La signora Morli, una e due – Atto terzo

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Premessa e trama
Personaggi, Atto Primo
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Atto Terzo

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La signora Morli, una e due - Atto III
Adriana Asti, Silvano Tranquilli, La signora Morli, una e due, 1972.

1920
La signora Morli, una e due
Atto Terzo

        Stanza di passaggio in casa dell’avvocato Carpani. La comune infondo. L’u­scio laterale a destra dà nella camera del Carpani; quello a sinistra, nella camera di Titti. Quanto all’ arredamento, è necessario soltanto un ampio letto a sedere. Gli altri mobili, armadio, cassettone, ecc., diano l’impressione di un interno intimo, agiato. Prime ore del mattino. (Dal secondo al terzo atto passa soltanto una notte.)

        Al levarsi della tela sonoin iscena Lello, la Signora Armelli e la Signora Tuzzi-Lello passeggia fosco per la stanza. La signora Armelli sulla soglia del­l’uscio a sinistra parla, rivolta verso l’interno, a Titti ancora a letto. La si­gnora Tuzzi seduta, quasi sdrajata, sul letto a sedere tiene la testa reclinata sulla spalliera, come una che, avendo vegliato tutta la notte, abbia ora inav­vertitamente ceduto al sonno.

        SIGNORA ARMELLI (parlando verso l’interno): Ma no, ma no, figliuola mia! se mai, più tardi.

        LELLO: Ps! Piano, piano, signora Lucia…

        SIGNORA ARMELLI (voltandosi): Perché? (E come Lello le accenna che la si­gnora Tuzzi s’è addormentata:) Ah, poverina, dorme? (Ma poi, come a una minaccia di Titti d’alzarsi dal letto, grida facendo qualche passo verso l’interno:) Insomma, no, Titti! Io non te lo permetto! (E rientra in iscena, richiu­dendo l’uscio.)

        LELLO: Ma che cosa vuole, si può sapere?

        SIGNORA TUZZI (svegliandosi al rumore, infastidita): Dio mio, che cos’è?

        SIGNORA ARMELLI (rispondendo a Lello): Che? Vorrebbe alzarsi a quest’ora!

        LELLO: Ma non c’è Miss Write di là?

        SIGNORA ARMELLI: Ma sì! Dice che s’è sognata che arrivava (sta per dire la mamma, – si trattiene, dice:) lei; e vorrebbe alzarsi… (Alla signora Tuzzi:) Mi dispiace, cara, d’averti svegliata…

        SIGNORA TUZZI: Ma no… non dormivo… M’ero un po’ appoggiata… così… (Si stropiccia con le mani le braccia, come per freddo.)

        LELLO: Povera signora, si sarà infreddolita…

        SIGNORA TUZZI: Sì… un po’. Fa ancora freddo di notte.

        LELLO: Passare una nottata così!

        SIGNORA TUZZI: Ma non lo dica nemmeno, caro avvocato! Ho tenuto compagnia a lei, a Lucia…

        LELLO: E io le sono proprio grato. Ma ora, guardi, mando giù la Lisa a pren­dere una vettura, e lei se n’andrà a riposare.

        SIGNORA TUZZI: No, no, no…

        LELLO: Ma sì – comodamente a casa!

        SIGNORA TUZZI: No, guardi: prenderò un caffè, e sarò perfettamente a posto. – Lei piuttosto, avvocato…

        SIGNORA ARMELLI: Ma gliel’ho già detto tre volte!

        SIGNORA TUZZI: Vada, vada a riposarsi un momento!

        LELLO: Ma che! Non posso… non posso…

        SIGNORA ARMELLI: Come non può! – Col da fare che ha avuto jeri, per giunta: – solo – capisci? nell’assenza di mio marito. – Tutto il peso dello studio ad­dosso…

        SIGNORA TUZZI (scotendo amaramente il capo): E un simile colpo a tradimento! – Via, via, faccia questo piacere a noi, avvocato!

        LELLO: Vi assicuro, signore mie, che non potrei.

        SIGNORA ARMELLI: Si stenda almeno sul Ietto, per un pajo d’ore!

        SIGNORA TUZZI: Ecco, anche senza dormire…

        LELLO: Sarebbe peggio, credano! Non posso neanche star seduto. – Ho bisogno di muovermi… Una smania!

        SIGNORA TUZZI: Eh, ha ragione!

        LELLO: Vadano, vadano loro, piuttosto.

        SIGNORA ARMELLI (alla signora Tuzzi): Tu; se vuoi…

        SIGNORA TUZZI: Ma no; quando andrai via tu…

        SIGNORA ARMELLI: Io ho lasciato detto a casa jersera di mandar questa mattina il cameriere alla stazione per. avvertire Giorgio, appena arriva, che venga a prendermi qua…

        SIGNORA TUZZI: Ecco, brava! Così sapremo. Porterà certo qualche notizia… se l’ha veduta…

        SIGNORA ARMELLI (sospirando): Speriamo!

        SIGNORA TUZZI (a Lello): E forse – chi sa! – le darà, avvocato, una spiegazione plausibile.

        LELLO (fosco, agitato): Oh, una spiegazione ci sarà… ci sarà… (E all’improv­viso, colto da un capogiro, si porta una mano su gli occhi:) Dio mio…

        SIGNORA ARMELLI (subito, premurosa): Che cos’è?

        SIGNORA TUZZI (c.s.y. Si sente male?

        LELLO: Niente… niente… un piccolo capogiro…

        SIGNORA ARMELLI: Ma vede? ma vede? – Su! su! su! Non le permettiamo più di stare in piedi…

        SIGNORA TUZZI: Sia buono, via!

        SIGNORA ARMELLI: Obbedisca, obbedisca – a letto!

        LELLO (lasciandosi portare dalle signore fino all’uscio a destra): Sì, grazie… sì; un po’ di stanchezza… La notte perduta… (Via.)

        SIGNORA ARMELLI: Mi fa una pena! mi fa una pena!

        SIGNORA TUZZI (scotendo il capo con sdegno, con aria di dire: «Che cosa è il mondo!».): Mah! dopo essere stato così esemplare…

        SIGNORA ARMELLI: Esemplare? Eroico!

        SIGNORA TUZZI: Col suo valore, con la sua posizione, avrebbe potuto costituirsi attorno…

        SIGNORA ARMELLI: Ma sì, una famiglia, tersa come uno specchio! – Invece, è andato a confondersi con una donna compromessa in… in chi sa che pasticci!

        SIGNORA TUZZI: Già. Dicono tra l’altro, che il marito…

        SIGNORA ARMELLI: Sì, se ne dovette scappare! E l’abbandonò col figlio. Capitò qua, in cerca d’un avvocato; scelse lui; lui la vide; se ne innamorò… – Lottare, come ha lottato, pover’uomo, per farla entrare in relazione con la gente per bene – ed essere alla fine compensato così!

        SIGNORA TUZZI: Io non so! C’era parsa a tutte così… seria, tranquilla…

        SIGNORA ARMELLI: Oh, senti: lei sostiene che il figlio se n’è voluto andar lui col padre, con la scusa che qua ormai non poteva più stare… – Figurati che scusa! Noi tutte, amiche, la migliore società, avevamo reso normalissima la situazione e nessuno più, nessuno, trattando con Aldo, stava a pensare che la madre e l’avvocato non fossero marito e moglie; Aldo lo chiamava papà… – Per me non c’è dubbio: dev’essere stata lei! è stata lei!

        SIGNORA TUZZI: A indurre il figlio ad andarsene col padre?

        SIGNORA ARMELLI: Nessuno me lo leva dalla testa!

        SIGNORA TUZZI: Per avere il pretesto di… di fare la spola tra Roma e Firenze?

        SIGNORA ARMELLI: Precisamente! – Io non credo, non credo che Aldo… (si cor­regge:) il figlio, altrimenti, se ne sarebbe andato!

        SIGNORA TUZZI: Ma allora può darsi che anche…

        SIGNORA ARMELLI: La malattia del figlio, dici?

        SIGNORA TUZZI: Sia una commedia concertata.

        SIGNORA ARMELLI: Ma sì! Tutti d’accordo, là! – È chiaro, ormai! Scusa, più chiaro di così?

        SIGNORA TUZZI (nauseata): Ah! mettere avanti il figlio… – la malattia del figlio,

        per… – ah! È ributtante!

        SIGNORA ARMELLI: Ributtante! ributtante! (Poi risoluta:) Io non so che decisione prenderà qua lui. (Allude a Lello.)

        SIGNORA TUZZI: Oh, ma credo che, se è così…

        SIGNORA ARMELLI: No, sai – è tanto… troppo debole… troppo debole… – per bontà…

        SIGNORA TUZZI: Supponi che…

        SIGNORA ARMELLI: Ah, ma io, no! – io, basta! – Io, per me, qua, se lui se la tiene, non rimetterò più piede!

        SIGNORA TUZZI: Ma figurati – neanch’io!

        SIGNORA ARMELLI: Ma tutte, credo!

        SIGNORA TUZZI: Che sciocca, infine! Aver fatto accettare una simile situazione, e perderla, rovinarsi, così, in un momento!

        SIGNORA ARMELLI: Mi dispiace sinceramente per questo poverino (allude a Lello) che poi, capisci? è anche socio di mio marito. Ma non transigo! Avrà un bel persuadermi Giorgio: – non transigo, non transigo!

        Si schiude cautamente l’uscio a sinistra, ed entra Miss Write col suo cappello a cuffia annodato sotto il mento, pronta per andar via.

        SIGNORA ARMELLI (alludendo a Titti): S’è addormentata?

        MISS WRITE: Sì, signora.

        SIGNORA TUZZI: Ah, finalmente!

        MISS WRITE: Io, signora, adesso – ho pensato, ho pensato – desidero andar via.

        SIGNORA ARMELLI: Ma no, per carità; adesso, no…

        SIGNORA TUZZI: Aspetti almeno, prima, che ritorni lei… la signora!

        MISS WRITE: Ah no, ah no – desidero andare via prima, prima. Adesso.

        SIGNORA ARMELLI: Dio mio, ma parli almeno con l’avvocato! Adesso è impossi­bile… è andato a riposare un po’… Abbia pazienza ancora per qualche ora.

        MISS WRITE: Per qualche ora, sì – bene.

        SIGNORA TUZZI: E intanto, se non le dispiace, ci faccia portare…

        SIGNORA ARMELLI: Ah già… sì, da Lisa, la prego… un po’ di caffè…

        MISS WRITE: Caffè. Bene. Farò portare. (Miss Write, via per la comune.)

        SIGNORA ARMELLI (subito, in tono di grazioso rimprovero): Hai avuto troppa fretta, troppa fretta!

        SIGNORA TUZZI: Io? Ma no… È stata lei! M’assicurò che qua non sarebbe più rimasta, assolutamente!

        SIGNORA ARMELLI (con ammirazione, alludendo alla moralità della governante inglese): Ma come sono!

        SIGNORA TUZZI: Proprio assolutamente, ti dico! E allora, vista questa risoluzione irremovibile di licenziarsi, sapendo che la Nori cercava una governante…

        Entra dalla comune Lisa con un vassojo e l’occorrente per il caffè.

        SIGNORA ARMELLI: Oh, ecco – brava, Lisa!

        LISA: Aspettavo che venissero a prenderlo di là… Avevo apparecchiato anzi per la colazione…

        SIGNORA ARMELLI: No no, basta una tazza di caffè… Grazie.

        (Si sente sonare il campanello, lontano. )

        SIGNORA TUZZI: Suonano, mi pare…

        SIGNORA ARMELLI (guardando l’orologio da polso): Ah, ma forse… – son già le sette e mezzo – può darsi che sia lui, Giorgio…

        La Lisa va ad aprire. La signora Armelli verserà intanto il caffè per la si­gnora Tuzzi e per sé.

        SIGNORA TUZZI: Sentiremo, sentiremo…

        Si ode dall’interno la voce di Evelina, ansiosa.

        VOCE DI EVELINA: Titti! Titti mia! Dov’è la Titti?

        Subito la signora Armelli e la signora Tuzzi si turbano, posano le tazze e si irrigidiscono.

        SIGNORA TUZZI: Ah, eccola!

        SIGNORA ARMELLI: È arrivata con mio marito! Io allora vado subito via! Entra Evelina, seguita dall’ avvocato Giorgio Armelli.

        EVELINA: Ah, tu qua, Lucia? Anche lei, signora? (Si spaventa:) Ma dunque? Dio mio! (E si precipita verso la camera di Titti.)

        SIGNORA ARMELLI (cercando d’impedirle l’entrata): No – guarda, è tranquillis­sima.

        EVELINA: Lasciami, voglio vederla!

        SIGNORA ARMELLI: Già, ma dorme…

        EVELINA: Farò piano… Non la sveglierò…

        Evelina entra nella camera di Titti. Subito le due signore corrono a prendere sul cassettone i loro cappelli e se li calcano in capo, chinandosi per guar­darsi allo specchio dell’alzata, con movimenti sincroni e uguali.

        SIGNORA ARMELLI: Andiamo via!

        SIGNORA TUZZI: Andiamo via!

        GIORGIO: Non così subito, per carità!

        SIGNORA ARMELLI: Subito!

        SIGNORA TUZZI: Subito!

        SIGNORA ARMELLI: Ci dirai, via facendo…

        SIGNORA TUZZI: Ci dirà… ci dirà…

        GIORGIO: Uh… cose! cose!

        SIGNORA ARMELLI: Ah sì?

        SIGNORA TUZZI: Ah sì?

        SIGNORA ARMELLI: E hai il coraggio di dire «non così subito»?

        SIGNORA TUZZI: Cose indecenti?

        GIORGIO: Follie… Cavalli… altalena…

        SIGNORA ARMELLI: Circo equestre! – Andiamo via!

        SIGNORA TUZZI: Andiamo via!

        Le due signore stanno per andar via con Giorgio, quando s’apre l’uscio di destra ed entra Lello Carpani, il quale, vedendoli andar via, chiama, meravi­gliato, dolente:

        LELLO: Giorgio!

        GIORGIO (voltandosi): Oh, Lello… Buon giorno, caro…

        LELLO: Ma come! Ve ne andate?

        SIGNORA ARMELLI: Sì, sì, avvocato!

        SIGNORA TUZZI: È arrivata!

        LELLO: Arrivata?

        GIORGIO: Sì, con me… È corsa di là!

        LELLO (alle signore): E loro… se ne vanno?

        SIGNORA ARMELLI: Ah sì, mi dispiace, avvocato… ma…

        SIGNORA TUZZI: Ormai…

        LELLO (a Giorgio): E anche tal

        GIORGIO: Ma io ritorno subito! E… per… sì, per lasciarti in libertà adesso…

        SIGNORA ARMELLI: Ma certamente! certamente!

        Rientra dall’uscio a sinistra Evelina. Si sarà liberata del cappello e del velo da viaggio. Lieta di aver trovato la figlia già guarita, non s’accorge in prima del contegno freddo, ostile, impacciato di tutti e quattro.

        EVELINA: Ah, niente! M’ero spaventata, vedendovi qua… (Guarda le amiche; le vede col cappello in capo:) Ma come… State per andar via?

        SIGNORA ARMELLI: Sì. E tengo a dichiarare, che siamo state qua questa notte, non per la bambina già guarita, che non aveva più bisogno di noi – ma per lui! (Indica Lello.)

        EVELINA (stordita, volgendosi a Lello): Per te? (Non capisce e balbetta:) Come… perché?

        LELLO (indispettito nel vederla così, come ignara di tutto): Ma dopo il tele­gramma, Lina! (Indica Giorgio.)

        EVELINA (più che mai stordita, volgendosi a Giorgio): Telegramma? Che tele­gramma?

        LELLO (c.s.): Che m’annunziava che Aldo non è stato mai malato!

        EVELINA (che non sa di questo telegramma, rivolgendosi di nuovo a Giorgio): Ah, come! Lei? (Sottintende: «Ha spedito a tradimento questo telegramma?».)

        GIORGIO (subito imbarazzato): Per tranquillare, veda… per tranquillare…

        EVELINA: Ma io le ho pur spiegato in viaggio. (Dirà questo, sospettando ch’e­gli abbia perpetrato il tradimento di quel telegramma durante il viaggio.)

        GIORGIO (intuendo): Ma è stato prima! è stato prima!

        EVELINA: E quando, prima?

        GIORGIO: Sì… perché, veda… ero venuto jeri alla villa, prima che lei ritornasse dalla sua passeggiata a cavallo (movimento di sorpresa delle due signore e di Lello) e, saputo dal cameriere che Aldo, grazie a Dio…

        EVELINA: Ah, ecco… – per tranquillare…

        LELLO (con forza, insorgendo a difesa di Giorgio): Per tranquillare, sì! Perché noi tutti qua, per otto giorni…

        EVELINA (subito, dolente, affettuosa): Ma l’ho già detto a lui in treno, Lello! Ti giuro che io non ho visto nessuno, nessuno dei tanti telegrammi spediti da voi, di cui lui mi ha parlato! Vi avrei tranquillato subito io stessa!

        LELLO: Te li hanno dunque nascosti?

        EVELINA: Certo per trattenermi là con loro, temendo che, se avessi saputo della vostra inquietudine, mi sarei affrettata a ripartire! Ah, ma son sicura che in nessuno di quei telegrammi tu avrai accennato alla disperazione di Titti, per­ché non posso credere che Aldo mi avrebbe tenuto nascosto anche questo! Ti prego di dirmelo! È vero?

        LELLO: È vero, sì! Ma perché abbiamo creduto che lui, là, stesse, a dir poco, per morire! Darti l’annunzio che qua la Titti piangeva per te – metterti come tra due fuochi – c’è parso troppo… Tanto più che qua, per lei (allude alla Titti:) c’erano queste buone amiche, che non si son mica divertite, sai?

        SIGNORA ARMELLI: Basta, la prego, avvocato…

        SIGNORA TUZZI: Queste son cose…

        SIGNORA ARMELLI: Sì, ecco – che vi direte tra voi. Noi non dobbiamo, né vo­gliamo più entrarci. (Ostentatamente, rivolgendosi soltanto a Lello:) A rive­derla, avvocato!

        EVELINA: Ma io sono stata, infine, in compagnia di mio figlio, che non vedevo più da circa due mesi!

        SIGNORA ARMELLI (con uno scatto d’indignazione): Ah, via… (Rivolgendosi alla signora Tuzzi:) Andiamocene, andiamocene!

        SIGNORA TUZZI: Sì, ecco, è troppo…

        EVELINA: Ve ne indignate? Anche tu, Lucia?

        SIGNORA ARMELLI (fremente, contenendosi a stento): Ma sì, cara! Il figlio… (atto di nausea:) – ah! Avrei almeno il pudore di non nominarlo, ecco!

        EVELINA (con scatto spontaneo, sbalordita): Tu? Mio figlio? E dici il pudore? Ma Lucia!

        SIGNORA ARMELLI (facendosi torbida): Che?

        EVELINA (subito, sorridente, calma, arguta): No, niente, cara! – Ti faccio sol­tanto osservare che, anche per tutto il peggio che tu possa sospettare, io – dopo tutto – sto tornando, mi pare, dalla casa di mio marito.

        SIGNORA ARMELLI: Ah, basta, basta, via! andiamo! Via, via, Giorgio! Andiamo! La signora Armelli, via, con la signora Tuzzi e con Giorgio.

        EVELINA (piano, quasi più stupita che sdegnata): Oh guarda. Sono proprio in­dignate.

        LELLO (macerato dalla bile): E te ne meravigli? Ma ti pare davvero una scusa che ritorni dalla casa di tuo marito?

        EVELINA (di scatto); Ah sì! Per loro, sì! Perché la signora Lucia Armelli (l’altra, non lo so), ma la signora Lucia Armelli, quando ritorna in casa, non lo può mica dire, sai? a suo marito, dove è stata.

        LELLO: Ma lascia star quella! Voglio sapere che cosa puoi dire tu, ora, a me!

        EVELINA (offesa, ma fors’anche più addolorata che offesa, lo guarda un po’; poi si passa una mano sulla fronte e dice, stanca:) No, per carità. Così, no, Lello.

        LELLO (investendola): No? Come no? – Chiaro! chiaro! – Voglio che tu mi ri­sponda! – È chiaro!

        EVELINA (cs. ma con più recisione): Oh Dio, ti prego! Lello, per te stesso!

        LELLO (cs. più violento): Ma io voglio sapere! Ho diritto di sapere! Lo sai quello che hai fatto?

        EVELINA: Lo so. Mi sono trattenuta là otto giorni.

        LELLO (la guarda e vedendola così placida e semplice, quasi si sente mancare il fiato per proseguire): E… e ti par poco? Lasciando credere a tutti, qua…

        EVELINA: Io? Che ho lasciato credere? Senza codesta tua aggressione, t’avrei detto tutto io stessa, ritornando; perché non ho proprio nulla da nascondere, io.

        LELLO: Nulla, eh? nulla! – Otto giorni là con lui, e…

        EVELINA (profondamente avvilita per lui, più che per sé, troncando): Ma no, caro!

        LELLO: Come no?

        EVELINA: Non «con lui» – «in casa di lui», se mai.

        LELLO: Ah, brava! «In casa» – così, innocentemente? E non «con lui»; con tuo figlio soltanto, eh?

        EVELINA (cs.): Ma sì, anche con lui.

        LELLO: Ah, ecco! Ammetti. Ma come con un fratello, è vero? Un fratello cheti chiama Eva, no? che ti chiama… come ti chiama?… non so… «Jù!», come una cavalla!

        EVELINA (turbata da questo richiamo a quell’altra sua vita là, col marito; of­fesa per la crudezza del richiamo e, nello stesso tempo, più che mai addolo­rata, si nasconde il volto con le mani mormorando): Oh Dio mio… oh Dio mio… Pausa. Lello passeggia concitato. Si ferma. La guarda.

        LELLO: Ma non la trovi intanto una scusa, d’esserti trattenuta là otto giorni, senza che tuo figlio fosse malato; non la trovi! non la trovi! Stai con la faccia nascosta… Parla! Di’ almeno qualche cosa… (Stupito, come davanti a un vuoto che gli s’apra sempre più davanti, per quel silenzio nascosto che sem­pre più gli s’appalesa come una confessione tacita della colpa:) Non hai nulla da dire? E allora? Ah dunque, allora…

        EVELINA (levandosi, piano, con tristezza grave e quasi sorda, avendo intuito il sospetto dì lui, ma sentendo altresì che, pur potendo subito distruggerlo, le resterà sempre da dire una cosa di maggior peso per lei): Ma no, caro, non è questo.

        LELLO: Non… non è questo? E che cos’è? che cos’è? che intendi dire? Parla, perdio!

        EVELINA: Parla… sì, parla… Che vuoi che ti dica, così? Dico che m’hai fatto sentire, con la crudezza delle tue parole… non so, vedere che là… (Resta so­spesa: vorrebbe aggiungere: «che là ho pure una mia vita, a cui tu hai il torto di richiamarmi così crudelmente mentre già a me par quasi un sogno, trovandomi adesso qua, in quest’altra vita, da cui mi frastorni e m’allontani, con questa scena che m’offende».)

        LELLO (rimasto in attesa angosciosa, premendola a dire, con sgarbo): Che là? Che cosa?

        EVELINA: No… niente… niente di male… Sono stata con Aldo e con lui, ma sempre, ogni giorno, col pensiero di dovere ritornare a casa mia.

        LELLO: Vivendo, intanto, e sollazzandoti là?

        EVELINA (non sopportando più la naturale, scusabilissima volgarità dei so­spetti di lui): Per carità, taci! Non finire di rompere ora, così, il sogno che mi tenne là, di questa casa, di te, di mia figlia, e che sentii subito – subito, ap­pena vi ho rimesso il piede – come la mia vera vita! – Sì, qua… te… tutto… – È un sogno adesso, là… quella che fui là, quello che feci…

        LELLO (dapprima quasi sbalordito di sentirle dire così; poi, subito, accenden­dosi di nuovo): Ma io… io ancora non lo so, non lo so che cosa fosti là, che facesti! Sei rimasta otto giorni – questo solo so – quando l’obbligo tuo, tro­vando che là ti avevano (con un violento scatto di nausea) oh, vigliaccamente, vigliaccamente, sai? brutalmente ingannata – l’obbligo tuo era di ritornartene subito qua!

        EVELINA: Sì, sì, è vero, è vero! – Ma Aldo…

        LELLO: Che Aldo! Dici Aldo? Senti: ci vuole una bella sfrontatezza! Come se non sapessi che fu «lui», «lui!» È il figlio, d’accordo! Un inganno da mascal­zone, sì, sì, una trappola per riprenderti «americanamente», servendosi del fi­glio! E tu ti sei lasciata riprendere!

        EVELINA (con forza): Ma no!

        LELLO: Come no? Non sei rimasta, invece di ripartirtene subito?

        EVELINA: Ti giuro che volevo ripartirmene subito, appena alla stazione mi vidi davanti Aldo, sano, che rideva… E glielo dissi, sai? glielo dissi. (Con l’aria grave della signora Lina, ma sinceramente): Manifestai tutto lo sdegno. – Ma sai Aldo com’è… quello che cominciò a dire, a fare…

        LELLO (sempre convinto che non sia stato Aldo soltanto): Aldo, eh?

        EVELINA (non comprendendo l’ironia della domanda): Sì, al suo solito, tante pazzie…

        LELLO (c.s.): Aldo! – Non mi dici quello che cominciò a far lui!

        EVELINA (ingenuamente): Eh, lui no, non venne alla stazione.

        LELLO: Ah, non venne? Consentisti però ad andare con tuo figlio in casa di lui…

        EVELINA (c.s.): No, prima no; prima andai all’albergo. E non mi sarei mai ar­resa ad andare in casa di lui, se…

        LELLO (troncando con sdegno): Ma via! Poi ci andasti! E allora, sotto lo stesso tetto, con tuo marito… tutti i ricordi antichi, eh? (Sghignazzando:) Ma niente di male, niente di male, si sa! Era, dopo tutto, tuo marito!

        EVELINA (irrigidendosi, con alterezza dolente): Ti prego di credere che, se sono ritornata, vuol dire che puoi essere sicuro che «ho sentito» di poter ritornare.

        LELLO: Grazie, grazie di codesto sentimento! Ah, mi piace tanto! «Hai sentito» di poter ritornare?

        EVELINA: Sì. E ti dico che non merito affatto codesto tuo dileggio. (Cangiando aria e tono:) Sbagli, sbagli, Lello, a mostrarti, a parlare ancora così con me. Perché mi costringi allora a una sincerità di cui nessuna donna avrebbe l’ob­bligo – guarda! – neppure con se stessa; figurati poi col proprio marito! E tu non sei neanche mio marito.

        LELLO (subito, quasi trionfante nell’ira): Ah, eccola, eccola la confessione che ti sfugge senza volerlo!

        EVELINA (stordita, quasi tra sé): La confessione?

        LELLO: Ma sì, ecco, lo dici tu stessa che è quello adesso tuo marito!

        EVELINA (di nuovo, altera, recisa, contenendosi): Non è «quello!» – Io dicevo a te. – Ma dunque davvero puoi credere che sia «quello» come intendi tu, e farmi poi capace di ritornare a te, a mia figlia? (Pausa. Lello resta come in­terdetto. E allora con sdegnoso rammarico, come per un’imposizione della coscienza a cui non può più opporsi, aggiunge:) Ah, ma vedi? vedi? io mi sento costretta ora a dirti una cosa, che avrei potuto risparmiare a te e a me; che avevo sentito, venendo, di non doverti più dire. Ma ora debbo dirtela! debbo dirtela!

        LELLO: Che cosa?

        EVELINA: Questa. Che se sono ritornata, non devi credere che non mi sia co­stato nulla il ritorno.

        LELLO: Ah, confessi… confessi anche che t’è costato molto?

        EVELINA: Sì. Là, sì. Ma appena mi sono staccata di là, no. Ho sentito soltanto il desiderio di ritornare al più presto.

        LELLO: E vuoi, di’, vuoi che ti ringrazii anche di codesta sincerità?

        EVELINA: L’hai voluta tu, mostrandoti così diverso, nemico, a me che ritornavo alla mia casa perfettamente rimessa nel sentimento che ho di tutta questa mia vita qua e con l’unico pensiero della mia bambina malata…

        LELLO: Ah, ecco – per lei! Sei dunque ritornata unicamente per lei?

        EVELINA: Ma no – anche per te.

        LELLO: Grazie di nuovo, cara! Ma come vuoi che ci creda più, se m’hai detto che t’è costato molto staccarti di là? E segno che tu là con lui…

        EVELINA (subito arrestandolo): No! Ah, no! Tu mi costringi prima a ferirti con la mia sincerità, strappata così, per forza, e vuoi fartene poi un’arma contro di me? – No! Perché, se pure essa m’ha costretto a dirti che m’è costato molto, questo – se mai – farebbe più grave il sacrifizio con cui avrei pagato il diritto di poter ritornare a te e a mia figlia!

        LELLO: Ah, di bene in meglio! Il sacrifizio! Altro che molto, dunque, t’è co­stato! Dici sacrifizio, ora!

        EVELINA (pigiando sulle parole): Ho detto «se pure»; ho detto «se mai». Non l’ho più sentito, venendo. La mia vita è qua – questa. – Sono stordita ancora… (Con la meravigliosa ingenuità di una che non può fare a meno di dire, quasi senza pensare che cosa dice e a chi la dice:) E così strano, è così strano quello che sento, che… – tu forse avrai ragione – ma sono ora qua così tran­quilla, che non capisco più – ti giuro – di che cosa ti lamenti ancora…

        LELLO: Sei diventata incosciente? Come, di che mi lamento? Ti par poco adesso lo scandalo? Ne hai pure avuto una prova tu stessa, or ora!

        EVELINA: Dici di quelle due pettegole?

        LELLO: Ma puoi esser certa che tutti, adesso… È la rovina, la rovina della tua reputazione, lo vuoi capire? È finita!

        EVELINA (come se parlasse d’un’altra): Finita… la signora Lina? (E aggiunge sotto voce, come se lo dicesse Aldo:) Muffa della signora Lina! (E ride.)

        LELLO (più che mai trasecolato, mirandola): Ma che dici? sei impazzita?

        EVELINA (riprendendosi, ma sempre un po’ stordita): No… È che… (E si butta a ragionare con ambigua serietà:) – dico che, se quelle due pettegole non fossero accecate dall’invidia o dal dispetto…

        LELLO: E dalli! Lasciale stare, quelle due! Non saranno quelle due sole, ti dico! Ma tutti! tutti!

        EVELINA (seguitando come sopra: Eva e Lina; la voce di Eva, l’aria di Lina): Aspetta, scusa. Tutti sanno, mi pare, perché sono andata da mio figlio.

        LELLO: Già! Ma sanno anche, ora, che non era vero niente, che tuo figlio fosse malato, e che, non ostante questo…

        EVELINA (subito dice per lui): Sono rimasta là otto giorni con mio marito. (E non potendone più, sbuffa:) Auff !

        LELLO: Sotto lo stesso tetto!

        EVELINA: Questo lo dicono loro.

        LELLO: No, questa è la verità!

        EVELINA: Sì, ma per quello che ne pensano loro, intendo. (Si ferma un po’ a guardarlo, come per confermare un patto:) Oh, non più per te, ora! Almeno spero.

        LELLO (approvando ironicamente, con un inchino rabbioso): Benissimo! Ma bisognerebbe che lo credessero anche gli altri! Non basta, cara, che lo creda io! E vai, vai tu adesso a farlo credere agli altri!

        EVELINA: Scusa, se sono ritornata a te…

        LELLO (con un grido): Peggio! Dopo essere stata là!

        EVELINA (stanca): Oh, insomma, senti, Lello, a me basta la mia coscienza, e che mi creda tu. Non m’importa degli altri. Pensino quello che vogliono… come vogliono…

        LELLO: Ma importa a me, se permetti! A me! a me! Per la tua reputazione! E anche per me stesso!

        EVELINA: Per te stesso, no, scusa; perché tu, comunque pensino gli altri, non ti dovresti lamentare.

        LELLO: Ah, nemmeno?

        EVELINA: Nemmeno. Perché, se è peggio per me, è meglio per te: che io sia ri­tornata, dopo essere stata là – l’hai detto tu stesso. Suppongo, perché la gente, mio marito adesso – almeno legalmente – sa che è quello là…

        LELLO (gridando): Ma no! Nient’affatto! Perché io non mi sono mai conside­rato come il tuo amante! Il mio studio è stato sempre questo!

        EVELINA: Lo so. E infatti non mi viene di dirlo, credi, neanche a me, che tu sei il mio amante. Io forse non capisco ancora bene: scusa, ti lamenti per gli altri o per te?

        LELLO: Per me e per gli altri mi lamento!

        EVELINA: E allora hai torto doppiamente. (Pigiando sulle parole:) Ho lasciato là mio marito, per ritornare a te. Per la gente, come amante, puoi esserne con­tento, mi pare. Ma siccome poi non hai voluto mai considerarti, mai essere il mio amante, ma mio marito, è vero?

        LELLO: Mi pare!

        EVELINA: Ecco, dunque: marito, con tutto il diritto di pretendere alla fedeltà della propria moglie, è vero?

        LELLO: Mi pare!

        EVELINA: Oh, e allora come marito puoi anche essere contento e soddisfatto, perché t’assicuro che ho osservato per te tutto il mio dovere di moglie, ed ec­comi qua! – Che vuoi di più?

        LELLO (scattando): Ah, bello! Ah, grazie, così! Là l’amore, e qua il dovere? Grazie, cara, no! Io preferisco allora il contrario!

        EVELINA: Ah, ora, il contrario?

        LELLO: Il contrario! il contrario, sicuro! Che fosse stato lui, là, tuo marito, un sacrifizio per te, e non il tuo ritorno qua – così!

        EVELINA: Ma se non è stato…

        LELLO: L’hai detto tu stessa! tu! E viene a essere per me un insulto – guarda! – così, la tua fedeltà!

        EVELINA: Anche un insulto?

        LELLO: Sì, cara, un insulto! un insulto! E non so che farmene!

        EVELINA: Ma sai? credetti che bisognasse a me – se tu non sai che fartene – per potermi riaccostare, senza arrossire, a «tua» figlia. – Se mi dici che non sai che fartene…

        LELLO (accecato dall’ira): Ma che vuoi che m’importi, in questo caso, di mia figlia!

        EVELINA (ironica e con forza): Ah, ecco! Benissimo! Anche lui là mi disse: – «Che vuoi che m’importi di mio figlio, se vieni qua per lui?».

        LELLO (impressionato): Ti disse così?

        EVELINA (con foga appassionata): Così! così! Ed è tempo che la finiate tutti e due! Perché importa a me, se non importa a voi! – Oh, insomma! Tu hai qua la Titti; lui s’è preso Aldo là. Ciascuno di voi può stare per sé, con tutta la sua vita. Ma io no, perché Aldo là è mio e suo; la Titti qua è mia e tua. Lui mi vuole per sé; tu mi vuoi per te! Non posso mica dividermi, io, metà là e metà qua. Sono là e qua! Una e una!

        LELLO: Là e qua? Ah no! Là e qua, no! Là e qua, no! – O qua o là, cara! o qua olà!

        EVELINA: E non capisci che non toccherebbe di dirlo a te, questo?

        LELLO: No no: te lo dico io! te lo dico io! Qua e là, no!

        EVELINA (sdegnata, fiera): Ma come intendi ch’io dica qua e là? Dico per i miei figli; non per te e per lui! E perciò potevo farti osservare che non con­veniva a te di ribellarti e di fare lo sdegnoso! – Se con qualcuno io avrei l’obbligo di stare, non l’avrei con te!

        LELLO: Come?

        EVELINA: No! Perché se sono qua con te, nessuno può credere che sia per «ob­bligo», né per convenienza; tanto più ora, se è vero che per questa mia andata là la mia reputazione è irrimediabilmente compromessa! Starei con te perché voglio starci, ad onta della mia reputazione.

        LELLO: Ma se ora so che non vorresti…

        EVELINA: Come non vorrei, se sono ritornata, se ho difeso là, contro me stessa, il mio diritto di ritornare! (Minacciosa, recisa:) Vuoi che vada là? Mi re­spingi tu, allora! E allora il diritto di rivedere qua mia figlia io non lo perdo, bada! Me ne starò là, e faremo, come tu preferisci, al contrario!

        LELLO (stretto dall’argomentazione, con un viso molto inebetito): lo preferisco? io, preferisco?

        EVELINA: Eh, mi pare…

        LELLO (irritato di non potersi in alcun modo riprendere; con violenza): Io non preferisco niente! non preferisco niente!

        EVELINA (prima placida, sicura; poi, man mano, con foga crescente): Oh, e neanche io, vedi? Niente. M’impongo di non preferire niente, perché non vo­glio perderlo il diritto di rivedere i miei figli. Se pretendi che non veda più Aldo, rompo con te. Sì, sì, caro mio! Proprio come là ho respinto lui, per ri­tornare a vedere qua mia figlia. Siete uomini, voi – e basta! Io sono madre! Messa in una situazione impossibile! Una là con quello che mi fa essere… come qua con te, Dio mio, non mi passa, non mi passa neppure per il capo di poter essere! Un’altra – un’altra. – Ma non rimpiango, oh, non credere che rimpianga nulla per questo! Perché io… non so… sono pure «questa», qua. Non soffro, non soffro, ti giuro, Lello, d’essere qua, questa, come per tanti anni sono stata! Non mi costa nulla volermi anche per me, come tu mi vuoi, placida, sennata, ordinata; tutt’al contrario di come… io non so perché… di­vento subito per quell’altro, appena… appena mi guarda dentro gli occhi.

        LELLO: E ti grida: «Iviù!».

        EVELINA: Già, così… Vedi, m’è corso come un brivido per tutte le carni.

        LELLO (furioso, sprezzante): E vai dunque là, vai dunque là, dove c’è chi ti fa correre di codesti brividi per le carni!…

        EVELINA (forte, gridando, quasi piangendo dalla rabbia di non esser com­presa): Ma no! Sei sciocco! Non farmi impazzire, ora! Sento che impazzisco, io, così! E non voglio impazzire! Non sono mica impazzita, io, là, ti prego di credere! Ho tenuto a posto me e lui! Mi è parso piuttosto d’impazzire durante il viaggio, pensando… pensando… (Parandoglisi davanti improvvisamente:) Tu non sei mica lo stesso, scusa, con me e con un’altra donna!

        LELLO (stordito): Come? io? che c’entro io ora? Quale donna?

        EVELINA: Dico una qualunque; una donna che per caso… (non dico che sia vero), una donna che ti facesse essere diverso da quello che sei per me…

        LELLO (scrollandosi, non comprendendo): Come, diverso? Ma che dici?

        EVELINA: No, senti, senti quante cose ho pensato; – Tu, per me, lo sai perché sei così? Pare facile! una sciocchezza. Sei così, perché naturalmente il senti­mento che io t’ispiro, il sentimento che tu hai per me ti fa essere così.

        LELLO: Naturalmente.

        EVELINA: Ma se t’ispirassi domani un altro sentimento? Se tu non sentissi per me quello che ora senti? Tu diventeresti un altro.

        LELLO: Perché non t’amerei più, sfido! Un altro, per te. Ma sarei sempre io.

        EVELINA: No! no! Ecco, è questo! Non è vero! Perché tu, anche adesso, anche adesso, potresti avere un diverso sentimento per un’altra donna; e basterebbe questo perché tu fossi uno con quella e uno con me: diverso! – Vedi? è que­sto! L’ho provato io, con tutto l’orrore di vedere in me un’altra – quell’altra – oltre questa che sono qua per te e per me stessa: – due, in una persona sola! In un solo corpo, ma che potrebbe essere di «questa» e di «quella», se non dovesse parere mostruoso e assurdo che allora, per se stesso, questo corpo, non sarebbe più nulla, fuori di quel sentimento che lo fa essere ora di «questa» e ora di «quella»; e con la memoria intanto dell’una e dell’altra – vedi? que­sto è il terribile! – terribile perché rompe quell’illusione che ciascuno si fa, ricordando, di essere «uno», sempre lo stesso. Non è vero! L’ho veduto, l’ho provato io! Se tu m’avessi vista là, a cavallo…

        LELLO: Sei andata a cavallo?

        EVELINA: Sì; come prima! una cavallerizza! e Giorgio Armelli m’ha sorpreso sull’altalena… Se mi avesse visto la Titti! Dio, Dio… Non m’avrebbe più ri­conosciuta; avrebbe esclamato: «Ma come! Quella, la mia mamma?». Eppure per me, là, allora, era naturale, naturalissimo… E io stessa, ora, guardandomi di qua… mi pare un sogno… vedendomi poi anche «questa», qua… un’altra; irriconoscibile… Una qua, una là… E l’una che non ha nulla da vedere con l’altra, se non questo tormento di scoprirsi, di sentirsi «due», veramente, fino a respingere là – com’ho fatto – mio marito, non già perché non mi sentissi viva di tutta quell’altra mia vita là; ma perché qua c’era quest’altra, che sentii, sentii ugualmente viva di tutt’intera quest’altra mia vita – così diversa – capi­sci? – diversa – diversa! (Casca a sedere, come schiantata, con le mani sulla faccia.)

        LELLO (dopo una breve pausa): E vorresti, dopo questo, ritornare ancora là, «a quell’altra tua vita»?

        EVELINA (precipitosamente): No! Basta! basta! Impazzirei! Verrà lui, Aldo, qua, d’ora in poi! Per me, basta; puoi esserne sicuro! Mai più! – Vedersi un’altra? È la pazzia. Sono anche quell’altra, sai? E certo! Ma non debbo più vedermi, così, qua e là, questa e quella. Basta! basta!

        Si schiude l’uscio a sinistra e compare la Titti, palliduccia, spettinata, non ben sicura sulle lunghe gambette. Da questo punto, con stacco netto, dia la scena la sensazione della vita che si riassetta tranquilla su le sue basi natu­rali.

        TITTI: Mamma!

        EVELINA (subito voltandosi e accorrendo a sorreggerla e abbracciandola): Titti! Titti mia! Come? Oh Dio! Ti sei levata da te?

        TITTI (fremente): Sì, sì…

        EVELINA: Hai ragione, la mia Titti! Tanti discorsi inutili, sciocchi, inconclu­denti qua, e ho lasciato sola di là la mia Titti! (Se la guarda; se la carezza; le ravvia i capellucci.) Come sei pallidina! come sei magrolina! (Mostrandola a Lello:) Ma guarda: più alta… sì, guarda! non ti pare che si sia fatta più alta?

        LELLO (tranquillissimo ora anche lui, chinandosi a guardare la figlia): Eh sì, eh sì… oh guarda: t’arriva quasi alla spalla…

        EVELINA (serrandosi di nuovo al seno la figlia): Quasi alla spalla… quasi alla spalla, la mia piccina bella! la mia piccina! (E prende a dondolarla, a dondo­larla piano, così dicendo, mentre Lello le guarda tutt’e due, rasserenato e sorridente.) Ma non voglio, non voglio, sai?, che tu mi diventi presto una donnina, piccolina mia, piccolina mia, non voglio, non voglio…

Tela

1920 – La signora Morli, una e due – Commedia in tre atti
Premessa e trama
Personaggi, Atto Primo
Atto Secondo
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