L’innesto – Atto terzo

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Premessa e articolo di Antonio Gramsci
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l innesto - Atto III
Teatro Cast, Fremito, studio su “L’innesto” di Luigi Pirandello, 2016. Immagine dal Web.

L’innesto
Atto Terzo

        Una sala della villa. Uscio in fondo. Uscio laterale a destra. Finestra a sini­stra. Immediatamente dopo il secondo atto.

        Scena prima

        Il Dottor Romeri, la Signora Francesca.

        Al levarsi della tela il dottor Romeri è solo, presso l’uscio a destra in attesa.

        Poco dopo, l’uscio s’apre ed entra la signora Francesca.

        FRANCESCA: Non vuole! dice che non vuole, dottore: assolutamente!

        ROMERI: Ma sa che il marito lo desidera?

        FRANCESCA: Gliel’ho detto. Se n’è irritata di più.

        ROMERI: Ma perché?

        FRANCESCA: Anche con me stamattina, del resto, quando le dissi per telefono che avrei portato lei qua in villa.

        ROMERI: È curioso!

        FRANCESCA: Dice che non ce n’è bisogno.

        ROMERI (con lieta sorpresa, come alleggerito da un gran peso): Ah! Non ce n’è bisogno?

        FRANCESCA: E pare che lo abbia detto giù anche a Giorgio…

        ROMERI: Ma tanto meglio, allora! Avvertiamone subito suo genero che sta in pensiero! (Fa per avviarsi.)

        FRANCESCA: Aspetti, dottore! Sta in pensiero Giorgio? Di che?

        ROMERI: Ma… Lei lo comprende, signora!

        FRANCESCA Eh, se è per questo, temo purtroppo che non ci possa esser dubbio.

        ROMERI (stordito, senza più raccapezzarsi): Ah sì? E come?

        FRANCESCA: Sì, dottore.

        ROMERI: Ma allora?

        FRANCESCA: S’è dunque affacciato a Giorgio il sospetto che…?

        ROMERI: Dio mio, sì, signora!

        FRANCESCA: Ma perché il sospetto?

        ROMERI: Perché… perché, signora mia, può affacciarsi anche a lei… anche a me… a tutti…

        FRANCESCA: Ma no, scusi: non c’è poi mica da stabilire una certezza!

        ROMERI: Basta il dubbio, signora!

        FRANCESCA: E se mia figlia non ne avesse?

        ROMERI: Dica che non vorrebbe averne!

        FRANCESCA: Precisamente. Non vuole, non vuole averne!

        ROMERI: Eh! se si trattasse soltanto di volontà…

        FRANCESCA: Ma dunque anche lei crede, dottore…?

        ROMERI: Lasci star me. Sua figlia dovrebbe ispirare al marito la sua stessa cer­tezza. Pare non ci sia riuscita. Il solo fatto, scusi, che gli ha nascosto finora il suo stato, dimostra, del resto – mi sembra – che quel sospetto si sia affacciato anche a lei.

        FRANCESCA: No! Non ha nascosto niente! Il dubbio sul suo stato data da questa mattina soltanto!

        ROMERI: E perché s’oppone allora, così, al desiderio del marito?

        FRANCESCA: Ma perché per lei è naturale!

        ROMERI: E vorrebbe che apparisse naturale anche a lui?

        FRANCESCA: Ecco: proprio così!

        ROMERI: Temo, signora, che la sua figliuola pretenda troppo.

        FRANCESCA: No, non pretende, non pretende! È che non può ammettere…

        ROMERI: Non vorrebbe, capisco.

        FRANCESCA: E non le sembra naturale che non voglia? Le ripugna ammetterlo!

        ROMERI: Capisco. Ma capisca anche lei, signora, che allo stesso modo ripugna al marito il dubbio, anche il più lontano. Tanto più che, lei lo sa, è avvalorato, questo dubbio, dal fatto che in sette anni di matrimonio non ha avuto fi­gliuoli.

        FRANCESCA: Sì, è vero! Dio mio! Dio mio!

        ROMERI: Bisognerebbe che lei si provasse a farlo intendere alla sua figliuola.

        FRANCESCA: Io?

        ROMERI: Suo genero mi ha detto giù esplicitamente, che su questo punto non potrebbe transigere a nessun patto.

        FRANCESCA: Ma, e lei, dottore?

        ROMERI: Io… Sa lei, signora, che sono stato medico militare e che mi sono di­messo?

        FRANCESCA: Sì, lo so.

        ROMERI: Sa perché mi sono dimesso?

        FRANCESCA: No.

        ROMERI: Perché alla nostra professione son fatti doveri, a cui non si fanno cor­rispondere uguali diritti.

        FRANCESCA: E che intende dire, dottore?

        ROMERI: Intendo dire, signora, che mi trovai una volta – e mi bastò – davanti a un caso, in cui l’esercizio del mio dovere sentii che diventava addirittura mo­struoso.

        FRANCESCA: Ma sì, sarebbe difatti mostruoso!

        ROMERI: No, signora, lei non intende in qual senso io lo dica. È proprio il con­trario. Un soldato, in caserma – sono ormai tant’anni – in un accesso di fu­rore, sparò contro un suo superiore; poi rivolse l’arma contro se stesso per uccidersi anche lui. Rimase ferito mortalmente. Ebbene, signora: di fronte a un caso come questo, nessuno pensa al medico a cui è fatto obbligo di curare, di salvare – se può – quel ferito; come se il medico fosse soltanto uno stru­mento della scienza e nient’altro; come se il medico non avesse poi per se stesso, come uomo, una coscienza per giudicare se – ad esempio – contro al dovere che gli è imposto di salvare, egli non abbia diritto di non farlo, o il di­ritto almeno di disporre poi della vita che egli ha restituito a un uomo che se l’era tolta per punirsi da sé con la maggiore delle punizioni: uccidendosi! Nossignori! il medico ha il dovere di salvare, contro la volontà patente, recisa, di quell’uomo. E poi? quando io gli ho restituita la vita? perché gliel’ho resti­tuita? Per farlo uccidere, a freddo, da chi ha imposto a me un dovere che di­venta infame, negandomi ogni diritto di coscienza sull’opera mia stessa!

        Questo, signora, per dirle che io ho riconosciuto sempre, e voglio riconoscere, nei casi della mia professione, di fronte ai doveri che mi sono imposti, anche i diritti che la mia coscienza reclama.

        FRANCESCA: E allora lei si presterebbe…?

        ROMERI: Sì, signora: senza la minima esitazione. Dato il caso – s’intende – che la signora volesse consentire.

        Scena seconda

        Detti e Giorgio.

        Giorgio s’è presentato sull’uscio della sala durante le ultime battute del dia­logo ed è stato in ascolto.

        GIORGIO (facendosi avanti): E che non vorrebbe forse consentire?

        FRANCESCA: No, no! Non sappiamo ancora, Giorgio!

        GIORGIO: Ma dunque è sicuro?

        ROMERI: Pare di sì.

        GIORGIO: Come, e lei? (Allude a Laura.)

        ROMERI: Non l’ho ancora veduta.

        FRANCESCA (per calmarlo, quasi supplichevole): Forse Laura crede…

        GIORGIO (subito, interrompendola): Crede? Che crede? Se è sicura, come può ancora esitare? Io lo esigo!

        ROMERI (scrollandosi, seccato, anzi sdegnato): Ma no, scusi!

        GIORGIO (con forza, duramente): Sì, lo esigo! Lo esigo!

        ROMERI (fiero, reciso): Lei non può esigerlo cosi!

        GIORGIO: Come no? Posso ammettere che Laura esiti?

        ROMERI: Ma deve dirlo lei, spontaneamente. Non mi presterei io, né si preste­rebbe nessuno, altrimenti!

        GIORGIO: Ma il mio stupore è questo, che lei non l’abbia già chiesto, non lo chieda subito!

        FRANCESCA: Non è mica una cosa da nulla per una donna, Giorgio! A te basta esigerlo!

        GIORGIO: Come! Ma per se stessa, io dico, dovrebbe chiederlo subito, a qualun­que costo! Dovrebbe esser nulla per lei, di fronte all’orrore d’un simile fatto! Ma come? Crederebbe forse che io potrei sorpassare ancora, cedere, chiudere gli occhi, accettare? Ah! perdio! Ma dov’è? Dov’è? (Smaniando, fa per an­dare nella camera di Laura.)

        FRANCESCA (cercando d’impedirglielo): No, per carità, Giorgio!

        ROMERI (forte, con fermezza): Non così! Non così!

        GIORGIO (alludendo a Laura): Che dice? Posso sapere almeno che cosa dice? O vorrebbe forse darmi a intendere che il suo amore…

        Scena terza

        Laura e Detti.

        LAURA (entrando dall’uscio a destra): Che il mio amore… – ? (Al suo apparire, alle sue parole restano tutti sospesi, interdetti.) Di’, di’! Finisci!

        GIORGIO: Laura, io ho bisogno di saper subito che tu non ti opponi.

        LAURA: A che cosa?

        FRANCESCA (cercando d’interporsi): Ma se non sa ancor nulla! Non le abbiamo ancora parlato!

        GIORGIO: Lasciatemi allora spiegare con lei, vi prego!

        LAURA: Sì, è meglio!

        GIORGIO: Attenda un po’ di là, dottore.

        LAURA (subito, severamente): E anche tu, mamma!

        La signora Francesca e il dottor Romeri si ritirano per l’uscio infondo.

        Scena quarta

        Laura e Giorgio.

        LAURA: Parlavi del mio amore, così, davanti –

        GIORGIO (subito, compiendo la frase): – davanti a tua madre e al dottore!

        LAURA: Anche la madre, in questo caso, diventa un’estranea. Non dico quel­l’altro. Avevi l’aria di buttarmelo in faccia!

        GIORGIO: Ma sì, perché non credo, non voglio credere, che tu ora possa, o vo­glia avvalertene!

        LAURA: Dio! Giorgio, ma guardami! Tu non puoi più guardarmi?

        GIORGIO: No! Se è vero questo, no! che tu possa pensare… Io voglio sapere – e subito, subito, senza tante parole – quello che tu vuoi fare!

        LAURA: Che debbo fare? Dipende da te, Giorgio. Dal tuo animo.

        GIORGIO: Come! E tu hai bisogno che te lo dica io, qual è il mio animo? Quale può essere? Non lo comprendi? Non lo vedi? Non lo senti?

        LAURA: Sento che tu mi sei tutt’a un tratto nemico. Come… come se io…

        GIORGIO: Dunque tu dici di no?

        LAURA (abbattendosi a sedere, disperatamente, dice quasi tra sé): Ah Dio! ah Dio! Non è valso dunque a nulla?

        GIORGIO (la guarda, come sbalordito, un pezzo; poi): Che cosa non è valso? Che dici? Voglio che tu mi risponda!

        LAURA: Tu dunque ricordi solo una cosa? E dimentichi tutto?

        GIORGIO: Ma che vuoi che pensi io in questo momento?

        LAURA: Non puoi neanche pensare che per me è proprio tutto il contrario?

        GIORGIO: Il contrario? che cosa?

        LAURA (come assorta lontano, trucemente, con lentezza): Ch’io non ho memo­ria, né immagine: nulla! Io non vidi! io non seppi nulla! Nulla, capisci?

        GIORGIO: Sta bene. E poi?

        LAURA: E poi… (S’interrompe in un silenzio opaco. Poi dice:) Niente. Se hai perduto tu, invece, la memoria di tutto.

        GIORGIO: Ah, del tuo amore, è vero? Ma è proprio così, dunque? Tu m’hai cir­condato del tuo amore, tu mi hai avviluppato nelle tue carezze, sperando ch’io credessi?

        LAURA (con un grido): No! (Poi con nausea:) Ah!

        GIORGIO: E allora?

        LAURA: Non ho ragionato, io: io ho amato: io sono quasi morta d’amore per te; mi sono fatta tua come nessuna donna mai al mondo è stata d’un uomo; e tu lo sai; tu non hai certo potuto non sentirlo questo, che ho voluto averti tutto in me; che mi sono voluta tutta di te…

        GIORGIO: E con questo? con questo?

        LAURA (gridando): Non ho ragionato, ti dico!

        GIORGIO: Ma che hai sperato?

        LAURA: Ma d’aver cancellato… d’aver distrutto…

        GIORGIO: Che cosa? Come?

        LAURA: Niente. (Alzandosi:) Tu hai ragione. È stata la mia follia.

        GIORGIO: Ma sì, una follia! Tu lo vedi bene!

        LAURA: Sì. E ne esco, ecco. Ne sono già uscita. Ma bada! Tu non puoi più par­larmi, ora, come si parla a una folle!

        GIORGIO: Ma io voglio appunto che tu ragioni, Laura!

        LAURA (freddissimamente): E poi?

        GIORGIO: Ma che si faccia… purtroppo…

        LAURA: Solo per un ragionamento, è vero? e dopo che m’hai buttato in faccia con disprezzo, con orrore, tutto ciò che t’ho dato di me? e che tu hai potuto stimare un calcolo vile… un laido inganno… un espediente…

        GIORGIO: No, no, Laura! Ma se l’hai chiamata tu stessa una follia?

        LAURA: Ah, una follia, sì! E sperai che t’avessi sollevato con me nell’ardore di essa, qua, in mezzo alle piante che pure la sanno, questa mia stessa follia! O che tu almeno me lo chiedessi, come si chiede a una povera folle un sacrifi­zio che essa non sa… della sua stessa vita… e chi sa! avresti forse ottenuto quello che volevi. Perché non puoi credere ch’io volessi salvare in me chi an­cora non sento e non conosco. Io l’amore volevo salvare! cancellare una sventura brutale, non brutalmente come tu vorresti…

        GIORGIO: Ma come? come, in nome di Dio?

        LAURA: Posso dirti come, se tu non l’intendi?

        GIORGIO: Accettando la tua follia?

        LAURA (con un grido di tutta l’anima): Sì! Tutta me stessa! Perché tu vedessi tutta me stessa tua, nel figlio tuo: tuo perché di tutto il mio amore per te! Ecco, questo! questo volevo!

        GIORGIO (ritraendosi, quasi inorridito): Ah, no!

        LAURA: Non è possibile: lo vedo.

        GIORGIO: Come vuoi ch’io possa accettare?

        LAURA: E lascia allora che accetti io, invece, la mia sventura.

        GIORGIO: Tu?

        LAURA: Io sola, sì, tutta intera la mia sventura.

        GIORGIO: Ah, dunque è detto? Tu ti rifiuti?

        LAURA: Perché lo farei, se dopo tutto quello che ho dato di me, non sono riu­scita a cancellarla?

        GIORGIO: Ah, no perdio! Tu non puoi! tu non devi!

        LAURA: Perché non posso?

        GIORGIO: Dopo quello che hai fatto?

        LAURA: Che ho fatto?

        GIORGIO: Dopo quello che hai voluto?

        LAURA: Che ho voluto?

        GIORGIO (con ferocia): Il mio amore, dopo!

        LAURA (con disprezzo): Per nascondere, è vero?

        GIORGIO: Ma sai che c’è di mezzo il mio nome?

        LAURA: Ah, non temere. Avrò il coraggio che ebbe la Zena. Peccato ch’io non possa darlo – dopo l’inganno – al suo padre vero!

        GIORGIO: Ma tu volevi darlo a me! E non è questo un inganno?

        LAURA: Chiamalo inganno! Io so che era amore!

        GIORGIO: Ti dico che tu non puoi!

        LAURA: E che vorresti? Con la violenza? (Si fa all’uscio in fondo, e chiama:) Mamma! Mamma!

        GIORGIO (inveendo): Anche con la violenza, sì!

        Accorrono dall’uscio infondo in grande agitazione la signora Francesca e il dottor Romeri.

        Scena quinta

        Detti, la Signora Francesca, il Dottor Romeri.

        FRANCESCA: Laura! Che cos’è?

        GIORGIO (al Romeri che lo trattiene): Dottore, le dica che essendo mia mo­glie…

        LAURA: Non sono più tua moglie! Mamma, io vengo con te!

        GIORGIO: Ma non basta che tu te ne vada!

        LAURA (fieramente): Perché? Che ho io di te? (Giorgio casca a sedere, come schiantato. Lunghissima pausa.) Mamma, possiamo andare! (S’avvia con la madre.)

        GIORGIO (balzando in piedi, con un grido d’esasperazione e di disperazione): No… Laura… Laura…

        Proferirà così due volte il nome di lei con due diversi sentimenti: d’ango­scioso sgomento, prima, poi d’implorazione quasi irosa. Laura s’arresta. Lo guarda. Pausa. Giorgio si copre il volto con le mani e rompe in singhiozzi.

        LAURA (accorrendo a lui): Giorgio, tu mi credi?

        GIORGIO: Non posso! Ma non voglio perdere il tuo amore!

        LAURA (con impeto di passione): Ma a questo solo tu devi credere!

        GIORGIO: Come credere? A che?

        LAURA (c.s.): Ma a ciò che io ho voluto, con tutta me stessa, per te, e che devi volere anche tu! È mai possibile che tu non ci creda? (Lo abbraccia, lo scuote. )

        GIORGIO: Sì, sì… Nel tuo amore, credo.

        LAURA (quasi delirando): E dunque, che vuoi di più, se credi nel mio amore? In me non c’è altro! Sei tu in me, e non c’è altro! Non c’è più altro! Non senti?

        GIORGIO: Sì, sì…

        LAURA (raggiante, felice): Ah, ecco! Il mio amore! Ha vinto! Ha vinto! Il mio amore !

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