: Ma è una pazzia! Che vorreste fare?

       LA MORENO: Voglio andare sul palcoscenico!

       L’ALTRO: Ma a far che? Siete pazza?

       LA MORENO: Lasciatemi!

       IL TERZO: Andiamo via piuttosto!

       GLI ALTRI DUE: Sì, sì, via! via! – Lasciatevi persuadere!

       LA MORENO: No! Voglio punire, debbo punire quest’infamia!

       IL PRIMO: Ma come? Davanti a tutto il pubblico?

       LA MORENO: Sul palcoscenico!

       IL SECONDO: Ah no, perdio! Non vi lasceremo commettere questa pazzia!

       LA MORENO: Lasciatemi, vi dico! Voglio andare sul palcoscenico!

       UN TERZO: Ma gli attori sono già in iscena!

       IL PRIMO: Il second’atto è cominciato!

       LA MORENO: (subito, cambiando) E cominciato? Voglio sentire allora! Voglio sentire! (E farà per ritornare verso sinistra.)

       GLI AMICI: – Ma no, andiamocene! – Date ascolto a noi! – Sì, sì, via! via!

       LA MORENO: (trascinandoseli dietro) No, risaliamo! risaliamo in palco, subito! Voglio sentire! Voglio sentire!

       UNO DEGLI AMICI: ( mentre scompariranno da sinistra) Ma perché volete seguitare a straziarvi?

       UNO DEGLI USCERI: (ai tre spettatori favorevoli) Son matti?

       IL PRIMO DEI FAVOREVOLI: (agli altri due) Avete capito?

       IL SECONDO: E la Moreno?

       IL TERZO: Ma dite un po’, Pirandello è sul palcoscenico?

       IL PRIMO: Io scappo a dirgli che se ne vada. Questa sera non finisce bene certamente!

Tela

1924 – Ciascuno a suo modo
Commedia in due o tre atti con intermezzi corali
Premessa
Premessa dell’autore
Personaggi, Atto Primo, Primo Intermezzo
Atto Secondo, Secondo Intermezzo

En Español – Cada cual a su manera

««« Elenco delle opere in versione integrale

««« Introduzione al Teatro di Pirandello

Se vuoi contribuire, invia il tuo materiale, specificando se e come vuoi essere citato a
collabora@pirandelloweb.com

ShakespeareItalia

image_pdfvedi in PDF
Skip to content