«Cara Lina, ti debbo piantare…». La lettera di Pirandello alla sorella

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Di Luciano Lucignani

La drammatica lettera di Luigi Pirandello alla sorella Lina, del 13 marzo 1889. A quest’epoca Pirandello, non ancora ventiduenne, è a Roma, dove frequenta l’università. La storia è que  Lina aveva quattro anni più di Luigi; era molto carina, molto corteggiata e, sembra, molto civetta. 

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Pirandello e la sorella
La madre Caterina Ricci Gramitto la sorella Anna a sinistra Luigi e la sorella Lina a destra.

Cara Lina, ti debbo piantare…

da Archivio Repubblica.it

“Io ho la morte nel cuore. L’ultima illusione che mi resta è caduta: l’amore. No, no, Lina mia, io non amo più – io non posso, non riesco, per quanto mi adatti a farmivi persuadere, non riesco ad amar più quella povera malata. Come una sorella, come prossimo, sì – come una fidanzata, no, no, mai più. Non me ne far parlare… Ahimè di quali scene sono stato io spettatore, ahimè che orribili parole io ho udite da lei (brucio in pensarle di vergogna e d’afflizione), ahimè che gesti, che atti ho veduti (…) Che più mi resta? Oh quanto meglio sarebbe stato, se ella mi fosse morta! … Come finirà? Non dubitare, sorella mia; so quale è il mio dovere – è molto amaro, ma lo farò…”.

Questa drammatica lettera di Luigi Pirandello alla sorella Lina, qui riprodotta solo in parte, è del 13 marzo 1889. A quest’epoca Pirandello, non ancora ventiduenne, è a Roma, dove frequenta l’università. Sei mesi più tardi lascerà l’Italia e andrà a continuare gli studi in Germania, a Bonn. Perché? Causa determinante, come si sa, è l’incidente che avrà con il rettore della Sapienza, il professor Onorato Occioni, insegnante di letteratura latina. Occioni è stato maestro di Gabriele D’Annunzio, il quale ne aveva molto apprezzato, come dichiarerà da vecchio, il “magistero canoro”.

Magistero che invece non entusiasma il giovane Pirandello; anche perché, come insegnante, questo Occioni non vale granché. Pare che un giorno, traducendo in aula il Miles gloriosus di Plauto, commetta un errore. Un pretino, compagno di banco di Pirandello, e molto bravo in latino, se ne accorge. I due confabulano, e il pretino scoppia a ridere. Occioni, infuriato, si mette ad inveire contro di lui. Allora Pirandello si alza e di fronte a tutta la scolaresca rivela il perché della sfuriata. Dopo di che Occioni riunisce i professori e Pirandello è deferito al consiglio di disciplina. Per lui non c’è altra soluzione che andarsene; e su consiglio di Ernesto Monaci, altro suo professore, decide di continuare gli studi in Germania, a Bonn. Tra l’altro, con questa partenza Pirandello allontana ulteriormente da sé una storia abbastanza angosciosa, e non ancora risolta: quella, appunto, cui si riferisce la lettera riportata all’inizio.

La storia è quella del fidanzamento di Luigi con la cugina Lina, figlia di Andrea, fratello del padre. Lina aveva quattro anni più di Luigi; era molto carina, molto corteggiata e, sembra, molto civetta. Pirandello ne disegnerà il ritratto in una delle sue novelle, Tra due ombre (editore Bemporad, 1922):

“… Lillì di ventidue anni, bella come quando di nascosto, da lontano, per tentarlo, tenendo socchiuso l’uscio della sua cameretta, si scopriva il seno tra il candor delle trine e con la mano faceva l’atto di offrirglielo e subito con la stessa mano se lo nascondeva. Aveva quattr’anni più di lui, Lillì. E che passione, che frenesie, prima ch’ella accondiscesse a fidanzarsi con lui, corteggiata da tanti…”.

La parte più drammatica della vicenda sarà già stata, molto tempo prima, oggetto d’un’altra novella, L’onda (editore Bontempelli, 1894):

“Quando la signora Sarni con la figlia venne ad abitare nel primo piano, Agata era da tre anni promessa sposa a Mario Corvaja, il quale allora si trovava in Germania a perfezionare i suoi studi di filologia. Quel fidanzamento aveva avuto tristi vicende, e pareva che il giorno delle nozze si perdesse tra le nebbie dell’incertezza. Mario Corvaja, è vero, sarebbe ritornato fra breve dalla Germania; ma chissà quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare un concorso per qualche cattedra di filologia all’Università”.

Come nella realtà, Agata, cioè Lina, a un certo punto ha una grave crisi mentale, uno stato di nevrastenia che confina con la pazzia. Ed è in questa circostanza che il fidanzato, Mario Corvaja, cioè Pirandello, viene a trovarla. E ‘probabile che da Bonn il giovane Pirandello, malgrado l’angosciosa confessione fatta alla sorella Lina, continuasse a scrivere alla fidanzata, ma l’epistolario è andato perduto del tutto.

La recente edizione delle lettere scritte in quel periodo da Pirandello ai familiari, pubblicata da Bulzoni per conto dell’Istituto di Studi Pirandelliani (Lettere da Bonn, 1889-1891, a cura di Elio Providenti, pagg. 196, lire 18.000), ne comprende soltanto una (in nota), salvatasi perché inviata in copia da Luigi al padre, per dimostrargli il suo comportamento. E’ la lettera, datata giugno 1890, nella quale praticamente il giovane studente comunica alla ragazza la necessità di rompere il fidanzamento. Il motivo, secondo quanto egli scrive (e ripete poi al padre, in un’altra lettera), sarebbe la grave crisi cardiaca che lo avrebbe colpito; tale da costringerlo a mutare radicalmente modo di vita, a sottoporsi a norme severe e ad evitare rigorosamente il matrimonio. D’ora in poi dovrà condurre una vita scrupolosamente castigata, pena il rischio dell’epilessia. Scrive Pirandello a Lina, la fidanzata:

“Che debbo io fare? Tra il sentimento e il dovere a chi dovrò appigliarmi? Per me sarebbe nulla – dandomi a Te non farei un sacrifizio della mia vita, ma raggiungerei il sogno mio agognato – non importa se per un anno o due – morrei felice accanto a Te. E’ ad altri che io penso, a esseri a cui si ha il torto di non pensar mai, quando si è ancora in tempo, prima cioè di procrearli. Ho il diritto di legar Te e altri possibilmente a questa catena? Puoi Tu accettare il peso di tanta responsabilità? Oh io divento matto, io divento matto…”

Diciamo la verità: questa di Pirandello ci pare una scusa bella e buona. Nessun dubbio sulla malattia, e anche sulla necessità di condurre una vita piuttosto sorvegliata. Ma Pirandello ha appena ventitré anni, la sua giornata di studente è regolata come un orologio, e in ogni caso non si vede come il matrimonio avrebbe potuto danneggiare gravemente la sua salute. Quattro anni dopo, infatti, si sposerà, avrà dei figli e vivrà, praticamente sano, fin quasi a settant’anni. La lettera inviata alla fidanzata suscita un pandemonio. Lina si ammala, è sul punto di morire. Tra Palermo e Bonn è tutto un viavai di telegrammi: “Se hai cara la vita di Lina vieni subito”, “Partirò appena ricevuto danaro casa”, “Lina estremamente abbattuta tuo telegramma sollevolla. Se non puoi venire assolutamente attendi lettera”. E così via.

Alla fine Pirandello, temendo una sciagura, si precipita a Palermo. Ma per fortuna trova Lina in buono stato e ai primi di agosto può tornare in Germania. A questo punto la sua prima storia d’amore può considerarsi definitivamente conclusa. Da un punto di vista strettamente biografico, questo è l’avvenimento di maggior rilievo documentato dal carteggio. Per il resto, queste lettere interessano soprattutto per come illuminano i sentimenti che il giovane Pirandello prova nei confronti dei familiari. Protesta ansioso se per qualche giorno non trova posta dei suoi; dubita di essere “una gran bestia”, “un figlio snaturato” e magari “un mostro” se i parenti, a loro volta, si lamentano di non ricevere frequenti notizie da lui; chiede perdono se, cedendo ad uno sconforto momentaneo, ha recato loro del dispiacere. Ma pure ogni tanto gli accade, tra illusioni e delusioni, rimorsi e disperazioni, di gettare uno sguardo abbastanza lucido dentro di sé. Scrive in data 19 marzo 1890:

“…Io sono forse, anzi senza forse, un essere strano, e voi mi dovete compatire. Io soffro talvolta per delle cose che l’universale stimerebbe pazzie… Io non cerco la fama, miei Cari… Io scrivo per naturale necessità, per bisogno organico, perché non potrei farne a meno”.

Non mancano neppure, com’è logico, i momenti lieti: le gite in campagna, le festicciole studentesche; e le ragazze, naturalmente. Il giovane studente siciliano, educato ai rigidi costumi della sua provincia, non poteva restare insensibile al fascino spregiudicato delle fanciulle tedesche. Due di loro, Mary e Anna Rismann, sono ricordate in una lettere alla sorella Lina; Pirandello ne parla come di “due diavolette tutte fuoco” che mettono a soqquadro la severa stanza dei suoi studi. A una certa Else, con la quale ha passeggiato tra i boschi sulla riva della Melb, dedica una poesia, che fa supporre il raggiungimento d’un certa intimità:

“… Tutti, tutti gli uccelli / m’incitavan dai rami: / “Dille, dille che l’ami! / Baciale gli occhi belli!…” / E in basso ecco garrire / la Melb, il ruscel tenue: / “Oh quante coppie ingenue / qui vengonsi a scaltrire!” / Sedemmo all’ombra. Ah, il patto / fu mantenuto appieno / D’amore, sen contro seno / noi non parlammo affatto”.

Una vera e propria storia d’amore è quella con Jenny Schulz-Lander, la ragazza conosciuta al ballo mascherato della “Beethoven Halle”, nel carnevale del 1890. Pirandello se ne invaghisce, arriva al punto di lasciare la casa in cui abita per trasferirsi in quella della famiglia di lei. L’idillio nasce, reciproco. E non è affatto una relazione platonica: Jenny di notte, scalza, esce dalla sua stanza e va in quella del giovane studente italiano. Il rapporto dura fino a quando Pirandello non dovrà lasciare Bonn per far ritorno in Italia. E dunque anche dopo le drammatiche avvertenze del medico, delle quali Luigi si serve per troncare il fidanzamento con Lina. Ma l’una è lontana, l’altra è vicina, l’una lo impegna, l’altra non gli chiede nulla: al massimo, confessa Pirandello in un’altra poesia, da Roma le manderà un bel monile.

Luciano Lucignani
22 dicembre 1984

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