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Piccolo Teatro di Milano, I giganti della montagna, 2019. Immagine dal Web.

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Leggendo le pagine dei romanzi e delle novelle non è difficile intuire la vocazione drammatica di Pirandello: si percepisce un dinamismo, una concretezza fuori dell’ordinario. Come se i nervi fossero scoperti, il personaggio freme, si esaspera, contrasta. Il dialogo dà subito scintille, la pagina reclama l’oralità, la recitazione. Alla fine dell’Ottocento il teatro celebra il suo passaggio epocale, è lo spazio per eccellenza della comunicazione e dell’incontro sociale. Autori come Strindberg, Ibsen, Cechov, danno il brivido della novità e della scoperta, divengono i portavoce di culture remote. In Italia i veristi corrono l’avventura del palcoscenico: Verga, Capuana, De Roberto tentano la conversione, senza riuscire a superare una resistenza interiore.

La sua vocazione drammatica si riconosce e si potenzia, a un certo punto, come vocazione drammaturgica. E il sangue che gli viene dalla sua terra sembra reclamare questo sbocco. È la stagione d’oro del teatro di strada in Sicilia, attori come Angelo Musco e Giovanni Grasso riscuotono consenso dal popolo di cui sono figli, Nino Martoglio rinnova nel teatro la spinta propulsiva che in letteratura era venuta dal carisma di Capuana. Non se ne valuterà mai abbastanza la suggestione mimetica e solidale. Ma in Sicilia è illustre la tradizione dell’opera dei pupi. E che cos’è Agrigento, e cos’era Girgenti, se non un grande teatro all’aperto, dall’acropoli allo stilobate dei templi dorici, relitti ma testimoni nobili della tradizione antica e greca?

Ci sono in tutto questo gli ingredienti di un romanzo familiare e Pirandello li coglie perfettamente con la favola del Caos, la leggenda delle origini, una forma, da decifrare, di predestinazione.

Certo, sulla scena i problemi della lingua sono ancora più forti che nella pagina narrativa. Ma se Giovanni Grasso può portare a Firenze nel 1906 La figlia di Iorio in versione siciliana sollevando entusiasmo negli spettatori che lo fraintendono, perché D’Annunzio sì, e i siciliani no, ad esprimere un’identità e un’eredità? L’istinto, l’esempio dei sodali sul campo, il mutare dei tempi e della società, premono per sbarazzarsi dei pregiudizi teorici. In realtà Pirandello era attrezzato per il salto, che poi, a ben considerare, presupponeva una continuità sotterranea, una coerenza segreta.

L’apprendistato è lungo, ma la base linguistica e filologica è assai più robusta che nei suoi corregionali. Non bisogna dimenticare che siamo di fronte a un autore che si è laureato a Bonn con una tesi sui suoni e sviluppi di suoni nel dialetto di Girgenti.

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