Di Maria Amici.
Non solo la Sua opera non muore, affidata alla severa, devota Vestale che in vita preferì (o dovette) venerarlo ad amarlo, ma è il ricordo di lei (di lei e soprattutto da parte di lei e da lei tramandato) a non morire, attraversando i secoli.
“A Marta Abba per non morire”: il ricordo di lei
Per gentile concessione dell’Autrice.
da Nephelai.
Errabonda sulla rete, mi sono imbattuta, cercando tutt’altre scritture, in una puntata in particolare di “Con parole mie“, programma di RaiRadio1 a cura di Umberto Broccoli, tuttora in corso.
Una delle rare occasioni in cui la Rai, anche solo per pochi minuti, si ‘benigna’ di mettere a frutto il suo ricchissimo archivio, oscurato da una programmazione insignificante e mercenaria.
Risaliva al 10 maggio 2011 e proponeva, seguendo il filo tematico della ‘pubblicazione’, letture di brani di origini e funzioni diverse: da una delle lettere di Plinio il Giovane in accompagnamento a un suo discorso non pubblicato che il destinatario avrebbe altrimenti tardato a leggere:
“Caro Arriano, poiché prevedo che la tua venuta ritarderà, ti faccio avere il testo del discorso che ti avevo promesso…”, ad un amaro sfogo della filologa e scrittrice italiana Maria Corti bloccata non da una impasse creativa ma ..organizzativa:
“Il mio romanzo è fermo perché non ho tempo; è un brutto modo di lavorare”,
sino alla proposta di un aforisma sempreverde:
“Chi vede le cose presenti ha visto tutto…”
– una riflessione di Marco Aurelio (Ricordi, 6,37), approfondisco oggi:
“Chi vede le cose presenti ha visto tutto: quelle che sono state fin dall’origine dei tempi e quelle che saranno per tutta l’eternità, perché tutte sono di una stessa natura e di una stessa forma” -,
che potrebbe guidare il ricordo e la meditazione del lettore non disaccorto ancora indietro, sino all’impulso d’altra saggezza che evidentemente attraversava i secoli (e già da quasi mezzo millennio prima dell’imperatore filosofo) e che in latino suona:
“nihil sub sole novi – niente di nuovo sotto il sole”.
Emergendo dalle spire del Tempo, nella rubrica realizzata in collaborazione con Rai Teche, a circa venti minuti dall’inizio (20′ 13”), era invece proposta, presentata con qualche imperfezione da cui non era peraltro esente essa stessa, una cosiddetta “testimonianza del 1986”, il frammento di un’intervista a Marta Abba, definita “attrice storica di Pirandello”.
“D. – E’ vero che il Maestro ha scritto Trovarsi per lei, e modellando il personaggio della protagonista sulla sua personalità?
M. A. – Noi ci dimentichiamo -troppo- che Pirandello è stato un direttore di compagnia, oltre a essere il grande Autore che è, e allora Pirandello fu come Shakespeare in Inghilterra:
Lui viaggiò con la compagnia, studiò i Suoi attori – senza volerlo. E può darsi che abbia studiato anche me, e che qui ci sia qualche cosa di me.
D. – Ci potrebbe spiegare il significato profondo della frase di Pirandello, che dedicando a lei le sue opere scriveva: “A Marta Abba per non morire”?
M. A. – Io ne fui per un po’ di tempo quasi atterrita, di dover dare in pasto al pubblico questa dedica: e ..dico, chissà come la prenderanno..? E poi dopo mi sono fatta più.. più adulta e ho detto «basta, la prendano come vogliano, ma è così: “A Marta Abba per non morire”»: perché la Sua opera non muoia..
Lui voleva che io recitassi le sue opere„
Come sempre, come già un’altra volta ascoltando e stavolta anche vedendo una sua intervista, mi ha commosso sentir parlare di Pirandello e vieppiù da chi gli è stato vicino e tanto ha condiviso con lui.
E con quella voce di cui anche nelle tonalità più scure e rugginose si avvertono (persino oggi. E un tempo?) il calore e la dolcezza, e questi i critici alternativamente notavano insieme con i toni metallici e scattosi, l’impostazione troppo marcata, la freddezza, il distacco e l’implosione del tragico…
Quella voce di chi “recita anche fuori della scena”, come sogghignava il conduttore (peraltro un refrain abusato di cui s’è voluto spesso, non del tutto inconsapevole lei, rivestire e mascherare Marta Abba da Norma Desmond), piuttosto che come in altri infastidirmi o destarmi sin troppo facili ironie, a me infondeva sempre più invece il desiderio -il rimpianto- di sentirla quando recitava Pirandello..
Perché Pirandello il suo modo di recitare e di essere attrice, e di essere?, essere?, aveva amato, studiato e guidato in una continua osmosi reciproca: di lei che ora persino frasi semplicissime (pur vive di una profonda consapevolezza) anche da anziana – lo sentiamo – era capace di variare nei toni e nell’intensità e nel significato, e non di meno con un certo filo di ‘estraneità’ tuttavia: giocando con la verità? col ricordo? col suo particolarissimo – e incompreso e raramente apprezzato – modo d’essere attrice?
E l’aveva tenuta -sebbene spesso lei fosse lontana- accanto a sé (e più avrebbe voluto) non solo come “musa” – altra sin troppo sbrigativa definizione – ma quale eccezionale sonda della propria ispirazione e dell’Enigma profondo, complesso, stratificato e sommerso, della propria umanità -anzi dell’Umanità, dell’essere umani-, nella scintilla più alta e nella compromissione più cogente e amara della resa dei conti con se stesso, nella disperazione assoluta e nella vividezza sognante, che impietrite dal e nel silenzio, e nell’abbandono e nel rifiuto e dall’impenetrabilità, si fanno Parola e Arte.
E mi dava ancora forte il senso che Marta Abba interpretasse Pirandello quando lo recitava e anche non recitandolo (non recitando un suo testo ma rievocando, spiegando, qualcosa di lui). Che lei che peraltro, rinunziando a ancora maggiori e più facili guadagni e a viversene tranquilla e non “odiata”, dell’opera che Qualcuno le aveva affidato s’era fatta Vestale, una volta ancora se ne facesse tedofora, e quel fuoco lo portasse in sé e con sé attraverso lo spazio e il tempo, e oltre il diaframma della morte…
..Eppure, sempre arrestandosi, nel ritegno comune a entrambi – quello che poi solo in parte e combattuta sviò, con la trasmissione in dono delle lettere (non tutte peraltro date alla pubblicazione) all’Università di Princeton -, sempre un passo al di qua del Mistero.
Non solo la Sua opera non muore, affidata alla severa, devota Vestale che in vita preferì (o dovette) venerarlo ad amarlo, ma è il ricordo di lei (di lei e soprattutto da parte di lei e da lei tramandato) a non morire, attraversando i secoli: e anche in questo, appunto, capii cosa forse il Maestro avesse inteso – e cosa lei: che forse dovette prima respingere per poi comprendere – quando, non solo sul piano professionale e artistico, Egli scrisse quella famosa ..polisemica.. dedica:
“A Marta Abba per non morire„
Maria Amici
16 dicembre 2012
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